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Autore: BlueSkied    14/12/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
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18.



Ferrara, 1560



- Mi fa male la schiena -
Si lamentò Lucrezia, per la terza volta nel giro di forse mezz'ora. Francesco de'Medici si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo e si voltò pazientemente verso la sorella:
- Siamo quasi arrivati, sopporta ancora un po' - la blandì. Si era girato di nuovo per assicurarsi meglio alle briglie, quindi non notò l'accigliarsi della ragazzina, ma poté bene immaginarlo. Minuta com'era, pareva una bambola imbronciata e legata su un grosso cane da punta, invece che una sposa in sella a un destriero tutto bardato. Francesco non riuscì ad evitare di paragonarla a Isabella, il cui matrimonio si era celebrato poco più di un anno prima: splendida come un vezzo di diamanti, la principessa aveva percorso la navata di San Lorenzo impettita e sicurissima di sé, adombrando completamente il paffuto Paolo Giordano Orsini, che riuscì in quella giornata a guadagnarsi un po' d'ammirazione solo vincendo alle corse dei cavalli. Mentre assistevano ai giochi dalla terrazza privata della duchessa, con il suo instancabile e allegro chiacchiericcio Isabella aveva persino strappato un sorriso alla madre, con buona pace dell'Orsini, che in quel momento frustava il cavallo sul ponte alle Mosse per conquistare la stima di suoceri e fiorentini.
Quella festa di matrimonio era stata una boccata d'aria, dopo il tristissimo inverno che aveva sottratto Maria alla famiglia. Il duca, come suo solito, non aveva indugiato nel dolore, ma si era rimesso al lavoro appena dopo le esequie. In quel periodo intercorrevano fra i potenti d'Europa missive e ambasciate tutte volte all'annunciata e sperata pace fra Enrico di Francia e Filippo di Spagna, accordo che fu felicemente concluso nel 1559 a Cateau-Cambresis. La maggior parte degli Stati italiani si trovò ad essere ancora più inglobata nell'egemonia spagnola, ma l'attenta politica del duca Cosimo aveva tenuto fuori la Toscana da quell'ingerenza. Occupato com'era, il padre non si era abbandonato al lutto. La duchessa sì.
La si vedeva spegnersi giorno dopo giorno, sprofondata nella piccola e smaltata oscurità della sua cappella. Proprio poco prima che Lucrezia partisse per Ferrara, Eleonora aveva ordinato al Bronzino di rimettere mano al luogo sacro. Le storie di Mosé sulle pareti laterali non erano state toccate, e San Michele, San Girolamo e San Francesco continuavano a fissare l'orante dalle vele del soffitto, in una nuvola di putti estremamente umani. Ma ai lati della Deposizione, sull'altarino, la scena precedente era stata sostituita da un'Annunciazione: l'Arcangelo a sinistra, la Vergine a destra, una Vergine con il volto della principessa defunta. Nessuno riusciva a staccare Eleonora dal suo freddo inginocchiatoio prima di  notte fonda, compromettendo ancora di più la sua salute, sempre meno salda.Nei mesi che avevano preceduto le nozze, Lucrezia era stata tenuta da sua madre chiusa nei propri appartamenti, e aveva udito chiaramente i penosi accessi di tosse che le toglievano il respiro per lunghi minuti, l'aveva vista costringersi in busti di ferro appositamente modellati e ingoiare ampolle d' olio di legno santo.
Per questo, salutandola, Lucrezia aveva avuto l'orribile presentimento che fosse l'ultima volta che la vedeva, ma di questo a Francesco non fece parola. Lei e suo fratello si somgliavano nell'aspetto, più scuro e sottile di quello degli altri, e nel carattere eccessivamente riservato. Pure per questo, si comprendevano anche senza aprire bocca.
La sua nuova città, Ferrara, di cui era appena stata nominata duchessa consorte, le parve un luogo piatto e spaventosamente alieno, non molto diversa da Alfonso, fidanzato di Maria e ora suo marito. Al vederlo ben eretto sul suo destriero, all'entrata del Palazzo Ducale, alla fanciulla si strinse lo stomaco. A quel ragazzo non importava un fico di sposare lei o sua sorella, era solo parte di una clausola. Nella nebbia ingenua dei suoi quindici, inesperti anni, Lucrezia lo capì, ma una stretta lieve sul suo polso parve farla tornare in sé. Francesco stava cercando di consolarla, come poteva. Prima di cedere il passo a lei e al suo fastoso corteggio, mormorò:
- Ricorda, Lucrezia: noi non apparteniamo a noi stessi -
E la lasciò scorrere via, lontano da lui e dai Medici, verso le paludi estensi.

Roma era il caos, il caos allegro e vizioso che attrae qualunque ragazzo, anche se porta la tonaca sacerdotale, e Giovanni de'Medici non rifuggeva a questa regola, ma tornare nella quiete di Firenze gli piaceva. Soprattutto se portava buone notizie con sé. Con la sua energia da diciassettenne, il ragazzo smontò da cavallo come se avesse le molle, scompigliò i capelli al suo paggio e si avviò fischiettando su per gli scaloni di Pitti, fra i cantieri aperti nel palazzo e superando i finestroni che aprivano scorci incredibili dei bellissimi giardini. Prima di entrare nella sala dove era atteso, si riavviò tonaca e mantello e sistemò il berretto sui ricci.
Trovò suo padre chino su certi incartamenti con le planimetrie del palazzo, circondato da un paio di architetti e mastri carpentieri, Appena lo udì entrare, sollevò lo sguardo e il suo volto s'illuminò:
- Oh, Giovanni mio, vieni! - esclamò, accogliendolo a braccia aperte. Con nessuno dei suoi altri figli maschi il duca usava mostrare il suo affetto. Lo abbracciò, per poi scostarlo brevemente e studiarlo: ormai lo raggiungeva in altezza e il suo vigore lo dichiarava ampiamente sangue del suo sangue. In cuor suo, Cosimo preferiva lo spiritoso e ardente quartogenito a Francesco, cupo e umorale, specialmente ora che stava per aspirare a un'importante vetta.
Gli tolse il berretto e gli passò le dita fra i folti riccioli ramati, molto simili a quelli che lui stesso aveva avuto da bambino:
- Cardinale, figlio mio! - lo complimentò, sinceramente felice. Giovanni sorrise, fiero dell'entusiasmo paterno:
- Sì, babbo. Sua Santità vi convocherà per presenziare alla mia nomina - annunciò. Il duca fece un gesto di sufficienza:
- Tutto a tempo debito, come il Santo Padre vorrà. Vieni - gli mise un braccio attorno alle spalle e lo accompagnò fuori, verso i giardini - Andiamo a dirlo a tua madre. Attendevo te per parlarle -
Padre e figlio attraversarono terrazze e sentieri, fra gli inchini dei lavoranti. Le siepi e gli alberi ancora bassi lasciavano libero agli sguardi il panorama della città stesa sotto il colle, l'Arno dipanato come un nastro grigio fra le case, con le sole vette dei campanili, della cupola e della torre.
La duchessa sedeva su una panca di marmo, con le dame raccolte discretamente a pochi passi, in compagnia del figlio più piccolo, Pietro, e della nipote, chiamata come lei, ma per tutti Dianora, una graziosa bimba di sette anni, che da qualche tempo viveva a corte. I bambini canticchiavano una filastrocca in spagnolo, mentre la duchessa accarezzava distrattamente un suo cagnolino da camera e di tanto in tanto correggeva la pronuncia del figlio. Vedendo approssimarsi lo zio e il cugino, Dianora si alzò sulle punte e fece un bell'inchino, attirando l'attenzione della zia. Eleonora quasi corse incontro a Giovanni e lo strinse in un abbraccio soffocante:
- Mi niño - mormorò, baciandolo sulle guance e guardandolo come fosse un angelo sceso dal cielo. Il ragazzo si vedeva a Firenze sempre meno spesso, e ogni visita aveva sempre uno scopo. Metà preoccupata, metà sentendosi osservata, la duchessa si ricompose in fretta, senza smettere però di tenere una mano del figliolo fra le sue. Balenò un rapido sguardo fra lui e il marito, poi chiese:
- Dunque, che succede? -
Giovanni non riuscì a trattenere un altro sorriso e le raccontò in breve della sua prossima nomina a cardinale, al che la madre lo abbracciò ancora e bisbigliò:
- Oh, Dio mi ha ascoltato! Giovanni, tu fai balsamo al mio dolore -
  
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