Quarto
Capitolo:
Υψηλή παλίρροια
Un
soldato armato solamente con un paio di spade leggere, a cavallo di un possente
ghepardo corazzato, spronò la bestia affinché corresse più veloce, seppur
ferita ad una zampa. Gli erano alle calcagna due Giganti che superavano
entrambi i dieci metri di altezza.
Il
ragazzo si chinò sul corpo dell’animale, come per avere una maggiore
aerodinamicità, mentre la voce di una donna dava l’ordine agli arcieri di
intervenire. Una pioggia di frecce gli venne allora in aiuto, oscurando il sole
e penetrando nei bulbi oculari dei mostri, seguita da una miriade di granate che
maciullò i loro piedi, per permettere in tal modo ad un gruppo di quattro uomini dalle
corazze nere come la notte di intervenire.
Ma
ecco che tre abomini spuntarono dalla boscaglia e, sorprendendo il giovane che
non si aspettava un attacco laterale, gli si gettarono addosso e per poco non
riuscirono a prenderlo.
Fu
in quel momento in cui il fanciullo di appena quattordici anni capì che non
avrebbe più rivisto i propri cari, che non avrebbe più assaporato le labbra
della propria promessa sposa, che sarebbe morto come i suoi amici prima di lui.
Inutilmente
incitò piangendo il felide a correre, la mano di un Gigante era ormai prossima
ad afferrargli il bacino. Non c’era più nemmeno il tempo di una preghiera,
anche perché nessuna delle divinità lo avrebbe assistito in un momento così
cupo.
Al
contrario delle sue aspettative però l’arto non riuscì a raggiungerlo, perché
la creatura fu abbattuta prima da un sol colpo di spada e lo stesso destino di
morte pervenne anche sulle altre due.
Una
ragazza dai lunghissimi capelli castani piroettava in aria con una tale grazia
da sembrar la reincarnazione di una dea dei venti. La sua lucente corazza
brillava alla luce del sole, l’aria di morte muoveva l’impetuoso mantello scarlatto,
mentre lei, posta sulla spalla del cadente nemico, si preparava per lo slancio
che le avrebbe permesso di raggiungere anche il secondo e il terzo abominio.
Come
una trottola, fendette il collo dei mostri e atterrò saldamente sul terreno con
la grazia di un felino, lanciando in seguito ordini alla squadra degli Equites,
i quali si diressero immediatamente in prima linea verso i Giganti stesi a
terra a causa delle ferite alle caviglie.
<<
Grazie, Comandante Thàlassa>> disse lui, avvicinandosi un poco <<
Avete messo a repentaglio la vostra vita per la mia...>>
<<
La mia vita...>> gli rispose il comandante, sistemandosi la gonna borchiata
in pelle, simile a quella che i gladiatori indossavano nelle arene << La
mia vita non è più importante della tua o di qualsiasi altro soldato. Ora vai
dai medici e fatti curare la ferita al braccio. Non vorrai certo morire per
un’infezione, vero?>>
<<
Grazie ancora>> mormorò il ragazzo, mentre guardava il proprio superiore
salire in groppa ad una possente tigre bianca corazzata e dirigersi insieme
agli altri soldati contro i Giganti.
Davanti
al pericolo.
Faccia
a faccia con la morte.
Foresta
non distante dal quartier generale in disuso, ottobre, 851
Levi si svegliò,
meravigliandosi e maledicendosi di essersi addormentato. Si alzò da terra,
ripulendosi schifato i pantaloni dalle foglie e dal fango, poi guardò tutt’attorno.
Una nota calma imperava: riusciva a sentire il cinguettio degli uccelli, lo
scorrere di un piccolo torrente, persino il verso di alcuni animali, ma non la
voce di Lachesi.
Doveva essersi
destata dal sonno prima di lui, visto che non c’era alcuna traccia della
giovane.
Gli occhi del
Caporale Maggiore diventarono talmente cupi da spaventare persino una coppia di
volatili che si erano appollaiati su un ramo poco distante.
Era palese che lo
aveva abbandonato per fuggire chissà dove, seguendo un’idea bislacca di
libertà. E per questo provò un infinito fastidio, forse ancora più intenso di
quel che sentiva quando vedeva dello sporco o del disordine.
Gli aveva causato
rogne fin da subito, soprattutto perché non poteva nemmeno trattarla come aveva
fatto in precedenza con Eren. I loro livelli riguardo la forza fisica quasi si corrispondevano,
quindi anche quando si era trovato infinitamente tentato a farle sputare
sangue, sapeva già che per farla penare, avrebbe dovuto penare lui stesso. Però
doveva riconoscerle l’incredibile disciplina, infatti seppur ogni tanto lo
istigasse, era consapevole riguardo chi comandava e a suo modo gli portava
rispetto. Un rispetto diverso da quello di molti altri soldati, perché il suo
era sentito, anche se si trovava in un luogo completamente estraneo.
Erano quei lati
del carattere talmente in contrasto da risultare incompatibili a innervosirlo.
Levi si era trovato spesso a trattare con casi umani, ma raramente erano
così...
Non sapeva nemmeno
come catalogarla: non era stupida, anzi, era fin troppo intelligente, un
intuito alquanto pericoloso se sposato con anni di tattiche belliche; tuttavia
non era nemmeno casinista, perché sapeva rimanere al proprio posto e al
contempo spingere l’avversario al limite della sopportazione in modo pacifico.
Non era altro che una
croce e per il Caporale il solo fatto di averla persa significava solo un peso in
meno. O forse nemmeno questo, perché essendo una sua responsabilità, Erwin non avrebbe
di certo accettato di buon grado la notizia della fuga.
Mentre ponderava su
quella momentanea libertà, ritrovò Lachesi poco distante, seduta affianco ad un
piccolo fuocherello precario su cui stava cucinando della carne. L’averla
ritrovata però gli causò solo un insolito conforto, come per un padre riunirsi
con i figli dopo un tragico evento.
<< Ohi>>
disse cupamente << Che cazzo pensavi di fare? Ti ho detto di non
allontanarti>>
<<
Buongiorno Caporale, felice di vederla così allegro già di prima
mattina>> brontolò lei, porgendogli uno spiedo su cui c’era la carne
coperta da una strana crosticina dorata << Ho preparato la
colazione>>
<<
Cos’è?>>
<< Un
leprotto insaporito con un po’ di miele e qualche erba speziata che ho
trovato>>
<< Sai
cucinare?>> domandò dubbioso, osservando il cibo come il proprio peggiore
nemico.
<< Certo, dopotutto
sono una donna. Perché questa domanda?>>
<< Sei
l’essere più lontano dal concetto di casalinga che io co...>> pensò a
Hanji Zoe, una caposquadra dal carattere molto particolare, allora non tardò a
correggersi << una degli esseri>>
<< Beh,
sicuramente non sono nata per vivere facendo la massaia, però come ogni ragazza
ho dovuto apprendere i concetti base per essere una moglie decente. Uno di
questi è la cucina>>
Dopo un momento di
sguardi reciproci la bestia cotta e il Caporale Maggiore, questo virò d’un
tratto l’occhiata atona sulla ragazza.
<< Come hai
pulito lo spiedo?>>
<< C’ho
scatarrato sopra, va bene?>> scherzò lei, seppur fosse visibilmente
innervosita << Ma che razza di domande sono? Ho lavato le spade nel fiume
prima di tagliare la carne e di affilare il bastoncino>>
Solo dopo essersi
accertato dell’igiene, Levi si decise a mangiare, anche se non si fidava per
niente della cuoca. Rimase un momento a masticare, degustando ogni sapore, fino
a deglutire.
Non diede la
soddisfazione alla giovane di ricevere un commento positivo, si limitò a masticare
in muto silenzio. L’ex comandante però fu visibilmente felice della riuscita
del piatto, tanto che si concesse di sedersi nuovamente al suo fianco.
E il Caporale
Maggiore, ignorandola, le diede nuovamente il permesso.
Foresta
non distante dal quartier generale in disuso, ottobre, 851
<< Dovete
sapere che in questo modo abbiamo fatto un importante passo avanti, scoprendo
la cura per questa malattia...>> disse Elizabeth, mentre saltava da un
ramo all’altro con una spiccata abilità nell’utilizzo dell’equipaggiamento
speciale.
Eren si domandò
come facessero le persone a parlare per cinque, sei, sette ore interrottamente
sullo stesso argomento. Persino nel sonno, costringendolo così ad ascoltare alcune
teorie scientifiche anche durante le ore notturne dedicate ad un ipotetico
riposo.
Stimava Wilde per
riuscire a mantenere quello sguardo fermo per tutto tempo, seppur fosse
spettato a lui il turno di guardia. Procedeva in un modo così sciolto, fresco e
per niente esasperato dall’eterno discorso della dottoressa che il giovane
iniziò ad ammirarlo proprio per questa sua forza.
<<
Wilde>> mormorò, ma non ricevette alcuna risposta.
Pensò che non avesse
sentito a causa del rumore dei dispositivi per la manovra tridimensionale, così
riprovò più volte, ottenendo però lo stesso risultato. Allora tentò di
avvicinarsi per picchiettargli la spalla, però appena lo toccò, l’albino fece
un guizzo pari ad un pesce di fiume, incespicò e piombò giù dall’albero,
finendo a gambe all’aria. Lanciò una sonora bestemmia, seguita poi da altre
colorate imprecazioni.
<< Porco di
un dannatissimo gigante di merda, chi cazzo è che mi ha svegliato?>>
ringhiò, rialzandosi e ripulendosi i pantaloni.
<< Stavi
dormendo?>> domandò incredulo Eren, non riuscendo a comprendere come
facesse un uomo a compiere movimenti così perfetti da sonnambulo.
<< Ma porco
cane! Ma che cazzo avete tutti da rompere i coglioni? Ma vaffanculo va’,
stronzi di merda! Mai visti spaccacoglioni simili...>>
<< Eren, non
preoccuparti, questa è la fase incazzata. Tra un po’ dovrebbe finire e svegliarsi
completamente>> spiegò la dottoressa << Non è contro di te, in
questo momento è contro il mondo>>
<< Ma quindi
è lui il fantasma che vaga di notte sparando a chi esce dal castello?>>
<< Esatto.
Il problema è che ha una mira infallibile, soprattutto nel centrare i glutei nel
caso di ragazze o organi genitali nel caso di ragazzi. Per questo abbiamo
munito Levi ed Erwin di padella, visto che neppure legarlo al letto sembra dare
alcun risultato. In compenso però ho affinato le mie capacità di castrare gli
uomini, perché devi sapere che si deve essere molto precisi, soprattutto quando
il proiettile si conficca nel...>> seguì una dettagliatissima lezione,
talmente accurata che fece riflettere Eren su quante persone avesse eseguito
tali e ben altre operazioni.
Quest’ultimo provò
anche un po’ di inquietudine quando la donna, cingendogli un braccio intorno
alla spalla in una presa ferrea, gli disse bonariamente che se avesse avuto
bisogno di simili interventi, lei sarebbe stata più che felice di eseguirli.
<< Oh, staresti
così bene da donna. Ti immagini? Una bellissima ragazza con almeno una terza di
reggiseno e capelli lunghi fino alle spalle... dio quanto saresti graziosa! Tutta
da mangiare! Eren, ho deciso: tu da domani diventi donna>>
<< Ma... io
a dir la verità sono felice così...>> mormorò il giovane.
<< Vuoi
mettere la bellezza di essere donne? Cioè, so che un maschilista come te non
può capire, ma... insomma... e poi diciamolo, tra te e una donna la differenza
e minima. Solo una cosa ti separa dalla felicità terrena, ricordalo>>
detto ciò la dottoressa gli toccò alquanto indiscretamente il cavallo del
pantaloni, prima di spronare il gruppo ad aumentare il ritmo di corsa.
Eren prima di
allora non aveva mai avuto l’occasione di vedere realmente la dottoressa, perché
quando lei si trovava con i superiori diventava molto più mite, tanto che si
era guadagnata il soprannome Iron Maiden
proprio per la sua intransigenza e terribile serietà. La vera Elizabeth però era ben diversa, più pazza, più conforme
all’ambiente della Legione Esplorativa, sempre con un sorriso stampato sul
viso.
E il ragazzo
preferiva quest’ultima versione, piuttosto che la prima, seppur certi argomenti
cui lei trattava senza peli sulla lingua riuscissero a metterlo a disagio.
<< Ragazzi,
ricordatevi il nostro motto: più bassi di centosessantun centimetri cattivo,
più alti di centosessantun centimetri buono>>
<<
Elizabeth, ma tu non superi nemmeno il metro e cinquanta>> brontolò
amaramente Wilde.
<< Un metro
e cinquantaquattro centimetri, prego. E poi io indosso i tacchi a spillo che mi
donano dodici centimetri in più. Quindi un metro e sessantasei>>
<< Sarebbe
da darti una medaglia solo perché riesci a combattere, correre e saltare con
quei strumenti di tortura>>
Wilde si girò
bruscamente dopo aver sentito un ramoscello spezzarsi e per un istante notò una
figura nascosta tra la boscaglia, troppo distante per riuscire ad identificarla.
Fece scivolare la
mano sulla pistola appesa alla cinta, ma alla fine desistette al desiderio di
perforare il cranio di quello che li stava pedinando, preferendo proseguire la
marcia.
Foresta
non distante dal quartier generale in disuso, ottobre, 851
Lachesi procedeva
in silenzio a piedi, al fianco di Levi, il quale era a cavallo. Era stata lei a
non voler cavalcare assieme al Caporale Maggiore, principalmente per evitare
inutili litigi.
Sentiva ancora di
tanto in tanto qualche fitta proveniente dalla gamba ferita. Di norma anche il
taglio più profondo si cicatrizzava nel giro di una decina di minuti, mai oltre
i dieci. Figurarsi dopo un giorno.
Decise di non
avvertire il Caporale di questo fatto e di continuare come se niente fosse,
camuffando il dolore con un’espressione più mite mentre raccontava le vicende
di alcune battaglie passate. E anche se erano un po’ romanzate, parvero
attirare l’attenzione dell’uomo, il quale l’ascoltava interessato, seppur
mantenesse comunque la propria aria distaccata.
<< A quel
punto intervenne la squadra degli assassini, che con la spiccata velocità
riuscì ad abbattere gli elefanti nemici. Ti immagini? Enormi animali, grandi
quasi quanto dei Giganti, con lunghe zanne e grandi orecchie! Quando li abbiamo
visti la prima volta eravamo rimasti un po’ spiazzati>>
<< Avete
animali bizzarri...>> commentò il Caporale con voce atona, non riuscendo
ad immaginare l’animale appena citato.
<< E voi
attrezzature infernali>> brontolò lei, sfiorandosi il fondoschiena, il
quale aveva ammortito dolorosamente diverse cadute << Comunque gli
Elefanti non sono nostri, ma di una tribù proveniente dall’estremo oriente, al
di là delle altissime montagne. Sono uomini anche più bassi di te, sai?>>
lo schernì poi, causando un incupimento del viso del suo superiore.
<< Quando
torneremo, ti farò pulire per intero il castello>>
<< Grazie
Caporale, lei è troppo gentile>>
Qualcosa smosse la
boscaglia. Non era il vento, bensì qualcosa di corporeo, poiché entrambi
notarono una figura che si avvicinava a grandi passi.
Lachesi estrasse
due spade e si preparò al combattimento, così come Levi scese dal cavallo e
attese con le armi alla mano. Aspettarono con nervi saldi, con gli occhi fissi
nel buio, dove una sagoma stava per sorgere e attaccarli.
Il rumore si fece
sempre più vicino, i rami spezzati erano sempre più frequenti. Tutti e due
ipotizzarono che si trattasse di una bestia, un predatore inesperto che avrebbe
concluso la propria vita tagliato dalle lame dell’attrezzatura speciale.
Sempre più vicino.
Si riusciva ad udire il respiro accelerato.
Ora si poteva
distinguere un corpo umano, dove spiccava un bagliore dorato piuttosto
animalesco.
Il Caporale
Maggiore non fu abbastanza lesto a frenare l’essere, poiché questo aveva
spiccato un fulmineo balzo verso Thàlassa, stringendola in una morsa degna del
migliore serpente.
<< Lachesi!
Piccola! Pensavamo che fossi stata sverginata!>> singhiozzò Elizabeth, avvinghiando
la ragazza sempre di più << Non ti ha stuprato, vero? Altrimenti lo
abbasso di venti centimetri>>
<<
Buongiorno, Dottoressa>> disse l’uomo con voce cupa, a tratti anche innervosita.
<<
Buongiorno, nano>> ricambiò la donna, lasciando l’ex generale <<
Che le hai fatto.>>
<<
Niente>>
<< Non mi
fido... ti tengo d’occhio>> poi lei ritornò a guardare Lachesi <<
Amore, guarda che faccia deturpata dallo sporco. Racconta a mamma, che cosa ti
ha fatto? Lo sappiamo entrambe che è un nano approfittatore>>
<<
Nulla...>> mormorò disorientata la giovane.
<< Non devi
proteggerlo!>> la scosse allora la scienziata << Fammi vedere se ti
ha procurato ferite>> aggiunse poi, tentando di abbassare i pantaloni di
Thàlassa, ma quest’ultima si oppose e si allontanò con il volto color rubino
acceso.
<< Lo
sapevo! Brutto nano porco, non posso lasciarti due minuti che già me la
deturpi?>>
<<
Buongiorno, boss!>> salutò allegro Wilde, che si era ripreso dal brusco
risveglio, seguito poi da Eren.
Levi non rispose a
nessuno, anzi sospirò seccato, montando in groppa al cavallo.
Grazie a loro
aveva smesso di pensare che esistesse qualcosa di impossibile, che si trattasse
di una battaglia, di un ragionamento o di una situazione di vita quotidiana.
Perché se esistevano persone così estroverse, talmente particolari da poter
causare il suicidio di qualsiasi psichiatra, nulla poteva reputarsi
infattibile.
Era una squadra
completamente differente dalla precedente, caduta durante una terribile
spedizione. Spesso lo stesso Caporale Maggiore si era domandato se sarebbe stato
in grado di guidarli. E più rifletteva, più osservava i loro comportamenti e
più giungeva verso una risposta negativa, non riuscendo a capire il
motivo per cui Erwin avesse insistito a inserire nello stesso gruppo elementi
così differenti e così in disaccordo.
Era solo un totale
suicidio. Era questione di tempo.
Nome capitolo:
Alta Marea.
Ok, volevo parlare
di questo capitolo prima di presentare il “personaggio del giorno”. Lo so che forse
è stato troppo demenziale, ma volevo creare questo trampolino prima del
doloroso pugno nello stomaco che prima o poi arriverà. Perché arriverà. Molto presto.
Inoltre volevo
anche presentare al meglio la squadra, in un modo anche ironico,
perché
dopotutto non è un gruppo comune e del tutto sano di mente.
Anzi, alquanto problematico, soprattutto per me che devo far
rinconciliare il tutto e cambio idea ogni tre secondi.
Sto facendo una
fatica assurda con gli anni, perché solo adesso ho
trovato un leggero problema, visto che un padre di venticinque anni non
può avere un figlio di venti (e il bello che me ne accorgo dopo
millanta anni =.=).
Detto ciò, oggi
parliamo di Oscar Wilde.
Il nome è un
chiaro tributo allo scrittore Oscar Wilde (e qua ci starebbe un “ma dai?”).
È un personaggio
per me molto difficile, poiché ammetto di non aver delineato ancora bene il
carattere, anche se la sua storia l’ho ben chiara in testa.
Di lui, per
evitare eventuali spoiler visto che è un personaggio che si scopre poco a poco,
dico soltanto di prestare attenzione al fuoco, che è molto importante. E che è
un falso albino, ovvero non è totalmente privo di melanina, perché... appunto
non è albino. Ha i capelli bianchi e gli occhi rossi a causa di un effetto
delle iniezioni che ha subito da moooolto piccolo.
Nome: Oscar
Cognome: Wilde
Soprannome: Albino
Età: 20 anni
Altezza: 189 cm
Peso: 78 kg
Colore capelli: Bianchi
Occhi: Rossi
Cibo preferito: predilige
la carne, in particolare quella al sangue. Altrimenti mangia volentieri anche i
Mochi che gli prepara Lachesi.
Ama: disegnare, scrivere,
le donne, le proprie armi da fuoco...
Odia: Pólemos e Agápe
Mal
sopporta: dopo il capitolo 5, Erwin e Elizabeth
Prova
interesse per: Mikasa