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Autore: noelia    19/12/2013    8 recensioni
Dopo la morte dei genitori in un incidente d'auto, la sedicenne Rose Mary Fray è costretta trasferirsi in Indonesia, dai suoi nonni materni. Lì incontra Justin, inizialmente ostile e scorbutico nei suoi confronti, con uno scheletro nell'armadio: è infatti da pochi anni uscito da un riformatorio, accusato di aver ucciso sua madre, Patricia e sua sorella, Juliet. 
Le settimane a Bali passano monotone, finché non si innesca una serie di raccapriccianti eventi. Rapimenti, uccisioni. Ed è proprio in quest'occasione che i demoni del loro passato ritornano a tormentarli.
FAN FICTION SOSPESA A DATA ANCORA DA STABILIRSI.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeremy Bieber, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 17
Parte I
Jeremy? Is it you?



 
Alla fine mi ritrovai a camminare a piedi nudi sul bagnasciuga sabbioso, ormai vuoto e desolato. Avevano ancora tutti troppa paura di uscire di casa, ma io no. Iniziavo a farci l’abitudine.
Nonostante gli innumerevoli eventi successi in quei mesi, il mare restava il mio miglior tranquillante. Mi ci rispecchiavo molto, in quel momento comenon mai. La mia mente era come l’oceano: smisuratamente grande, e orribilmente vuota.
Arrivata ad una palma, mi accasciai ad essa, portandomi le gambe al petto, e meditando baciata dai lievi raggi del tramonto. Chiusi gli occhi, cercando di svuotare la mente, o meglio, quell’oceano, poi, tirai un lungo respiro facendo entrare della fastidiosa aria secca nei miei polmoni.
Dov’è Kim? Mi chiedevo. E il reverendo? Continuavo. E la nonna? Mi torturavo.

Helen era completamente bendata, in modo tale che non potesse nemmeno parlare, perché, se ci provava, rischiava di morire soffocata. Sentiva il sangue scorrere lungo le corde ormai bollenti, che sfregavano ad ogni minimo movimento i suoi vecchi polsi. Lui la stava trascinando per un avambraccio. Non sapeva precisamente chi fosse, non aveva mai visto il suo volto, e l’unica cosa che aveva visto, da quando era tornata da Melanie il giorno prima, era il buio. Per fortuna che non aveva mai sofferto di alcun tipo di problema respiratorio, altrimenti sarebbe sicuramente morta... asfissiata. Nonostante la forza che la caratterizzava, in quelle ore Helen si era lasciata andare, scoppiando in un silenziosissimo pianto. Continuava a chiedersi dove si trovasse, chi l’avesse rapita, e a quale scopo. Poi una parola aveva iniziato a tormentarla: morte. Cominciava a rassegnarsi a ciò che probabilmente Dio le aveva riservato. Sperò solo che la morte che le aveva serbato, fosse indolore, e che accadesse il più in fretta possibile, perché non era in grado di resistere oltre in quella gabbia senza aria.
La sua rassegnazione si attenuò leggermente all’udire di alcune voci. – A.. u.. to.
“Aiuto” tentò di urlare, ma le mancò il respiro, in più, fu colpita in pieno petto facendole mancare l’aria in una maniera insopportabile. Strizzò gli occhi, cercando di resistere al dolore, e di non cedere all’agitazione che in una situazione come quella sarebbe stata letale.
- Una nuova amichetta!- annunciò la voce dell’uomo che – lo sapeva benissimo – l’aveva rapita.
Io lo conosco continuò a ripetersi terrorizzata. Io lo conosco. Io lo conosco. Io lo conosco.
Le ci volle un attimo per collegare.
Come avrebbe potuto dimenticare la sua voce? Come avrebbe potuto dimenticare la nota di amarezza e frustrazione in quel tono? Come avrebbe potuto dimenticare la voce che le toglieva il sonno, ogni notte, quando urlava le peggior cose del mondo contro sua moglie?
Era Jeremy. Era quel Jeremy, ne era sicura.
Mostro urlò nella sua mente, sentendo subito dopo una serie di lacrime ghiacciate scorrere dai suoi occhi stanchi, per poi venire assorbite dal tessuto che le circondava il volto, ormai zuppo.
Jeremy si fermò di scatto, lasciandola barcollare in avanti, dopo averle dato una ginocchiata nella schiena. Ansimò, sentendo che un altro secondo sotto quella benda e se ne sarebbe andata per sempre. Poi però, delle mani gliela sfilarono, facendole finalmente realizzare ciò che stava accadendo.
In un primo momento continuò a vedere nient’altro che nero, pensando addirittura di essere diventata cieca, ma poi, i suoi occhi fecero per abituarsi alla nuova luce, alla luce.
Era alla fine di una caverna, illuminata macabramente da numerose fiaccole, allineate in fila sia a destra che a sinistra. Si guardò poi alle spalle, attirata da una grossa fiamma, e da dei… sussulti di spavento.
- R.. v.. n.. d.. o- ciò che le legava la bocca, le impedì di parlare.
Il reverendo Mayer sgranò gli occhi. – Padre Santo! Helen, sei tu?!- chiese tremante, guardandosi le corde che stringevano saldamente anche i suoi polsi.
Helen guardò poi in un angolo della caverna, in cui il pianto di una bambina aveva iniziato a tuonare. – K.. m!
La piccola Kim alzò i suoi grandi occhioni castani, mostrando lo sguardo più impaurito che Helen avesse mai visto nei suoi settantuno anni di vita. Corse verso di lei, ma Jeremy la bloccò con uno strattone. La scrutò per qualche secondo, quindi, le tolse brutalmente la corda dalla bocca. – Così è più divertente, non credi? Sentirvi urlare, piangere e rassicurarvi a vicenda- sorrise con un ghigno.
Helen ansimò, facendo entrare tutta l’aria che le era mancata in quelle ore, nei suoi polmoni. Si diresse poi barcollante verso la piccola.
- S-Signora H-el-len- balbettò singhiozzando sul petto della donna.
Helen si staccò da Kim, notando un grosso taglio lungo la sua tempia. – Chi ti ha fatto questo?- chiese tremando dalla rabbia.
La bambina guardò inorridita verso Jeremy, confermando la sua tesi.
- Mostro- sussurrò. – Sei un mostro!- esplose balzandosi in piedi e scagliandosi contro l’uomo. Finì però, col ricevere un pugno nello stomaco, che le tolse nuovamente il respiro, e la fece inginocchiare, stremata.
Kim urlò. – Voglio tornare a casa- diceva. – Voglio tornare dalla mamma. Mamma... mam...- si ammutolì quando Jeremy le si avvicinò, puntandole un dito contro. – Dì un’altra parola e stai certa che la mammina la rivedrai all’inferno.
La bambina si sforzò di trattenere in respiro, continuando a piangere in silenzio. – Che ti ho fatto?- domandò improvvisamente all’uomo, indifesa e disperata. – Perché mi tratti così? Io non ti ho fatto niente- continuò.
La sua ingenuità parve toccare il reverendo, ormai con gli occhi lucidi. – Lasciaci andare figliolo. Per l’amor di Dio, lasciaci andare, e nostro Signore avrà pietà di te. Pregherò per te tutte le notti, ma ti supplico...- fece, fermandosi poi quando Jeremy scoppiò in un’angosciante risata. – Siete un trio comico.
- Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga al tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in Terra- il reverendo iniziò a pregare sottovoce, con gli occhi semichiusi.
- Dio non esiste- cantilenò inquietantemente il mostro che si ritrovavano davanti.
-... Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori- continuò in un sussurro il prete.
- Perché, Jeremy?- bisbigliò Helen. – Che razza di mostro sei diventato?- gli domandò, provando in quel momento una pena incommensurabile nei suoi confronti.
Jeremy rise, ancora una volta, dimostrando ogni secondo di più la sua grave insanità mentale e psichica. Helen scosse la testa. – Mi dispiace così tanto…
- Ti dispiace per cosa?- chiese l’uomo estremamente divertito e allo stesso tempo curioso.
- Mi dispiace di come siano andate le cose. Mi dispiace che tu debba condurre questa esistenza… dannata. Mi dispiace per Pattie, Juliet, mi dispiace per Justin, ma più di tutto mi dispiace per te, Jeremy, e per la tua infelicità- disse sprezzante. – Perché sei un uomo infelice, lo sai bene.
Tentò di formulare il meglio possibile la frase, sperando di aver toccato un tasto delicato, ma le speranze della donna si spensero del tutto alla risposta di Jeremy: un’ennesima risata.
Dopodiché, diede le spalle a tutti loro e s’incamminò verso l’uscita della grotta.
- Dove vai?- gli chiesero il reverendo e Helen all’unisono, Kim intanto continuava a piangere.
- A prendervi qualcosa da mangiare- disse guardandoli maniaco. – Che senso avrebbe torturare delle ossa? Non sarebbe più divertente, non trovate?- si lasciò scappare un’ultima risata squilibrata. Poi diede le spalle ai tre, e sparì dietro la grotta con le urla della bambina che rimbombavano agghiaccianti per la foresta.
- Kim, shh- disse dolcemente il reverendo, avvicinandosi alla bambina e accarezzandole i capelli. – Non ti accadrà nulla, Dio non lo permetterà.
- La prego reverendo- intervenne Helen, guardando nel vuoto con le lacrime agli occhi. – Non la illuda. Moriremo se non facciamo qualcosa- sussurrò.
Il reverendo balbettò, ma poi tacque. Rimasero in quella situazione per un tempo che parve infinito: Helen appoggiata al muro, affranta; di fronte a lei la piccola Kim, che non cessava col pianto nemmeno un istante, e ad avvolgerla il reverendo, che iniziava lentamente a rendersi conto di ciò che li aspettava, ma che nonostante ciò continuava a pregare Dio… invano.

Il rumore della sirena della polizia mi fece trasalire, spezzando lo stato di tranquillità in cui ero caduta. Forse stavano continuando le ricerche delle persone scomparse.
Diciamo che non confidavo molto sull’efficienza della polizia dell’isola, che lasciava a desiderare. Come biasimarli? Bali era un paradiso terrestre, e non una carneficina. Rabbrividii a quel pensiero. Ci furono altri pochi istanti di totale silenzio, poi, il mio cellulare squillò. Guardai il display: Aly.
- Sì?- chiesi sconsolata.
- Dove diavolo sei?- urlò dall’altra parte del telefono. – Lo sai che sono facilmente impressionabile- fece una pausa. Sorrisi, notando che la sua reazione era proprio quella di qualche anno fa, quando tutto era… normale, e per un momento, immaginai di ritrovarmi in Georgia, dove l’unica cosa di cui dovevo preoccuparmi era avere un buon rendimento scolastico. – Torna qui, Fred è tornato, vuole vederci- continuò più tranquilla.
No. Non volevo vedere il nonno. Avevo paura dello stato in cui avrei potuto trovarlo; tuttavia, non potevo nemmeno evitarlo fino alla fine dei mie giorni, o finché non avessero trovato la nonna, sempre se l’avessero trovata.
- Arrivo- dissi stanca. Feci per attaccare.
- Rose?- si apprestò a dire Alyssa prima che la chiamata terminasse. – Ti voglio bene. Non dimenticarlo mai.
Sorrisi, premendo il pulsantino rosso e segnando la fine della telefonata.

Bussai il campanello di quella che ormai, avevo iniziato a considerare casa.
Alyssa aprì dopo qualche secondo, come se stesse aspettando solo me.
Mi lanciò un debole sorriso, che ricambiai. – Dov’è il nonno?
- Nel soggiorno. Ci sta aspettando- rispose. – Oh, c’è anche Dan.
Mi avviai verso la stanza in cui il vecchio ci stava aspettando. Mi bloccai alla soglia, quando me lo ritrovai davanti, con gli occhi rossi e il viso pallido. Irriconoscibile.
Alzò lo sguardo su di me, e si schiarì la gola. Dan era al suo fianco, altrettanto scosso.
- Vieni qui, Rosie- disse piano, distrutto. Feci come mi fu ordinato, avvicinandomi a lui, poi, senza riuscire a trattenermi mi buttai tra le sue calde braccia e cominciai a piangere. Lui mi appoggiò la guancia sul capo, e iniziò ad accarezzarmi i capelli, cercando di calmarmi. Sentii anche la mia mano stringersi in quella di Daniel. Provai così tanta gratitudine nei suoi confronti. Ci eravamo affezionati tantissimo l’uno all’altro, lentamente, senza nemmeno accorgercene. Adesso era una specie di fratello, la persona su cui poter contare sempre, la spalla su cui piangere. Mi resi conto di quando gli volessi bene, e strinsi ancora di più la sua mano. 
- Nonno- sussurrai piano alzando leggermente il capo, per prendere aria. – Non ne posso più… i-io ho già perso abbastanza- rigettai la testa sulla sua spalla più disperata di prima.
Lui stranamente mi staccò da sè. – Non parlare di lei come se fosse morta- il suo tono era apprensivo, duro allo stesso tempo. – La polizia sta facendo l’impossibile per scoprire chi l’ha rapita, lei e tutti gli altri. Dobbiamo solo avere pazienza, e fede.
- La polizia…- gli feci eco distrattamente. Più ci pensavo e più realizzavo che se ci fossimo affidati alla polizia sarebbe stato tutto perduto… uno di quei casi di rapimento che si sentono ai notiziari: “Sono passati esattamente vent’anni dalla scomparsa di…”. No! mi rimproverai imponendomi di smetterla di essere così pessimista.
Nonostante ciò, una strana idea continuava a torturarmi. “Devo fare qualcosa. Dobbiamo fare qualcosa… qualcosa di grande. Non posso starmene con le mani in mano, devo agire da sola, o con lui” questo, pensavo nient’altro che a questo, ma non capivo esattamente cosa volesse dire. Che cosa assurda! Erano i miei pensieri e non riuscivo a decifrarli, come se fossi un’estranea capitata per caso nella mente di qualcun altro.
Sentii Alyssa da dietro avvicinarsi. – I bigliettini- sibilò impercettibilmente.
Sì, i bigliettini.
Non potevo continuare un altro secondo tenendomi quel fardello sullo stomaco. Il nonno doveva saperlo, tutti dovevano saperlo, ed io ero stata una tale stupida a non dirlo prima.
- Nonno…- d’un tratto tutto il mio entusiasmo e la mia convinzione sparirono. Adesso avevo paura, paura che il nonno non avrebbe potuto perdonarmi per avergli taciuto una cosa del genere. In fondo, se fossi stata in lui sarei stata la prima non perdonarmi.
- Allora?- mi domandò impaziente, guardandomi negli occhi.
- Ehm, nonno, io…- Devi smetterla Rose Mary. Dillo. Adesso.
Lui muoveva nervosamente la gamba destra. – Non ho tempo da perdere, Rose- si alzò in piedi. – Devo andare a far visita alle famiglie delle altre… vittime- fece un particolare sforzo nel pronunciare quella parola. Poi, mi superò.
- Nonno aspetta- mi girai di scatto bloccandolo per il polso. Lui mi guardò, in attesa che parlassi. – Io… nonno, e se ti dicessi che posseggo qualcosa che potrebbe facilitare le indagini?- riuscii finalmente a dire.
Lui si sciolse dalla mia presa, rimettendosi in modo retto e guardandomi con curiosità. – Continua.
Feci un bel respiro, dandogli le spalle, e poggiando le mano sul tavolo. Non ce la facevo a guardarlo negli occhi. – Settimane fa... quando trovai Melanie sulla porta di casa... beh, nella scatolone c’era un...
- Rose Mary- mi bloccò Daniel mettendomi una mano sul braccio. Scrutai il suo sguardo, e c’era qualcosa che non andava, lo percepivo. Aggrottai le sopracciglia, come a spingerlo a parlare.
- Ho capito Rosie- disse il nonno interrompendo quel momento di “interpretazione visiva” tra noi due. – Ne parliamo stasera, devo andare.
Diede le spalle a tutti noi e in pochi secondi fu fuori dall’abitazione.
- Perché diavolo non mi hai lasciata continuare? Eh?- tuonai contro Daniel, gesticolando furiosamente. Più che con lui, ero arrabbiata con me stessa, e col fatto che non fossi riuscita a dire ciò in cui mi ero cacciata.
- Calmati- mi prese i polsi per aria e delicatamente me li posò lungo il busto. – Prima che venissi mi ha chiamato Justin…
- Oh- sussultai. Justin, Justin, Justin. Era sempre Justin. C’era lui per mezzo, in ogni circostanza, nonostante cercassi di dimenticarlo. – Che cosa vuole?- chiesi stanca.
- Vederti- mi rispose.
- No- dissi secca, con un tono che non ammetteva repliche. – Io non voglio vederlo. Diglielo, va bene?
Dan scosse la testa. – Cos’è successo tra voi due?
Alyssa che si girava nervosamente i pollici tra le dita catturò la mia attenzione, che dopo poco, ritornò su Daniel. – Ah, sai, le solite cose Rosie/Justin- sdrammatizzai, rendendomi conto solo in quel momento che i tira e molla tra noi due andavano avanti da mesi, e, infine, che anche gli altri si erano accorti che tra di noi ci fosse qualcosa. Gli unici a noi volerlo ammettere eravamo, ovviamente, noi.
- Davvero Rosie- Daniel mi prese una mano. – A me puoi dirlo, lo sai.
Guardai Alyssa, che aveva lo sguardo puntato verso le nostre mani. – Ahi!- esclamai quando sentii qualcosa pungermi sui polpastrelli.
Mi guardai le dita sconvolta, poi vidi che anche Daniel si teneva la mano dolorante. – Cos’è successo?- domandai.
Lui sorrise sghembo. – Elettricità. Siamo tutti troppo nervosi.
- Certo- borbottai. – Elettricità- riposai lo sguardo verso Alyssa, che questa volta mi guardava in modo strano. Per un secondo, un’idea altrettanto strana mi balenò in testa. E’ stata lei. E’ stata lei a ferirci. Oh, era così assurdo, e la storia della strega non mi era ancora del tutto chiara, ma su una cosa ero certa: non era l’elettricità; l’elettricità non c’entrava nulla.

- Reverendo- disse Helen all’uomo. – Dobbiamo scappare. Adesso. Prima che torni.
- S-Scappare?- ripeté il prete a voce bassa. – H-Helen, suvvia, abbi un po’ di buon senso. Se resteremo qui… forse ci risparmierà.
- Risparmierà?!- esclamò la donna, pentendosi subito dopo di aver alzato la voce.
Si avvicinò di qualche passo al reverendo, con la mano sinistra stretta in quella di Kim. – Mi ascolti bene- gli puntò un dito contro. – Non possiamo attendere oltre… né ore, né minuti, né secondi. Sprecare un’occasione del genere è come segnare la propria condanna a morte, e per quanto io muoia dalla voglia di incontrare Dio, ci sono ancora troppe cose che non ho fatto in questa vita, ci sono ancora troppe persone con cui ho dei conti in sospeso.
E sua moglie? Pensi a sua moglie.
Sarà a casa, disperata, piangendo fra uno dei suoi indumenti, con la speranza di riabbracciarla che si dissolverà al passare di ogni attimo.
E Kim. E’ solo una bambina, Dio, non ha idea di cosa sia la vita! Non l’ha ancora vista, e non permetterò che non la vedrà mai.
Se c’è anche solo una speranza… una sola, oh reverendo, io la coglierò, per il bene di tutti.
 Il reverendo Mayer, Harold, come lo chiamavano i suoi famigliari, guardava nel vuoto titubante, finché, dopo qualche istante, qualcosa nei suoi occhi scattò. – Hai ragione, Helen.
Lei sorrise appena, e tendendo una mano all’uomo l’aiutò ad alzarsi. – Sapevo avrebbe preso la scelta migliore, Harold.  
Lui sospirò, pulendosi le mani sui pantaloni ormai a pezzi. – Kim, piccola- le accarezzò una guancia. – Adesso cercheremo di andare via. Tu non lasciare mai la mano di Helen, hai capito?
La bambina annuì aggrappata al braccio della donna.
- Jeremy sarà qui a momenti- sussurrò quest’ultima. – Non ho idea di dove ci troviamo, non ho idea di come tornare a casa, ma per il momento l’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è nasconderci nella foresta, trovare il riparo più vicino, e passare la notte lì, almeno fino a domattina.
Harold annuì, ma non ancora del tutto convinto.
Così, il più silenziosamente  possibile camminarono adiacentemente al muro, e quando finalmente furono salvi, quando videro la luce, Helen si accorse che il groppo alla gola era sparito.
Insieme sospirarono.
- Adesso dove andiamo? E se lo incontriamo? In che direzione sarà andato? Dobbiamo nasconderci- disse a voce bassa, ma velocissimamente il reverendo, come un robot. Stava scrutando il luogo. Erano circondati da alberi, alberi, alberi e ancora alberi. Nulla. Non c’era nulla, solo loro e la natura selvaggia, e il crepuscolo era ormai vicino.
Dall’uomo traspariva una fastidiosa agitazione, e lo si capiva dal modo il cui si aggrappava al muro della caverna, e dal nervo che gli pulsava spaventosamente sotto l’occhio destro.
 - Harold- Helen gli prese una mano sperando di calmarlo. – Andiamo verso nord, va bene?- indicò davanti a loro. – La palude mi sembra meno fitta,  e più sicura.
L’uomo scosse il capo in disaccordo. – Chi ci dice che non sia proprio quella la strada che ha preso Jeremy? Sarebbe plausibile, perché, appunto, è meno fitta.
Helen annuì sentendosi una stupida per non averlo intuito prima. – Allora che direzione propone di prendere, reverendo?
- Ovest. Giochiamo d’astuzia. Quando lui si accorgerà che saremo fuggiti, il primo posto il cui andrà a cercare sarà quello opposto da cui è venuto, e sono più che sicuro, che verrà da nord. Così andremo ad ovest. Va bene?
Helen annuì di nuovo. – Andiamo, non c’è tempo da perdere- disse. Lanciò poi un’occhiata furtiva a Kim, che giocava con i sassolini sotto i suoi piccoli piedi, e, dopodiché, si incamminarono diretti ad ovest.





 
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SPAZIO AUTRICE:
Ok, ok, ok. Prendetemi a sberle, maledite me e la mia famiglia, insultatemi e desiderate che io soffra... vi capisco.
Mi dispiace immensamente per quest'assenza. Il fatto è che non saprei nemmeno come giustificarla... come dire? Ultimamente mi è un po' passata la voglia di scrivere, e di svolgere qualsiasi altra attavità mi sia mai piaciuta fare. Non ho idea del perché, ma può capitare, no? Be', diciamo che adesso non abbia proprio l'entusiasmo di qualche mese fa, ma ho aggiornato solo per voi, perché riflettendoci, è ingiusto che per un mio capriccio debba voltarvi le spalle in questo modo. Vi voglio bene, e mi sono affezionata a tutti voi, e non meritate di essere trascurati dopo tutte le attenzioni che mi sono state rivolte in questi mesi, dunque, sappiate che questo capitolo è stato scritto solo ed esclusivamente per voi. Spero di non avervi deluso, ho fatto del mio meglio, davvero. Spero, inoltre, che non mi abbiata abbandonata (anche se lo meriterei), e che non vi siate dimenticati di me... Non so nemmeno che dirvi, oltre che un ennesimo "mi dispiace". 


Vi voglio bene,
come sempre, Aly.♥
   
 
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