Anime & Manga > Ranma
Segui la storia  |       
Autore: Subutai Khan    19/12/2013    2 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
-
Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Osservo la porta che ci sbatte in faccia.
Va bene cinesina, non sei entusiasta di vedermi. Posso capire il perché, considerato quel che so di te e del tuo mondo.
Sai cosa? Chissenefrega. Non è per lei che sono qui.
Bensì per l’esemplare dai lunghi capelli castani che in questo momento mi sta guardando inebetita.
“Ehi, tutto bene?” chiedo. Per una pura precauzione preferisco evitare di usare un qualunque nome, tanto siamo solo noi due e non c’è rischio di confondersi. Persino io, dopo aver ricevuto una breve spiegazione sul perché e sul percome delle cose qui, mi rendo conto che sarebbe poco furbo. Poi non mi preoccupo di mascherarmi o di trovarmi uno pseudonimo, ma a quel punto mi si chiederebbe troppo.
“Che ci fai qui? E senza il minimo travestimento?”.
“O santo cielo, non cominciare a farmi la paternale su questo. Mi sono già preso il cazziatone da Shinichi mentre uscivo e mi è bastato”.
“Sei sempre un testone. Va bene, facciamo così”. E finita questa frase si dà una rapida occhiata attorno, assicurandosi di non avere testimoni per la cosa che vuole dire/fare/baciare/lettera/testamento, e poi...
ZOMP.
No. Non ci credo.
È appena saltata sul tetto del Nekohanten. Senza il minimo sforzo, come se avesse... che ne so, come se avesse aperto una finestra. L’impegno è stato lo stesso.
Cosa mi sono perso?
La raggiungo. Devo essere particolarmente buffo, dato che mi guarda sogghignando. Stai parlando con me? Eh, stai parlando con me? Devi per forza star parlando con me, sono l’unico qui.
“Che c’è, Ranma? Il gatto ti ha morso la lingua?” mi sfotte sorridendo. C’è da dire che, rispetto a quando l’ho vista uscire da casa una mezz’ora fa, il suo umore pare nettamente migliore. La cosa mi fa piacere, nonostante tutto.
Fa finta di spolverarsi i pantaloni per sottolineare una volta di più che è stata una passeggiata: “Ti vedo stupito. Non te lo aspettavi, vero?”.
“No, devo proprio dire di no. Come hai fatto?”.
“Come fai tu: sono saltata”.
“Ma intendevo...”.
“Sì, so cosa intendevi. E alla risposta ci puoi arrivare, su”.
“Ma non sei mai stata...”.
“A questo livello? Ti ho appena smentito, mio caro macho”.
Mi gratto la testa. Devo ammettere che in effetti mi ha proprio smentito e azzittito.
“Nel tuo mondo ti sei davvero data da fare”.
“È stato tutto merito... suo. L’ho convinto ad addestrarmi, dopo un sacco di insistenza, e come premio ho ottenuto queste sbalorditive capacità. Che ok, tu sai maneggiare ad occhi chiusi ma io...”.
“Già. Capisco che lo consideri un grande passo avanti. E fai bene”.
Ed eccolo, di nuovo quel sorriso ammazza-Ranma.
Deciditi, ometto col codino: o la smetti di darle motivo per sfoderarlo, o impari a convivere con il mal di cuore.
“Grazie. Sembri... inusualmente gentile, oggi”.
“Lo penso davvero, e immagino che lo stesso valga per lui. So che per te migliorarti nelle arti marziali è importante quanto l’aria che respiri... e quanto lo è lui”.
“Uh? Perché continui a tirarlo in ballo?”.
“Perché è parte del motivo per cui ti ho raggiunta qui al ristorante e per il quale volevo parlarti”.
“Ah, non era solo per fare il temerario che vuole esporsi al mondo esterno senza timore di farsi riconoscere?”.
“Ma quanto sei spiritosa. No, non è per quello”.
“Almeno dimmi che ti penti di quella scemenza”.
“No. Non m’interessa nulla, a dire il vero. Possiamo saltare i convenevoli e arrivare al succo del discorso, per favore?”.
“Dai, va bene. Ti do il permesso di parlare male di lui”.
“Parlare male di lui? Cosa ti fa credere che lo voglia fare?”.
“Ranma, non prendermi in giro. In questi cinque mesi ho percepito chiaramente, in più di un’occasione, che tu sei geloso da morire nei suoi confronti. Dimmi la verità, vorresti avercelo davanti per riempirlo di botte e rapirmi o qualche cretinata del genere”.
“Non sono un animale! Ammetto che non lo inviterei fuori a bere assieme come due vecchi marpioni che si conoscono da un’eternità, ok... ma non diventerei mai manesco. Anche perché è facile che lui, mantenendosi in forma come io non ho potuto fare, mi sia superiore”.
“Il grande Ranma Saotome che ammette di essere secondo a qualcuno. Aspetta che me la segno sul calendario, questa”.
“Non è cosa che capita spesso, è vero. Ma ti ricordo che sto parlando di un’altra versione di me stesso, quindi in realtà pecco comunque di superbia. E adesso, se per favore volessi smetterla di interrompermi che è già difficile così...”.
Si incupisce di botto. Da una parte grazie perché lo stiletto si sfila da solo dal mio petto, dall’altra... non è mai bello vederla così.
Avanti Saotome, sei stato tu a mettere la questione sul tavolo. Ora non azzardarti a tirarti indietro.
Gli ultimi cinque mesi sono stati fra i più tormentati e difficili della mia vita. E ho un passato a dir poco tragico alle spalle, quindi non penso a una frase del genere con leggerezza.
Ma è proprio così. Non mi capitava di soffrire in questo modo da molto tempo, probabilmente dal giorno fatale in cui sono morte Akane e Ukyo.
Riesci sempre ad essere la causa del mio malessere, adorabile maschiaccio dalla vita larga.
Mi siedo e la invito a fare altrettanto. Accoglie ma preferisce mettersi a un paio di metri. Temo che non voglia starmi troppo vicino.
Ricordo il perché. E con me lo ricorda lo spillo che si sta trastullando con la mia nuca.
“Coraggio Ranma, sputa il rospo” mi esorta, badando bene a usare un tono più neutro. Mi sa che ha capito di cosa voglio parlarle e stia cercando di mettere più distanza, fisica e non, fra di noi.
Inspiro.
Non ero così teso neanche quando mi sono costituito.
La osservo con la coda dell’occhio, cercando malamente di non farmi beccare. E fallendo. È troppo sveglia per non accorgersene.
“Non ti mangio, prometto”. Una parte di me lo preferirebbe.
“Akane... tu sai di cosa voglio parlare, vero?”.
“Me ne sono fatta un’idea. Ma mi piacerebbe sentirlo dalle tue labbra, non sia mai che l’imperatore delle arti marziali non riesca in un compito che si è prefissato. O sbaglio?”.
Guarda te che infame. Te lo meriteresti uno scappellotto, lo sai sì? Ma sì che lo sai, quel sorrisetto malizioso la dice lunga.
Lascio trascorrere ancora qualche secondo, racimolando il fiato e le parole più appropriate che posso. Poi sfido chi devo sfidare, qualunque cosa sia: “Akane, per me è complicato e quindi mi scuso sin da adesso se in certe parti risulterò sconclusionato e senza senso. Il senso ce l’ha, però potrei far fatica a tirarlo fuori. Ok?”.
“Ok, ok. So bene che non sei un campione di retorica”.
“Simpaticissima”.
“Faccio del mio peggio”.
No cazzo, non ridere. Maledetta.
“Vedo che con Shan-Pu è andata bene” inizio prendendola larga.
“Molto bene. Abbiamo parlato e ci siamo chiarite per tante cose, anche se forse sono stata un po’ troppo buona con lei...”.
“Uh? Perché dici così?”.
“No, probabilmente è solo una mia convinzione sbagliata. Ma non riesco a togliermi dalla testa che potrei averla perdonata un po’ troppo facilmente...”.
“Credo che sì, sia solo una tua convinzione sbagliata”.
Non so perché ho detto questo. E non so come riesco a sostenere quegli occhi iracondi senza sbrodolarmi.
“No guarda, evita. Sono già abbastanza nervoso di mio senza il trattamento da ti spiezzo in due. Se potessi evitare...”.
“Insomma, si può sapere cosa mi devi dire di così sconvolgente? Sei in tensione sei ti sorrido, sei in tensione se mi arrabbio, sei in tensione solo perché esisto!”.
“È esattamente questo il problema”.
“Cosa?”.
“La tua sola esistenza mi mette in tensione. Ti rendi conto o no cosa vuol dire per me averti davanti, non importa in quale stato d’animo? Ho vissuto gli ultimi due anni della mia vita, esclusi questi cinque mesi, con l’orribile consapevolezza di averti vista morta ai miei piedi. E se stai per controbattere dicendo che ho avuto tempo per abituarmi... mi dispiace doverti dare dell’illusa, ma è così. Non puoi sperare che in così poco mi sia passata magicamente e che adesso accetti la tua presenza con animo sereno. Proprio no. Akane, io sto male ad averti vicina... e non per colpa tua, sia chiaro. Non è in te il problema, è in me. E nonostante ciò io vorrei... vorrei...”.
Ecco, subentra quel che temevo: mi inceppo. Non riesco a proseguire.
Approfitto della pausa obbligata per studiare la sua reazione e... mi spavento.
Non scorgo nulla suo volto. Non un’ombra di dubbio, non una domanda, non un moto di qualsivoglia cosa una simile dichiarazione avrebbe potuto... dovuto scatenare.
Con calma, Ranma. Non correre. Magari sta solo riordinando le idee e cerca una risposta adeguata.
Ma più passano gli istanti, rigorosamente immersi nel silenzio, più mi impanico.
Dimmi qualcosa! Qualsiasi cosa! Accetto volentieri anche un pugno! Possibilmente non in faccia, ma mi andrebbe bene pure lì.
Trenta secondi.
Un minuto.
Due minuti.
Non un suono dalla sua direzione. E io muoio sempre di più.
Non reggo.
Mi balena in testa un proposito. È brutale e insensibile, ma non sopporto più lo stallo. Ho perso la voglia di farla finita, ormai, e questo mutismo non mi consegna altro.
Fiato alle trombe, allora.
“Akane” riprendo “ho intenzione di chiederti cosa vogliamo fare... io e te. Su di noi, intendo. Cosa siamo? Come dobbiamo vederci? Come due estranei? Come due ex? Come due persone che si odiano? Non so più cosa pensare e il non saperlo mi distrugge un po' alla volta. Quel che ho vissuto mi ha portato a indurirmi e a perdere speranza nel futuro, quindi non fatico a dubitare delle nostre possibilità di tornare a casa. Hai mai pensato a questa eventualità... e a me?”.
Se non altro dà un segno di vita. Peccato che fosse l’ultimo che volevo: piange.
Due strisce di lacrime che le cadono lungo le guance. Senza strilli o altre manifestazioni rumorose. Solo tanta... non so cosa c’è nei suoi occhi. Ma è una cosa che mi spaventa.
“Ranma...” riesce a mormorare, ed è evidente che il solo pronunciare il mio nome le costa fatica.
Perché? Perché non posso abbracciarla e consolarla come meriterebbe? Perché mi sento incatenato da qualcosa che non esiste, eppure è tremendamente robusto e mi tiene ancorato dove sono?
Vorrei fare un miliardo di cose. Scusarmi, stringerla, tutta la solita lunghissima serie di cose che si fanno nei romanzi rosa. Non trovo la forza di metterne in atto una che sia una.
E muovetevi, pezzi di cemento che avete sostituito le mie braccia. Le sue spalle singhiozzanti non aspettano altro che un vostro gesto.
Muovetevi. Muovetevi. Muovetevi!
Nulla.
Una sola altra volta mi sono odiato così tanto. Speravo di non dover ripetere l’esperienza.
“Ranma...” ripete. Sto uno tale schifo che non riesco neppure a risponderle. Se ne accorge e, asciugandosi, prende in mano la situazione: “Ranma... perché hai portato a galla tutto questo? Non potevamo continuare com’eravamo prima, in quel limbo di niente?”.
Raccolgo la mia pochissima forza e riesco miracolosamente a formulare qualcosa di un minimo sensato: “Io... io non voglio un limbo di niente... preferisco sapere che mi disprezzi, piuttosto, ma questo...”.
“...”.
“... questo... è molto peggio. Vedere che mi eviti, che non mi rivolgi la parola se non strettamente necessario...”.
“...”.
“... non scherzo quando dico che mi distrugge un poco alla volta. Meglio essere distrutto in un colpo solo. Le sofferenze a fuoco lento non fanno per me”.
Nuovamente la cappa.
Perlomeno pare avere riacquistato una parvenza di calma. Non piange più. È una misera consolazione, ma vedendo come si stava mettendo ne sono quasi soddisfatto.
Poi, a bruciapelo, una frase che mi stordisce più di una masso sulla testa: “Io... devo andarmene di qui... perdonami, Ranma...”.
Si alza e fa per fuggire.
No.
No.
No.
Non te lo posso permettere. Abbi pazienza, proprio non posso.
Riesco ad afferrarla per il polso.
“Akane, non farmi questo. Se, come spero, non mi odi... non farmelo. Ti scongiuro”.
“Imbecille che non sei altro. Come potrei odiarti?”.
“Non... non mi odi?”.
“Certo che no. Non ne ho motivo. Io non avrò una mente acuta, ma nemmeno tu scherzi”.
“Non... non capisco”.
“Lascia stare. Anzi, è proprio perché non ti odio che... che faccio fatica a sostenere questo discorso...”.
“In che senso?”.
“Ranma, scusami se te lo dico ma sei davvero il massimo dell’ottusità. Come puoi non capire che anch’io sto male nell’averti vicino, e non per le cause che potresti immaginarti?”.
Io... io... io...
Svegliatemi. Vi prego svegliatemi.
“Tu... tu sei praticamente lui. Nel mio cervello le vostre due immagini si sovrappongono quasi alla perfezione. Non riesco a distinguervi, oramai, e la barba non fa più la differenza. Ma al contempo so che tu non sei lui e il mio cuore si premura di ricordarmelo ogni santa volta con una fitta. È a lui che mi sono dichiarata con tutta me stessa, non a te...”.
“Ma se, come tu stessa hai detto... siamo la stessa persona...”.
“No Ranma, non lo siete. Vi assomigliate paurosamente, ma non lo siete”.
La lascio andare, non vorrei stringere troppo in preda a un impulso involontario. In compenso la imploro di non piantarmi in asso, non ancora. Vorrei approfondire più che possiamo.
Acconsente e la ringrazio calorosamente. È palese che non sia per nulla a suo agio, ma apprezzo tantissimo lo sforzo.
“Se vuoi sederti...” offro.
“No grazie, ho la sensazione che diventerei ingestibile se non potessi muovermi”.
“Come preferisci. Akane, mi dispiace metterti in difficoltà e i kami sanno quanto non vorrei... però questo peso mi stava soffocando e...”.
“... e hai pensato bene che via il dente, via il dolore”.
“Mi conosci, sono uno dai ragionamenti elementari”.
“No Ranma, hai fatto bene. È giusto che ci sia chiarezza in questo nebuloso blocco che abbiamo finito col creare, specie se come temi rischiamo davvero di rimanere per sempre qui”.
“Ascolta, per quello mi scuso. Ero...”.
“... solo onesto. Soggiorno da queste parti da più tempo di te e i miei sogni di rivedere un giorno casa sono ancora più flebili dei tuoi. All’inizio di questa pazza vicenda ero completamente convinta che prima o poi io e i miei compagni di sventura avremmo potuto rivedere i nostri cari. Loro ci sono riusciti. Per me, come sai, quella possibilità non esiste più. E se non si fossero creati l’occasione tramite l’Artiglio, non sarebbe esistita neanche per loro. I capricci delle divinità, o di chiunque tiri le fila di un simile scherzo, non paiono intenzionati a cambiare tanto a breve. Fidati di chi subisce questo tormento da quattro anni e mezzo e non da cinque mesi”.
“Akane...”.
“Su, non fare così. Sto imparando lentamente ad accettarlo, anche se è sempre arduo afferrarne appieno il significato. Ci riuscirai anche tu, ne sono sicura”.
“Oh, non ne dubito affatto. Io, al contrario tuo, non ho nulla a cui tornare...”.
Si porta una mano alla bocca, rendendosi conto di quello che ha involontariamente detto. Provvedo a toglierle le castagne dal fuoco: “Ehi, tranquilla! So che non intendevi nulla di strano, lo capisco”.
“È vero, ma mi spiace di averti fatto ricordare...”.
“... quel che è successo nel mio mondo? Non è colpa tua. Di là mi aspetta solo un cubicolo di lerciume, così l’ha definito una volta il mio avvocato al processo, e una condanna a morte. Oltre al disprezzo di un’intera nazione che vede in me un macellaio non ancora ventenne”.
“Ora capisco...”.
“Cosa?”.
“Perché ti premeva così tanto affrontare la faccenda. Se davvero dobbiamo restare qui... non vuoi ripetere quanto hai già vissuto. Con l’aggravante che stavolta io non sono morta”.
“Non posso negarlo” confermo timidamente.
“Oggi è la giornata in cui l'universo mi urla fortissimo nelle orecchie quanto sono stupida”.
“No, non dire così”.
“Ma è vero. Prima Shan-Pu che mi ha insegnato a fare due più due, poi tu...”.
“Sei dura con te stessa. Troppo”.
“Forse. O forse no”.
“Lo sei”.
“Tu continua pure a fare l’emo, tanto la gradasseria Saotome non ti abbandonerà mai”.  Vederla sorridere mi ripaga degli ultimi, pesantissimi minuti.
“Vogliamo andare?” chiede, il tono decisamente più rilassato.
“Prima di farlo... so di starti chiedendo molto, ma... posso avere una risposta, ti prego?”.
Per favore per favore per favore, per una volta nella mia vita, lasciatemi ottenere quello che voglio. Solo per stavolta. Credo di meritarmelo, con tutte le disgrazie che ho vissuto.
“Su quel che siamo io e te uno per l’altra, intendi?”.
“Su quello”.
“Ranma, credimi se ti dico che non voglio spezzarti il cuore. Credimi. Eppure succederà, perché so che quanto sto per dire non ti piacerà. Ho capito cosa vorresti da me, fin troppo bene. E al momento non sono pronta. Mi sentirei una traditrice verso di lui, per quanto la situazione sia bizzarra e volendo potrei riuscire a giustificarmi dicendo che non sarebbe un vero e proprio mettergli le corna. Ma mi prenderei in giro, e prenderei in giro te. Non te lo meriti. Se davvero non torneremo mai a casa... allora, in quel caso...”.
È stata gentile a specificare che non era sua intenzione ferirmi, perché il colpo d’ascia l’ho sentito forte e chiaro. Anche se non posso rimproverarla, è umano non riuscire a decidersi così su due piedi. E anzi, il solo fatto che abbia lasciato una porta socchiusa...
“Nel frattempo possiamo cercare di comportarci civilmente, non credi? Come due buoni amici”.
Nonostante i miei deliri di vederla cascare come una pera fra le mie braccia... questo è più di quanto mi aspettassi realmente. In lei c’è tanta comprensione e dolcezza verso di me, anche se non è in grado di darmi quello che desidero con tutto me stesso.
“Penso... penso sia un’ottima idea. Ti ringrazio, Akane”.
“Ti chiedo scusa, Ranma”.
Non le rispondo, a costo di sembrare sgarbato. Mi verrebbe una crisi isterica se lo facessi.
In compenso allungo la mano verso di lei, nel più telefonato degli atti di intesa. Mi piace che le cose siano chiare e precise.
Me la stringe.
“Amici?”.
“Amici. Per ora”.
“Ranma!”.
“Un galeotto avrà il diritto di sognare, almeno”.
“Certo. Ma una sfregiata avrà il diritto di riportarlo coi piedi per terra se dovesse essere necessario”.
“Io non ho fatto nulla di male. Non ancora”.
“E vedi di non farlo, perché ti assicuro che certe cose fra me e te non cambieranno mai”.
“La solita rozza con la mano svelta”.
“Mi piaccio così. E piaccio anche a qualcun altro”.
Occavolo, non mettermi in una situazione così sin da subito. Non vale approfittarsene così biecamente. Scorretta.
Quasi a leggermi nel pensiero mi fa una linguaccia.
Sorrido, un poco sollevato. Quel che verrà mi farà un male del diavolo e sarà assurdamente bello.
Con un balzo improvviso scappa via, direzione casa Ono. Sbraitandole dietro la inseguo.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Ranma / Vai alla pagina dell'autore: Subutai Khan