Carissime amiche, siamo vicinissime al Natale, ed io vorrei regalarvi una storia.
E' una cosa di poche pretese, dalla classica trama, che però spero riesca a farvi sospirare.
Come è nel mio stile, l'ho ben farcita di immagini.
Vi auguro di trascorrere le feste in modo sereno insieme alle persone a voi care.
Baci,
Teresa
«E’
tardi, cara, e sei ancora in ufficio?»
«Sì,
mamma»
,le dico alzando gli occhi al cielo, «sai
che devo finire il lavoro prima di
andare a casa.»
«Ma
non puoi fare uno strappo alla
regola? E’ la Vigilia di Natale!»
Si lamenta.
No,
se vuoi che domani
pomeriggio sia a casa con voi a Seattle, devo proprio concludere
stasera.»
Le ripeto mantenendo un tono paziente.
«Ma
da te sono già le otto di sera,
amore, non ci sarà più nessuno fuori a
quest’ora.»
«Oh,
non puoi immaginarti quanta gente ci
sia ancora in giro, invece. Soprattutto in un centro commerciale grande
come
Macy’s.»
La mamma è preoccupata per me e la capisco. Ma sono arrivata dalla filiale di San Francisco solo pochi mesi fa, e non essendo ancora riuscita a crearmi una vita sociale, mi sono offerta volontaria in ufficio, per registrare la chiusura dell’incasso settimanale.
Per
l'unico impegno di stasera, la
Messa di mezzanotte, sono abbondantemente in anticipo.
Saluto,
finalmente, mia madre e
decido di alzarmi dalla scrivania per un veloce spuntino. Attraverso
l’ufficio desolatamente scuro e vuoto
e scendo di qualche piano verso la zona acquisti, dove ci sono i locali
ristoro
dedicati al pubblico, certa di trovarvi ancora un po’ di
movimento.
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=gCjuKFJNCEE
Nell’ascensore,
come nei negozi,
la filo diffusione trasmette una allegra melodia tradizionale. Non mi
sono
sbagliata, nei vari reparti commerciali, c’è
ancora molto viavai: mamme con
bambini che fanno i capricci davanti agli scaffali dei giocattoli,
coppie di
adulti di ogni età alla ricerca dell’ultimo
regalo, persone sole che passeggiano
per passarsi il tempo. Entro decisa nella mia caffetteria preferita,
ordino un
caffè doppio con panna e cannella, e un enorme sandwich al
salmone, quindi con
la mia cena della vigilia ,mi sposto verso un tavolino libero.
«Anche
tu di corvè stasera?» Mi
sento chiedere da una calda voce maschile. Alzo lo sguardo verso un
ragazzo di
bell’aspetto, di età tra i venticinque e i
trent’anni, che mi sorride sornione
reggendo un vassoio in mano. E’ un neoassunto come me,
dell’ufficio acquisti,
credo. Dal badge che gli pende dal collo vedo che si chiama Edward.
«Sì,
mi sono offerta volontaria
al posto dei miei colleghi con famiglia, e tu?»
«A
me lo hanno chiesto
sfacciatamente», ride, « naturalmente non ho potuto
dire di no a tanto buon
cuore. Posso?» Mi chiede indicando la sedia vuota di fronte a
me.
«Prego,
accomodati.»
Mentre
sbocconcello il mio cibo,
lo osservo con finta indifferenza. Ha un viso molto attraente, naso
dritto
dalla cui radice partono due sopracciglia lievemente corrucciate. Sotto
brillano due magnifici occhi chiari, grandi ed espressivi. La bocca ben
disegnata, si muove sensuale mentre addenta un pezzo della fetta di
crostata
che ha nel piattino.
«I
tuoi occhi… non capisco, sono
verdi… o azzurri?» Mi scappa detto mio malgrado.
Arrossisce
leggermente, sotto il
mio sguardo indagatore. Il mio filtro bocca-cervello, sembra
già andato
malauguratamente in vacanza e mi sento arrossire anch’io per
la mia
sfacciataggine.
«Scusami,
devo essere proprio
stanca, stasera.» Lo supplico imbarazzata.
«Verdi.
Ma non preoccuparti se ti
senti confusa, è tutta colpa del mio fascino…
sotto le feste poi, riesco a dare
il meglio di me.» Mi piace, ha
una forte
dose di autoironia, ma in fondo ha ragione, è proprio carino.
«Cosa
fai quando stacchi,
Isabella?» Mi chiede occhieggiando il mio nome sul badge,
mentre sorseggia il
suo cappuccino.
Alzo
le spalle glissando.
«Niente di ché. Andrò alla Messa di
Natale, poi a casa.»
«Mmh,
un gran bel programma, e
ci vai con un ragazzo o con delle amiche?» Indaga.
«No,
da sola. Sono single, e le
mie coinquiline sono andate dalle loro famiglie per le
feste.» Gli svelo.
«Beh,
se mi permetti, potrei
accompagnarti io», mi dice titubante, estraendo un biglietto
da visita dal
taschino della giacca, «ecco il mio numero di cellulare,
quando hai finito,
fammi uno squillo. In che chiesa pensavi di andare?» Si
informa.
«St.
Patrick, perché è qui vicino.»
«Mi
sembra perfetto. Poi
potremmo andare a pattinare al Rockefeller Center.»
Suggerisce allegro.
«…
Okay…» gli rispondo
perplessa. Tutto ad un tratto la serata si fa interessante.
«A
dopo, allora. Chiamami.» Mi
dice alzandosi.
«Contaci,
buon lavoro.»
Lo
guardo mentre si allontana.
Non ha solo un gran bel viso, anche il resto del fisico non
è niente male. E’
alto, asciutto, aggraziato nel movimento. “Dovrà
anche essere intelligente, se
lavora qui”. Penso con un immaginario filo di bava che scende
dalla bocca.
Non
avevo chiesto nessun regalo
per Natale, ma sembra che Santa Claus conosca i miei
gusti…ironizzo tra me e me
mentre me ne torno al mio piano.
Il
deserto umano che mi accoglie
nell’ufficio, stavolta non mi fa più effetto. Mi
siedo alla mia
scrivania intenzionata a concludere
al più presto il lavoro. Ma non resisto al vizio del gossip
e mando un sms alle
mie amiche: non ci
crederete mai, ma ho un appuntamento per la serata.
Poi,
con calma, e con il sorriso
sulle labbra, torno a concentrarmi sui miei conti.
Alzo
gli occhi sfinita. Sono le
undici e un quarto, e ho la schiena a pezzi, ma sono contenta
perché sono finalmente
riuscita a terminare l’arduo compito.
Mi
stiracchio, prendo in mano il
telefono, e compongo il numero che trovo stampato sul cartoncino che mi
ha
dato, prima, Edward. La sua voce sexy mi risponde al secondo squillo.
«Ehi,
pensavo che ci avessi
ripensato. E’ quasi mezz’ora che aspetto la tua
chiamata.»
«Scusa,
ma ho finito ora. Dove
sei?»
«Al
piano terra, nell’atrio.»
«Bene,
chiudo tutto e ti
raggiungo.» Con impazienza faccio il giro delle luci, dei
modem, striscio il
badge in uscita e mi chiudo la porta alle spalle.
Lo
trovo dove mi ha detto,
comodamente seduto sullo scranno usato da Babbo Natale per distribuire
i regali
ai bambini. Il cuore mi sussulta nel petto. Ha un’aria di
imbronciata attesa, e
la consapevolezza che stia aspettando me, lo rende ancora
più intrigante. Gli
sorrido, mentre lo raggiungo. Lui ricambia e si alza.
«Stavi
comodo? Ti mancava solo
la barba e il vestito rosso, poi saresti stato perfetto per il
ruolo.»
Lo
sbeffeggio.
«Perché,
tu non credi a Babbo
Natale?» Mi dice con una finta espressione incredula.
Rido.
«Non più. Da tanto tempo,
ormai.»
Usciamo nella notte rigida
dopo
aver augurato Buon Natale alla guardia di turno. La chiesa grigia dalle
lunghe
guglie gotiche, dista solo pochi isolati da noi. Percorriamo la strada
semideserta, a piedi. Mi reggo, riconoscente, al braccio che mi ha
galantemente
offerto. Il marciapiede è ghiacciato, e ai bordi ci sono i
cumuli della neve
caduta nei giorni scorsi. Pronunciamo solo poche parole, quelle
essenziali. Fa
veramente freddo, e il respiro si condensa in bianche nuvolette, che si
gela
sul bordo del cappotto. Meglio rimanere ben coperti dalla sciarpa!
Arriviamo
presto davanti alla
Cattedrale. Ci accodiamo alla gente in entrata e saliamo i gradini
verso il
maestoso portale. L’interno è caldo e accogliente.
C’è però già una gran folla,
e di comune accordo ci dirigiamo verso una navata laterale, e ci
posizioniamo
in piedi vicino al muro attendendo l’inizio della funzione.
Un
soave Adeste Fidelis, cantato
da un coro di grandi e piccini in tonaca oro accompagna
l’inizio della
celebrazione. L’emozione per l’atmosfera magica, e
la stanchezza si aggiungono
al torpore che invade le mie membra gelate dalla passeggiata. Barcollo,
e cerco
sostegno al muro per non cadere. Edward dietro di me, si accorge del
mio
cedimento.
«Stai
bene?» Sussurra al mio
orecchio. «Appoggiati a me.» Gentilmente accompagna
le sue parole tirandomi
delicatamente verso di lui. Quindi, mi sostiene in una specie di
abbraccio
infilando le mani nelle tasche del mio cappotto. Sono sorpresa e
imbarazzata da
questo gesto così premuroso, e confidenziale, (che mi piace,
non posso negarlo).
Continuo a seguire la liturgia con gran fatica, distratta dal contatto
del suo
corpo , ed annego nell’emozione che, come un’onda,
mi sale verso il cuore.
Finita
la messa, veniamo spinti
verso l’uscita dal fiume di gente. Le campane suonano a festa
e ci ritroviamo,
nostro malgrado, immersi nella folla che si stringe la mano e si fa gli
auguri.
Catturata dall’atmosfera di festa, mi volto verso di lui e lo
abbraccio.
«Buon
Natale, Edward», gli
auguro. Lui si china un poco, io mi allungo per quanto posso per
baciargli una
guancia. Non riesco perché lui muove il capo, ed allora io
mi sposto, e anche
lui manca il bersaglio.
«Stai
ferma un attimo», mi dice
divertito mentre gli occhi gli luccicano nella notte. Mi prende il viso
tra le
mani coperte dai guanti e appoggia leggero le sue labbra fredde sulle
mie.
Tutto mi sarei aspettata tranne questo, ed un senso di calore mi
esplode nello
stomaco per poi salire verso la testa dove si evidenzia con un gran
rossore al
volto.
«Buon
Natale anche a te,
Isabella».
Purtroppo
si stacca dalle mie labbra
troppo presto e mi prende per mano domandandomi: «Ti va
ancora di andare a
pattinare?»
Come
potrei rifiutare? In questo
momento con lui andrei anche all’inferno. Anche
perché è noto che sia un posto
bello caldo!
«Sì»
rispondo solamente, per non
rendere troppo evidente il turbamento che provo per lui.
“E’
possibile prendersi una
cotta nel giro di un’ora?”
Lui
mi lancia uno sguardo dolce
e mi sorride.
«Andiamo,
allora.»
Di
nuovo mi porge il braccio, a
cui mi appoggio felice. Da St. Patrick al Rockefeller sono veramente
pochi
passi.
Un
angolo di isolato che
percorriamo con calma tra le vetrine festose dei negozi, e gli alberi
con i
rami illuminati da catene di lucine bianche. La brina sotto i nostri
piedi
scricchiola subdola.
«Scusa se mi
impiccio degli
affari tuoi, ma domani, anzi oggi per la precisione, sei stata invitata
a
pranzo da qualcuno?» si informa con tono leggero.
«No,
ma parto nel tardo
pomeriggio per Seattle e resto con la mia famiglia fino a
capodanno.»
«Ahi,
allora questo vuol dire
che non ti rivedrò prima dell’anno
nuovo.» Il suo tono è scherzoso, ma i suoi
occhi mi sembrano veramente dispiaciuti.
Voltato
l’angolo che dalla 5th
strada porta alla 47th strada, scorgo i palazzi a gradoni del
Rockefeller. Al
centro del complesso di diciassette edifici, raggiunta da alcune
scalinate, si apre
una piazza in cui
nella stagione invernale viene allestita una spettacolare pista di
pattinaggio.
Con i pattini a noleggio ai piedi, cominciamo a scivolare tra la gente.
«Sei
bravo, dove hai imparato?»
Gli chiedo mentre mano nella mano slalomiamo evitando gli altri
pattinatori.
«A Chicago, da
ragazzo. Ero
nella squadra di Hockey della mia scuola superiore.»
Ci
fermiamo un attimo per
riprendere il fiato, a bordo pista sotto il grande albero pieno di luci.
Il
suo volto è raggiante. Le sue
labbra sorridenti, mi fanno venire voglia di sentirle ancora sulle mie.
Anche a
lui deve essere venuto lo stesso pensiero, perché lo vedo
abbassarsi
lentamente. Tutto intorno scompare, non percepisco altro che lui e le
grandi
fronde dell’abete illuminato alle sue spalle. Mi abbraccia e
mi bacia, con una
passione che non mi aspettavo. Nell’inebetimento del momento,
perdo
l’equilibrio e scivolo trascinandolo nel capitombolo. Cado
malamente sul
ghiaccio, e lui sopra di me. Anche se ho il sedere dolorante, non mi
muovo,
gustandomi l’equivoca posizione. Ci fissiamo per un tempo
indefinito. Sento come
un coro d’angeli cantarmi soavemente nelle orecchie. Ma
è più probabile,
invece, che stiano solo fischiando poverette, a causa del repentino
svuotamento
dei polmoni dovuto alla caduta…
«Credo
che sia ora di andare.
Non ci reggiamo più in piedi.» Ridacchia
fissandomi intensamente.
«Lo
penso anch’io.» Gli rispondo
con un filo di voce. Poi mi ricordo che “andare”
significa separarsi, quindi mi
precipito ad aggiungere: «Mi accompagni a casa? Potrei
offriti qualcosa di
caldo.» Non so cosa legga nei miei occhi, forse la supplica
che sto mentalmente
recitando: “ti prego dimmi di
sì…”
«Speravo
me lo chiedessi. Avevo
paura di essere troppo invadente a importi di nuovo la mia
presenza», sospira.
Siamo ancora sdraiati sul ghiaccio. Ce ne rendiamo conto nel momento in
cui un
paio di ragazzoni ci propongono il loro aiuto per alzarci. Edward
arrossisce.
Io rifletto il suo stesso imbarazzo.
Vorrei
che questo sogno non
finisse mai. Vorrei che non venisse mai mattina.
Togliamo
i pattini e torniamo
sui nostri passi mano nella mano. Il tragitto verso il parcheggio di
Macy’s si
trasforma un percorso a tappe. Al primo bacio, appena fuori dalla pista
di
pattinaggio, ne segue, praticamente, uno ad ogni portone.
E’ come se ci
avesse preso una
specie di frenesia. Non riusciamo più a
stare staccati. E più Edward mi bacia, più a me
viene voglia di baciarlo, quasi
di mangiarlo.
Finalmente
arriviamo alla sua auto,
e solo il freddo pungente dell’abitacolo, ci frena dal
consumare subito un
amplesso, qui, nel parcheggio sotterraneo di Macy’s. Ma con
un occhio alla
strada, ed uno su me, Edward riesce, finalmente, ad arrivare sotto casa
mia,
sulla sponda dell’East River del quartiere dei Queens, fuori
Manhattan. Lo
faccio salire. L’appartamento che divido con Rose ed Alice,
è al quinto piano
ed ha una vista stupenda sulla città.
Lo
faccio accomodare in
soggiorno mentre io preparo un succo di mela bollente con cannella e
chiodi di
garofano. Il profumo si spande nell’ambiente creando
un’atmosfera speciale.
Edward mi raggiunge al
bancone
che divide il soggiorno dall’angolo cottura e si siede. Gli
verso la bevanda
fumante nelle tazze nuove che mi ha regalato Alice. Sono mug bianchi e rossi con un bel
fiocco di neve
stampato come nei maglioni tradizionali. Mi trema la mano mentre verso.
«Sono
intirizzita», mi scuso. Ma
credo che invece la causa sia la forte eccitazione che mi provoca la
sua
vicinanza.
«Sì,
anch’io. Ma ci potremmo
scaldare insieme, se vuoi.» Mi dice con voce profonda.
“Come
faccio a resistere ad un
uomo così sexy?” No, non posso. E’
presto detto.
Finisco
la mia bevanda e lo
invito sul divano. Le lucine a led colorate, dell’albero di
Natale che le
ragazze hanno sapientemente adornato prima della loro partenza, sono
l’unica
fonte di luce dell’ambiente. Oltre alla luna, che risplende
nel cielo sereno.
«Questo
è il più bel Natale
della mia vita», sussurra mentre mi bacia avido il collo.
«Idem»,
ammetto, ansimando
perdendomi sotto il tocco delle sue mani che esplorano la mia pelle
sotto la
maglietta.
Un
attimo dopo i nostri abiti
sono solo un lontano ricordo, come pure il freddo. La passione mi
ribolle nelle
vene ad ogni suo tocco, ad ogni suo bacio. Ma anch’io mi
adopero sul suo corpo
meraviglioso, e sentirlo gemere mentre lo esploro con le labbra e con
la
lingua, mi fa sentire felice.
Non
conto quante volte facciamo
l’amore. So solo che al risveglio, nel mio letto, il sole
è alto nel cielo.
Una
notte di Natale memorabile,
questa, quanto inaspettata.
Al
mio fianco Edward si muove e
si sveglia con un sommesso brontolio. Stirandosi allunga un braccio e
mi attira
con forza a sé.
«Buona mattina di
Natale,
dolcezza.» Mi dice sornione.
«Buon
Natale anche a te, tigre.»
Gli rispondo con un gridolino, mentre gli salto addosso.
Il
sorriso enorme che
gli splende sul volto, si spegne
all’improvviso.
«Devi
proprio partire?» mi
chiede con un tono di supplica.
«Purtroppo
sì, ho già il
biglietto. Devo essere in aeroporto alle
diciassette.» Rispondo con
un sospiro mesto.
Gli
accarezzo i capelli, setosi,
senza sapere più cosa dire.
Lui
tace. Io, dispiaciuta, gli
copro la schiena di baci leggeri.
«Non
riesco a lasciarti andare…
Posso venire con te?» Chiede con un filo di voce.
Alza, quindi, il viso e mi
guarda con due
occhi da cucciolo smarrito.
«Verresti?»
Annuisce.
«A
casa dai miei?»
Un
sorriso timido gli compare
sulle labbra, mentre fa ancora di sì con la testa.
«E
riesci ad essere pronto con
la valigia fatta, diciamo fra tre ore?»
Lui
annuisce ancora.
«Allora
è deciso.» Rispondo
raggiante.
Gli
scocco un ultimo bacio sulle
labbra prima di scendere con energia dal letto per prepararmi alla
partenza. Rido
al pensiero della faccia sorpresa che farà mia madre quando
mi vedrà arrivare
con Edward, ma scuoto la testa, perché sono io la prima che
ancora non si rende
conto di quello che è successo stanotte.
Un
Natale straordinario,
davvero. Cosa posso dire di più?
Fine
Ed ora un'ultima chicca, per ricordarvi di non porre un freno ai desideri: la realtà ci riporta coi piedi per terra senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Buone feste a tutte ,