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Autore: Gaia Bessie    15/12/2013    3 recensioni
«Avevo appena ucciso nostro figlio, lui aveva perso il suo» sussurrò, cercando di ripulirsi del trucco colato agli angoli degli occhi. «È stato come svolgere le bende».
[Terza classificata e vincitrice dei premi "Mrs Robinson" e premio categoria "Draco/Asteria" al contest "Ossessioni e vetri infranti - II edizione" indetto da Mary Black sul forum di Efp]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Theodore Nott | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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“Non puoi scegliere di essere ferito in questo mondo,
ma hai qualche possibilità di scegliere da chi farti ferire”
(John Green – Colpa delle stelle)
 
 
 
Draco Malfoy, quel giorno, sfoggiava un'enorme cicatrice che sembrava volergli squarciare in due il volto: era un segno rosato che partiva dall'angolo destro della fronte, minacciava di spaccare a metà il sopracciglio, e procedeva in diagonale fino a raggiungere l'angolo della bocca. Come se qualcuno avesse tentato di imprimergli un sorriso – o un ghigno da pupazzo – sul viso.
Mormorii sommessi sostenevano che Draco Malfoy si fosse ferito con i suoi stessi artigli, nel tentativo vano di affilarli su un corpo diverso dal suo. E poi aveva scoperto, certamente di malavoglia, che sua moglie era dotata di artigli ben più affilati. Asteria gli aveva lasciato un segno profondissimo addosso, per rimarcare quella ferita nell'onore che lui aveva assaggiato quando l'aveva vista portarsi alla bocca le dita ancora sporche di sangue.
Theodore Nott, invece, sembrava che proprio non riuscisse a smettere quell'espressione tronfia e strafottente: perseverava nel camminare a testa alta nei corridoi del San Mungo, la schiena ben dritta e alcune mezzelune rossastre che facevano capolino dal camice da Medimago. Qualcuno, sosteneva che avesse trovato una signora ben pronta a tenerlo sveglio la notte, dato che la sua glaciale moglie sembrava possedesse la stessa passione di una candela che provava ad ardere sott'acqua.
E, se a Daphne Greengrass in apparenza non importava poi tanto di quel posto vuoto accanto a lei, ogni notte, le assenze di Theodore Nott dal suo talamo coniugale erano argomento di chiacchiere ovunque. Il nome di una qualsiasi madama, senz'altro disponibile a staccargli di dosso il ghiaccio di Daphne, variava di giorno in giorno.
Draco Malfoy e Theodore Nott, in fondo, non avevano che due cose in comune. La prima, era in quei segni rossastri che li marchiavano a sangue, suggerendo che un'arpia li avesse usati per affilarsi gli artigli: e, se Draco Malfoy era stato marchiato sul viso, come per tirar via una maschera, Theodore Nott sembrava una vittima immolata a una Dea pagana che ne esigeva il cuore. La seconda era l'ossessione che entrambi nutrivano per Asteria Greengrass.
 
 
***
 
“A volte, credo che mia madre mi abbia partorita al contrario: le persone che dovrei amare, le detesto.
E le persone che dovrei odiare...”
(Effy Stonem – Skins)
 
 
Asteria Malfoy andava a trovare sua sorella ogni giorno. O, almeno, era ciò che diceva per dare anche solo l'impressione di essere una signora buona e gentile che certamente non tentava d'irretire il marito di sua sorella. Così, ogni pomeriggio, dopo essersi accuratamente preparata, si recava in visita dai Nott.
Daphne era sempre uguale: una bellezza un po' sciupata nella tristezza dello sguardo, i capelli che cadevano informi sul viso e gli occhi perennemente umidi. L'immagine congelata di uno specchio rotto. Della ragazza di cui si era incapricciato Theodore Nott a diciassette anni, non c'era più nulla.
L'aborto di quello che sarebbe stato il suo primo figlio sembrava averle drenato tutta la bellezza e la voglia di vivere che, come per osmosi, sembrava esser passata alla sorella minore. Daphne sembrava aver perso ogni cognizione del tempo che passava, tutto si era come condensato in quelle giornate infinite che passava davanti al caminetto, a volte spento, a volte acceso.
C'erano momenti in cui Asteria pensava che ucciderla le sarebbe venuto facile: la demenza, via via che scende, ha sempre un modo tutto suo di rivelare la sostanza della persona che ne è affetta. La sostanza di Daphne Nott era marcia come l'acqua stagnante in fondo a un vaso di fiori vecchi di settimane.1
Ucciderla, sarebbe stato semplicemente un atto di carità. L'avrebbe alleggerita di quel peso che sembrava gravarle sul petto, impedendole quasi di respirare.
Anche perché, in fondo, si trattava sempre della solita essenziale parodia: dopo aver passato una mezz'ora con la sorella, finiva nel letto del cognato, senza rimorsi di coscienza. Di suo marito, un tempo, aveva sposato il tormento interiore. Quando quello si fu dissipato, le rimase solo una ricchezza completamente inutile e un matrimonio senza amore. Di Theodore, invece, portava a letto l'odio che provava per sua sorella: per qualche strano gioco del destino, si sentiva come portata a odiare le persone che avrebbe dovuto amare. E c'era qualcosa che l'infastidiva nell'invalidità della sorella, lei che un bambino se l'era fatto soffocare nel grembo affinché non vedesse la luce.
Nessuno sembrava capirlo e lei aveva da tempo abbandonato l'idea di provare a spiegarlo. Lei, fondamentalmente, era l'amante che non amava nessuno: graffiava per uccidere e mordeva per squarciare la gola di chi provava a fermarla. Di rimorsi, non ne provava.
Eppure, quando si trattava di sbattere la porta per celarsi all'udito di Daphne, sembrava sentire qualcosa d'inconcluso che le aleggiava attorno. Theodore aveva sempre lo sguardo vacuo, ma erano gli occhi azzurri di Daphne che vedeva quando i loro respiri si confondevano. E quell'Imperius di mesi prima le pesava un po' addosso.
 
 
***
 
“Ricordo la prima volta che ci siamo spogliati.
Era come svolgere le bende”
(Jeffrey Eugenides – Middlesex)
 
 
«Sei arrivata, finalmente».
La voce fredda di suo marito la colpì come uno schiaffo in pieno viso. Asteria Malfoy mosse istintivamente un passo indietro, alla vista di suo marito seduto al posto di Theodore Nott. Draco reggeva fra le mani un calice di vetro trasparente, completamente vuoto, con solo un po' di vino a sporcarne il fondo.
«Cosa ci fai, tu, qui?» rispose lei, irrigidendo involontariamente le spalle. Le mani erano già pronte ad aggrapparsi ad ogni lembo di pelle disponibile, riaprendo magari l'ultima ferita che gli aveva inferto, quando aveva tentato di convincerla che l'amava. Ma il suo, lei ne era fermamente convinta, non era amore: era semplicemente l'abitudine e il possesso che si erano come fusi in una miscela letale. Draco Malfoy non l'amava, ma era in qualche modo dipendente da lei.
«Mi credevi un perfetto imbecille, forse?» rise, scoprendo i denti. «Asteria, mia cara, pensi che io non fossi a conoscenza di questa tua patetica pagliacciata?».
Lei non rispose nemmeno. Si limitò a sorridere, insinuante, gli occhi taglienti come lame. Anche se, in fondo, lei era tutta tagliente: quando la toccavi, rischiavi di rimaner senza una goccia di sangue nelle vene. Se la baciavi, lei t'infilzava i denti nel labbro e gli artigli nel collo. In qualche modo, era sempre lei a ferire.
«Nulla da recriminare: le pugnalate alle spalle sono nel tuo stile» rise Draco, la voce piena di acredine. «Ma non avrei mai potuto immaginare che tu fossi così... disperata».
Asteria spalancò gli occhi, improvvisamente consapevole. Il passato le cadde addosso tutto in una volta, schiacciandola, costringendola a infilzarsi nei suoi stessi spigoli.
La prima volta, la ricordava bene. Un po' se ne vergognava perché un fallimento, un po' perché era stato il peggior colpo basso della sua intera esistenza.
«Chissà cosa avrà provato il povero Nott. Una volta e poi gli sei entrata dentro come un veleno. Ma la prima...» rise nuovamente. «Vuoi provare, Asteria?».
Lei ebbe a malapena il tempo di trattenere un singhiozzo strozzato. L'ultimo pensiero che le passò per la testa fu che sembrava quasi che anche Draco stesse piangendo.
«Imperio».
Draco Malfoy fissò gli occhi vitrei della moglie, spossato. Era come se qualcuno gli avesse tirato via l'anima dal corpo. Asteria lo guardava, silenziosa, e lui avrebbe potuto farle fare qualunque cosa.
«Raccontami cosa hai fatto».
Asteria sorrise, semplicemente, di quel sorriso dolceamaro che non aveva più messo su, una volta superata l'adolescenza.
«Sono andata a trovare Daphne. Era pomeriggio, Theodore era a casa. Io e te avevamo litigato» aveva gli occhi vuoti. Non era consapevole di quel che stava dicendo, come sarebbe invece successo se fosse stata sotto effetto di Veritaserum. Il racconto le usciva dalle labbra e lei non se ne accorgeva, ma sorrideva come una bambina. «Ero arrabbiata perché pretendevi che ti amassi. E io non potevo, lo sai: un giorno mi ero svegliata e avevo capito che avevi perso ogni attrattiva».
Era stato il giorno in cui il Marchio Nero aveva cominciato a cancellarsi, il giorno in cui Draco aveva smesso di far brillare fuoco e fiamme nei suoi occhi. Niente più tormento, anche Lucius Malfoy era morto ad Azkaban. Ma Asteria aveva amato solo quello, di suo marito: il suo apparire come l'eroe tormentato delle fiabe, quello che oscillava fra bene e male e rimaneva segnato a vita.
«Continua». Un movimento secco della bacchetta, quasi come se avesse voluto pugnalarla a morte senza pronunciare nessun incantesimo.
«Ho provato a sedurlo. Era ancora innamorato di Daphne, per quanto sia possibile amare una come lei. Una pazza. E allora l'ho fatto».
«Cosa?» non si è accorto di aver intensificato la stretta sul calice. «Cosa hai fatto, Asteria? Dillo».
«Gli ho lanciato una maledizione Imperius».
Il calice di vetro si frantumò fra le mani rabbiose di Draco Malfoy. Le schegge trasparenti volarono per tutta la stanza, giacendo poi inermi sul pavimento.
«Dopo è stato facile. Ha sempre pensato di esser stato lui a volermi portare a letto».
La bacchetta di biancospino gli cadde dalle mani, spezzando l'incantesimo. Alzò lo sguardo, disorientato, mentre con la manica della camicia tamponava il sangue che sgorgava lungo il polso, frutto di una scheggia di vetro più affilata delle altre. Asteria stava singhiozzando, il pugno portato alle labbra per smorzare il suono.
«Avevo appena ucciso nostro figlio, lui aveva perso il suo» sussurrò, cercando di ripulirsi del trucco colato agli angoli degli occhi. «È stato come svolgere le bende».
 
 
***
 
“Perdono quello che hai fatto a me.
Amo la mia assassina... ma la tua? Come potrei amarla?”
(Emily Brontë – Cime tempestose)
 
 
Asteria passò due giorni rannicchiata sul letto, la faccia al muro, in silenzio, mangiando e bevendo solo sotto stretta sorveglianza. Non pianse nemmeno una volta.
Suo marito non entrò nella stanza nemmeno per una volta, lasciandola sola ad affrontare i suoi incubi. E lei non se lo aspettava.
Aveva atteso una lite furiosa, con graffi e schiaffi e grida. E poi l'ennesimo bacio che lui le avrebbe rubato dalle labbra per costringerla ad amarlo come aveva fatto un tempo. Ma lui non si era nemmeno presentato, lasciandola sola con quel peso enorme che rischiava di schiacciarla.
Non avrebbe saputo dire cosa l'avesse scosso di più: la maledizione o il bambino assassinato nel suo grembo. Di fatto, però, se n'era andato senza più tornare.
Draco tornò il terzo giorno, come in una favoletta appresa durante l'ora di Babbanologia: si presentò davanti la sua porta con le mani sporche di sangue e l'aria di chi era stato crocifisso per espiare la colpa di qualcun altro. Asteria, probabilmente, nemmeno l'aspettava più: era scivolata sul pavimento e non sembrava aver intenzione di alzarsi. Quando lui le si avvicinò, nemmeno se ne accorse, presa dalla contemplazione dei granelli di polvere che s'adagiavano sul pavimento.
«Alzati» sibilò Draco, inginocchiandosi accanto a lei. Si era come raffreddato, i suoi angoli apparivano affilati e letali, armi di ghiaccio da usare solo contro di lei. «Alzati».
Aveva gli occhi rossi. La scrollò con violenza, come se si aspettasse di sentire il suo cervello che sbatacchiava contro le pareti del cranio. Odorava di vino Elfico e qualche altro liquore di dubbia provenienza: un tempo, Asteria si era convinta che Draco fosse dipendente dagli alcolici. Poi, aveva scoperto che non beveva. Dipendeva da lei.
Adesso era come se la situazione si fosse invertita, mentre lei era ridotta al pari di un relitto incapace di muoversi.
«Non te lo ripeterò un'altra volta» disse, freddo. «Alzati. Hai avuto il coraggio di sfilarmi davanti per mesi, mentre ti portavi a letto Nott: adesso alzati di nuovo».
Lei  lo guardò, disorientata, puntellandosi sulle braccia per tirarsi su.
«Mi dispiace». L'aveva ripetuto per ore, di fronte al muro, cercando di cavar via dagli occhi le lacrime per i tradimenti e il figlio morto. Senza riuscirci. «Io...».
«Stai zitta» disse lui, completamente privo di dolcezza. Sembrava amareggiato, deluso, distrutto. In crisi d'astinenza. «Ti perdono per quello che hai fatto a me».
Gli sembrò, dall'alto della sua illusione – dipendenza – che sua moglie stesse piangendo. O forse era solo il frutto della sua mente malata: nemmeno nelle favole, il diavolo si pentiva dei suoi misfatti e invocava la clemenza divina.
«Amo la mia assassina: mi ha pugnalato così tante volte che ormai sono già morto2» sussurrò, tirandola su con ben poca delicatezza. «Ma la tua?».
Lei si voltò per offrigli la bocca, elemosinando quei baci che un tempo gli aveva rubato. Quando, ancora giovani, si curavano le ferite a vicenda: silenziosamente, la dipendenza di Draco cresceva. E Asteria, che avrebbe dovuto amarlo, cominciava a odiarlo.
«Come potrei amarla?» le sussurrò sulle labbra. Non glielo concesse, quel bacio: era talmente vicino che avrebbe potuto placare quel fastidioso bisogno che era l'astinenza, ma non riusciva a vincere quella sensazione che gli torceva le viscere. Disgusto. Asteria Malfoy l'aveva tradito, ingannato, umiliato. E aveva ucciso suo figlio.
«Non capisci» sussurrò lei, di rimando. Le era tornato un po' di colore sul viso, gli occhi sembravano un minimo più luminosi. «Io... dovevo farlo».
«No, non dovevi. Eri forse obbligata?».
Per un attimo, si sentì avvolgere in quella sensazione di già vissuto: era ciò che aveva detto lei sul suo Marchio, quando l'aveva sorpreso a tremare in un angolo. L'hai voluto tu. E, anche se entrambi sapevano che era una bugia, lei gliel'aveva detto ugualmente, cercando di farlo sprofondare in quel tormento che tanto la dilettava. Forse aveva già cominciato a odiarlo, come si era sempre domandato da quando aveva compreso l'esatta portata della sua indifferenza.
«È stato come svolgere le bende» disse lei, congelandolo con un'occhiata incolore. «Sono sempre rimasta la ragazzina ferita dalla guerra: mi sono innamorata di chi avrei dovuto odiare, ho visto quella persona morire. Ho giurato di non innamorarmi mai più» sorrise, con innocenza forzata. «Tu eri l'unico che avrei potuto sopportare: una via di mezzo fra l'amore e l'odio. E mi amavi già, era metà del lavoro. E come me avevi visto la morte e la guerra, mi bastava».
«E Theo cosa era, Asteria?» sibilò lui, avvelenato. Probabilmente si era dimenticato che Asteria stessa era una Serpeverde come lo era stato lui, sempre pronta a mordere, dilaniare e avvelenare alla prima occasione. E lui era ferito da tempo, con più veleno nelle vene che sangue.
«Era come se fossi sempre rimasta la quindicenne innamorata della persona sbagliata» rispose lei, malinconica. «E lui era rimasto a quando Daphne era viva.È stato per entrambi come togliere le bende: una prima volta. Lui voleva rinascere, io volevo sentirmi viva».
Quando lui l'adagiò sul letto, sopra le coperte, lei parlò di nuovo. Sembrava stanca, svuotata, come se insieme a quei segreti le fosse colata via anche l'anima.
«Non mi perdonerai mai per questo, lo so già» mormorò, prima di socchiudere gli occhi, spossata. «Però potresti provarci».
Incontrò lo sguardo sgomentato di Draco.
«No».
Quella secca affermazione le risuonò nelle orecchie. Sorrise, dolcemente.
«Era proprio ciò che temevo».
 
 
***
 
“Alla fine succede, in qualche modo che prima non sapevi”
(Paolo Giordano – La solitudine dei numeri primi)
 
 
Non se lo sarebbe mai aspettato: se l'era trovata davanti in un attimo, senza riuscire a mandarla via. Daphne Nott si era presentata al Manor, stretta in un mantello logoro, smunta e con gli occhi cerchiati di viola. Aveva una scintilla strana negli occhi, che la faceva sembrare quasi viva.
«Daphne» balbettò Draco, socchiudendo gli occhi come per osservarla meglio. «Che gradita sorpresa. Vuoi che ti faccia accompagnare da tua sorella?».
«Veramente» lo interruppe Daphne, con un gesto brusco della mano. «Sono qui per parlare con te, se non è un problema».
Non ebbe altra scelta: la fece accomodare su una poltroncina davanti al fuoco, aspettando che cominciasse a pronunciare la sua orazione in difesa della sorella.
«Ti faccio risparmiare voce» disse lui, insofferente, appena Daphne aprì la bocca per parlare. «Non cambierò idea dopo aver sentito il tuo punto di vista: non posso ricucire tutto, capisci? Per tutto questo tempo, ho sempre pensato che fosse lei a volermi salvare. Invece no, mi sono dovuto salvare da solo».
«Ti salvi sempre e comunque da solo: ti sembra sempre di farti aiutare da qualcuno, ma la verità è un'altra» Daphne sorrise, ironica. «O ti salvi da solo o non ti salvi3».
Non ti sei accorto, Draco, che non pensavi che fosse stata lei a salvarti – sembrava dire Daphne – né ci avevi mai creduto: vivevi nella convinzione di esser tu a salvare lei. Poi hai aperto gli occhi e sei stato costretto a scendere dal cavallo bianco per scoprire di non esser tu il principe, ma l'ubriacone dipendente dalla principessa. Che si è salvata da sola, usando la treccia di capelli biondi per scendere dalla torre4.
«Perché mi ha fatto questo, Daphne?» domandò Draco, esausto. Anche lui aveva gli occhi cerchiati di chi non dorme da giorni. «Io vivevo per lei».
Daphne gli prese la mano fra le sue, piccole, con la pelle talmente tirata e pallida che sembrava essere una semplice copertura per le ossa. Sorrideva del sorriso rassicurante che Asteria non aveva mai avuto: Daphne aveva una dolcezza tutta particolare che nasceva da quella profonda malinconia che la scavava fin dentro le ossa. Asteria, invece, era tutta fumo e fuoco e denti bianchissimi pronti a succhiar via la linfa vitale di una qualunque vittima.
«Oh, Draco, sappiamo entrambi come finirà: Asteria è una di quelle persone che o le ami o le odi. Se scegli di odiarla, quell'odio ti masticherà le ossa e ti ucciderà» respirò rumorosamente, come se stesse tentando di non perdere la calma. «Credi che non vorrei odiarla anche io? Mi sento come se mi avesse pugnalata, era mia sorella!».
Per un attimo, nella stanza aleggiò un silenzio teso e incolmabile. Daphne era rossa in viso, respirava a fatica. Fu in quell'attimo che Draco comprese che stava mentendo: Daphne la odiava, sua sorella. E, a forza di odiarla – perché sapeva, sapeva tutto – era finita a elemosinare anche un briciolo di salute.
Probabilmente, si disse, le imputava tutte le sue colpe: come se Asteria avesse pugnalato il bambino nel grembo della sorella, entrando nel sangue di Theodore Nott fino a fargli perdere la testa. E, a forza di odiarla con tutta sé stessa, aveva perso ogni voglia di vivere e andare avanti.
«Se scegli di amarla, forse troverai un equilibrio» continuò Daphne, la voce che le tremava. «D'altronde, lei è la tua ossessione. L'hai come scritto in fronte».
«Non posso amarla, Daphne, lo sai bene: ha ucciso mio figlio, ha ucciso me».
I capelli biondi di lei, ben acconciati dopo mesi di totale mancanza di cure, splendevano in contrasto con gli occhi animati di una luce strana, viva. Si era ingrossata in corrispondenza del ventre, forse s'illudeva ancora. Forse, questa volta, sperava che se sua sorella fosse stata impegnata altrove, nessuno avrebbe pugnalato suo figlio prima che fosse in grado di respirare la prima aria: o semplicemente, come spesso accade,  era successo. Le era ritornata indietro una briciola della voglia di vivere, in qualche modo che prima non sapeva.
«Non puoi nemmeno odiarla, te ne rendi conto. Altrimenti l'avresti già mandata via» disse, dolcemente. «Ma non ci riesci, non è vero?».
Si era avvicinata tantissimo: a quella distanza, i piccoli elementi che la differenziavano da Asteria si assottigliavano, rendendola una sua copia perfetta. O forse era Draco che stava impazzendo e cominciava a vederla avanti. Per un attimo, Draco desiderò baciarla.
«Lei non amerà mai più, non dopo quello sporco Traditore del suo sangue» sussurrò lei, affranta. «Se ci riesci, dovrai amarla per entrambi».
 
 
***
 
“Starai lì a guardarmi bruciare,
ma va bene perché mi piace il modo in cui mi fai male”
(Eminem feat Rihanna – Love the way you lie)
 
 
Asteria si palesò solo per l'ora di cena, senza incontrare la sorella maggiore: scese dalle scale come una gran dama, un vestito d'un blu scurissimo a fasciarle il corpo, la bocca atteggiata in un sorriso ironico. Lasciava intendere la promessa di altri graffi, di morsi, forse anche di baci. Ma non parlava, limitandosi a scoprire i denti in un ghigno da lupo.
Draco si limitò a guardarla sottecchi, interrogandosi sulle sue future mosse. Gli prudevano le mani al pensiero di scagliarle un altra maledizione Imperius, di soggiogarla affinché smettesse quell'espressione insostenibile, costringendola a metter su una dolcezza simile a quella della sorella. Si accorse che il labbro si era rotto sotto la pressione rabbiosa dei denti, inondandogli la bocca di sangue. Asteria rideva, certa di averlo destabilizzato.
Notò che sua moglie rideva, l'aria conturbante ancorata al viso, un segreto nascosto sulla punta della lingua. E la fede. Draco spalancò gli occhi, consapevole: Asteria si era tolta la fede, quella promessa che lui le aveva imposto fra il medio e il mignolo, quando si era trattato di darle un nome e una casa.
«Hai intenzione di andartene?» domandò quindi lui, scrutandola con gli occhi socchiusi. Controluce, sembravano due lame decise a tagliargli il viso.
«Oh, Draco, ci ho pensato a lungo: per rimanere dovrei doverti qualcosa, non credi? Non si fa mai niente per niente» rispose, sorridendo con aria innocente. «E non penso ci sia nulla a trattenermi qui: non abbiamo figli, non m'interessano i tuoi soldi, non ti amo».
Lui barcollò, come se sua moglie l'avesse colpito con un pugno. La vide ridere e subito comprese ogni cosa: si divertiva. Asteria si divertiva a guardarlo bruciare, si riduceva a quello, il suo amore. L'aveva sposato che lui era ancora un giovane di belle speranze, ancora legato all'oscurità con un doppio filo: Lucius Malfoy e il Marchio Nero. Ora che uno era morto e l'altro scomparso, Asteria sembrava aver perso interesse. Forse, perché era vero che aveva mantenuto il giuramento, una donna come lei era sempre vincolata alle promesse – ma non a quelle imposte fra due dita, quelle erano frantumabili in un accenno di sorriso.
Asteria Greengrass si era innamorata a quindici anni, in una palese mancanza di senno dalla quale non si era mai ripresa. Si era innamorata di una persona insospettabile, innominabile: eppure, aleggiava in ogni gesto o azione o ricordo. Quella cotta non ricambiata le bruciava addosso come qualcosa d'inconcluso. Le sembrava che avrebbe potuto esserci qualcosa di più che le era stata negata, palesemente, da una guerra che lei non avrebbe voluto combattere. Si diceva che lui l'avrebbe anche amata, se avessero avuto del tempo, e le avrebbe evitato un giuramento che l'avrebbe logorata dall'interno. Asteria aveva detto, giurato, urlato, che non avrebbe più amato.
«Non puoi andartene» rispose Draco, digrignando involontariamente i denti. «Non... non puoi. Perché dovresti?».
Risuonò patetico, quel tentativo di chiederle di rimanere senza farlo effettivamente. Asteria perseguiva nel suo amore dal mancato finale, nella fantasia di una ragazzina.
Se anche non se ne fosse andata via, sarebbe rimasta a guardarlo bruciare. Anzi, se ne avesse avuto l'opportunità, avrebbe contribuito lei stessa ad aiutare le lingue di fuoco a divorarlo vivo.
La guardò ancora una volta: si era voltata per raggiungere la porta, facendo levitare il baule. Muoveva passettini piccoli, il tacco della scarpa che produceva un fastidioso ticchettio contro il pavimento. Draco Malfoy sospirò, mentre la mano si serrava autonomamente attorno alla bacchetta. Imperio. Gli sembrava  di sentire qualcuno nella testa che continuava a ripetergli quella maledetta parola, maledizione. Imperio. Ma non riusciva a dirlo ad alta voce.
«Mi dispiace, Draco» disse lei, la mano sulla porta. «Forse era destino che andasse in questo modo».
Dillo, dannazione! Lei spalancò gli occhi, nel vedere quella luce che illuminava lo sguardo del marito. Imperio.
«Draco... cosa?».
Il movimento secco della bacchetta, una parola urlata che squarciò il silenzio. La bacchetta cadde sul pavimento, insieme ad Asteria, caddero come corpi morti.
«Sectumsempra».
Lo disse con una calma tale da sorprendersi. D'istinto, si chinò accanto al corpo pieno di sangue di sua moglie, raccattando la bacchetta. Nuovamente gli sembrò di recitare per una scena già scritta, quando ripensò al pavimento freddo del bagno di Hogwarts e Severus Piton che gli cicatrizzava le ferite.
Avvicinò la testa a quella della moglie, che già cominciava a svuotarsi del suo colore, man mano che il sangue colava via.
«Non puoi lasciarmi» le sussurrò, le labbra che sfioravano i capelli di lei, intrisi di sangue. «Non posso permettertelo: come pensi che potrei vivere, senza di te. Non puoi lasciarmi bruciare, anche se ami ferirmi».
Asteria sorrise, i denti sembravano come perle bianchissime incastrate nella bocca come per caso. Aveva le mani abbandonate sul pavimento, prive di anelli, di promesse.
C'era qualcosa che però Draco non riusciva a identificare. Non era un dettaglio fraintendibile come l'espressione o il sorriso. Quella mappa sul suo braccio, avrebbe dovuto notarla in tutti quegli anni di matrimonio: quando le si premeva addosso, incurante di lei, ma soltanto intenzionato a soddisfare la sua dipendenza. E quel dettaglio gli saltò davanti agli occhi in una frazione di secondo, lasciandolo basito. Appariva come la perfetta replica di ciò che lui avrebbe avuto intenzione di fare, nei primi tempi in cui aveva soltanto desiderato affogare. Un Marchio Nero sbrindellato sul braccio, coperto da una tale e intricata rete di cicatrici e ferite come per cancellarlo.
E la verità gli si palesò, in tutta la sua inclemenza: anche lei aveva ricevuto quel regalo indesiderato, proprio quando si era innamorata della persona sbagliata. Aveva solo quindici anni, era una ragazzina, l'avevano rovinata così. Quando le avevano tolto la sua unica scelta, Fred Weasley, le avevano precluso qualunque altra strada che non fosse il ferire a morte chiunque tentasse di amarla. Chissà, poi, se quella cotta adolescenziale non fosse stata ricambiata. Lui non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo.
«Pensi che ti lascerò vivere senza rimorsi?» disse Asteria, sputando quelle parole insieme a uno schizzo di sangue. «Oh, Draco, scoprirai che posso renderti infelice anche da morta».
«Ci vedremo nella tua prossima vita» rispose lui, rigido. «Ammesso che riuscirai a trovarmi».
«Oh, stanne certo» mormorò lei, chiudendo gli occhi. «Nella prossima vita e in tutte le altre».
Lui fece come per allontanarsi, credendola morta. Fu in quel momento, che lei parlò per l'ultima volta, con un filo di voce.
«Sciocco» lo derise, mentre l'ultimo rivoletto di sangue usciva dalla bocca, donandole una tinta di un cupo scarlatto. «Solo perché pensi che tutti abbiano un'altra vita...5».
Draco si alzò di scatto, sconvolto. Un'altra vita. Non esisteva un'altra vita, se non l'esistenza sotto forma di fantasma. Un'altra vita.
Già se la vedeva davanti pronta a tormentarlo durante ogni suo incubo.
«Io ti amavo» sussurrò, pieno di veleno. «In qualche strano modo, eri come me. Ma non l'hai mai capito».
 
 
***
 
“Mentre non c'eri, mi sono innamorato di te un'altra volta”
(Alice Sebold – Amabili resti)
 
 
Quell'assenza era tremendamente pesante: l'avvertiva, Draco, mentre attendeva con tiepida ansia lo scorrere del tempo. Tutto era come condensato, raggrumato, il tempo era semplicemente diventato una macigno di piombo e ferro che gli pesava addosso.
Non se l'era giocata, la carta dell'altra vita. Asteria Greengrass era sparita nel nulla e nell'immobilità della morte, lasciandolo solo ad affogare nel nulla.
L'aveva uccisa. Per colpa di quel momento in cui si era convinto – a ragione – che l'avrebbe persa per sempre. L'aveva uccisa.
E, mentre lei non c'era, si era ritrovato a vivere un'altra vita. Mentre Asteria viveva oltre il velo, lui era rimasto ad assorbire la sua mancanza.
Se non era mai riuscito a comprendere la possibilità di un mondo senza la sua presenza, si era dovuto adeguare a quella situazione. Era morta, lui l'aveva uccisa.
In più, lei era morta senza lasciare abbastanza pezzi per rimetterla insieme, per poter dire di averla solo vagamente compresa.
Mentre non c'era, Draco si era innamorato di lei un'altra volta. O forse dell'ideale che si era costruito su quella donna. Era stato come mettersi le bende.
E, nella sua assenza, era prosperata quell'angoscia che lo destabilizzava.
Prendere quella boccetta era stato facile. Erano passati solo sei mesi. Aprirla era stato un gioco da ragazzi, inghiottire il contenuto ancora meno.
Come svolgere le bende.
Draco Malfoy era morto sul pavimento di casa sua, dove giaceva intonsa un'enorme macchia di sangue secco. Non aveva permesso che fosse cancellata.
Probabilmente, era stata lei a fregarlo: la crisi d'astinenza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1 “La demenza, via via che scende, ha un modo tutto suo di rivelare la sostanza di chi ne è affetto. La sostanza di mia madre era marcia come l'acqua sul fondo di un vaso di fiori vecchio di settimane” - La quasi luna, Alice Sebold
2 “Che importa? Tanto sono già morto” - The Hunger Games, film
3 “O ti salvi da sola o non ti salvi” - Lucky, Alice Sebold
4 Scena del film “Rapunzel – L'intreccio della torre”
5 “Ci vediamo nella prossima vita” “Sciocco... solo perché tu hai una prossima vita”, Roxas e Axel, Kingdom Hearts
   
 
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