New
neighbour? –
Nuovo vicino?
Pov Avril
Io e Gabriel ci
stavamo dirigendo in mensa, cercando di non essere schiacciati dalla
grande
folla accalcata nel corridoio, quando improvvisamente sentii il mio
cellulare
squillare con il primo
movimento della
sinfonia n. 5 di Beethoven.
La mia mente ci
mise due secondi per esclamare dieci imprecazioni di fila. Non era un
caso se
avevo scelto quella suoneria per quel numero. Cazzo…
Presi il cellulare
dalla tasca dei miei jeans e, neanche fossi stata un condannato sul
patibolo
pronto per essere decapitato, risposi.
“Pronto?”
Ovviamente, sapevo già chi fosse. Il problema, purtroppo,
era che non sapevo
cosa volesse. Mi preparai mentalmente a sentire la sua voce spacca
– timpani.
“Avriiiiil!”
Come se avessi
preso la scossa, allontanai immediatamente il telefono dal mio
orecchio. Non c’era
preparazione mentale che potesse competere con lei.
“Ciao,
Judy. Cosa
vuoi?” Con lei era sempre meglio essere diretti ed andare
dritti al punto.
“Come cosa
vuoi,
razza di impertinente! Sbaglio o ti avevo avvisato che appena finivi le
lezioni
dovevi fare il turno di pomeriggio al ristorante, eh?”
“Ehm…
no, ti
sbagli, non mi avevi avvisato.”
“Oh.”
I tre
secondi di silenzio che seguirono furono ancora più
irritanti dell’intera
conversazione. “Beh, adesso sei stata avvisata. Quindi, vai a
lavorare!” E con
questa sua ultima massima, chiuse la chiamata.
Toccai Gabriel
sulla spalla, per attirare la sua attenzione, e gli urlai, cercando di
farmi
sentire nel caos generale:”“Gabriel, devo andare al
ristorante a lavorare.”
“Cosa? Devi
andare
ad un funerale? Mi dispiace!”
“Ma no, che
hai
capito. Devo andare a lavorare!”
“Avril…
il bagno è
lì, non capisco perché adesso mi vieni a dire che
hai bisogno di urinare…”
Alzai gli occhi al
cielo, esasperata. Lo trascinai all’uscita per un braccio,
sperando che nessuno
mi facesse storie proprio ora. Le mie ovaie erano già in
pieno movimento e non
avevano certo bisogno di essere sollecitate ulteriormente.
Una volta
raggiunto l’esterno, mi fermai, misi le mani a coppa attorno
al suo orecchio
sinistro e gridai con tutto il fiato che avevo in
gola:”GABRIEL! IL RISTORANTE!
DEVO ANDARE A LAVORARE!”
Spalancò
gli occhi
e mi scostò gentilmente da lui. “Ok, devi andare a
lavorare al ristorante. Ti
ci accompagno. Perché non l’hai detto subito,
accidenti?”
Mi
accompagnò alla
macchina, chiedendo ed ottenendo il permesso di guidare.
L’unica cosa che
pensavo in quel momento, era: ovaie mie, calmatevi.
**
Appena entrammo al
ristorante – facevo ancora fatica a chiamarlo con il suo nome
attuale –, Angela
ci venne incontro, sorridente come sempre.
“Avril,
Gabriel,
che ci fate qui?”
“Beh, a
dire la
verità, Judy mi ha dolcemente
riferito
che devo fare il doppio turno, per cui… eccomi
qui.” Sospirai, togliendomi la
borsa a tracolla.
“Come
doppio
turno? Tu non fai proprio nessun doppio turno, signorina.” Mi
rispose,
puntandomi contro un dito e agitandolo. “Piuttosto,
tutt’e due, avete pranzato?”
Non volevo darle
più fastidio di quanto non avesse già, per cui
preferii mentire, anziché dirle
la verità. “Sì, noi-“
“No, a dire
la
verità no, mi ha subito trascinato qui, senza nemmeno
lasciarmi rifocillare. Sto
proprio morendo di fame.” Mi anticipò Gabriel,
sbadigliando.
Mi girai lentamente
verso di lui e lo guardai con lo sguardo più omicida che
potessi fare.
Soltanto dopo un
po’ si accorse del mio sguardo ed scrollò le
spalle, come per dire beh, che
c’è?, ma ormai la frittata era
fatta.
Angela
partì
subito in quarta, ci fece voltare e ci spinse dalle spalle.
“No, no, no, no,
ragazzi, così non va bene. Come fate a mettere in moto il
vostro cervellino, se
non mettete niente nello stomaco? Adesso ci pensa la zia Angela, e un
doppio cheeseburger
non ve lo toglie proprio nessuno.” Disse, facendoci
accomodare ad un tavolo e
sparendo nelle cucine.
Continuai
a tenere il mio sguardo assassino su
Gabriel che, invece, se ne stava tranquillo e sereno seduto sulla sua
sedia.
Dopo qualche
minuto, forse infastidito dalla mia occhiata insistente, o forse
perché non
aveva niente da fare mentre aspettava il panino, mi
chiese:”Av, ma perché mi
guardi così? Capisco che sono bello, ma non credevo
arrivassi fino a questo
punto…”
Sospirai, non
potendo fare altrimenti. “Gabriel, hai mai sentito parlare
del concetto di non dare fastidio agli altri
mentre lavorano?”
Gli risposi, mimando le virgolette per rendere ancora più
chiara la domanda.
“No, mai
sentito.”
Ribatté, incominciando a guardare fuori dalla finestra.
Nel frattempo che
aspettavamo quel dannato cheeseburger, grazie alla pessima uscita del
mio amico, mi guardai in giro e mi
persi nei
miei pensieri.
Ricordai quando,
da piccola, me ne stavo stesa sul letto e piangevo, soffocando i pianti
e i
singhiozzi sul cuscino.
Non volevo che
nessuno vedesse e si accorgesse delle mie lacrime, neppure mio padre,
dovunque
fosse.
Mi sembrava che,
facendo fuoriuscire quelle piccole gocce salate, cresceva la mia
debolezza e
insicurezza.
L’unica
cosa che
volevo, era crescere subito, immediatamente, in modo da far passare
tutto il
dolore che sentivo dentro.
Non
ti preoccupare, quando diventerai grande nessuno ti
potrà dire cosa fare, neanche Judy., sussurravo a me
stessa, stringendo lo stesso libro delle favole
che quella notte mio padre lasciò a me.
Credevo, o meglio,
speravo, che la sofferenza pian piano si appiattisse, che venisse
sbiadita dal
tempo come se fosse stata un brutto ricordo.
La verità
era un’altra,
invece.
Anche se erano
passati anni da quando mi confidavo con il libro delle favole, la scena
non se
n’era andata, anzi, qualche sera faceva il suo ritorno,
cogliendomi il più
delle volte impreparata.
Ciò che
non
sapevo, quando ero una bambina, era che questo tipo di dolore, non
passava e
non veniva dimenticato mai, neanche con l’azione del tempo,
che tutto cancella.
Come
si faceva a sopravvivere?
Semplice. Dopo
ogni notte passata a piangere, dopo ogni giorno in cui asciugavo i miei
occhi
gonfi e rossi, avevo imparato a conviverci, con la fitta che sentivo
ogni volta
colpirmi dritta al petto.
Non c’era
un altro
modo per continuare a vivere, e neppure sperare diventare grandi
serviva.
Adesso che avevo
raggiunto la maggiore età, avevo capito che… la
sofferenza non era mai andata
via da me.
Sia nel bene, sia
nel male, mi era sempre stata accanto, tornando, magari qualche sera
particolare, a bussare alle porte del mio cuore e a far sgorgare altre
lacrime
dai miei occhi azzurri.
“Oh,
finalmente,
pensavo di non riuscire a liberarmi più di questi crampi
allo stomaco.” Disse Gabriel,
interrompendo il percorso che stavano intraprendendo i miei pensieri.
Voltai lo sguardo
verso la direzione indicata dai suoi occhi, e vidi due cheeseburger
caldi e fumanti
disposti su due piatti sul tavolo.
“Oh,
Angela, non
dovevi. Così mi fai sentire in colpa per averti fatto
lavorare di più.” Le
dissi, alzandomi e venendo presa dal desiderio irrefrenabile di
abbracciarla.
Lei, presa alla
sprovvista, s’irrigidì per un attimo, per poi
ricambiare immediatamente il mio
abbraccio.
“Non
ringraziarmi,
Avril. Se non mi prendo cura io di te, chi dovrebbe farlo?”
Eh
già, chi dovrebbe farlo?
**
Appena finimmo di
mangiare, ringraziammo ancora Angela e ci dirigemmo verso la mia
macchina.
Ancora una volta,
Gabriel si posizionò al posto di guida.
“Allora…
che si
fa?” mi chiese.
“Cosa vuoi
che
faccia, con un cheeseburger sullo stomaco?” Non era mia
intenzione farlo, ma la
voce mi uscii un pochino più acida rispetto al solito.
“Ok,
messaggio
ricevuto.”
Sembrava un
po’
abbattuto, nel suo modo di fare. In fondo,
tu non gli hai di certo reso la vita facile, ed è anche
stato bocciato al
provino! Poverino, ci teneva così tanto…
Dannata parte
buona della mia coscienza. Speravo di non pentirmi di quello che stavo
per
dire. “Beh, comunque… se vuoi… potresti
sempre venire a vedere il mio nuovo
appartam-“
“Oh
sì Avril,
davvero lo faresti per me? Grazie, non sai quanto sono contento di
averti come
migliore amica. Andiamo!”
Alzai gli occhi al
cielo. Almeno gli hai risollevato
l’umore…
Il viaggio in
macchina fu breve, giusto il tempo per spiegargli come raggiungere la
mia nuova
ubicazione*.
Appena fummo
davanti all’entrata, però, notai una cosa
spiacevole, di cui mi ero completamente
dimenticata.
“Ehi Avril,
ma perché
ci sono tutti quei cartoni per terra?”
Scesi dalla
macchina, incazzata con me stessa.
“Cazzo! Mi
ero
dimenticata che l’ultimo carico passava
stamattina.” Sbuffai, scocciata.
Non ce
l’avrei mai
fatta a portare tutti quei cartoni da sola.
A
meno che…
Mmh, la parte
diabolica della mia coscienza aveva quasi sempre delle ottime idee.
Non potei fare a
meno di sentirmi come la matrigna quando consegna a Biancaneve la mela
avvelenata.
“Gabriel…”
Scandii
bene.
“Sì….?”
Anche se
probabilmente non se ne accorse, indietreggiò leggermente
sul sedile, a
disagio. Mi conosceva bene, e sapeva che tramavo qualcosa.
“Ascolta…mi
chiedevo se…magari…mi potessi dare una mano con
tutti quei cartoni. Sai com’è,
sono molto stanca e non credo di potercela fare da sola.”
Ti prego,
dì di
sì.
“Ehm…Avril…Anch’io
sono stanco, e in più dovrei anche andare a casa, altrimenti
mio padre mi
strozza.”
“Nah, non
ti
preoccupare di tuo padre o del ritardo che potresti fare, tanto a piedi
ci
metti cinque minuti. Allora?”
“Beh…”
tentennò.
“Gabriel…
Ti
preeeego!” gli feci gli occhi dolci, consapevole che solo con
questo metodo
avrei ottenuto qualcosa.
“Oh, e va
bene. Ma
mi devi un altro cheeseburger, sia chiaro.” Mi rispose,
puntandomi un dito
contro.
“Certo,
anche due!”
esclamai, contenta. “Allora… tu prendi quello,
mentre io vado già ad aprire la
porta e a prenotare l’ascensore, così facciamo
prima.”
Entrai, premetti
sul bottone rosso, che si illuminò, e salii le scale in
fretta, per non far
stancare ulteriormente il mio migliore amico.
Presi le chiavi di
casa, aprii la porta, e lo aspettai pazientemente sulla soglia.
Sentivo i suoi
passi stanchi avvicinarsi sempre di più, fino a quando non
lo vidi arrivare
davanti a me con il fiatone.
“Cavolo, ma
quando
avevi intenzione di dirmi che il tuo appartamento era al sesto
piano?!”
Scrollai le
spalle, esattamente come aveva fatto lui quel pomeriggio.
Facemmo un paio di
viaggi, una volta salendo le scale, un’altra andando in
ascensore, e, dopo due
ore, rimase solo uno scatolone.
Vedendo lo stato
in cui si era ridotto pur di aiutarmi e per avere un cheeseburger
gratis, la
parte buona della mia coscienza riemerse in superficie e lo lasciai
andare a
casa.
All’ultimo
scatolone potevo benissimo pensarci io.
Prima di compiere
quell’ultima fatica, presi dalla tasca dei miei jeans il
cellulare e attaccai
le cuffie all’apertura.
Ero del parere che
qualsiasi difficoltà poteva essere superata, se avevi a
disposizione delle
buone cuffie e la musica adatta.
Selezionai un
brano metal, rimisi il cellulare nella tasca ed entrai, speravo per
l’ultima
volta in quella giornata, nell’ascensore.
Pov Evan
Sbuffai irritato,
buttando il libro di chimica sulla scrivania.
Per tutto il
pomeriggio non avevo fatto altro che sentire dei rumori strani
provenienti dall’appartamento
accanto.
Avevo saputo che
il precedente coinquilino se n’era andato, e
perciò collegai quei rumori all’arrivo
di un nuovo ragazzo.
Andai verso la
porta e la aprii, appoggiandomi al muro divisorio.
Ero deciso a far
sentire la mia voce in tutto quel casino che stava succedendo, nessuno
poteva
disturbare Evan David Taubenfeld mentre cercava di concentrarsi.
Mi
dispiace per te, ma il nostro rapporto è già
cominciato
con il piede sbagliato, amico.
…O…amica?
Osservai una
figura esile che mi dava le spalle e che trasportava un cartone
dall’aria molto
pesante.
Era bassina, non
molto
rispetto a me, comunque, e aveva dei capelli color castano chiaro che
le arrivavano
più o meno fino alle spalle.
L’ultima
cosa che
notai, scendendo con lo sguardo, era che aveva un culetto davvero
niente male.
Mi morsi il labbro,
improvvisamente entusiasmato da quel nuovo arrivo.
Non ricordavo
nemmeno più di essere stato arrabbiato per tutto il
pomeriggio.
La parte
più
spavalda di me si fece avanti e incominciai a parlarle,
sorridendo:”Ciao, tu
devi essere la nuova vicina. Piacere, io sono Evan.”
Mi aspettavo che
quantomeno si girasse, quantomeno per guardarmi in faccia, ma non lo
fece.
Probabilmente
è troppo impegnata con quel cartone…”Se vuoi,
posso darti una mano con quello.
Sembra essere anche abbastanza pesante e…”
Non riuscii nemmeno
a finire la frase, che sbatté la porta con un calcio e si
tolse dalla mia
vista.
Che
cazzo…?
Sì, il
nostro
rapporto era cominciato decisamente con il piede sbagliato.
*Oh-oh, siamo
passati ai termini sofisticati. (?)
Buonassssera
a
tutti! (?)
Allora,
come
state? Spero bene :3
Scusatemi
per il
ritardo con cui sto aggiornando, ma i compiti in classe si sono
quadruplicati
da un giorno all’altro D:
Che brutta
cosa
la scuola…
Ma, adesso,
pensiamo alle cose belle!
*Cri cri
cri*
Intendevo
il
capitolo…per chi…ehm…non
l’avesse capito e.e
Quindi, che
ne
dite di questi due?
Vi
piacciono?
Scrivetemi
tutti
i vostri pareri, sono curiosa *-*
Adesso devo
evaporare OuO
Cruel Heart.