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Autore: Francine    18/12/2013    2 recensioni
«Avanti, Semola! Preparati per la gloria!», lo esorta il cavaliere dandogli una gran pacca sulle spalle. «Ti mostrerò come si fa ad affrontare un drago, contento?»
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bedivere, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Trenta Giorni a Camelot'
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Prompt: #16 Uova Fritte
Titolo: La Cerca di sir Bedivere
Autore: Francine
Fandom: Leggende Arturiane
Personaggi: Bedivere, Artù, Merlino
Genere: Commedia
Rating: Verde
Avvertimenti: Un invito a pranzo a Camelot è sempre una spina nel fianco
Eventuali note dell’autore (o alla fine se contengono spoiler):
Partecipa al defunto progetto La Festa dei Folli, dal forum
La Corte dei Miracoli   

 

 

 

La Cerca di sir Bedivere

1.

 

Uno degli aspetti salienti della gloriosa corte di Re Artù è il proliferare delle avventure. 
Non passa una settimana sana senza che si presenti una nuova e mirabolante vicenda, e che questa attragga di conseguenza l'interesse del Re e del suo seguito. 
Cavalieri Verdi con enormi scuri e richieste assurde, fanciulle indifese e maltrattate da bruti armati, unicorni parlanti, streghe a cavallo delle loro diaboliche scope, nemici invidiosi e, negli ultimi tempi, persino i malati di lebbra irrompono quasi quotidianamente a corte, richiedendo a gran voce l'intervento del Re, il quale, ascoltate le lamentele di chi gli si rivolge con il cuore pieno d'ambasce, non esita a mandare i suoi fidati e valenti Cavalieri a sbrogliare le matasse e a sgominare a colpi di spada gli avversari della cortesia e della bontà. 

Questa, come dicevo, è la normalità. Tenete presente, inoltre, che il numero assai copioso delle avventure cui si assiste albergando presso il castello di Camelot è incrementato dalle apparizioni del saggio Merlino, il quale giunge a corte quando meno lo si aspetta. Appare all'improvviso, come fosse un santo, e si materializza al centro della vasta Sala del Trono in una nuvola di fumo che odora di zolfo, tunica del colore della notte addosso e bastone nodoso di quercia in mano. 
E il capo imbiancato dagli anni che dovrebbe incutere un senso di pia devozione nel cuore dei giovani e rampanti Cavalieri della Tavola Rotonda, induce questi stessi a lasciarsi andare a scongiuri non edificanti sotto il legno di quercia, celando così, alla vista della Regina e delle damigelle di corte, gesti degni dei loro stallieri e dei loro servitori, mentre le bocche sorridenti farfugliano litanie mal celate. 
Merlino non sembra notare quelle mani che prontamente scendono sotto la Tavola Rotonda; si dirige verso il sovrano, in modo che il Re possa vederlo dritto nei suoi occhi di ghiaccio, batte il bastone a terra per tre volte e saluta la compagnia.

«Salute a te e alla tua cortese assemblea, nobile Arthur Pendragon, figlio di re Uther e signore di tutta la Bretagna. Possano i vostri giorni essere lunghi più di quanto io abbia scorto nell'avvenire nebuloso.»
 
Merlino apre i suoi discorsi sempre con questa formula pomposa e poco accattivante, al punto che molte delle pie donne che lavorano nelle cucine si segnano quasi fosse una fattura lanciata da una vecchia comare invidiosa. 
Re Artù non si scompone, tutt'altro: sembra quasi che aspetti di sentire quella litania pronunciata con voce gracchiante ma cupa al tempo stesso, come il suono di un corno familiare durante una battuta di caccia. 

«Salute a te, saggio Merlino», risponde prontamente il Re con un sorriso cordiale. «Sii il benvenuto alla mia mensa!» Poi batte per tre volte le mani e subito gli inservienti allestiscono il desco anche per il mago dalle sopracciglia cispose, mentre i Cavalieri e la Regina trattengono il fiato. 
Quando finalmente anche il visitatore sempre atteso si siede e mangia le squisite pietanze che compaiono alla mensa del Re, l'allegra brigata di Camelot può far nuovamente festa. Il fatto che il saggio Merlino partecipi al pasto è sempre un buon segno: significa che, almeno per il momento, non sono in arrivo rogne da parte sua. Cattivo segno, invece, è quando Merlino interrompe il battito delle mani reali con un gesto secco e deciso. Aria di guai, e guai grossi. 

«Non sono qui per far festa con te, nobile Arthur Pendragon, ma per avvisarti di un'enorme minaccia che grava sul tuo Regno, sulle tue terre e sulla tua corte!», risponde il vecchio Mago, mentre si avvicina ancora di più, e gli scongiuri dei Cavalieri si fanno più frenetici sotto il tavolo. 
Ciascuno pensa in cuor suo «No, non io, non io, non questa volta!», memore di come una chiamata del Re in persona sia non solo improrogabile, ma anche foriera di grane per il malcapitato di turno. E di solito le grane sono proporzionali alle rughe che attraversano da Levante a Ponente la fronte del mago. 

Sir Kay, il classico soggetto che sottoscrive con un potente rutto un discorso che gli aggrada, attende sempre che Merlino abbia terminato di parlare per portarsi una mano alla fronte, come a voler dire «e ti pareva!». Sir Lancelot, sir Bors, sir Tristan tacciono e ascoltano, cercando nel frattempo le parole con cui far capire al Re quanto siano assurde quelle richieste. La Regina, come comprende che all'orizzonte c'è un'avventura che puzza di magia, interviene con modi cortesi per evitare che sia suo marito a cacciarsi nei pasticci, e spingendo perché siano i suoi Cavalieri - sir Lancelot escluso - a farsi carico di questa nuova gatta da pelare. 
Gli unici che assecondano il Re, cascasse il mondo, sono i suoi parenti più prossimi, sir Gawain e sir Gareth, nipoti del Re ed eredi al trono, e sir Bedivere, fraterno amico di Arthur da quando erano due ragazzini pelle e ossa che ruzzolavano nella polvere della corte di sir Hector. E proprio sul capo di sir Bedivere, colui che Merlino ha previsto sopravvivrà al Re, sta per abbattersi la nuova avventura che il mago è venuto a portare al castello. 

«Non sono qui per far festa con te, nobile Arthur Pendragon, ma per avvisarti di un'enorme minaccia che grava sul tuo Regno, sulle tue terre e sulla tua corte!», risponde il Mago come da copione mentre s'avvicina e si aggrappa al fidato bastone fingendo stanchezza. 
Il gesto di diniego fatto prima di parlare è stato così netto e duro che nessuna mano ferrata è scesa sotto al tavolo, e il Re stesso è rimasto a bocca aperta a fissare il proprio mago e consigliere, di solito allegro e gioviale. Mai, neppure quand'era un fanciullo imberbe e stringeva ancora con disperazione la Spada estratta dalla Roccia guardandosi intorno e chiedendosi perché tutta quella gente si stesse frapponendo tra lui e suo fratello Kay, Merlino ha usato un tono così duro e secco nei suoi confronti. 
Il mago si avvicina. Batte ancora una volta il suo bastone a terra e fissa il Re dritto negli occhi, come se fosse uno scolaretto che ha macchiato una pergamena d'inchiostro. «Bravo. Bravo, Arthur. E bravi anche voi, Cavalieri! Il mondo è sull'orlo della distruzione e voi ve ne state qui a gozzovigliare come porci nel trogolo!»

Al passaggio della mano magra del mago, la scodella di sir Agrawain cade ad imbrattare i tappeti sparsi sul pavimento di pietra scura. Il cavaliere dagli occhi grigi alza lo sguardo su Merlino, chiedendogli in tal modo il perché di quella manata. Era la miglior zuppa di farro e prosciutto che mangiava da mesi, da quando è tornato dall'ultima avventura cui Merlino stesso l'aveva spedito a calci. 

«Guardatevi! Guardatevi! Che direbbero i vostri mentori? Che direbbero i vostri padri? Vi han forse allevato con amore per farvi diventare quello che siete, o perché vi elevaste al di sopra delle masse?», chiede Merlino indicando ad uno ad uno col suo dito ossuto i Cavalieri, non più tanto allegri, della Tavola Rotonda. «Quanto a te, Re Arthur», riprende ad inveire dopo aver fatto il giro dei commensali, «è così che dai il buon esempio, mettendoti a capo di una compagnia dedita ai piaceri della tavola e del letto, piuttosto che a promuovere e far rispettare le gloriose leggi della cavalleria?!»

La tentazione di sguainare la spada contro il mago è grande. Per la fortuna di entrambi, il tenebroso Meleagant è ben lontano dal collo di Merlino, il quale, fulminato con un'occhiataccia il cupo Cavaliere, riprende la sua invettiva. 

«Si profilano all'orizzonte tempi cupi. Dubito che potrete permettervi ancora del maialino al latte, uva e pesci dorati, e agnelli ripieni di trote e salmone se adesso, in questo stesso momento, uno dei tuoi Cavalieri non si alza da tavola e si erge a baluardo della Cristianità!»

E il Re, come da copione, abbocca senza che nemmeno gli sia fatta intravedere l'esca. «Le tue parole sono assai dure, Mago. Stavamo festeggiando il ritorno di sir Agrawain dalle cupe Isole Brute, da cui ha riportato il Fiore Fanciulla che tu stesso hai richiesto», replica Artù quantomeno perplesso, ma sinceramente disposto a redimersi dalle proprie colpe, qualsiasi esse siano. «Parla, saggio Merlino. Quale grave minaccia incombe sulle nostre teste?» 
Il vegliardo sogghigna.
«Perdona i miei modi, giovane Re», esordisce addolcendo la voce: sa che ora che ha l'attenzione di Artù non ha più bisogno di quel tono truce che tanto sforzo procura alle sue vecchie corde vocali. «Il momento è grave.»

E con questa frase che può voler dire tutto e niente allo stesso tempo, il villoso figlio di una lavandaia e del Demonio si avvicina al sovrano, siede davanti al piatto che due prestanti valletti hanno apparecchiato alla destra del Re, e parla fitto fitto con Artù, dimentico dei dodici Cavalieri e della bella Regina Ginevra che non fa nulla per celare il disappunto che quella visita inaspettata le provoca. 

«Se le cose stanno così è giusto che i miei prodi e leali Cavalieri sappiano», dice il Re dopo che il vecchio consigliere ha finito di riempire le sue orecchie con la propria voce sibilante, e a quel punto il mio buon fratello decide di rivolgersi ai dodici beoti che l'osservano curiosi, e anche seccati. La zuppa di farro si sta freddando, così come le altre pietanze che rallegravano quel desco prima dell'apparizione di Merlino. 
Il mago si alza. Non sembra dimostrare la sua veneranda età, tutt'altro. Il movimento assomiglia a quello elegante di una danzatrice, piuttosto che a quello di un attempato e magro vegliardo. Sir Kay, noto per i suoi modi poco cortesi, si concede il lusso di incrociare le braccia al petto e di accogliere le parole di Merlino con una smorfia. 

«A mille e mille miglia da qui, sul Picco Inaccessibile, vegliato da due grifoni alati e due gargoyle dalle fauci di pietra, riposa il temibile Kalthu, il più enorme e malvagio Drago Rosso che il mondo abbia mai conosciuto.» 
Le parole di Merlino non suscitano alcun interesse nei Cavalieri; chi si specchia sul dorso di un cucchiaio, chi si rimira le unghie, chi si gingilla scrivendo iniziali e ghirigori sul bordo del piatto con la salsa del maialino, nessuno che presti vera attenzione al mago di corte. 
«Kalthu. Il grande Drago Rosso che vive a mille e mille miglia di distanza da qui. E allora?», vorrebbe chiedergli Kay, ce l'ha scritto in faccia. «Sappiamo bene che esiste, ci mancherebbe. Era su quel Picco maledetto da prima che il buon Gesù Cristo nascesse a Betlemme, e ci resterà sin quando non lo coglierà la mano fredda della Morte, evento che tu stesso hai previsto accadrà nei prossimi sei mesi, caro Merlino.»
«Io stesso vi predissi la fine di quell'orribile bestia entro l'anno in corso, e non mi correggo», prosegue il mago, sapendo quale direzione abbia preso il cervello fino di sir Kay. «Kalthu esalerà l'ultimo, diabolico respiro entro la fine di quest'anno. Tuttavia…»
E quell'innocuo tuttavia, lasciato da solo in fondo alla frase, fa risvegliare di colpo l'interesse dei dodici paladini della Cristianità. 
«Tuttavia?», l'incalza sir Lancelot, desideroso di farsi bello agli occhi della Regina. 
«Tuttavia», replica Merlino, che non aspettava altro che avere l'attenzione dei suoi ascoltatori, «quell'immonda creatura ha un erede. Kalthu ha deposto un uovo, uno solo, e lo difenderà sino alla schiusa a costo della vita.»
«Quindi?», chiede sir Kay fingendo ottusità: chi mai invierebbe contro un drago un Cavaliere che non si rende conto del pericolo che grava su di loro? 
«Quindi, caro sir Kay», riprende Merlino nient'affatto stupito da quella replica, «occorre che un prode e valente e coraggioso Cavaliere si rechi laggiù e sottragga l'uovo dal nido.»
«Sottrarlo?», interviene Meleagant con il suo tono basso di voce. «Non converrebbe, piuttosto, distruggerlo, e spanciare anche il Drago, giacché ci si trova?»
«Sia mai!», tuona il vecchio mago avvicinandosi al giovane Cavaliere. «È quello che aspetta la bestia! Tu non puoi sapere, né io posso raccontare, a discapito delle vostre menti, ciò che accadrebbe se l'uovo di Kalthu fosse rotto nel suo stesso nido!»
«Cosa dobbiamo fare, allora, Mago?», domanda Kay con tono canzonatorio prima di abbeverarsi di rosso e corposo vino del sud. 
«Portarmi l'uovo.» 

Semplice, chiaro e cristallino come quest'acqua che ho travasato nel mio bacile. La domanda, però, dovrebbe essere un'altra: che se ne fa il saggio e potente Merlino di un uovo così pericoloso? Domanda che, a quanto intuisco dalle facce dei presenti, non sfiora neppure le loro menti. 

«E come hai intenzione di procedere, saggio Merlino?», domanda sir Bedivere, precedendo di poco i nipoti del Re.
«Userò le mie Arti Magiche», risponde, e la sottoscritta a questo punto non riesce a trattenere una risata. «Potrò agilmente debellare la minaccia rappresentata da Kalthu, ma solo durante una particolare congiunzione astrologica, quando i Pesci si getteranno nelle fauci del Serpentario e Giove transiterà per il Cigno con un'altezza siderale pari al quadrato tra Venere e Marte sotto il Cielo del Cancro.»
 
Nessuno ha capito nulla. Nulla di nulla. Merlino sa che il suo parlare tecnico disorienta la corte di Camelot, al punto che gli astanti annuiscono fingendo di aver compreso le sue ansie. Potrebbe anche inventare, come di recente ha preso a fare, le cose che adduce come spauracchi per piegare ai suoi voleri Artù e i suoi Cavalieri; gli crederebbero a priori. 

«E sia, Mago», esordisce il mio caro fratello come da copione, mentre la mia cara cognata inarca di disappunto le bionde sopracciglia. «Uno dei miei nobili Cavalieri partirà per questa cerca e porterà indietro l'uovo nefasto, a Dio piacendo.»

Merlino annuisce. Avrebbe preferito far cadere Artù nella trappola del dono costringente, ma il mio buon fratello s'è fatto furbo, e adesso ci pensa su due volte prima di promettere ad occhi chiusi, sempre che non lo si colga sull'onda del sincero afflato. 
I dodici cavalieri della Tavola Rotonda si guardano l'un con l'altro, tremando. Meleagant sa già di essere esonerato per questioni caratteriali. Impulsivo com'è potrebbe essere tentato di fracassare l'uovo strada facendo, oppure potrebbe inavvertitamente cadergli di sella e rompersi sul selciato. «Meglio evitare sorprese», pensano il Cavaliere, il Re e il Mago sorridendo. 
Agrawain non osa affondare il cucchiaio nella nuova scodella di zuppa. Teme che, essendo fresco di avventure e cerche, il Re pensi sia più saggio spedirlo alla ricerca del nido e dell'uovo. Uovo che gradirebbe volentieri cotto, magari in una padella sfrigolante di lardo fuso e striscioline di prosciutto stagionato. 
Lancelot, in cuor suo, non vuole lasciare la Regina. Morirebbe per la lontananza da lei. L'ultima volta che è partito, vale a dire sei mesi fa, s'è fatto legare una ciocca dei suoi capelli alla lancia, ma da quando ha potuto annusare l'aroma di camomilla che la mia cara cognata usa per donare fulgore alla propria chioma, ogni pegno d'amore è per lui poco più che un palliativo. 
La mentre di Tristano è lontana. Pensa che il Picco Inaccessibile è sin troppo lontano dalla corte di Re Marco, suo zio, e della sua amatissima Regina Isotta, quindi a che pro imbarcarsi? Continua a giocare con la salsa del maialino sul bordo del piatto; ancora poche gocce debitamente sparse e avrà scritto Ysseult nelle rune celtiche che la bionda regina gli ha insegnato. 
Gawain e Gareth friggono ai loro posti, guardandosi in cagnesco l'uno per poter battere sul tempo l'altro ed essere spedito in missione. Quale dei miei due amabili nipoti andrà a farsi sgozzare da un dragone rosso, malvagio e tremendamente vecchio, il bello e cortese fratello maggiore, oppure il temerario e incosciente fratello minore? 
A quest'interrogativo risponde sir Bedivere. «Vostra maestà, ascoltatemi», dice alzandosi in piedi. «Vi supplico di concedermi per i miei servigi una ricompensa che non potrete rifiutarvi di mantenere. Inviate me.»

Non so quanti occhi si voltano nella sua direzione. 
«Tu, mio caro amico?», domanda Artù tormentando il suo anello con il rubino, quello stesso che i donzelli baciano in segno di devozione quando il Re li nomina Cavalieri. 
«Io», replica Bedivere. «Vi prego, maestà, di concedermi questa missione.»
Non aggiunge altro. Il Re porta lo sguardo azzurro sul proprio riflesso nel vino e medita sulla richiesta. Bedivere. A conti fatti, potrebbe essere una buona soluzione: sa che è l'unico che porterebbe a termine il compito assegnatogli da Merlino senza gingillarsi nella forma, senza deviare dal seminato nemmeno di un bruscolo per partire per altre cerche, e, nel minor tempo possibile, darebbe una lezione di cavalleria ai più giovani e fanfaroni guerrieri che siedono alla Tavola Rotonda. 

Artù sospira e pensa che se non fosse per il suo ruolo, e per i rimbrotti della sua bionda consorte, gli piacerebbe rispondere di persona alla chiamata e partire per il Picco Inaccessibile a sgranchire le gambe. Un po' di sano esercizio fisico, insomma. Invece, i suoi doveri, il suo ruolo e le mille altre cose noiose che gli ricorda Merlino per tenerlo inchiodato sul trono, gli impediscono di montare in sella al suo amato cavallo bianco e partire verso l'orizzonte in cerca di avventure. 
Essere un Re è noioso, pensa il sovrano sospirando. Tornassi indietro, me ne starei lontano da quell'incudine quanto il Levante lo è dal Ponente!

«Sire», l'incalza Merlino, segno che una scelta che ricada su Bedivere è quantomeno apprezzata. «Rispondete al vostro cavaliere senz'indugiare. Il tempo stringe.»
«E sia», replica Artù levando la sua coppa dorata. «Sir Bedivere. avete licenza di partire quando lo riterrete più opportuno.»
«Se a Vostra maestà non dispiace, interromperei seduta stante il mio pranzo e partirei immantinente per la mia missione», replica l'altro, con sommo sdegno di Gawain. Il quale, cercando di essere ugualmente della partita, aggiunge: «Mercé, Vostra Maestà. Concedete anche a me di seguire il prode sir Bedivere nella sua avventura!».

Il sorriso di Artù si illumina, così come quello di Ginevra e Lancelot. 
Splendido!, pensa la Regina, lieta di potersi togliere dai piedi il più assillante e petulante dei suoi nipoti acquisiti. Gareth è ancora giovane, per lui bastano una spada nuova, un bel cavallo da far correre fino a schiumare, e due colpi di spada tirati assieme a qualcuno più in gamba che lo lasci mezzo morto di fatica, ed è presto liquidato, mentre Gawain… Gawain è una piattola. 
Non c'è incarico che tenga quel benedetto ragazzo lontano dalla stanza di suo zio, il Re. E ultimamente, quando il Re si rinchiude nella torre Est per pensare agli affari di corte, il giovane Gawain ha preso ad essere sin troppo sollecito nei confronti della bella zia acquisita, temendo che le voci che circolano sulla fama dell'affascinante Tristano possano trovare a corte un increscioso seguito. 
E come si possono avere incontri galanti con un tal assillo tra i piedi?, pensa il coraggioso Lancelot scoccando un'occhiata complice al suo vicino, Tristano appunto, sempre prodigo di mille sotterfugi e astuzie sperimentate alla corte di re Marco. 

«Concesso!», fa per esclamare il Re, lieto che suo il nipote prediletto dia segno di possedere un cuore valoroso e immune alla paura, quando Merlino lo interrompe con un colpo di tosse. Bedivere deve andare da solo, il Cielo sa perché. «Il vostro coraggio vi fa onore, sir Gawain. Tuttavia, e che Merlino mi corregga all'istante se troverà errore nelle mie parole, ritengo che sia il solo sir Bedivere a dover affrontare questa battaglia. Il suo cuore e la fede in Dio Onnipotente l'aiuteranno.»

Liquidata la questione. Gawain è infelice, Ginevra è seccata e Lancelot si chiede se non sia il caso d'invitare quel ragazzetto senza peli ad una bella sfida tra cavalieri, e sfogare su di lui la propria frustrazione. Già si vedeva tra le braccia dell'amata, ad intrecciare i suoi capelli d'oro zecchino sparsi sui guanciali senza l'assillo del nipote del Re… 
Gawain non può far altro che chinare il capo e tornare a sedere, anche se ormai il cibo non l'alletta più. Sir Bedivere, invece, saluta la compagnia con un cenno del capo, fa un gesto al suo scudiero e si dirige di gran carriera verso le stalle, lasciando i suoi compagni a godere delle prelibate pietanze della tavola. 
«Animo, Semola!», dice Bedivere rivolgendosi al suo donzello, un ragazzino pelle e ossa com'era lui alla sua età, e un cespuglio di capelli biondi in testa. «Si va in cerca di avventure!» 

 

 

   
 
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