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Autore: Nymeria90    19/12/2013    3 recensioni
– Di che cosa hai paura, Shepard?-
Fissò il cielo sopra di lui e all’improvviso le stelle parvero spegnersi, oscurate da un’ombra scura, enorme, dalla forma vagamente umana.
L’ombra nel cielo guardò giù, verso di lui, dentro di lui, si sentì invadere da un’oscurità che gli ghiacciò l’anima.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì, un istante dopo, non c’era più nulla.
- Di cosa ho paura mi chiedi?- sussurrò con voce roca mentre qualcosa dentro di sé si contorceva, implorandogli di tacere, perché solo così avrebbe potuto dimenticare. Non lo ascoltò: – C’è un’unica cosa che mi fa paura: l’eternità.-
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashley Williams, Comandante Shepard Uomo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Andrej Shepard'
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Epilogo
 
Nella vita di ognuno, presto o tardi, arriva il momento di porsi un domanda, una sola, che accomuna tutti gli esseri senzienti e che raramente riceve risposta.
“Chi sono io?”
Come molti prima di me, nemmeno io conosco la risposta a questa domanda o perlomeno, non una che mi soddisfi completamente.
Io non so chi sono, ma so perfettamente chi ero: il comandante Alexander Shepard.
Sono nato dalla sua morte, conservo i suoi ricordi e la sua morale, ma non c’è più nulla di umano in me.
Il tempo non mi scalfisce, la morte non mi riguarda, non possiedo un corpo che possa essere ferito, né una voce che venga ascoltata.
All’inizio della mia creazione possedevo emozioni umane, rabbia, dolore, gioia e tristezza non mi erano sconosciute … riuscivo ancora a provarle, da qualche parte di quel mio io sconfinato.
Ho provato paura quando ho capito che l’eternità mi stava aspettando, terribile e oscura come un animale feroce, ma d’un tratto la gioia l’ha spazzata via quando mi sono reso conto che la guerra era stata vinta senza dover sacrificare nessuno. I Razziatori erano sotto il mio comando e la mia volontà era che la mietitura si arrestasse. Poi capii che quelle emozioni, unico legame con l’uomo che ero, erano destinate a distruggere ciò per cui io, o forse dovrei dire lui, si era sacrificato.
Sentii la follia premere alle soglie del mio pensiero, un miscuglio di paura, dolore, odio, rabbia, commiserazione rischiò di travolgere quell’essere neonato a cui sto ancora cercando di dare una definizione.
Ricordo di aver pensato che il prezzo pagato era stato troppo alto, che quella scelta compiuta d’istinto era stato lo sbaglio più grande mai fatto: non si può trasformare un uomo in un dio e credere che continuerà ad essere quello di sempre.
Nelle mie inesistenti mani stringevo un potere che nessuno, né organico né sintetico, avrebbe mai dovuto avere: era potere di vita e di morte, non su un singolo uomo, nemmeno su un popolo intero, né su nazioni o pianeti … no, questo potere era ancora più grande: era potere di vita o di morte su un’intera galassia.
Una galassia che aveva trasformato un uomo in un dio, spingendolo ad abbracciare la sua paura più grande, condannandolo alla più atroce delle pene e, per questo, condannando anche se stessa.
Di tutte le emozioni provate, alla fine non rimase che l’odio.
Cosa accade se il salvatore dell’universo si accorge di desiderarne la fine? Chi protegge le genti dai loro protettori? Se un dio si ribella chi oserà fermarlo?
Ero un dio con un’armata, quegli stessi mostri metallici che la parte umana di me aveva combattuto fino all’estremo sacrificio, ora erano armi pronte ad essere usate; stavo per trasformarmi in ciò che avevo voluto distruggere.
So bene cosa mi spinse ad odiare l’universo e desiderare che bruciasse. Dall’alto dei cieli si vede tutto.
Tra le macerie di una galassia distrutta gli sciacalli si fecero avanti: depredando e razziando, saccheggiando e uccidendo, i più forti decisero che era giunta l’era del loro dominio.
Mi domandai che cosa avevo salvato; ovunque volgessi lo sguardo vedevo solo corruzione e odio e sangue e disperazione.
Era questo che avevo comprato vendendo la mia anima?
Non so cosa mi trattenne dal concludere l’opera iniziata dai Razziatori.
Forse fu la vita nata nel deserto a trattenere la mia ira e scoprii che il mio sguardo era puntato nella direzione sbagliata.  
La guerra dei Razziatori aveva cambiato gli equilibri della galassia, chi un tempo era grande ora si scopriva piccolo: la forza dei Turian non era riuscita ad arginare l’avanzata dei mostri venuti dallo spazio, l’ingegnosità dei Salarian non aveva scalfito quelle corazze metalliche, la saggezza delle Asari non aveva protetto Thessia dalla distruzione. I padroni della galassia ora si scoprivano deboli e con loro l’universo intero si domandava con quale diritto essi si erano elevati al di sopra degli altri.
I grandi erano piccoli e i piccoli si scoprivano grandi.
Osservai i Krogan tornare su Tuchanka, i grossi corpi frementi di commozione, gli sguardi fieri, le gobbe erette: avevano salvato la galassia. Di nuovo.
L’uomo che ero aveva temuto la loro rinascita, dubitando della saggezza di coloro che in tempi antichi avevano minacciato tutti i mondi e tutte le genti, ma egli era cieco nella sua ignoranza.
Quando i Razziatori avevano fatto la loro comparsa i Krogan stavano precipitando nel baratro dell’estinzione, incapaci di piegarsi alle leggi della galassia essi ne erano stati schiacciati.
Ciò che Shepard non sapeva è che l’estinzione non tempra solo i corpi, non rende gli individui solo più forti e feroci. Li rende più saggi.
Di fronte alle macerie di quel pianeta, che loro stessi avevano violato, i Krogan si resero conto che la violenza non crea imperi: li distrugge soltanto.
Quando ero umano i Krogan erano solo guerrieri o mercenari, dall’alto dei cieli li vidi diventare costruttori d’imperi.
Mentre Turian e Asari lottavano per riprendere il controllo della Cittadella e ricostruire una galassia uguale a quella distrutta, dove pochi avrebbero avuto il dominio su molti, mentre i Salarian si chiudevano a protezione dei loro mondi in un cieco isolazionismo e gli Umani sprofondavano negli orrori di quelle guerre civili che ne hanno costruito la storia, illuminata da Aralackh, il sole dei guerrieri, Tuchanka tornò a splendere, oasi di cultura, arte, scienza, letteratura in una galassia nera come l’oblio.
E, simili ai tasselli di uno splendido mosaico, altri pianeti cominciarono a brillare, illuminati dalle loro stelle e dalla grandezza di popoli costretti, nei secoli che precedettero la mietitura, ad essere piccoli.
I Quarian ricominciarono a scrivere poesie sulle scogliere di Rannoch, e mentre i Geth compivano meraviglie tecnologiche lavorando fianco a fianco con gli ingegneri Quarian, i pellegrini della galassia imparavano a vivere una vita stanziale, coltivando la terra e costruendo palazzi, riprendendo pacificamente possesso di quel mondo che troppo a lungo avevano guardato da lontano.
Durante la mia vita umana vidi molti mondi bruciare, mai ne avevo visto uno rinascere a nuova vita.
Per questo fermai la mia mano e l’odio lentamente si spense, sostituito da uno stupore sincero che mi spinse a dar loro un’altra possibilità.
Quando i Razziatori tornarono ad oscurare i cieli dei mondi non fu per bruciare ed uccidere, ordinai loro di ricostruire ciò che avevano distrutto e misi a disposizione della galassia, di tutte le specie, le infinite conoscenze di antichi popoli ormai svaniti. Finita la loro opera, nello stesso modo in cui erano arrivati, i Razziatori scomparvero.
Ritornarono nello spazio oscuro e lì li disattivai.
Per milioni di anni l’essenza di antichi ed incomprensibili popoli era rimasta intrappolata tra quei gusci metallici, senza possibilità di scampo.
Shepard aveva scelto l’eternità, ma non era giusto condannare interi popoli allo stesso tormento: dopo ere di agonia finalmente li lasciai liberi di riposare in pace.
Non fu solo la pietà a muovermi, bensì la consapevolezza che quella follia, assiepata alle soglie del mio inconscio, non era stata sconfitta, ma solo respinta.
Un dio folle con un’armata è una forza inarrestabile e oscura, un dio folle senza niente è solo una patetica creatura che guarda i mondi con odio senza poterne decidere le sorti.
Non ho mai rimpianto la scelta di recidere ogni legame col mondo dei mortali.
Per qualche anno, qualche secolo, il mio sguardo è rimasto puntato sulla Via Lattea, ho osservato coloro che lui amava proseguire con lo loro vite ed infine sono rimasto, silenzioso ed inosservato, a vegliare sui loro ultimi momenti trascorsi in questo mondo.
Se ne sono andati, l’uno dopo l’altro, fieri della vita vissuta e delle imprese compiute, li ho accompagnati fino alla fine dei loro giorni per poi lasciarli andare alle soglie di luoghi sconosciuti che non potrò mai visitare.
Negli anni trascorsi a guardar loro le spalle, ho imparato ad amarli come li aveva amati lui ed ora il mio sguardo più non si posa sui mondi spogliati dei miei affetti più cari.
Il tempo è trascorso lento e sempre uguale a stesso, non so da quanto tempo io esisto, i millenni e le ore non hanno differenza per me. So solo che col tempo la mia essenza è mutata, le emozioni mi hanno abbandonato pian piano e quando il mio sguardo ha accompagnato l’ultimo amico alle soglie di universi a me preclusi, ho reciso ogni legame con l’uomo che ero.
Il mio sguardo vaga lungo universi inesplorati, ho visto cose che non possono essere descritte, osservo perché non posso fare altro, ma non m’indigno né piango, non esulto né spero, lascio che le cose vadano come devono andare, senza cercare di capirle né di cambiarle.
Esisto e basta.
Eppure c’è un momento che si ripete a cadenze regolari, nemmeno io so come riesco a ricordare che il ciclo si è compiuto, semplicemente accade.
Ovunque io sia, qualunque cosa stia guardando, quando sento che il tempo è vicino, volgo nuovamente lo sguardo su quella galassia che mi sono lasciato alle spalle, e mi affaccio su quel mondo che un tempo chiamavo “mio”: la Terra.
Tutto è mutato dal tempo in cui facevo parte delle creature che la abitavano, nulla è più come prima e coloro che amavo se ne sono andati da molto molto tempo.
Non importa.
Quando giunge il momento, abbasso lo sguardo sulla Terra e le sue montagne, osservo un piccolo lago scintillante che esiste solo nelle mie memorie, ma lì dove un tempo c’era una casa e una famiglia, lì io volgo il mio sguardo e piango coloro che ho perso.
“Chi sono io?”
Sono un dio che un tempo era un uomo. Sono un dio senza mondi da proteggere o genti da salvare, un dio senza religione né fedeli, senza dogmi o libri di preghiere.
Sono un dio che vive di ricordi ormai dimenticati, senza amici né nemici, senza altro scopo che fare ciò per cui è stato creato: esistere fino alla fine dei tempi.
 
 
 
 
 
 



 
Note
 
E questa è la fine.
Sono orgogliosa di esserci arrivata, non è stato facile concludere questa storia ma complessivamente posso ritenermi soddisfatta. Sicuramente ci saranno errori e contraddizioni, ma in un certo senso è la mia storia (anche se i personaggi non mi appartengono) e ci sono affezionata. Per questo è doloroso decretarne la fine.
 
Ringrazio tutti quelli che mi hanno letta e seguita. Ringrazio meme_97 e NadShepCr85 per il loro sostegno, sia pubblico che privato, e Silentsky e Ultrazzurri07 che hanno inserito questa storia tra le preferite.
 
Ci tengo particolarmente a ringraziare Andromedashepard e Shadow_sea il cui sostegno è stato più che prezioso, direi fondamentale. Come credo di aver già detto questa storia è anche un po’ vostra. Grazie di cuore, davvero.
 
Concludo con una minaccia: ho già una storia in cantiere perciò, mi dispiace, ma continuerò ad infestare questo sito ancora per un po’.
E posso anticipare che, in un certo senso, Alexander, forse, farà ancora la sua comparsa.
 
Beh nel frattempo buone feste a tutti quanti, io ho già addobbato la mia cella imbottita! Non ingozzatevi troppo!
 
A presto!
  
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