(fantasmi) All’inizio erano soltanto un’idea, una supposizione. L’ombra che si scorge con la coda dell’occhio, il suono di una radio accesa dove di radio non ce n’è nessuna, e mia sorella ed io ci scherzavamo spesso sopra. Poi hanno cominciato a invadere la nostra casa, a oscurarsi nello sfondo, a scomparire dentro e fuori le pareti. La casa è nuova, parte di una palazzina costruita qualche anno prima e noi siamo metodisti e non crediamo in nessuna sorta di abracadabra sovrannaturale. “Non credo nei fantasmi” dice mia sorella Gemma. “Non dovresti nemmeno tu.” Ma la radio si accende nella notte e le persone che non sono lì siedono e parlano fino all’alba. Ho visto il ragazzo per primo. È uno scheletro pelle ed ossa più che un ragazzo e vaga per l’ingresso, muovendosi dentro e fuori dalla mia stanza e quella di Gemma; fa rimbalzare una palla di gomma sul pavimento, sulle pareti, senza mai rompere nulla. Una volta, l’ho trovato ad accendere la radio – la nostra radio – giocherellando con i quadranti finché non ha trovato una partita di calcio. Non mi hai mai visto, non ha mai guardato verso di me, non si è mai comportato come se fossi lì. La ragazza invece sì. È minuta, scura come una noce moscata e vestita con un fresco e pulito vestito estivo. Balla lentamente, ma in un modo in cui la gente balla quando pensa nessuno stia guardando. È così felice e pura che non posso essere spaventato dalla sua leggera trasparenza. Nel mezzo del suo ballo, fa una pausa e si volta, sporgendosi in avanti e socchiudendo gli occhi lungo il corridoio, nella mia direzione. “C’è qualcuno?” chiama. C’è una lunga pausa e trovo me stesso troppo sorpreso per rispondere. “Ehi?” scrolla le spalle e si volta, continuando la sua danza giù per l’ingresso, dove soffia via come un fantasma innevato attraverso la scura strada invernale. La seconda volta che la vedo, invece, anche lei mi nota. In un apparente stato di shock come me, afferra una macchina fotografica dalla parete, dove non ci sono ripiani o macchine fotografiche e fa una foto. Come io continuo a stare lì immobile, ad occhi spalancati, lei fa un passo avanti mentre tende la mano. “È tutto a posto.” sussurra, con una voce che si usa quando si vuole tranquillizzare un animale. “Il mio nome è Adelyn. Non ti farò del male.” Non vedo Adelyn per giorni. Non appare ballando nell’ingresso, o sparisce nella carta da parati, o sbuca da qualche angolo per scattarmi una fotografia con la magica fotocamera e comincio a scoraggiarmi. Il ragazzo appare una volta per giocherellare di nuovo con la radio, ma non sembra notarmi. Di fronte a lui, grido e mi sbraccio come un tifoso sguaiato ma non mi guarda mai, nemmeno una volta. “Tu” dico all’apparizione, “sei il fantasma più sordo dell’universo. Vai vai, continua ad ascoltare le tue partite, mi va bene, non ti fermerò; stai pure qui, sottospecie di spettro” dico con stizza “Perfetto. Come se m’importasse.” La terza volta che vedo Adelyn, cammina nella mia stanza e sussulta nel trovarmi lì, seduto sul mio letto nel sfogliare Playboy (e lo leggo perché mi piacciono davvero gli articoli). Rapido nascondo il giornale e arrossisco fino alle orecchie e mi volto timidamente verso di lei. Può anche essere morta, e a prima vista forse sarei voluto scappare dalla stanza gridando, ma è sempre una ragazza e sono mortificato – assolutamente mortificato – che mi abbia trovato con un giornale del genere. “C-Ciao.” balbetto come un idiota.
|
Questa è la prima one shot che pubblico su un sito come questo e, devo ammetterlo, non so nemmeno per quale motivo lo stia facendo. Sono curiosa di sapere che cosa ne pensate voi, quindi fatemi sapere. ps: grazie mille a jas_ per il bellissimo banner :) |