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Autore: Cruel Heart    13/12/2013    3 recensioni
Caro Sk8er Boi_83,
ci siamo scambiati e-mails per…quanto?
Settimane? Mesi?
Beh, sinceramente… non m’importa molto.
Sei entrato nella mia vita, così come io sono entrata nella tua.
Hai scoperto un lato del mio carattere di cui neanche io ero a conoscenza, e mi hai fatto riscoprire le piccole ma fondamentali cose che il destino ci riserva.
Siamo stati fino ad ore inimmaginabili a parlare delle nostre vite, dei nostri problemi, di quello che vorremmo fare da grandi.
Ma sai qual è la cosa più buffa?
È che… non so neanche quale sia il tuo vero nome, non so come sia il tuo viso, di che colori siano i tuoi capelli, i tuoi occhi.
Dicono che i segreti, soprattutto quelli più inconfessabili, non debbano mai essere rivelati alle persone estranee. Ma so che tu non lo sei, per me.
Quindi, il mio segreto è questo: credo… credo… credo proprio di essermi innamorata di uno Sk8er.
[Fan Fiction ispirata al film “Cinderella Story”]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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New neighbour? – Nuovo vicino?

 

Pov Avril

 

Io e Gabriel ci stavamo dirigendo in mensa, cercando di non essere schiacciati dalla grande folla accalcata nel corridoio, quando improvvisamente sentii il mio cellulare squillare con il primo movimento della sinfonia n. 5 di Beethoven.

La mia mente ci mise due secondi per esclamare dieci imprecazioni di fila. Non era un caso se avevo scelto quella suoneria per quel numero. Cazzo…

Presi il cellulare dalla tasca dei miei jeans e, neanche fossi stata un condannato sul patibolo pronto per essere decapitato, risposi.

“Pronto?” Ovviamente, sapevo già chi fosse. Il problema, purtroppo, era che non sapevo cosa volesse. Mi preparai mentalmente a sentire la sua voce spacca – timpani.

“Avriiiiil!”

Come se avessi preso la scossa, allontanai immediatamente il telefono dal mio orecchio. Non c’era preparazione mentale che potesse competere con lei.

“Ciao, Judy. Cosa vuoi?” Con lei era sempre meglio essere diretti ed andare dritti al punto.

“Come cosa vuoi, razza di impertinente! Sbaglio o ti avevo avvisato che appena finivi le lezioni dovevi fare il turno di pomeriggio al ristorante, eh?”

“Ehm… no, ti sbagli, non mi avevi avvisato.”

“Oh.” I tre secondi di silenzio che seguirono furono ancora più irritanti dell’intera conversazione. “Beh, adesso sei stata avvisata. Quindi, vai a lavorare!” E con questa sua ultima massima, chiuse la chiamata.

Toccai Gabriel sulla spalla, per attirare la sua attenzione, e gli urlai, cercando di farmi sentire nel caos generale:”“Gabriel, devo andare al ristorante a lavorare.”

“Cosa? Devi andare ad un funerale? Mi dispiace!”

“Ma no, che hai capito. Devo andare a lavorare!”

“Avril… il bagno è lì, non capisco perché adesso mi vieni a dire che hai bisogno di urinare…”

Alzai gli occhi al cielo, esasperata. Lo trascinai all’uscita per un braccio, sperando che nessuno mi facesse storie proprio ora. Le mie ovaie erano già in pieno movimento e non avevano certo bisogno di essere sollecitate ulteriormente.

Una volta raggiunto l’esterno, mi fermai, misi le mani a coppa attorno al suo orecchio sinistro e gridai con tutto il fiato che avevo in gola:”GABRIEL! IL RISTORANTE! DEVO ANDARE A LAVORARE!”

Spalancò gli occhi e mi scostò gentilmente da lui. “Ok, devi andare a lavorare al ristorante. Ti ci accompagno. Perché non l’hai detto subito, accidenti?”

Mi accompagnò alla macchina, chiedendo ed ottenendo il permesso di guidare. L’unica cosa che pensavo in quel momento, era: ovaie mie, calmatevi.

**

Appena entrammo al ristorante – facevo ancora fatica a chiamarlo con il suo nome attuale –, Angela ci venne incontro, sorridente come sempre.

“Avril, Gabriel, che ci fate qui?”

“Beh, a dire la verità, Judy mi ha dolcemente riferito che devo fare il doppio turno, per cui… eccomi qui.” Sospirai, togliendomi la borsa a tracolla.

“Come doppio turno? Tu non fai proprio nessun doppio turno, signorina.” Mi rispose, puntandomi contro un dito e agitandolo. “Piuttosto, tutt’e due, avete pranzato?”

Non volevo darle più fastidio di quanto non avesse già, per cui preferii mentire, anziché dirle la verità. “Sì, noi-“

“No, a dire la verità no, mi ha subito trascinato qui, senza nemmeno lasciarmi rifocillare. Sto proprio morendo di fame.” Mi anticipò Gabriel, sbadigliando.

Mi girai lentamente verso di lui e lo guardai con lo sguardo più omicida che potessi fare.

Soltanto dopo un po’ si accorse del mio sguardo ed scrollò le spalle, come per dire beh, che c’è?, ma ormai la frittata era fatta.

Angela partì subito in quarta, ci fece voltare e ci spinse dalle spalle. “No, no, no, no, ragazzi, così non va bene. Come fate a mettere in moto il vostro cervellino, se non mettete niente nello stomaco? Adesso ci pensa la zia Angela, e un doppio cheeseburger non ve lo toglie proprio nessuno.” Disse, facendoci accomodare ad un tavolo e sparendo nelle cucine.

 Continuai a tenere il mio sguardo assassino su Gabriel che, invece, se ne stava tranquillo e sereno seduto sulla sua sedia.

Dopo qualche minuto, forse infastidito dalla mia occhiata insistente, o forse perché non aveva niente da fare mentre aspettava il panino, mi chiese:”Av, ma perché mi guardi così? Capisco che sono bello, ma non credevo arrivassi fino a questo punto…”

Sospirai, non potendo fare altrimenti. “Gabriel, hai mai sentito parlare del concetto di non dare fastidio agli altri mentre lavorano?” Gli risposi, mimando le virgolette per rendere ancora più chiara la domanda.

“No, mai sentito.” Ribatté, incominciando a guardare fuori dalla finestra.

Nel frattempo che aspettavamo quel dannato cheeseburger, grazie alla pessima uscita del mio amico, mi guardai in giro e mi persi nei miei pensieri.

Ricordai quando, da piccola, me ne stavo stesa sul letto e piangevo, soffocando i pianti e i singhiozzi sul cuscino.

Non volevo che nessuno vedesse e si accorgesse delle mie lacrime, neppure mio padre, dovunque fosse.

Mi sembrava che, facendo fuoriuscire quelle piccole gocce salate, cresceva la mia debolezza e insicurezza.

L’unica cosa che volevo, era crescere subito, immediatamente, in modo da far passare tutto il dolore che sentivo dentro.

Non ti preoccupare, quando diventerai grande nessuno ti potrà dire cosa fare, neanche Judy., sussurravo a me stessa, stringendo lo stesso libro delle favole che quella notte mio padre lasciò a me.

Credevo, o meglio, speravo, che la sofferenza pian piano si appiattisse, che venisse sbiadita dal tempo come se fosse stata un brutto ricordo.

La verità era un’altra, invece.

Anche se erano passati anni da quando mi confidavo con il libro delle favole, la scena non se n’era andata, anzi, qualche sera faceva il suo ritorno, cogliendomi il più delle volte impreparata.

Ciò che non sapevo, quando ero una bambina, era che questo tipo di dolore, non passava e non veniva dimenticato mai, neanche con l’azione del tempo, che tutto cancella.

 Come si faceva a sopravvivere?

Semplice. Dopo ogni notte passata a piangere, dopo ogni giorno in cui asciugavo i miei occhi gonfi e rossi, avevo imparato a conviverci, con la fitta che sentivo ogni volta colpirmi dritta al petto.

Non c’era un altro modo per continuare a vivere, e neppure sperare diventare grandi serviva.

Adesso che avevo raggiunto la maggiore età, avevo capito che… la sofferenza non era mai andata via da me.

Sia nel bene, sia nel male, mi era sempre stata accanto, tornando, magari qualche sera particolare, a bussare alle porte del mio cuore e a far sgorgare altre lacrime dai miei occhi azzurri.

“Oh, finalmente, pensavo di non riuscire a liberarmi più di questi crampi allo stomaco.” Disse Gabriel, interrompendo il percorso che stavano intraprendendo i miei pensieri.

Voltai lo sguardo verso la direzione indicata dai suoi occhi, e vidi due cheeseburger caldi e fumanti disposti su due piatti sul tavolo.

“Oh, Angela, non dovevi. Così mi fai sentire in colpa per averti fatto lavorare di più.” Le dissi, alzandomi e venendo presa dal desiderio irrefrenabile di abbracciarla.

Lei, presa alla sprovvista, s’irrigidì per un attimo, per poi ricambiare immediatamente il mio abbraccio.

“Non ringraziarmi, Avril. Se non mi prendo cura io di te, chi dovrebbe farlo?”

Eh già, chi dovrebbe farlo?

**

Appena finimmo di mangiare, ringraziammo ancora Angela e ci dirigemmo verso la mia macchina.

Ancora una volta, Gabriel si posizionò al posto di guida.

“Allora… che si fa?” mi chiese.

“Cosa vuoi che faccia, con un cheeseburger sullo stomaco?” Non era mia intenzione farlo, ma la voce mi uscii un pochino più acida rispetto al solito.

“Ok, messaggio ricevuto.”

Sembrava un po’ abbattuto, nel suo modo di fare. In fondo, tu non gli hai di certo reso la vita facile, ed è anche stato bocciato al provino! Poverino, ci teneva così tanto…

Dannata parte buona della mia coscienza. Speravo di non pentirmi di quello che stavo per dire. “Beh, comunque… se vuoi… potresti sempre venire a vedere il mio nuovo appartam-“

“Oh sì Avril, davvero lo faresti per me? Grazie, non sai quanto sono contento di averti come migliore amica. Andiamo!”

Alzai gli occhi al cielo. Almeno gli hai risollevato l’umore…

Il viaggio in macchina fu breve, giusto il tempo per spiegargli come raggiungere la mia nuova ubicazione*.

Appena fummo davanti all’entrata, però, notai una cosa spiacevole, di cui mi ero completamente dimenticata.

“Ehi Avril, ma perché ci sono tutti quei cartoni per terra?”

Scesi dalla macchina, incazzata con me stessa.

“Cazzo! Mi ero dimenticata che l’ultimo carico passava stamattina.” Sbuffai, scocciata.

Non ce l’avrei mai fatta a portare tutti quei cartoni da sola.

A meno che…

Mmh, la parte diabolica della mia coscienza aveva quasi sempre delle ottime idee.

Non potei fare a meno di sentirmi come la matrigna quando consegna a Biancaneve la mela avvelenata.

“Gabriel…” Scandii bene.

“Sì….?” Anche se probabilmente non se ne accorse, indietreggiò leggermente sul sedile, a disagio. Mi conosceva bene, e sapeva che tramavo qualcosa.

“Ascolta…mi chiedevo se…magari…mi potessi dare una mano con tutti quei cartoni. Sai com’è, sono molto stanca e non credo di potercela fare da sola.”

Ti prego, dì di sì.

“Ehm…Avril…Anch’io sono stanco, e in più dovrei anche andare a casa, altrimenti mio padre mi strozza.”

“Nah, non ti preoccupare di tuo padre o del ritardo che potresti fare, tanto a piedi ci metti cinque minuti. Allora?”

“Beh…” tentennò.

“Gabriel… Ti preeeego!” gli feci gli occhi dolci, consapevole che solo con questo metodo avrei ottenuto qualcosa.

“Oh, e va bene. Ma mi devi un altro cheeseburger, sia chiaro.” Mi rispose, puntandomi un dito contro.

“Certo, anche due!” esclamai, contenta. “Allora… tu prendi quello, mentre io vado già ad aprire la porta e a prenotare l’ascensore, così facciamo prima.”

Entrai, premetti sul bottone rosso, che si illuminò, e salii le scale in fretta, per non far stancare ulteriormente il mio migliore amico.

Presi le chiavi di casa, aprii la porta, e lo aspettai pazientemente sulla soglia.

Sentivo i suoi passi stanchi avvicinarsi sempre di più, fino a quando non lo vidi arrivare davanti a me con il fiatone.

“Cavolo, ma quando avevi intenzione di dirmi che il tuo appartamento era al sesto piano?!”

Scrollai le spalle, esattamente come aveva fatto lui quel pomeriggio.

Facemmo un paio di viaggi, una volta salendo le scale, un’altra andando in ascensore, e, dopo due ore, rimase solo uno scatolone.

Vedendo lo stato in cui si era ridotto pur di aiutarmi e per avere un cheeseburger gratis, la parte buona della mia coscienza riemerse in superficie e lo lasciai andare a casa.

All’ultimo scatolone potevo benissimo pensarci io.

Prima di compiere quell’ultima fatica, presi dalla tasca dei miei jeans il cellulare e attaccai le cuffie all’apertura.

Ero del parere che qualsiasi difficoltà poteva essere superata, se avevi a disposizione delle buone cuffie e la musica adatta.

Selezionai un brano metal, rimisi il cellulare nella tasca ed entrai, speravo per l’ultima volta in quella giornata, nell’ascensore.

 

Pov Evan

Sbuffai irritato, buttando il libro di chimica sulla scrivania.

Per tutto il pomeriggio non avevo fatto altro che sentire dei rumori strani provenienti dall’appartamento accanto.

Avevo saputo che il precedente coinquilino se n’era andato, e perciò collegai quei rumori all’arrivo di un nuovo ragazzo.

Andai verso la porta e la aprii, appoggiandomi al muro divisorio.

Ero deciso a far sentire la mia voce in tutto quel casino che stava succedendo, nessuno poteva disturbare Evan David Taubenfeld mentre cercava di concentrarsi.

Mi dispiace per te, ma il nostro rapporto è già cominciato con il piede sbagliato, amico.

…O…amica?

Osservai una figura esile che mi dava le spalle e che trasportava un cartone dall’aria molto pesante.

Era bassina, non molto rispetto a me, comunque, e aveva dei capelli color castano chiaro che le arrivavano più o meno fino alle spalle.

L’ultima cosa che notai, scendendo con lo sguardo, era che aveva un culetto davvero niente male.

Mi morsi il labbro, improvvisamente entusiasmato da quel nuovo arrivo.

Non ricordavo nemmeno più di essere stato arrabbiato per tutto il pomeriggio.

La parte più spavalda di me si fece avanti e incominciai a parlarle, sorridendo:”Ciao, tu devi essere la nuova vicina. Piacere, io sono Evan.”

Mi aspettavo che quantomeno si girasse, quantomeno per guardarmi in faccia, ma non lo fece.

Probabilmente è troppo impegnata con quel cartone…”Se vuoi, posso darti una mano con quello. Sembra essere anche abbastanza pesante e…”

Non riuscii nemmeno a finire la frase, che sbatté la porta con un calcio e si tolse dalla mia vista.

Che cazzo…?

Sì, il nostro rapporto era cominciato decisamente con il piede sbagliato.

*Oh-oh, siamo passati ai termini sofisticati. (?)

 

Buonassssera a tutti! (?)

Allora, come state? Spero bene :3

Scusatemi per il ritardo con cui sto aggiornando, ma i compiti in classe si sono quadruplicati da un giorno all’altro D:

Che brutta cosa la scuola…

Ma, adesso, pensiamo alle cose belle!

*Cri cri cri*

Intendevo il capitolo…per chi…ehm…non l’avesse capito e.e

Quindi, che ne dite di questi due?

Vi piacciono?

Scrivetemi tutti i vostri pareri, sono curiosa *-*

Adesso devo evaporare OuO

Cruel Heart.

   
 
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