Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: EffieSamadhi    16/12/2013    7 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=diyTY0QZwSA}
Contrariamente a quanto pensa la gente, la vita di un rocker non è tutta 'sesso, droga & rock'n'roll': ci sono momenti in cui, come ogni persona normale, ci sentiamo stanchi e solitari e stufi del mondo, e se a volte ci capita di sembrare scostanti e scontrosi è solo perché vogliamo andare a casa, perché vogliamo infilarci sotto una doccia bollente o perché vogliamo spalmarci sul divano a guardare un programma trash in tv. [...] Mi chiamo Shannon Leto, ho quarantatré anni e mezzo e non vedo l'ora di andarmene a letto.
Tutti hanno bisogno di tempo per se stessi, e nessuno lo sa meglio di Shannon, che così preso dalla ricerca di un attimo di respiro si trova coinvolto in qualcosa che di privato e personale ha ben poco. Ma alla fine di tutto, Shannon si accorgerà che a volte la pace non si trova soltanto nella solitudine e nel buio, ma anche nella luce degli occhi di chi ci sta accanto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Portagioie di tristezza | 1

Portagioie di tristezza






Capitolo quinto
Lo sai che questo cambierà tutto?”
Me lo prometti?”1

Torino, 04 novembre 2013


    Sono trascorsi quasi cinque minuti da quando Shannon ha stretto la sua mano intorno alla mia, e nessuno dei due è ancora riuscito a dire una parola. Stiamo percorrendo via Maria Vittoria in silenzio, imbarazzati come due adolescenti al primo appuntamento. Il fatto è che, almeno da parte mia, non era previsto che le cose andassero così... o forse sì? In fondo Alice mi aveva messa in guardia, dicendomi che sabato sera le era sembrato di aver interrotto un momento di grande intimità. Mi chiedo che cosa avrebbe pensato pochi minuti fa, vedendoci avvinghiati davanti alla Gran Madre.
    «Molti occultisti sono convinti che in un determinato punto sotto la chiesa della Gran Madre si nasconda il Santo Graal» sparo fuori all'improvviso, senza nemmeno tentare di darmi un freno. Perfetto, ci manca solo che pensi che sono una stupida oca che parla a sproposito.
    «Ah» è la sua risposta. «Una teoria interessante.» E tra di noi ripiomba il silenzio. Vorrei riprendere la conversazione allo stesso ritmo di prima, così almeno potrei evitare di perdermi nel ricordo della morbidezza delle sue labbra. «Senti, Daria...» Nel sentire la sua voce, quasi sussulto: sto forse acquistando poteri telepatici? «Quello che è successo prima, io non...»
    «Non ti preoccupare» lo interrompo, spaventato da quello che potrebbe dire. «Non ti preoccupare, è tutto a posto. Va tutto bene.»
    «Se va tutto bene, perché non ci stiamo nemmeno guardando in faccia?»
    Mi fermo, e lui con me. «Forse non va tutto... forse non va tutto benissimo» ammetto.
    Con una mano si sfila gli occhiali da sole e se li appende alla maglietta, mentre si accarezza le labbra con la lingua. «Quello che è successo prima non è stato un errore, chiaro? Non è che sono inciampato e accidentalmente sono caduto sulla tua bocca... io lo volevo, va bene? È più o meno da quando sono sceso dal treno che ho voglia di baciarti. Anzi, se devo essere proprio sincero, avevo una dannata voglia di baciarti anche sabato sera.» Mi prende anche l'altra mano, rendendomi impossibile andare via o anche solo voltarmi verso qualcosa che non sia lui. «So che sembra una cosa da matti, perché io non ti conosco e tu non conosci me, ma tu... tu mi fai stare bene, mi fai provare sensazioni che non ho mai provato. La cosa mi spaventa da morire, ma allo stesso tempo non posso farne a meno. Non ti conosco, non so praticamente nulla di te, ma mi sto già chiedendo che cosa ne sarà di me quando... quando sarò lontano e tu non sarai con me.»
    Ho abbassato gli occhi fino a guardarmi le scarpe, cercando di trattenere le lacrime. Posso tentare di prendermi in giro e raccontarmi tutte le balle del mondo, ma la verità è che Shannon ha appena detto di essere innamorato di me, o qualcosa del genere, e io non ho idea di che cosa si debba rispondere in questi casi. Forse dovrei ringraziarlo per il bel pensiero, ma ricordargli che viviamo su due pianeti diametralmente opposti, e che nemmeno fra un milione di anni riusciremo a far coincidere le nostre vite. «So cosa stai per dire» mi interrompe non appena cerco di aprire bocca. «Stai per dire che ti senti lusingata, che apprezzi quello che penso di te, ma che per noi non esiste assolutamente futuro. Correggimi se sbaglio.»
    «Non sbagli, il succo del discorso era più o meno quello» rispondo, riuscendo finalmente a scongiurare il pericolo di sciogliermi in lacrime. Alzo lo sguardo, anche se sostenere quei grandi occhi dal colore indefinito non è semplice – non lo è mai stato, anche prima che gli eventi precipitassero in questa maniera. «Quello che ci sta succedendo è... beh, sì, meraviglioso, ma anche un po' terribile. È meraviglioso e anche un po' assurdo, a dire il vero, ma... Shannon, prova a pensarci in maniera razionale. Al massimo tra un paio di giorni tu dovrai andartene, e io resterò qui. Possiamo scriverci, tenerci in contatto, questo sì, ma... se anche quello che proviamo fosse veramente...» Non dirlo, Daria: non dire amore. «Insomma, come pensi che potremmo tenere in piedi una relazione nelle nostre condizioni? Io non... io non voglio finire come Alice, va bene? A me non bastano un paio di telefonate a settimana e una scopata in macchina quando capita l'occasione, a me non... a me non basterebbero, lo so.» Sento che le lacrime stanno di nuovo risalendo, ma questa volta decido di non fare nulla per fermarle. «Io voglio... quando avrò una relazione, io voglio una famiglia vera. Io voglio sposarmi, e avere dei bambini, e condividere... tutto, dalla prima colazione alla favola prima di andare a dormire. Voglio poter litigare faccia a faccia, voglio poter dire 'ti amo' di persona, non attraverso un telefono, e voglio avere qualcuno da stringere la notte. Io non... io non voglio un fantasma. Io non voglio un fantasma.» In qualche modo riesco a far scivolare via le mie mani dalla sua stretta, e subito cerco un fazzoletto con cui asciugarmi gli occhi e soffiarmi il naso, avendo prima cura di voltarmi dall'altra parte.
    Riprendiamo a camminare, di nuovo separati. «Scusa» lo sento sussurrare dopo un po'. «Non avrei dovuto avere la presunzione di credere di sapere che cosa fosse meglio per te.» Non rispondo, ancora impegnata a ripulirmi la faccia da ogni traccia di crisi. «Il fatto è che quando sei uno che vive come me, quasi senza certezze, appena hai l'occasione di aggrapparti a qualcosa che ti fa stare bene... non sono mai stato bene con una ragazza come lo sono stato con te. E dire che di ragazze ne ho conosciute, in tutti questi anni.»
    Non so come, ma la sola cosa che mi viene in mente di rispondere è: «Giusto, tra le mie obiezioni ho dimenticato di dire che sei vecchio!» esclamo con un sorriso. In fondo è vero, ha esattamente vent'anni più di me. Anche se tutta questa differenza non si vede, non è certo un dettaglio da sottovalutare.
    «Cosa sarei io, scusa?» si scalda lui, avvicinandosi con un ghigno che non promette nulla di buono. Non sono abbastanza veloce da fuggire, e così lui mi artiglia i fianchi, iniziando a torturarmi a forza di solletico – e come abbia scoperto che lo soffro da morire, non è dato sapere. «Ripeti quello che hai detto! Ripeti quello che hai detto! Cosa sarei io?» mi incalza, pur rendendosi conto che sto ridendo così tanto da non riuscire nemmeno a pensare ad una risposta.
    «Basta, Shannon, basta! Per favore, basta!» lo imploro, continuando a contorcermi tra le sue braccia.
    All'improvviso si blocca e ci troviamo di nuovo faccia a faccia, vicini come lo eravamo sul Lungo Po. Basterebbe sporgersi un po' in avanti per... «Promettimi che mi darai un'occasione» sussurra, continuando a trattenermi contro di sé.
    «Cosa?»
    «Promettimi che mi darai un'occasione» ripete. «Tu dici che non possiamo avere futuro, io invece dico di sì. Se me ne vado e non mi faccio più vedere, sicuramente l'avrai vinta tu. Dammi un'occasione per dimostrarti il contrario.»
    «Vincerò comunque io.»
    «Tu dammi un'occasione. Abbiamo davanti ancora un paio di mesi di tour, ma da gennaio sarò libero per un po'. Tu prometti di darmi un'occasione per dimostrarti che possiamo avere un futuro.»
    «Dammi un po' di tempo per pensarci, va bene?»
    «Ok» mi risponde. «Cinque minuti ti bastano?»
    «Shannon, come faccio in cinque minuti a...»
    «Daria, scherzavo. Devo prendere il treno delle sei e dieci. Hai tempo fino ad allora per pensarci su. Adesso andiamo» aggiunge, lasciandomi andare. «Hai una casa da visitare.»



*



Milano, 4 novembre 2013


    Jared è seduto a gambe incrociate sul pavimento della propria suite, abbracciato ad una chitarra, circondato da una marea di fogli bianchi e con una matita stretta tra i denti. Quando Tomo bussa, chiedendo il permesso di entrare, il cantante risponde con un mugugno che di umano sembra avere ben poco. «Ehi, ciao. Ho appena finito di parlare con Vicki, vi saluta tutti e due.»
    «'Azie» biascica Jared, alzando gli occhi verso l'amico per un istante appena.
    Tomo si siede davanti a lui, prende un foglio e lo studia con attenzione, per poi rimetterlo giù. «Sei nervoso?»
    «Mh? No, certo che no» risponde l'altro, lasciando cadere la matita. Le dita lunghe compongono qualche accordo, riprendono la matita, scarabocchiano qualche nota su uno dei fogli e poi si scostano una ciocca dagli occhi, per ritornare infine sulle corde. «Sto benissimo.»
    «Se lo dici tu» sospira l'altro, guardandolo con aria condiscendente. «Di solito quando ti chiudi nel tuo mondo a comporre in modo così frenetico è perché sei nervoso. Hai sentito Shannon?»
    «No, oggi non l'ho visto né sentito. Mi sono alzato tardi, dev'essere uscito prima che mi svegliassi. E comunque non sono nervoso.» Jared compone altri accordi, scarabocchia altre note, rimette a posto la solita ciocca e alza gli occhi sull'amico. «Che ne sarà di noi se fosse vero? Che cosa ci succederà?»
    «Che ne sarà di noi se fosse vero cosa
    «Se Shannon si fosse davvero innamorato di questa ragazza? Se dovessero mettersi insieme, sposarsi, avere dei figli... insomma, se scoprisse di amarla davvero e volesse lasciare il gruppo?»
    «Guarda che una cosa non esclude l'altra. Prendi me e Vicki: siamo sposati, e prima siamo stati insieme per un sacco di tempo, eppure non ho lasciato la band.»
    «Siamo nel bel mezzo di un tour, Tomo. E se Shannon ci mollasse all'improvviso? Non era il momento, non era proprio il momento... perché è successo ora?»
    «Jared, si chiama vita. Di solito la vita è quello che succede mentre tu sei impegnato a fare progetti. Non credo che Shannon avesse messo in conto di incontrare qualcuno, e sicuramente non credo che l'avesse messo in calendario per sabato. È successo, punto e basta, come a me è successo di incontrare Vicki.» Tomo si sforza di mantenere il tono più calmo possibile, come si fa davanti ad un bambino che ha bisogno di essere rassicurato. «E comunque Shannon è un uomo intelligente e maturo, non ci mollerebbe mai a metà di un tour per correre dietro ad un bel paio di gambe. È adulto, saprà gestire la situazione nel migliore dei modi. Dovresti avere un po' di fiducia in lui.»
    «Io mi fido di lui» sussurra Jared, rivolto più a se stesso che a Tomo. In realtà, non ha paura che Shannon li abbandoni a metà del tour: è solo terrorizzato all'idea di perdere un fratello.



*



Torino, 4 novembre 2013


    Nonostante la presenza dell'ascensore, Daria mi ha costretto a prendere le scale. «Ci si guadagna in salute» ha insistito, «e poi si risparmia corrente, il che è un bene per il pianeta e anche per le bollette.» Ho accettato la scarpinata fino al quarto piano soltanto perché è stata lei a chiedermelo. Non saprei negare nulla ad una donna con quegli occhi.
    Da un portoncino in legno sbuca la riccia testa bianca di un'arzilla vecchietta. «Oh, poveri cari, ve la siete fatta a piedi! Potevate prendere l'ascensore!»
    «Non importa, ci piace fare esercizio» risponde Daria con un sorriso. Mentre raggiungiamo il pianerottolo, pronti alla presentazione ufficiale, mi rendo conto che durante questa visita avrò il ruolo dello spettatore muto, visto che non conosco una parola d'italiano al di fuori delle classiche forme di saluto e ringraziamento. Prendo un appunto mentale: se voglio convincere Daria di essere davvero interessato a lei, devo iniziare un corso per imparare la sua lingua – anche se con lei posso parlare in inglese, un giorno vorrei essere in grado di comunicare con i suoi amici e la sua famiglia. «Piacere, sono Daria Giordano» aggiunge, porgendo la mano all'anziana. «Questo è un mio amico americano, Shannon. Purtroppo non parla italiano» specifica. E poi, rivolta a me: «Scusa, ma l'ho dovuta avvertire.»
    «Ada Lorenzoli» risponde la signora, stringendo la mano ad entrambi mentre dall'interno dell'appartamento sbuca un uomo altrettanto anziano, evidentemente il marito.
    «Antonio Lorenzoli, piacere di conoscervi. Bando alle ciance, andiamo subito a vedere l'appartamento, è per questo che siete qui, no?»
    Ricominciamo a salire le scale, anche se in realtà soltanto due rampe ci separano dalla possibile futura casa di Daria. Lo stabile mi piace, è un palazzo vecchio stile ma ben ristrutturato, in una zona sicura e tranquilla, con tutti i comfort del caso. «Il palazzo mi piace, sembra ben tenuto» le sussurro mentre seguiamo a passo lento i due anziani.
    «Sì, è un palazzo piuttosto signorile. Sicuramente l'appartamento è bello, ma quello che mi preoccupa è l'affitto. Sull'annuncio non era specificato, ho paura che possa essere troppo alto per le mie tasche» risponde.
    «Sull'annuncio abbiamo scritto appartamento» spiega la signora Lorenzoli, mentre raggiungiamo il piano designato e il marito armeggia per trovare la chiave giusta, «ma in realtà si tratta di una mansarda riadattata. È stata ristrutturata da poco e c'è tutto quello che serve, ma non aspettatevi una reggia.»
    «In effetti, è un posto ideale per una coppia di giovani come voi» aggiunge il marito. «Piccola, ma funzionale e intima. Sì, proprio l'ideale per una giovane coppia.» Si volta per strizzarmi l'occhio, e automaticamente guardo Daria, sperando in una spiegazione.
    Lei, evidentemente arrossita, mi spiega che il tale ci ha scambiati per una coppia. «In realtà sono io che sto cercando casa. Da sola» specifica. «Lui è solo un amico in visita.»
    «Oh» fa l'uomo, forse un po' deluso dal fatto che non stiamo insieme. «Beh, cara, avrai più spazio per te.» Spalanca il portoncino e ci guida attraverso un ingresso piccolo e buio. Se queste sono le premesse, non oso immaginare il resto dell'appartamento. Quando però sento Daria, in vantaggio di cinque passi su di me, sospirare di meraviglia, capisco che l'ingresso è l'unica nota dolente.
    La seguo, e come lei spalanco gli occhi per la sorpresa: il soggiorno, pieno di finestre e incredibilmente luminoso, sembra due volte più grande di quanto sia in realtà, e l'angolo cottura, separato dal soggiorno da un immenso bancone ad isola, scintilla come appena uscito dalla fabbrica. «Abbiamo fatto buttare giù i tramezzi per ricavare un grande spazio abitabile» spiega la signora Lorenzoli, mentre noi restiamo immobili in fondo alla stanza, «e abbiamo cambiato la vecchia cucina. È tutto nuovo, mobili ed elettrodomestici di prima scelta, tutto a norma di legge.»
    «Dalla parte opposta c'è il bagno» continua il marito, facendoci segno di seguirlo, «anche qui tutto ammodernato: tubi, rivestimenti, sanitari... tutto nuovo, fresco di fabbrica.»
    «Ci sono sia la doccia che la vasca» osserva Daria, stupita da quella scoperta.
    «L'idraulico ci ha consigliato di mettere la doccia perché è più pratica, dice che la gente la preferisce, al giorno d'oggi» risponde la moglie. «L'anno scorso abbiamo ristrutturato il nostro bagno, ma la vasca ci spiaceva buttarla. È un pezzo antico, non se ne trovano più così.»
    «Sì, noi ne abbiamo messa una di quelle ergonomiche» le fa eco il marito. «Quelle a prova di vecchio, per intenderci» aggiunge, strizzando l'occhio a Daria. Io mi ritraggo appena, cercando di non disturbare. «Qui accanto abbiamo ricavato una piccola stanzetta per gli ospiti» continua l'uomo. «Sembra più uno sgabuzzino, in realtà, ma un po' di spazio in più può sempre fare comodo. Ah, e nell'ingresso c'è un armadio a muro che può servire come ripostiglio vero e proprio.»
    Torniamo in salotto, e la moglie indica una scaletta a chiocciola che sale verso un massiccio soppalco in legno. «Lì sopra c'è la camera da letto principale. Se volete salire a vederla, fate pure. Per noi sono troppo pericolose quelle scale.»
    «Posso davvero?» domanda Daria, quasi sorpresa da quella concessione.
    «Ma certo, cara!» la incita la donna. «Anzi, facciamo così: vi lasciamo soli a familiarizzare con l'ambiente per un po' e scendiamo a preparare un caffè. Non si ragiona bene senza aver bevuto un buon caffè. Scendete tra dieci minuti e discutiamo tutti i dettagli.»
    I due escono, lasciandoci soli, e a questo punto guardo Daria con un misto di sorpresa e preoccupazione. «Che cosa sta succedendo?» le domando, sperando in un riassunto della visita.
    «Ci lasciano soli qualche minuto per familiarizzare con la casa. Ci aspettano di sotto tra dieci minuti per offrirci un caffè. Adesso salgo a vedere la camera da letto» aggiunge, indicando le scale a chiocciola. «Vieni con me?»
    «Se ci tieni...» La seguo in silenzio su per la scaletta, stupendomi di quanto sia lucido il legno degli scalini e del mancorrente. «Devono averla ristrutturata proprio di recente» commento, «sembra appena uscita da una rivista. Oppure hanno una donna delle pulizie fenomenale.»
    «Mi piacciono un sacco i mobili» risponde lei, fermandosi a pochi gradini dalla cima per voltarsi a guardare indietro. «Ho sempre adorato i mobili in legno. E poi sono chiari, rendono tutto molto più luminoso...» Riprende a salire, scoprendo che la scaletta porta direttamente in camera. «Praticamente cucina, soggiorno e camera da letto principale formano uno spazio unico... mi piace, sembra molto più grande di quello che è.» Si avvicina ad una delle pareti, e facendo scorrere un pannello di legno scopre una cabina armadio a dir poco immensa. «Wow. Di certo non avrò problemi per far entrare i vestiti. Mia sorella impazzirebbe di gioia vedendo tutto questo spazio.»
    Io, intanto, sto valutando la stabilità dello scaffale che riempie la parete attigua. «Avrai posto anche per i tuoi libri» le faccio notare. «Dal pavimento fino al soffitto, senza interruzioni.»
    «Già, finalmente potrò smettere di ammucchiare scatoloni sotto al letto» risponde lei, richiudendo l'anta della cabina armadio.
    «A proposito di letto...» sussurro, facendo un cenno verso quel preciso pezzo d'arredamento, «sembra piuttosto comodo.» Mi siedo sul bordo del materasso, ricoperto da un leggero copriletto color miele, e tendo una mano verso di lei, invitandola a sedersi accanto a me. «Avanti, voglio solo che venga a sederti qui» la incito, notando la sua titubanza. «Non ho cattive intenzioni, lo prometto. Avanti, vieni qui.» Daria accetta di prendere la mia mano, e a quel punto le strattono appena il braccio, facendole perdere l'equilibrio per farla cadere proprio accanto a me. «Il materasso mi sembra abbastanza morbido, non trovi?» le sorrido, voltandomi su un fianco per poterla guardare dritta negli occhi.
    Lei si guarda attorno, studiando con attenzione la struttura in ferro battuto. «Mi sono sempre piaciuti i letti di questo tipo. Sono antichi, mi fa pensare che abbiano un qualche tipo di storia alle spalle.»
    «Magari anche quello era dei padroni di casa, come la vasca. Magari è stato il loro primo letto» azzardo con un sorriso. «A proposito, credo che verrò spesso a fare il bagno da te. Quella vasca è enorme.»
    «Come ti pare, tanto io sono un tipo da doccia. Sono sempre troppo di corsa, non ho il tempo di fare il bagno.»
    «Ti piace?» le domando all'improvviso, tornando serio.
    «Cosa, fare la doccia?»
    «L'appartamento, sciocchina» ribatto, toccandole la punta del naso con l'indice. «Ti piace?»
    «Molto» confessa, cambiando impercettibilmente posizione sul materasso. «Se devo essere sincera, mi stupisce che sia così simile a come ho sempre immaginato la mia casa ideale. Sembra quasi che qualcuno mi abbia letto nel pensiero e abbia arredato ogni angolo secondo i miei precisi gusti.»
    «Pensi che sia la casa giusta per te? Pensi che ti ci troveresti bene?»
    «Non lo so, credo di sì. Ma come si fa a sapere se una casa è giusta per te se non ci hai mai passato nemmeno una notte? Comunque continuo a pensare che sicuramente costerà troppo, quindi è inutile farsi tante domande.»
    La osservo in completo silenzio per qualche secondo, sostenendomi la testa con un braccio. È così carina quando è immersa nei suoi pensieri... «Che cosa ti piace fare nel tempo libero?»
    «Beh, le solite cose: leggere, andare in giro, uscire con gli amici... ma questo che c'entra?»
    «E quando sei a casa? Insomma, quando torni dal lavoro e ti rintani in camera tua, che cosa fai di solito?»
    «Beh, di solito io... no, non te lo posso dire. È una cosa stupida, sicuramente rideresti di me.»
    «Non ci credo, non può essere una cosa stupida. E poi guarda che stai parlando con uno che adora fotografare tazze di caffè e pubblicare gli scatti su Instagram. Non ci può essere nulla di più stupido. Dai, dimmelo... altrimenti ricomincio a farti il solletico.»
    Deve sembrarle una minaccia davvero tremenda, perché dopo essersi massaggiata le tempie con una mano per qualche secondo confessa: «Mi piace scrivere. Ho sempre voluto fare la scrittrice, quindi nel mio tempo libero scrivo un sacco. Butto giù trame, invento personaggi... è una cosa stupida» ripete in tono convinto.
    «Non è una cosa stupida... in effetti, da una come te mi aspettavo un passatempo artistico.» Le accarezzo un fianco con fare distratto, continuando a guardarla come se stessi contemplando un'opera d'arte. «Prova ad immaginarti mentre scrivi. Riesci ad immaginarti mentre scrivi in questo appartamento? Non so, magari sdraiata sul tappeto del salotto, oppure seduta qui alla scrivania... riesci ad immaginarti qui mentre fai quello che ami?»
    «Sì, io... io credo di sì. Sì, mi ci vedo. Ma cos'è, un test della personalità?»
    Sorrido, scuotendo la testa. «No, è semplicemente lo Shannon-cerca-casa test. Tutte le volte che ci trasferivamo – io, Jared e mia madre – lei voleva che fossimo coinvolti nella scelta della casa. Così, tutte le volte che trovavamo un appartamento che sembrava rispondere ai nostri requisiti, io mi chiedevo: riuscirò a suonare bene la batteria, qui? Se riuscivo a trovare un angolo che mi andasse a genio, per me era fatta, la casa si poteva prendere.»
    «Un test interessante» commenta lei, puntellandosi sui gomiti per guardarsi attorno e completare la scelta. «Beh, io credo che mi troverei bene a scrivere qui. Sì, direi che mi ci vedo. Quindi il risultato dello Shannon test è positivo.»
    «Quindi è la casa per te.»
    «Sempre ammesso che l'affitto non costi uno sproposito.»
    «Sarei disposto a comprartelo, questo appartamento, se la cosa potesse renderti la donna più felice del mondo» sussurro, senza staccarle gli occhi di dosso. Prima che lei possa dire qualunque cosa, avvicino il mio viso al suo e la bacio di nuovo. Le mie braccia la circondano ancora, le mie mani ricominciano ad accarezzarla e a cercare il calore del suo corpo, e prima ancora di rendermi conto di quello che sto facendo mi ritrovo steso su di lei, impegnato in un bacio che di casto e tranquillo ha ben poco. Smetto di pensare, mi lascio trasportare dal momento, lascio le sue labbra e scendo lungo il mento, seguendo il profilo che trovo tanto interessante, e senza fermarmi arrivo alla pelle liscia e bianca del collo, che accarezzo con la punta del naso, tentando di imprimere nella mia mente il suo preciso odore.
    «Shannon, fermo» sento però dire dopo qualche istante, appena due secondi prima che le sue mani premano sulle mie spalle per allontanarmi. «Che cosa stai facendo?»
    «Ti sto baciando» rispondo con naturalezza. Pensavo che fosse abbastanza chiaro quello che stavo facendo, perciò inizio a chiedermi che cosa si nasconda dietro quella domanda.
    «Sì, questo lo avevo intuito» ribatte lei in tono sarcastico. «Però non... insomma, tu le ragazze le baci sempre... così
    Sorrido, comprendendo che si riferisce al modo in cui le sono appena rotolato addosso, come se volessi strapparle di dosso i vestiti e fare l'amore con lei come se non ci fosse un domani – un'eventualità cui, in effetti, stavo giusto pensando. «Non sempre. Solo se penso che siano le ragazze più incredibili che abbia mai incontrato.»
    «Ah. E... e ti succede spesso?»
    «Perché, sei gelosa?» Lei distoglie lo sguardo per un istante, e ancora una volta mi sorprendo di quanto siano belli i suoi occhi, anche quando si riempiono di preoccupazione o di tristezza. «Ascolta, Daria» riprendo, abbassando la voce e accarezzandole una guancia con due dita, «se non ti va di fidarti di me ti capisco. Conosco la reputazione di cui godono i musicisti: una ragazza diversa ogni notte, a volte anche più di una, vestiti strappati via con i denti, orge, droga, alcool, sesso estremo e chissà che altro... ma sono tutte stronzate. Ammetto che è successo, qualche volta: sono stato a letto con ragazze conosciute da poche ore, a volte da meno di un'ora, e ammetto di averle scaricate brutalmente una volta finito, ma con te... con te sarebbe completamente diverso. Se mai dovessi finire nel mio letto, userei tutto il mio ingegno per escogitare un modo per fartici rimanere il più a lungo possibile.» Torna a posare i suoi occhi su di me, e in questo momento mi sento uno stupido – perché devo sempre finire col fare questi discorsi da rocker arrapato? Sembra che io non faccia altro che pensare al sesso, e ho paura che questa convinzione potrebbe spingerla ad allontanarsi da me. «Non intendo dire che voglio portarti a letto e basta, sia chiaro... non che non ci abbia pensato, certo, però... insomma, non è dal primo momento che io... ecco, non... » Perfetto, mi sono impappinato. Con un sospiro mi tolgo da sopra di lei e torno a stendermi sul copriletto, coprendomi gli occhi con entrambe le mani. Non sono mai stato bravo con le parole, mia madre ha sempre avuto ragione: la diplomazia è una prerogativa di mio fratello.
    Un cigolio alla mia sinistra mi informa che Daria ha cambiato posizione sul materasso. Mi scopro gli occhi, e vedo che si è messa seduta sul bordo del letto. «Shannon, ma tu credi sul serio che per noi ci possa essere qualcosa di più oltre questo pomeriggio?» la sento sussurrare, così piano che la voce sembra quasi arrivare da un altro pianeta. «Sei davvero convinto che possiamo avere un futuro, in qualche modo?»
    «In qualche modo, io credo di sì» rispondo, sollevandomi dal materasso e scivolando accanto a lei. Abbasso la testa fino ad appoggiare il mento sulla sua spalla, mentre la mia mano sinistra scivola sopra la sua destra, stringendola appena. «Chiamalo destino, chiamalo Dio, chiamalo come ti pare... ma io sono convinto che ci sia qualcosa in serbo per noi due» sussurro, sperando che capisca che sto parlando con il cuore. «Non posso credere che per noi non ci sia altro. Sono stato troppo bene con te, sarebbe troppo crudele se non potessi rivederti mai più.»
    «Non sarà facile.»
    «Lo so.» Il fatto che abbia usato quel particolare tempo verbale mi gonfia il cuore di gioia: significa che ha seriamente pensato all'eventualità di darmi un'occasione. «D'altra parte a noi Leto non sono mai piaciute le cose semplici.»
    «Oh, se è per questo nemmeno i Giordano si tirano indietro di fronte alle sfide» risponde lei con un breve sorriso. «Ma è giusto che tu sappia fin da questo momento che non ti renderò la vita facile. Sono una persona insicura, ho sempre bisogno di essere rassicurata, e probabilmente fidarmi di te e della bontà delle tue intenzioni sarà la cosa più difficile, per me. Le proverò tutte per farti andare via, per farti uscire dalla mia vita, e anche se all'inizio combatterai e vincerai, alla fine deciderai che non ne vale la pena e andrai via.»
    Le lascio lentamente la mano, e con entrambe le braccia le cingo le spalle, avvicinando le labbra al suo orecchio: «Come si vede che non mi conosci» sussurro prima di lasciare un bacio leggero sulla sua guancia. «Ora andiamo, su!» riprendo, scattando in piedi. «Non si era parlato di un caffè, poco fa?»


    Uscendo, i Lorenzoli hanno lasciato le chiavi infilate nella toppa, evidentemente invitandoci a chiuderci la porta alle spalle. Faccio scattare la serratura tre volte e sfilo la chiave, immaginando quanto sarebbe bello poterlo fare ogni mattina, sapendo di lasciarmi alle spalle un posto sicuro in cui rifugiarmi ogni sera. «Va tutto bene?» mi sento domandare mentre mi volto e inizio a scendere le scale.
    «Sì, è tutto a posto» rispondo. «Stavo solo pensando che questo appartamento mi piace veramente tanto. Sarebbe bello poterci abitare.»
    «Allora ci conviene andare a sentire quanto costerebbe viverci, ti pare?»
    Annuisco e lo seguo fino all'appartamento dei Lorenzoli. Suono il campanello e aspetto che il marito venga ad aprire. La prima cosa che faccio è restituirgli il mazzo di chiavi. «Ho chiuso a tripla mandata, spero di aver fatto bene.»
    «Benissimo, cara. Ma venite, stavo giusto per venire a cercarvi. Il caffè è appena salito.» Si scosta per permetterci di entrare, ed entrambi ringraziamo. Aspettiamo che il padrone di casa ci faccia strada, e in pochi passi raggiungiamo un grande salotto luminoso, arredato in un modo che mi ricorda molto l'appartamento di mia nonna: tessuti con delicate stampe floreali, centrini fatti all'uncinetto, un bel vaso a fare da centrotavola...
    «Complimenti, avete una casa veramente bellissima» osservo mentre il signor Lorenzoli scosta una sedia per invitarmi ad accomodarmi.
    «Oh, è Ada che si occupa di queste cose» risponde lui, mettendo una mano sulla spalla di Shannon per invitarlo ad imitarmi e sedersi. «Io sono uno di quei mariti che passa gran parte del tempo leggendo il giornale» aggiunge con una risatina, mentre la signora ci raggiunge reggendo un bel vassoio d'argento.
    «Allora, che ne dite dell'appartamento? Vi è piaciuto?» ci domanda la donna, prendendo posto accanto al marito.
    «Molto, è praticamente uguale a come immaginavo il mio appartamento ideale» rispondo, accettando la tazzina che mi viene offerta. «E devo dire che risponde esattamente alle mie esigenze: è piccolo, ma con spazi ben organizzati; e poi è in una bella zona ed è vicino al lavoro, il che è un bel vantaggio» proseguo, mentre anche a Shannon viene appioppata una tazza. «Niente zucchero per me, grazie» aggiungo subito, vedendo che il marito mi sta porgendo la zuccheriera. Guardo Shannon, che rifiuta con un educato gesto della mano, e torno a guardare la signora Lorenzoli. «A questo proposito, mi stavo chiedendo a quanto ammonta l'affitto, visto che sull'annuncio non era specificato.»
    «Pensavamo di chiedere trecentocinquanta euro al mese» risponde il marito, e a fatica mi trattengo dallo sputare il caffè che ho appena bevuto sul bel tavolino in noce.
    «Ma è pochissimo!» esclamo dopo aver deglutito. «Trecentocinquanta euro sono... niente, considerando la zona, lo stato dello stabile, e il fatto che l'appartamento sia appena ristrutturato.»
    «Quanto vogliono?» mi domanda a bassa voce Shannon, sporgendosi verso di me.
    «Trecentocinquanta euro al mese» gli rispondo. «Sono un po' più di quattrocento dollari, credo. È una somma bassissima, tutto considerato.» Torno a guardare la coppia. «Perché è così basso, se posso chiedere?»
    «Beh, non abbiamo bisogno di soldi» mi spiega la signora, facendo spallucce. «Abbiamo comprato quella mansarda vent'anni fa, nostra figlia non aveva ancora diciott'anni. L'abbiamo sempre usata come magazzino, pensando di poterla adattare per farci un appartamento per lei. Solo che poi lei si è sposata, ha fatto i suoi progetti e si è cercata una casa adatta alle sue esigenze, com'è giusto che sia, e così a noi è rimasto uno spazio vuoto.»
    «L'idea ce l'ha data proprio Anna, nostra figlia» prosegue il marito. «Noi non sapevamo che farcene, ma lei ci ha suggerito di ristrutturare e di farne un appartamento. In fondo è una città di studenti, al massimo avremmo potuto affittarla ad uno di loro.»
    «Al telefono lei mi ha parlato di alcune persone interessate ad affittare, dico bene?» domando alla moglie. «Se fossi intenzionata ad affittare quanto loro, come... insomma, che cosa...»
    «Che cosa ci farebbe scegliere te piuttosto degli altri?» completa lei. «Oh, cara, se sei interessata direi che noi la scelta l'abbiamo già fatta.» Guardo entrambi, cercando di capire che cosa stiano cercando di comunicarmi. «Noi siamo partiti con l'idea di affittare a persone giovani, perché in questo palazzo ci sono già così tanti anziani... c'è bisogno di un po' di vita.»
    «L'altra coppia che è venuta a visitare la casa è sulla cinquantina» spiega il marito, «perciò se vuoi l'appartamento, per noi sei la candidata ideale. Sembri una persona responsabile, una con la testa sulle spalle, perciò se vuoi la casa è tua.»
    «Non state parlando sul serio, vero?» I due si guardano e sorridono, annuendo, mentre Shannon si avvicina di nuovo, domandandomi il tema del discorso. «Dicono che se voglio, l'appartamento è mio. Dicono che cercavano una persona giovane a cui affittare, e che siccome sono più giovane dell'altra coppia e sembro una persona come si deve, devo solo dire che voglio affittarlo.»
    «E allora che cosa aspetti a dirlo? Hai anche detto che costa poco!»
    Torno a guardare i padroni di casa, e mi rendo conto che mi stanno mettendo in mano le chiavi della felicità: devo soltanto infilarle nella serratura e farle girare. «Va bene, allora voglio affittare il vostro appartamento» affermo con un sorriso.


    «Hai appena trovato una casa, ti rendi conto?» dico mentre usciamo sul marciapiede. Tra una chiacchiera e l'altra si sono fatte le cinque, e tra poco più di un'ora dovrò riprendere il treno per tornare a Milano. «Hai appena fatto una cosa importantissima, e...» Sono costretto ad interrompermi, perché le braccia di Daria sono improvvisamente strette attorno al mio collo, e le sue labbra premute forte contro le mie. Non voglio sprecare il momento, perciò appoggio le mani sui suoi fianchi e la trattengo vicino a me, desiderando di poter fermare il tempo. Le sue dita mi sfiorano lentamente, e mi sembra quasi di sentire la pelle bruciare quando le sue unghie sfiorano il tatuaggio che ho dietro l'orecchio. «Wow» sussurro. «E dimmi, tu i ragazzi li baci sempre così?» la prendo in giro.
    «No, non sempre. Solo quando sono persone speciali» risponde con un sorriso, aggiustandomi il bavero del giubbotto. «Accidenti, non ci posso credere. Ho appena preso casa! A mio padre verrà un colpo, gli avevo detto che lo avrei avvertito con un po' di anticipo...» Mi lascia andare e guarda l'orologio. «Credo che dovrei iniziare a riaccompagnarti, tanto si sta facendo buio e non c'è rimasto molto da farti vedere. Andiamo?» Questa volta è lei a porgermi la mano, in un gesto che mi rende incredibilmente felice.
    «E con questo, direi che sei ufficialmente entrata nell'età adulta» commento mentre ci avviamo a passo lento sotto i portici di piazza San Carlo. «Non puoi dire di essere veramente adulto finché non vai a vivere da solo.»
    «Credo ci starò bene» risponde lei. «Ho sempre immaginato di vivere in un posto del genere. Sembra quasi che sia stato fatto apposta, non trovi?»
    «Dev'essere stato un segno del destino. Probabilmente andartene di casa è la scelta giusta, e aver trovato la casa perfetta ne è la conferma. Dovevi cambiare, e questo è il momento giusto per farlo.»
    «Sì, è possibile» mi risponde lei, guardandosi intorno con aria curiosa. «A proposito, ho preso una decisione.»
    Quell'affermazione mi sorprende, e non faccio nulla per nascondere lo stupore. «In merito a cosa?»
    «In merito al fatto di darci o no una possibilità.»
    «Credevo che il bacio di prima fosse già una dichiarazione di intenti piuttosto chiara» ribatto con un sorriso.
    La vedo arrossire in maniera piuttosto evidente. «Sì, beh, diciamo che preferisco essere più chiara.»
    «Lo sapevo, sono troppo affascinante. Impossibile trovare una donna che sappia resistere al mio fascino» la prendo in giro, guadagnandoci in cambio un leggero schiaffo sulla spalla. «Allora, sentiamo: quale sarebbe questa decisione?»
    «Beh, ho deciso che possiamo provarci. Ma tu devi promettermi una cosa.»
    «Tutto quello che vuoi.»
    «Prometti che non mi prenderai in giro. Non sopporterei di essere presa in giro. Se per caso dovessi cambiare idea su... beh, sui tuoi sentimenti, su quello che provi... non prendermi in giro, ok? Solo questo. Me lo puoi promettere?»
    «Ho fatto carte false e mi sono alienato le simpatie di mio fratello per stare con te un pugno di ore, che cosa ti fa credere che potrei cambiare...»
    «Per favore, io ho bisogno di sentirlo» mi implora, fermandosi e tirando appena la mia mano.
    A questo punto mi fermo, mi volto, mi piazzo saldamente davanti a lei e la guardo dritta negli occhi. «Io prometto che non cambierò idea su di noi. E se per qualche motivo assolutamente balordo dovesse accadere una cosa così terribile, prometto che non ti prenderò in giro e te ne informerò subito. Prometto di fare tutto il possibile per non farti soffrire, e prometto di scontare la più dura delle punizioni se questo dovesse mai accadere.» Termino la frase con il mio miglior sorriso, sperando di essere riuscito a convincerla che non intendo rifilarle una fregatura, e che vorrei picchiare quello stupido mister Zainetto Rosso soltanto per il fatto di averla delusa. «Tu mi piaci veramente molto, Daria. Non voglio che tu soffra per colpa mia.»
    «Ok» sospira, e la sua voce sembra provenire da una stella ai confini della galassia. «Alice ha studiato arti marziali per cinque anni. Solo per informarti. Due anni fa si era offerta di gambizzare Andrea, ma ho declinato l'offerta.»
    «Buono a sapersi» sorrido di nuovo, mentre riprendiamo a camminare. Lascio andare la sua mano e le faccio scivolare il braccio sulle spalle, riuscendo così a tenermela più vicina. «Daria, sai che questo cambierà tutto?»
    «Sarebbe strano se non cambiasse proprio nulla» mi risponde. «Shannon, mi prometti che cambierà davvero tutto?» Non comprendendo quell'improvvisa richiesta, mi volto per guardarla in viso e cercare di capirne le ragioni. «Voglio dire... ho sempre avuto una vita normale, e per lo più sono stata felice, però... però adesso arrivi tu, e mi dici che le cose cambieranno. E la cosa... la cosa mi affascina, mi affascina sul serio. Sono sempre stata soddisfatta della mia vita, ma la prospettiva di cambiare...»
    «La prospettiva di cambiare ti incuriosisce?»
    «Sì, mi incuriosisce. Credo sia l'espressione corretta.»
    «Allora ti prometto, in aggiunta a tutto ciò che ti ho promesso poco fa, che la tua vita cambierà. Mi impegno a cambiarti la vita, se è questo che desideri.» La guardo sorridere e reclinare appena la testa, appoggiandola contro la mia spalla, mentre a passo lento ci dirigiamo verso il luogo che ci separerà di nuovo.


    «Beh, allora... suppongo che...» Non sono mai stata così in imbarazzo: mi sento la bocca asciutta, come se avessi perso la saliva a metà strada, e non so nemmeno quali siano le parole giuste per congedarci.
    «Già, credo di sì» risponde Shannon, nonostante io non abbia espresso alcun concetto. «Ti chiamo io, va bene?» Annuisco, senza parlare, mentre sento gli occhi gonfiarsi di lacrime. Abbasso lo sguardo, ma le sue mani racchiudono prontamente le mie guance, costringendomi a guardarlo. «Come fai ad essere bellissima anche quando piangi?» mi sussurra, senza staccarsi da me. Nella luce artificiale della stazione, i suoi occhi appaiono nocciola, ma se c'è una cosa su cui non posso proprio sbagliarmi è quello che stanno fissando: sono fermi su di me, fissi nei miei, e la cosa un po' mi sorprende: non credevo che sarei mai riuscita a sostenere in questo modo lo sguardo di un uomo come lui. In silenzio, senza troppe parole inutili, le sue labbra si posano per l'ennesima volta sulle mie.
    È fatta: sono innamorata.
    Ci spostiamo accanto ad un pilastro e continuiamo a baciarci avidamente per una decina di minuti, proprio come farebbe una coppia di adolescenti in piena tempesta ormonale. Le sue braccia mi cingono dietro il collo, le mie mani sono scivolate sotto il giubbotto e lo stringono all'altezza della vita, il mio seno è premuto contro il suo torace e le sue dita continuano ad accarezzarmi guance e collo, e io continuo a chiedermi che succederà quando accanto a me tornerà ad esserci il vuoto.
    «Adesso suppongo che dovrei andare» sussurra alle sei e cinque, separandosi appena da me. Ci guardiamo attorno, e notiamo che quasi tutti i passeggeri sono saliti. «Ti chiamo io» ripete, stringendomi di nuovo il viso tra le mani per costringermi a non distogliere lo sguardo. «Mi mancherai, lo sai?»
    «Anche tu mi mancherai» rispondo con voce un po' roca. Mi mancherà come l'aria, e temo che questa sarà l'ultima volta che lo vedrò.
    Si stacca lentamente da me, e dopo un attimo di indecisione lo guardo frugarsi in tasca. «Tienimi questo, per favore» decreta, mettendomi in mano la sua copia di Aspettando Godot. «Fino al nostro prossimo incontro. Me lo ha regalato mia madre, ci tengo un sacco. Tienilo finché non ci rivedremo.»
    «Shannon, questo non ha...»
    «Ha senso, credimi. Me lo restituirai quando ci rivedremo.»
    Fisso lui, poi il libro, e poi ancora lui. E quella che mi sembrava un'idea senza senso diventa all'improvviso una cosa sensatissima. Mi tolgo rapidamente dal collo una delle catenine che indosso: in realtà è un semplice cordoncino di cuoio decorato con un bullone, ma ci tengo come se fosse una collana di Cartier. «Questa non la tolgo mai, nemmeno quando dormo» gli spiego, infilandogliela senza tanti complimenti. «Me la sono fatta da sola in prima media, e da allora non l'ho mai tolta» ripeto, come se volessi essere sicura che abbia capito il concetto. «Tienila tu» concludo, appoggiandogli teneramente una mano contro il petto, più o meno all'altezza del cuore. «Me la ridarai quando ci rivedremo.»
    Lo vedo sorridere e sento che potremmo ricominciare a baciarci come due ragazzini, ma anche gli ultimi ritardatari stanno salendo, e così mi rendo conto che deve andare. Si sporge verso di me e mi regala un ultimo, lieve bacio. «Mi mancherai» sussurra salendo sul treno. Il groppo che ho in gola mi impedisce di rispondere a parole, perciò mi limito ad alzare una mano. Il capotreno fischia, le porte si chiudono e di lì a pochi secondi il treno inizia a muoversi.
    Guardo Shannon allontanarsi in silenzio dalla mia vita, e mi chiedo se questo pomeriggio sia stato soltanto un parto della mia immaginazione. Poi penso al libro che stringo tra le mani e alla collana che non mi penzola più dal collo, e mi dico che non è un sogno, una fantasia passeggera – Shannon lo ha promesso: cambierà la mia vita.



1”Lo sai che questo cambierà tutto?” “Me lo prometti?” | Il titolo del capitolo è ispirato ad uno scambio di battute tra Jerry Maguire e Dorothy Boyd (interpretati da Tom Cruise e Renée Zellweger nel film Jerry Maguire (1996).
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: EffieSamadhi