Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: callistas    20/12/2013    11 recensioni
Ciao!
Eccomi tornata come promesso a postare il primo capitolo di una nuova storia con gli immancabili Draco e Hermione.
Draco è il titolare di Hermione, la quale lavora presso di lui come centralinista. Grazie a una piccola diatriba con la fidanzata di Draco - leggete e saprete fin dal primo capitolo chi è - per Hermione inizia un calvario senza fine, fatto di dispetti e punizioni immeritate.
Spero vogliate darmi ancora l'occasione di sapere cosa ne pensate.
Vi aspetto numerosi!
Un bacio,
callistas
P.S.: La magia non c'è.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
18 - Scontro finale Ultimo capitolo.
E poi dite che non vi voglio bene!

Nei precedenti non ho lasciato detto niente nel mio calli-corner, ma lo farò sicuramente in questo, anche perché vi devo lasciare lo spoiler per il prossimo capitolo che arriverà puntualmente venerdì 10 Gennaio.
A questo proposito… spero che arrivi il 10 di Gennaio, ma se proprio il mio titolare volesse concedere a noi poveri comuni mortali altre ferie, aggiornerò naturalmente il lunedì successivo.
Si tratta solo di due giorni, anche se ritengo più probabile rientrare al lavoro già martedì 07…

Comunque sia, vi lascio al capitolo e ci vediamo sotto!
callistas









E se per Draco e Hermione la vicenda si stava per avviare verso la fine, quella tra John e Laney era conclusa già da un pezzo.

Laney non ne voleva sapere, ma John aveva volutamente saltato il lavoro il pomeriggio per stare con lei e aveva chiamato il suo medico per prescrivere qualcosa per l’influenza.
Alla fine il dottore, dopo tutte le sue domande per capire quale farmaco facesse più al caso della signorina Miller, aveva solo prescritto un semplice antibiotico e tanta spremuta di arance.
La causa dell’influenza di Laney non era stata né un colpo di freddo né uno sbalzo di temperatura ambientale: era solo tensione che il corpo non era riuscito a scaricare normalmente e che aveva dovuto buttar fuori con la febbre.

Laney aveva capito subito a cosa fosse stata dovuta quella tensione: la situazione con John l’aveva provata più di quanto avesse pensato ma ora sembrava andare bene.
Già nel tardo pomeriggio, dopo che John le aveva sorretto la testa e aiutata a lavarsi il volto con acqua fresca, la temperatura era scesa di due gradi, ma ciò non significava che la donna potesse strapazzarsi.
L’aveva rimessa a letto e poi si era coricato con lei.

“Se devi andare vai…”
“Oggi sei proprio intenzionata a mandarmi via, eh?” – disse l’altro, divertito.
“Stupido…” – sorrise lei.
Tentò di alzarsi, ma l’uomo la trattenne a letto.
“Dove pensi di andare?”
“In cucina. Ho sete.” – spiegò.
“Ferma, ci vado io.”
“Ma no non…”
John era già sparito.
“… serve.” – concluse Laney la frase da sola.
Qualche istante dopo John riapparve con un bicchiere di acqua fresca in mano.
“Grazie…”
Era leggermente in imbarazzo per tutte quelle premure alle quali non era mai stata abituata. Sorseggiò in silenzio l’acqua con John che continuava a fissarla.
“Che c’è?” – chiese lei.
“C’è che sei bella.” – disse lui, con disarmante semplicità.
Laney, infatti, ormai abituata a complimenti ben più altisonanti e che palesavano la voglia del partner di turno di possedere il suo corpo, arrossì di botto di fronte a quella frase.
Nessuno gliel’aveva mai detto.
“Ma smettila…”
“E’ vero.” – rimarcò l’altro.
“John, senti…” – disse Laney, accomodandosi contro la testiera del letto. – “… io non voglio che questa… cosa…” – sperò di non averlo offeso. – “… influisca sul lavoro.”
“Lo so.” – disse lui.

Questo fu una riprova che Laney era una persona fidata, che non avrebbe mai approfittato del fatto che stessero insieme per arrogarsi diritti non suoi.
Stare insieme… non avrebbe mai creduto possibile che potesse innamorarsi di nuovo e della sua segretaria, per giunta! Forse, a farlo capitolare, era stato il suo modo pratico di vedere la vita, nessun romanticismo, mentalità aperta a trecentosessanta gradi, voglia di sperimentare cose nuove, ma soprattutto… la sua carica erotica.
Un paio di volte, sul lavoro, l’aveva chiamata nel suo ufficio per una pausa relax e in entrambi i casi si era negata non perché non volesse, ma perché erano sul posto di lavoro e lei voleva essere efficiente su tutti i fronti.
Recuperavano ampiamente a casa…
Forse la sua era stata voglia di conquista perché si sa che più un obiettivo diventa irraggiungibile, più ci si impunta per realizzarlo ma più la conosceva e più qualcosa in lui cresceva piano.
Con Laney vicino si sentiva inspiegabilmente forte. Sul lavoro e anche nel privato avevano un’intesa perfetta, frutto anche degli anni di lavoro insieme e del fatto che, all’epoca della stipula di quello strano patto, entrambi cercassero solo un po’ di divertimento.

“Quindi stavo pensando di trovarmene un altro.” – concluse lei.
John sbarrò gli occhi.
“E’ fuori discussione, no!” – esclamò, alzandosi in piedi.
Ma come le venivano in mente certe idee? Che la febbre le avesse davvero fritto il cervello?
“E’ l’unica soluzione e lo sai.” – disse lei, calma.
“Assolutamente no! Dove la trovo io una tua sostituta? Dovrei insegnarle tutto d’accapo e onestamente non mi va.”
Laney sospirò.
“John, guarda in faccia la realtà. Alla fine sarei la segretaria che è riuscita ad accalappiare il capo e sapere di avere al lavoro tre quarti di azienda che mi sparla alle spalle, perdonami, non è il massimo delle mie aspirazioni.”
“E io dovrei rinunciare a te per dei pettegolezzi? Ma soprattutto tu… ti faresti condizionare da essi? Sbaglio o sei sempre stata superiore a queste cose?”

Aveva ragione John.
Non aveva mai spettegolato sui suoi colleghi e quando gli altri cercavano di coinvolgerla, rivolgeva loro occhiate talmente raggelanti che non le veniva rivolta la parola per giorni.
“Pensi che ne usciremo vivi?”
Colta la palla al balzo, John tornò seduto accanto a lei.
“Insieme, sì.”
Di nuovo quella parola: insieme.
Laney sorrise.
Non suonava poi tanto male…









Una volta a casa, Draco prese Hermione per la vita e la baciò.
“Grazie per stasera.” – sussurrò lui a fior di labbra.
Era stato molto importante per Draco che Hermione avesse accettato quell’invito a cena.
Hermione gli sorrise complice.
“Prego.”
Aveva capito che per Draco sarebbe stato importante fermarsi con loro il più possibile e lei non se l’era sentita di negargli quella gioia.
“Hai conosciuto ufficialmente la mia famiglia.” – la prese in giro lui.
“E loro hanno conosciuto ufficialmente me.” – lo rintuzzò.
Draco rise.
“Sai, a volte quando ci penso, ancora mi sembra strana tutta questa situazione.” – disse Draco.
“Che situazione?” – chiese lei, perplessa.
“Io, tu… noi…”
“Dici che siamo strani?” – chiese lei, divertita.
“Abbastanza. Io ti ho trattata male e…”
Hermione si alzò sulle punte, gli avvolse le braccia attorno al collo e gli diede un bacio.
“Tu mi hai insegnato a non fissarmi sul passato. Non commettere il mio stesso errore. Se non ti avessi aiutato, forse tu saresti morto sotto quelle rovine o forse saresti sopravvissuto, ma non avresti capito aspetti della vita che ti erano preclusi, non avresti parlato con i tuoi genitori e… e non saremmo qui, adesso.”
Lei aveva ragione.

Come sempre, dopotutto.

“Coraggio, andiamo a letto.” – disse lei.
“E’ una profferta la tua?”
Hermione sbarrò gli occhi e arrossì.
“Pervertito!”
Draco la baciò e la condusse in camera.

Non fecero l’amore quella sera, perché entrambi erano concentrati su ciò che si sarebbe svolto il giorno dopo.
Era la resa dei conti.









Venerdì era arrivato e con esso la fatidica “prova del nove”.
Draco si sarebbe finalmente accertato se le sue strategie avevano funzionato. Aveva molto dubitato di se stesso in quei mesi, perché temeva che il suo spirito di manager e il suo sesto senso fossero scomparsi. Questo timore giungeva a fronte alle scelte sbagliate che aveva effettuato per i propri collaboratori personali.
Bene. Avrebbe avuto la conferma o la smentita di ciò.

Hermione, invece, non vedeva l’ora di apparire al fianco di Draco alla Nott Home e beccare La Troia e il Fenomeno da Baraccone, alias Nott, a giocare ai direttori, per poi tirarli giù da quel posto che avevano usurpato per rimetterci il legittimo erede al trono.
Faceva molto favoletta, ma alla fine era questo che sarebbe successo.


“Vedo che almeno uno di noi due è tranquillo…” – borbottò Draco, mentre bestemmiava per fare il nodo alla cravatta.
Hermione rise e andò da lui.
“Nervoso?”
“Terrorizzato.” – disse lui, stupendola.
“Perché?” – chiese seria mentre, concentrata, tentava di fare il nodo alla sua cravatta.
“E se va male? Se non avessimo tenuto in conto la reale situazione? E se come hai detto tu, le informazioni di David si fossero rivelate sbagliate?”
“In questo caso tu non riusciresti a fermarmi dall’ucciderlo.” – disse Hermione, mentre sistemava la cravatta di Draco. – “Ecco fatto. Allora, chiariamo un paio di punti: per quanto mi secchi ammetterlo, le informazioni di David erano tutte corrette.”
Draco sbuffò.
“Secondo: le tue capacità manageriali non sono scomparse, ci sono e quando le hai tirate fuori, si sono viste ampiamente e terzo… non dubitare mai di te stesso.” – disse, guardandolo negli occhi. – “Il posto dove andremo ora sarà pieno di enormi, titaniche, monolitiche teste di cazzo.
Draco rise istericamente.
“Non credo debba essere io a dirti come devi comportarti ma una cosa me la sento di dirtela.”
“Quale?” – chiese curioso.
“Ti amo.” – disse lei.

Il silenzio che scese avvolse entrambi.
Hermione si era scoperta parecchio in quel momento. Non glielo aveva detto per sentirselo dire a sua volta, ma solo perché sapesse che lei sarebbe stata lì: mente, anima, corpo e soprattutto cuore.

“Ti amo anch’io.” – disse Draco, serio, appoggiando la fronte alla sua.
Ogni sua paura era scomparsa di fronte a quell’aperta dichiarazione. La sua forza era Hermione, tutto il resto erano puttanate.
La vide sorridere, segno che aveva gradito le sue parole.
“Appurato che ci amiamo a vicenda…” – disse lei con la sua solita vena ironica. – “… credo si possa andare.”
Indossarono i soprabiti e poi si diressero alla Nott Home.




Un tempo, entrare alla Malfoy Home significava rendersi conto che la vita, al di fuori delle sue mura, non poteva chiamarsi vita.
Entrare alla Malfoy Home significava entrare in un mondo onirico, etereo.
Entrare alla Malfoy Home significava entrare nella Perfezione Assoluta.

Quando Hermione e Draco aprirono la porta – Hermione pensò che se tutto sarebbe andato come da programma, avrebbe fatto mettere una porta automatica – entrarono nel cesso dell’inferno.

La prima cosa che notarono fu l’assenza della centralinista.

E le chiamate dove vanno a finire?

Successivamente, lo sguardo si spostò sull’immenso atrio.
Sul soffitto si intravedevano lunghe ragnatele, che assomigliavano più a delle tende, che nessuno aveva mai provveduto a tirar via; i divanetti e i tavolini, grazie all’occhio clinico di Hermione, erano ricoperti di polvere, un tavolino era addirittura incrinato ma sistemato in modo tale che la crepa non si vedesse più di tanto. Le piante creavano una natura morta che ricordava tanto quei quadri, dove l’autore dipingeva la desolazione umana ma ciò che sconvolse di più Draco furono i pesci morti nell’acquario.

Erano lì da quando suo padre Lucius aveva preso le redini dell’azienda e li aveva messi lì per dare un tocco di colore a tutto quel bianco che ora non era più tale. Giacevano immobili, sulla superficie dell’acqua, attorniati da mille mosche che, come avvoltoi, stavano banchettando con ciò che ne rimaneva.
L’acqua era verdastra, segno che l’acquario non veniva ripulito da chissà quanto tempo.

Guardò Hermione con il dolore negli occhi e lei si limitò a sorridegli tristemente ma con la solenne promessa che chi aveva creato tutto quel disastro, ne avrebbe pagato le conseguenze.
“E io ho permesso che tutto questo accadesse…” – mormorò desolato Draco.
“Ehi, frena queste stronzate.” – lo redarguì Hermione. – “Tu avevi fiducia in quelle persone ma sei ancora in tempo per rimediare. Io sono qui con te.” – gli ricordò.
Draco serrò le labbra e annuì. Sperò con tutto se stesso di aver fatto bene i conti.
“Hai ragione. Andiamo.”
Mentre passava in mezzo a quella “città fantasma”, ogni pensiero negativo di Draco era diventato un urlo di vendetta. Nott non l’avrebbe passata liscia e avrebbe pagato per lo sfacelo causato. Lo avrebbe citato in giudizio per danni morali e materiali e lo avrebbe portato a pagare letteralmente per la sua ignoranza.

Prima di andare direttamente nell’ufficio di Nott, passò per ogni piano, tenendo la mano di Hermione per paura di crollare, notando come vi fossero carte dismesse sulle scrivanie, computer ancora accesi ma disconnessi dalla rete locale, cestini pieni di immondizie e un velo incontrastato di immobilità che fece temere a Draco e a Hermione di trovarsi di fronte alla cristallizzazione del tempo.
Sembrava la scena di uno di quei film di orrore/avventura, dove un luogo veniva infestato da api assassine che uccidevano gli abitanti e il paese andava allo scatafascio.
Un po’ come Desperation, di Stephen King.

Per Draco quello fu l’avverarsi di un incubo.

Giravano poche persone per i corridoi e nessuno prestò attenzione a loro due che ripresero la via per l’ufficio di Draco.


Isabel sostava di fronte al suo computer con aria assorta.
Stava giocando a Pacman.
L’inefficienza di Nott la stava facendo vegetare di fronte al computer tanto che pensò di avere le allucinazioni quando vide Hermione e il signor Malfoy venire avanti.
“Isabel!” – esclamò.
“Si-signor Malfoy?” – chiese lei, stordita dalle ore che passava di fronte al pc. – “Signor Malfoy è tornato!” – esclamò, abbracciandolo di slancio.

Una volta non si sarebbe mai permessa tanto, ma il livello di saturazione al quale era arrivata, le fece mandare al diavolo tutte le convenzioni sociali: lo abbracciò stretto e gli diede sonori baci sulla guancia.

Draco guardò Hermione, preoccupato a un livello che nessuno dei due pensò mai di provare.
“Isabel, come stai?” – chiese Draco.
“Bene signor Malfoy. Adesso sto bene.” – disse, con il sorriso di chi sembrava essere stato imbottito di tranquillanti.
“Santo Dio… ma che ti è successo?”
“Mi sono rincoglionita, signor Malfoy. Tutto qui.” – ammise la donna, sinceramente. – “Da quando lei se ne è andato…”
Draco preferì non fare il puntiglioso e la lasciò raccontare.
“… qui tutto è andato in malora. Nott è talmente incompetente che mi sono ridotta a giocare al computer per far passare le ore. Ho un mal di testa che non mi stupirei se mi fosse venuto un tumore.” – scherzò la donna.
“Non dire queste cose, Isabel.” – la rimproverò Draco.
“Hermione… rimarresti con lei?”
“Tranquillo, vai. Ciao Isabel… come va?”
“Hermione… io bene e tu?”
La riccia intavolò una discussione con Isabel e permettere a Draco di affrontare i suoi fantasmi.


Draco percorse i pochi metri che lo separavano dal suo ufficio con passo di marcia.
I dubbi sulle strategie usate per reimpadronirsi della Malfoy Home si erano dissolti quando aveva visto come Nott aveva ridotto la sua segretaria.
Avrebbe messo in conto anche le sue spese mediche che, per inciso, sarebbero provenute dalla clinica più costosa di tutto il paese!
Vagliò di nuovo, con mente fredda e lucida, tutto ciò che aveva fatto e non trovò nulla di cui preoccuparsi. Man mano che si avvicinava, sentì le risa di Nott – quella fastidiosa di Pansy – e quella di altri uomini.
Entrò senza bussare.

“… così ho fatto un lancio… ma cosa… Draco?!” – esclamò Nott, sbigottito nel trovarselo di nuovo davanti.
Il biondo chiuse la porta alle proprie spalle.
Dell’uomo che era andato a chiedere aiuto alle persone presenti non era rimasto più nulla: ora, davanti, avevano una macchina da guerra pronta solo a mietere vittime.
Pansy sbarrò bocca e occhi.

Theo non capiva come mai Draco fosse lì, per non parlare del fatto che aveva appuntamento con quel Mallory al quale, alla fine, sotto le insistenze di Pansy e dei suoi avvocati, aveva ceduto l’attività.

“Buon giorno.” – salutò, con gli occhi scuri per la rabbia.
“Che ci fai qui?” – chiese Nott, divertito. – “Scusa, ma non assumiamo in questo periodo.” – scherzò Nott, che incontrò l’approvazione degli altri presenti.
“Ho visto. La sporcizia in cui vige l’azienda farebbe scappare perfino un barbone.” – fu la stoccata.
“Che diavolo vuoi?” – chiese, infastidito.
Le persone che erano nella stanza con Nott altri erano gli avvocati che un tempo, Draco aveva profumatamente pagato ed elogiato per i loro servigi.
Si schifò nel vederli fare comunella con Nott.
“Sono venuto a firmare un contratto.” – disse il biondo.
“E di cosa?”
“Della vendita della Nott Home.”
Un istante di incredulità, e poi tutti scoppiarono a ridere. Pansy, invece, che non capiva bene dove girasse la banderuola, si limitò a rimanersene in disparte, pronta per abbandonare la nave in caso di affondo.
Draco, fintamente paziente, ascoltò per tre secondi – un tempo che a lui parve infinito – quelle risate.
“Il nome Devon Mallory vi dice niente?”
I presenti smisero di ridere. Che Malfoy sapesse chi era quel tizio?
“E tu che ne sai di…”
“Devon Mallory sono io, idiota.”
Nott emise un gridolino strozzato e Pansy sbarrò gli occhi.
“Tu? Non è possibile!”
“Credici coglione.” – disse Draco. – “Quando sono stato informato della situazione quasi non volevo crederci…” – sputò, aspro. – “… ma vedendo l’andamento della tua gestione non ho fatto altro che cogliere la palla al balzo, proprio come hai fatto tu mesi addietro, te lo ricordi?”
Nessuno osò fiatare.

Devon Mallory… Draco Malfoy.
Cazzo era così semplice che perfino un bambino ci sarebbe arrivato!

“Ora sono qui per restituirti la pariglia, figlio di puttana!”
“Oh Draco!” – esclamò Pansy, abbracciandolo di scatto. – “Meno male che sei tornato! Sapessi che fatica ho dovuto fare per fingere di amare quel… AH!” – urlò Pansy, mentre si teneva i capelli.
Di fronte a lei stava una furente Hermione.
“Lasciami, mi fai male!”
“E non sai quanto posso fartene se ti vedo mettere ancora quelle mani di letame sul mio fidanzato!”
Il dolore alla testa sparì per lasciare il posto a un sano stupore. Hermione, invece, voleva vedere solo un’unica smorfia sul volto della Parkinson: la sofferenza.
Così intensificò la presa sui suoi capelli e Pansy iniziò a urlacchiare e strizzare gli occhi per il male. Soddisfatta, la lasciò e la donna cadde a terra come un salame.
“Scusate la momentanea interruzione.” – frecciò Draco, pesantemente sarcastico. – “Allora, so che il mio contratto è qui da qualche parte. Manca solo la mia firma.”
“Sei un… sei un figlio di puttana!” – ringhiò Nott che, purtroppo, aveva le mani legate.
Il contratto era stato fatto e legalmente registrato. Mancava solo la firma di Draco – o Devon – per concludere l’affare.
“Bada a non tirare in mezzo persone che non c’entrano nulla, perdente.” – disse Draco. – “E voi!” – disse Draco, facendo sobbalzare gli avvocati che non sapevano da dove iniziare per rientrare nelle sue grazie. – “Non credete che mi sia scordato! Ritenetevi sospesi dal vostro incarico! Da quest’azienda riceverete solo una pioggia di denunce per danni! Quanto a voi due…” – disse, riferendosi a Nott e a Pansy. – “… risponderete di ogni centesimo, di ogni danno, di ogni mancanza che avete fatto subire a quest’azienda! Vi citerò in giudizio con tante di quelle accuse che se vi rimarranno le mutande addosso sarà davvero una fortuna!” – ringhiò.
Pansy sobbalzò spaventata. Non l’aveva mai visto in quello stato.
Si maledisse in mille lingue perché solo ora si era resa veramente conto di quanto Nott fosse solo uno specchietto per le allodole: tanto fumo e niente arrosto.
Aveva abbandonato la nave sicura di Draco per saltare su quella di Nott. E la Granger? Come diavolo aveva fatto a prendersi il suo Draco? Quale piano aveva architettato?
“Io non me ne vado.” – disse Nott, d’un tratto.
Draco sollevò un sopracciglio.
“No? Mi faciliti le cose, allora.”
Come una squadra perfettamente affiatata, Hermione aveva già estratto il cellulare di Draco e lui, senza nemmeno guardare, lo prese con decisione e compose un numero.
“Polizia?”
I presenti sbarrarono gli occhi.
“Sono Draco Malfoy e mi trovo alla Malfoy Home. Sì, è una lunga storia…” – disse, riferendosi al nome dell’azienda. – “… ci sono delle persone che non vogliono lasciare il mio edificio. Grazie, vi aspetto.” – schiacciò il bottone rosso per terminare la chiamata e poi lo riporse a Hermione. – “Tra poco lascerete la mia azienda, ma prima che ve ne andiate, ho un paio di sassolini che vorrei levarmi dalle scarpe. Tu Nott, sei un perdente, un fallito, un peso per la società.” – disse, duro.
L’uomo in questione era diventato rosso.
“Non sei capace di vedere un affare neanche se questo ti si presenta tra le gambe di una donna. Ti sei venduto bene, lo ammetto… così come vi siete venduti bene voi.” – disse, guardando gli avvocati. – “Mi avete continuamente proposto persone incompetenti e inaffidabili e quando avrò finito con lui sarò anche da voi.”

Tutti sapevano che con Draco Malfoy non si scherzava.

“Ora finalmente posso provare che io pagavo le prostitue che si fingevano indossatrici, ma eri tu che me le fornivi, facendole passare per famose modelle. Ho fatto delle ricerche su di te e mi sono meravigliato della tua incompetenza finanziaria; io e Hermione abbiamo indagato più a fondo e abbiamo scoperto che ti sei comprato la laurea in Economia. Sai, prima di addormentarmi, mi rileggo la tua pagella.” – mise un braccio attorno alla vita di Hermione. – “Non sai le risate che ci facciamo io e la mia ragazza.”
“Draco…” – tentò Pansy.
“E tu…”
La donna si ritrasse.
“… tu non sei una donna. A ben pensarci non sei neanche un essere umano. Ti sei presa gioco di me, dei miei sentimenti e della mia famiglia. Non hai idea di quanto…”
“… di quanto tu sia un insulto alla categoria delle donne, Pansy Parkinson.” – s’intromise Hermione.
Adesso si sarebbe sfogata lei.
“Non hai morale, non hai rispetto per niente e per nessuno perché semplicemente non ne provi per te stessa. Sei pronta ad aprire le gambe a chi ti prospetta un buon affare ma sei pronta a chiuderle quando la nave affonda. Onestamente non mi interessa sapere cosa ti ha spinto a tradire Draco e di quest’unica cosa ti ringrazio, ma sei una fallita. Non vali niente né come lavoratrice, né come persona. Sei talmente inutile che ancora mi chiedo il motivo della tua presenza nel mondo. Dalle mie parti si dice “legati un masso al collo e buttati nel lago”. Io ci farei un pensierino.” – concluse Hermione, cattiva.
“Se pensi che mi faccia insultare da un’arrivista come te ti sbagli, stronza!” – urlò Pansy, colpita e decisamente affondata.
“Tu che pensi?” – la sbeffeggiò. – “Non usare parole di cui non conosci il significato. Pensare implica il possedere un cervello e da quanto ho visto in questi due anni, sotto i capelli hai solo del letame. Puzzi di marcio Pansy.”
Non gliene avrebbe fatta passare neanche una!
L’insulto stavolta andò a segno. Pansy non riuscì a dire più niente.
“Ecco brava, stai zitta. È forse l’unica cosa che ti riesce meglio.”
Dall’esterno si udirono delle voci. Probabilmente era la polizia che era arrivata.
Draco prese Hermione e la scortò da una parte per permettere ai funzionari dell’ordine di eseguire il proprio lavoro.
“Sono l’agente Rostok. Chi è Draco Malfoy?”
“Io agente.” – disse Draco, avanzando.
“Buon giorno. Chi dobbiamo prendere in consegna?”
“Tutti i presenti. Si rifiutano di lasciare la mia azienda.”
“Capisco.” – con un cenno del capo, l’agente Rostok invitò i suoi sottoposti a prendere in consegna le persone indicate da Draco.
Nott, naturalmente, tentò di fare resistenza, così come Pansy che iniziò a dimenarsi e urlare come una vergine assalita da un gruppo di barbari.
“Ah, agente… un’ultima cosa?”
“Prego.”
“Voglio sporgere denuncia contro ognuno di loro.”
“In tal caso li metterò in custodia cautelativa.” – disse l’uomo.
“La ringrazio. Passerò il prima possibile con il mio avvocato.”
“Arrivederci.” – salutò l’agente.
“Arrivederci.” – salutarono in coro Draco e Hermione.

Quando i due rimasero soli aspettarono qualche secondo e poi scoppiarono a ridere.
“Il prima possibile?”
“Devo trovare un avvocato Hermione, uno bravo.”
“Hai visto che ce l’hai fatta?” – gli disse la riccia, divertita.
“Merito tuo.”
“Beh, sì… suppongo di aver fatto la mia parte.”
“Sei stata cattiva con Pansy.”
“Ma io sono una bambina cattiva Draco…” – disse lei, volutamente sensuale.
Ma non essendo abituata a rivestire i panni della femme fatales Hermione scoppiò a ridere, seguita da Draco.
Abbracciati, iniziarono a guardarsi intorno.
“Sarà una sfacchinata.”
“Non me lo dire…”

Per non impegolarsi nei debiti, Draco e Hermione avevano deciso, una volta buttato fuori Nott, che le pulizie e il lavoro di archiviazione delle carte che avevano trovato abbandonate sulle scrivanie, se lo sarebbero fatto da soli.
Sarebbe stata davvero una sfacchinata, ma ne sarebbe valsa la pena.

“Potresti chiedere aiuto ai tuoi genitori.” – propose Hermione. – “Sarebbero felici di aiutarti.”
“Lo so ma io ho combinato il danno e io lo rimetterò a posto da solo.”
“Come vuoi.” – disse Hermione, abbracciandolo. – “Oggi dobbiamo andare a comprare tutto il necessario per le pulizie.”
“Già…” – disse Hermione.
Lo avrebbe sicuramente aiutato, ma in quel momento, la mole di lavoro la spaventava.
Ma, come sempre, non si sarebbe arresa.









Alla Livin Home la notizia che Laney Miller era riuscita a infilarsi nelle mutande di John Cook fece il giro del mercato americano in due minuti scarsi e tutto perché una dipendente della ditta, che andava a lavorare in autobus, aveva visto i suddetti in atteggiamenti intimi fuori dalla casa di lei. Allie Bergman, la pettegola, aveva stupidamente mandato una mail a tutti i suoi colleghi più stretti in azienda per informarli della cosa e quando Laney mise piede in ufficio, l’intero reparto l’accolse con un minuto di religioso silenzio.

Stranita da quella situazione, la donna avanzò piano, sentendosi come se avesse fatto qualcosa di orribile. Continuò a camminare, guardandosi a destra e a sinistra mentre le donne la guardavano e ridevano, altre la fulminavano con lo sguardo, altre avevano la decenza di farsi i fatti propri. Gli uomini, invece, la guardavano come se fosse stata una torta alla panna e non sapevano da quale parte iniziare per leccarla.
Era sempre stata abituata a quel tipo di sguardo, ma ora che stava con John, trovava quelle occhiate quasi inquietanti.
“Beh? Che vi prende?” – chiese, alla fine.
Nessuno le diede una risposta.
“Allora?” Mi rispondete?
Laney non era una che amava perdere tempo. Conosceva bene quelle occhiate e voleva andare fino in fondo alla questione. Non avrebbe fatto passare giorni o settimane. Si alzò dalla propria scrivania e andò dalla vicina che, presa da un raptus di follia, iniziò a chiudere tutti i programmi.

Soprattutto quello della posta elettronica.

Laney con gli occhi che mandavano scintille – aveva appena capito di essere il bersaglio di qualcosa, ancora non sapeva cosa – e vedere le persone che cercavano di cancellare le prove la mandò su tutte le furie.
“Accendi la posta.” – ordinò.
Non dava mai ordini, se non quando in azienda piovevano ordini dalla mattina alle sette alla sera alle otto e quando c’era stato il casino della Malfoy Home. Solitamente chiedeva le cose con cortesia, tanto che quando era stata eletta a capo-reparto tutti le avevano fatto le congratulazioni perché era la più adatta, sia per competenze, sia a livello umano.
Leslye negò, spaventata ma divertita.
Quell’atteggiamento la mandò ancora di più in bestia.
“Ho detto: apri.la.posta.”
Laney fece le spallucce. Afferrò la sedia di Leslye e la fece rotolare qualche metro più in la e si accese la posta da sola. Nessuno osò muovere un muscolo.
Quando l’aprì e vide una mail di Allie, iniziò a tremare. Non tanto perché sapeva già cosa contenesse, ma perché da quella tizia non c’era da aspettarsi mai niente di buono.
L’aprì e sbarrò gli occhi.

Non sapete cosa ho visto stamattina!
John Cook, il nostro titolare, era uscito da casa di Laney Miller e si baciavano!
Passa parola!

Allie.

Laney divenne rossa come un peperone.
Il suo non era imbarazzo. Era rabbia.
Passa parola? Ma era forse una cretinetta appena uscita dalle elementari?
Si alzò dalla scrivania e andò da Allie che guardò Laney con un sorrisetto divertito.
“Vedo che la cosa è di tuo gradimento.” – disse.
“Beh, non lo vedi mica tutti i giorni una cosa del genere.”
“Una cosa del genere? Due persone che si amano sono una cosa, per te?”
Allie sorrise apertamente. Laney lo aveva ammesso pubblicamente!
“Che cazzo ridi, idiota?” – sbottò Laney.
Possibile che non capisse niente quell’idiota?
Allie si ritrasse su se stessa.
“Ti rendi conto in che posizione mi hai messa?”
La ragazza sorrise.
“Io in nessuna. Forse John ti ha messa in qualche posizione particolare…” – alluse lei, credendo di essere simpatica.
Laney sbarrò gli occhi.
Partì un man rovescio che le fece lacrimare gli occhi.
“Nel mio ufficio. Tutte e due!” – esclamò John, che aveva sentito tutto.


“Dammi una buona ragione per non licenziarti.”
Allie non riuscì a dire niente. Solo dopo essere stata beccata in flagrante, si era pentita di ciò che aveva fatto.
Laney, accanto a lui, aspettava spiegazioni.
“Mi dispiace…” – sussurrò la biondina.
“Non mi sembrava prima.” – disse Laney, implacabile.
“Questi non sono fatti che ti riguardano. Con chi esco io, o un tuo collega non sono affari tuoi. E’ stata per caso Laney a dirti di noi?”
Allie scosse la testa.
“Allora perché ti sei impicciata di affari che non ti riguardano?” – chiese John, senza ottenere risposta. – “Molto bene.” – disse. – “Baciati le mani se non ti licenzio.”
“G-grazie…” – balbettò Allie.
“E se dovessi sentire la necessità di farti ancora gli affari degli altri, sappi che quello sarà il tuo ultimo giorno qui dentro, mi sono spiegato?”
“Sì.” – dise Allie.
“Adesso vai.”
La ragazza scappò letteralmente dall’ufficio e John si appoggiò allo schienale.
Laney era andata alla finestra e guardava di sotto. Sperava di poter essere lei a dare la notizia, almeno alle colleghe con le quali aveva maggior rapporto e invece quella stupida era andata a rovinare tutto.
Sospirò.
“Non è iniziata molto bene.”
“Torno in ufficio.” – disse Laney, che aveva sentito tutta la sicurezza svanire dopo la sparata di Allie.
“Laney?” – la fermò John.
Non voleva che se ne andasse con quello stato d’animo.
“Cosa c’è?”
“Mi dispiace…”
Laney rilassò le spalle. Ad essere completamente onesti, tra i due quella che avrebbe avuto vita difficile era lei, perché da quel giorno in avanti, i suoi traguardi professionali non sarebbero stati più raggiunti per meriti e capacità personali, ma perché era la fidanzata del capo.
Vedeva che John ci stava male, ma lui poteva fare quello che voleva senza rendere conto a nessuno delle sue scelte e… sgranò gli occhi.
“Oddio…” – sussurrò, instupidita da se stessa.
“Cosa?”
“C’è che sono una cretina.” – ammise.
“Perché?” – chiese John, perplesso.
“Perché hai ragione tu. Mi sto facendo condizionare dagli altri e… d’accordo.” – concluse. – “Ci vediamo stasera?”
“Sì, certo. Non… va tutto bene?”
Laney sorrise affettatamente.
“Più che bene. A stasera, allora.” – lo salutò con un veloce bacio sulle labbra e poi uscì.
Di nuovo, appena mise piede in ufficio, di nuovo tutti si zittirono. Stavolta lei però non si lasciò scalfire, anzi. Con passo sicuro e un sorriso non molto rassicurante sulle labbra si diresse dalla prima che aveva incrociato sulla strada, le sussurrò poche parole all’orecchio e questa sbarrò gli occhi.
Fece lo stesso con altre persone lì dentro e, felice come una Pasqua, notò come tutti avessero preso a farsi gli affari propri.
Era proprio vero… con le maniere gentili si otteneva sempre tutto…




“Buona sera.” – salutò John.
“Ciao, entra.” – lo invitò la donna. – “Ciao Rex!” – salutò la moretta, accarezzando il cane.
“Che profumo. Che stai facendo?”
“Sto tentando di fare un risotto ai gamberetti.” – scherzò la donna, che liberò il cane dal guinzaglio e gli permise di andare a farsi un giretto in giardino.
“Dicono che se il profumo è buono lo sarà anche il piatto.”
“Meno male. Dai, vieni.” – lo invitò a entrare.
“Senti, posso chiederti una cosa?” – chiese John, mentre si toglieva la giacca.
“Dimmi…” – disse la ragazza, concentrata nel mescolare il riso.
“Tu sai per caso qualcosa di quello che è successo oggi in ufficio?”
“Del tipo?”
“Mi sembrava che la nostra storia fosse passata già in secondo piano.”
“Ah quello’” – minimizzò, lasciandolo perplesso. – “Sì, ci ho messo il mio zampino.”
“Laney? Che hai fatto?”
Ho ricattato. Tutto qui.”
John sbarrò gli occhi.
“Che hai fatto?!”
“Ho semplicemente reso il favore.” – disse la donna, più concentrata ad aggiustare il riso di sale, che alla questione. – “Siccome lì dentro ci sono persone che ne hanno fatte di tutte i colori, ho semplicemente fatto notare che se avessi parlato io sarebbe venuto fuori il finimondo.”
A John prese un tic sull’occhio.
“E, fidati…” – disse, girandosi e facendogli l’occhiolino. – “… intendo davvero il finimondo.”
“Sei pazza…”
“No.” – disse, coprendo la pentola con un canovaccio, affinché la cottura continuasse con il calore ma senza la fiamma sotto. – “Voglio vivere questa storia con te senza dovermi difendere dalle battutine degli altri e se per farlo devo minacciare o ricattare, non mi farò alcuno scrupolo.”
Di tutto il discorso, John aveva solo capito che Laney voleva stare con lui e che era disposta a tutto. Andò da lei e la baciò.
“Sei pazza.” – ripeté l’uomo. – “Ma sai, potrei anch’io fare la mia parte.”
Laney rise. Quella specie di gioco “il mio ricatto è più grande del tuo” iniziò a piacerle.
“Ah sì? Del tipo?”
“Del tipo che ora, anche se tu hai minacciato a destra e a sinistra, i tuoi colleghi continueranno a pensare che se sei la mia segretaria è perché vieni a letto con me. Non sanno cosa comporta il tuo lavoro e neanche quanto hai dovuto sgobbare per impararlo e mantenerlo.”
Anche se la stava difendendo, le piacque sentire il suo direttore elogiare il suo operato.
“E quindi?”
“E quindi… vorrei proprio vedere se prendessi una persona qualsiasi e la mettessi al tuo posto: non durerebbe neanche cinque minuti e il pensiero che tu ti sia comprata il tuo ruolo sparirebbe come neve al sole.”
“Guarda… ora mi hai messo addosso la curiosità di sapere come potrebbe andare a finire, se facessimo come hai appena detto.”
John la baciò. Tutto per lei.
“Magari capiterà.”
“Che dici?” – chiese Laney, baciandolo. – “Giochiamo al direttore e alla segretaria, stasera?”
“Sei pazza.” – fu il commento divertito di John.









Tre mesi più tardi, settantasette sacchi di immondizia e litri e litri di acqua sporca dopo, Draco e Hermione riuscirono finalmente a rimettere a nuovo la Malfoy Home.
Erano diventati clienti fissi della pizzeria vicina alla ditta perché quando tornavano a casa erano talmente ubriachi di stanchezza che a malapena riuscivano a farsi una doccia.

Nel frattempo, Draco si era messo in moto per cercare un buon avvocato – uno con due contro coglioni grandi come Villa Malfoy – trovandolo nella persona di Blaise Zabini, un moro ben piantato che incuteva timore solo a guardarlo.
Si vociferava in giro che non avesse mai perso una causa e a Draco, in quel momento, serviva proprio una persona simile. Voleva farla pagare salata e con gli interessi a Pansy e a Theo per ciò che avevano fatto. Per questo motivo, Hermione mise in un angolo dell’ufficio di Pansy tutto ciò con cui lei e Nott erano entrati in contatto, ovvero i loro computer personali – dopo che Hermione era stata licenziata, Pansy aveva fatto rimettere le cose a posto a David, affinché tutte le mail di coloro che avevano contribuito a boicottare Draco tornassero sul suo computer – i fax, le chiamate effettuate… tutto quell’insieme di cose che avrebbero mandato Nott, la Parkinson e tutto il loro codazzo in galera per un bel po’ di anni, previo risarcimento di tutti i danni subiti, era chiaro.

Con Zabini, Draco era stato molto chiaro e schietto fin dall’inizio.

“Vede avvocato… l’azienda è stata messa a dura prova da un incompetente, ma indagando nel mercato c’è un buon novanta per cento di clienti che sarebbe disposto a tornare a comprare gli arredamenti della Malfoy Home. Purtroppo, prima di fare questo, devo rimettermi in piedi economicamente. Sa, sto ricontattando tutti i miei ex collaboratori, dal primo all’ultimo, per sapere se sono disposti a tornare a lavorare con me, nonostante lo stipendio sia, inizialmente, una miseria.”
“Capisco.”
“Quindi voglio essere onesto con lei. Lei mi ha detto, dopo aver esaminato tutte le prove che le sono state presentate, che Nott e la Parkinson avranno un bel po’ di galera da scontare e che è possibile ottenere un congruo risarcimento.”
“Quindi… lei vorrebbe che io lavorassi gratis per lei.” – concluse Blaise.
“Affatto.” – negò Draco. – “Lei verrà pagato come da accordi, ma solo quando riuscirà a vincere la causa.”
Blaise pareva perplesso.
“So che detta così sembra un ricatto bello e buono ma in ogni caso non avrei niente con cui potergliene fare uno. Al momento non posso uscire di troppi soldi. Mi indebiterò come un pazzo solo per ricomprare le materie prime per i miei mobili e riporterò la Malfoy Home com’era un tempo. Ma senza il suo aiuto non posso farcela.”
Blaise ci pensò su molto bene.
Certo, aveva fatto anche lui i suoi controlli, non era uno sprovveduto e aveva visto come l’azienda sotto la direzione della famiglia Malfoy andava gonfie vele.
Forse se avesse accettato, il tempo gli avrebbe concesso fama e successo.
“Voglio fidarmi, signor Malfoy.” – disse Blaise.
Draco gli sorrise e si strinsero la mano.

Anche con i dipendenti era stato molto chiaro.
Basta omissioni, basta mezze verità, basta bugie: avrebbe parlato a cuore aperto e chi avrebbe accettato, sarebbe tornato con il contratto che aveva in essere quand’era stato licenziato o si era dimesso per coercizione.

“Come ben saprete, la Malfoy Home è alla deriva ma so che insieme possiamo rimetterla in piedi. Lo so… vedo le vostre facce e comprendo perfettamente i vostri dubbi e le vostre paure.” – disse Draco.
Sì, li comprendeva perfettamente, perché anche lui era stato un lavoratore come loro.
“E davvero non vi avrei mai chiesto di venire qui, di sabato mattina, se non fossi convinto di ciò che vi sto dicendo.”
“E lo stipendio?” – chiese un ex dipendente, che non avrebbe abbandonato un lavoro per tornare dov’era stato bistrattato.
“So che vi chiederò molto, ma all’inizio sarà molto basso.”
“Quanto basso?”
“Sulle cinquecento sterline.”
Nella sala riunioni cadde il silenzio.
Il tizio che aveva chiesto dello stipendio si alzò e se ne andò senza salutare e Draco non se la sentì di biasimarlo.
Hermione aveva seguito in silenzio tutta la riunione, seduta sul tavolo con le gambe a penzoloni.
“Tu non dici niente Hermione?” – chiese Joy dell’amministrazione.
Hermione la guardò e scese giù dal tavolo.
“Cosa vuoi che ti dica?, anzi… cosa volete sentirvi dire?” – scandì, in modo tale che tutti potessero sentirla. – “Potrei starie qui ore a darvi dati, statistiche e numeri sul fatto che la Malfoy Home potrebbe tornare com’era un tempo ma sarebbe fiato sprecato. L’unica cosa che mi sento di dirvi è che oggi, tutti voi…” – disse, indicando la platea degli ex dipendenti con un gesto del braccio. – “… siete qui. Ciò significa che da qualche parte dentro di voi c’è voglia di tornare a far parte di questa squadra. Voi ora avete due scelte: potete alzarvi e tornarvene alle vostre faccende, mandando a quel paese il signor Malfoy e le sue proposte, oppure potete scegliere di rimanere, ascoltare fino alla fine ciò che ha da dire e poi valutare. Non siamo qui per guardarci in faccia: se avete delle domande, stupide o intelligenti che siano, fatele. Il signor Malfoy è qui per rispondervi.”
Draco la guardò sinceramente grato per quelle parole: lo aveva chiamato “signor Malfoy” e non “Draco” benché ne avesse tutti i diritti. Non voleva, come Pansy, fare la fidanzata del capo che tutti odiavano e alla quale tutti sparlavano alle spalle.
“Perché così basso, scusi?” – chiese un ragazzo.
Draco si girò di scatto.
“Come scusa?”
“Perché così basso lo stipendio?” – richiese.
“E’ solo questione di tempo. So che se lavoriamo tutti insieme e con il doppio delle energie, potremmo accorciare i tempi di ripresa dell’azienda. I guadagni aumenteranno, le vendite aumenteranno e i vostri stipendi torneranno a quelli di un tempo.”
“Ci sono persone qui dentro che lavoravano per lei da anni. Che ne sarà dei contributi maturati? Dovremmo ricominciare tutto d’accapo? ”
“No.” – disse Draco, deciso. – “Se deciderete di tornare, con tutti gli annessi del caso, vi prometto che i contratti rimarranno invariati, che siate stati licenziati o che vi siate dimessi non ha importanza: chi ha dieci anni di servizio rientrerà con i dieci anni di servizio.”
“E il TFR?”
“Quello purtroppo non lo posso mettere sul conto perché una volta estinto non può più tornare com’era prima.”
Vari mormorii di dissenso si spansero nella sala.
“Ma posso aprire un conto e destinare lì ciò che è vostro di diritto. Tutti i TFR maturati fino all’ultimo giorno di lavoro verranno versati su questo conto e ognuno avrà la sua parte in caso decidesse in futuro di andarsene.”
Beh, adesso suonava meglio.
“E cosa dovremmo fare esattamente?” – chiese un’altra partecipante.
“Niente di diverso da quello che facevate prima. Certo, più si lavora, prima il lavoro riparte ma so che non ve lo posso chiedere. Posso solo chiedervi se accettate la mia proposta.”
“E se non dovesse funzionare?” – chiese un uomo.
“In quel caso ognuno di voi avrà, fino all’ultimo centesimo, ciò che gli spetta.”
In parecchi si guardarono in faccia.
“Verranno messe per iscritto queste cose?”
“Per chi le volesse, sì.”

Alla fine, che si vincesse o che si perdesse, per la prima volta nella storia di un’azienda, gli unici a guadagnarci sarebbero stati i lavoratori.
E tutti accettarono.




Dopo aver messo a punto ogni dettaglio, Draco e Hermione compresero che riaprire alle soglie del Natale era perfettamente inutile così scelsero di aprire i battenti con l’anno nuovo.

La Vigilia di Natale, Hermione e Draco la trascorsero a casa Granger, poiché per loro era molto più importante l’attesa che non il giorno di Natale vero e proprio, che trascorsero invece dai genitori di Draco.




“Benearrivati! Auguri di Buon Natale!” – esclamò Narcissa, lieta di vederli.
Hermione scese con in mano un dolce natalizio preparato da lei stessa.
“Auguri Narcissa.” – ricambiò Hermione con un sorriso.
“Dai, entrate che fa freddo.”

In quei tre mesi di duro lavoro, il rapporto tra Draco e i suoi genitori era, se non tornato quello di un tempo, notevolmente migliorato. Draco aveva imparato ad aprirsi di più con suo padre, a chiedergli consigli, come fosse stata la sua gestione, quali errori aveva commesso e quali intuizioni avesse avuto.
Lucius condivideva volentieri e con entusiasmo l’esperienza della sua precedente amministrazione con il figlio, una cosa che prima del suo cambiamento non aveva mai potuto fare, perché Draco dimostrava di essere fin troppo sicuro di sé e con un caratterino che non accettava i suggerimenti tanto volentieri.
Riuscivano a incontrarsi solo di domenica, poiché dal lunedì al sabato erano impegnati con le pulizie in azienda.

Per l’occasione, era stato acceso il caminetto che emanava una bellissima luce aranciata, perfetta per quel periodo dell’anno.
“Buon giorno.” – salutò Lucius.
“Ciao papà. Auguri.”
“Auguri. Hermione… Buon Natale.”
“Buon Natale Lucius.”
“Allora… aperitivo?” – chiese l’uomo, sfregandosi le mani soddisfatto.

Ridendo e scherzando, arrivarono a parlare di affari.
“Riapriremo dopo le ferie di Natale.” – spiegò Draco, che teneva Hermione per la vita. – “E verso il dieci di Gennaio dovremmo incontrarci con Theo, Pansy e tutti coloro che sono stati coinvolti nella vicenda per accordarci.”
“Credi che questo Zabini sappia il fatto suo?” – chiese Lucius.
“E’ uno in gamba.” – intervenne Hermione, stretta a Draco. – “Non è uno che ama parlare per sprecare fiato. Alle udienze ha sempre portato la giuria dalla propria parte.”
“Staremo a vedere.” – disse Lucius.
“E tu Hermione? Cosa fai nel frattempo?” – chiese la donna, con un sorriso cordiale e sincero.
“Io sto attenta che Draco non faccia cavolate.”
I tre scoppiarono a ridere.
“Scherzi a parte, cerco di aiutarlo nelle piccole cose, piccole commissioni, chiamate, prenotazioni, ordini… tante piccole cose che, se sommate, sono un grande problema.”
Draco le baciò la fronte.
Narcissa e Lucius si scambiarono un lieve cenno di assenso di fronte a quel gesto: non glielo avevano mai visto fare con Pansy e si dissero che forse Hermione era quella giusta per lui.
Quello era proprio un bel Natale.

La ragazza era proprio assennata, lo capivano dal modo in cui parlava. Rifletteva molto sulle conseguenze di un gesto e parlava con cognizione di causa.


Il pranzo fu luculliano e tra i primi e i secondi, i quattro vollero fare una passeggiata in giardino, solo che Narcissa scelse di sequestrare Draco e lasciare Hermione sola con Lucius.
I due si guardarono, perplessi.
“Non ci sono casi di complessi edipici nella vostra famiglia, vero?” – chiese Hermione, stranita.
“Non che io sappia.” – rispose Lucius, pensoso.
Si guardarono e trattennero un sorrisetto divertito. Poi Lucius le porse il braccio che Hermione accettò.
L’attimo successivo stavano passeggiando nel giardino innevato.
“Scusa Narcissa, Hermione.” – disse Lucius. – “Fosse per lei, rinchiuderebbe Draco in camera sua e non lo farebbe più uscire.”
“Non si preoccupi. È normale.”
D’un tratto, sentì la mano guantata di Lucius sulla sua.
“Spero non te la prenda con Draco Hermione ma… mi ha detto tutto.”
La riccia lo guardò confusa.
“Tutto cosa?”
“Di tua… di tua madre, di ciò che ha fatto per te…”

Un tempo sarebbe scappata, spaventata da ciò che le persone avrebbero potuto pensare di lei ma con il tempo, grazie all’intervento di Draco – forse averlo aiutato nonostante tutto quello che le aveva fatto passare era scritto nel suo destino, per aiutarla ad emergere da quel gas mortale che era la sua voglia di morire – e alla presenza della sua famiglia, Hermione si era lentamente resa conto che quello di sua madre era stato un gesto eroico, coraggioso ma che soprattutto, non aveva nulla di cui vergognarsi, anzi.
Era la dimostrazione che sua madre era la donna migliore di questo mondo.

“Capisco…” – rispose la riccia, chinando il capo, con un sorriso leggero.
“Mi dispiace, forse non avrei dovuto…” – si scusò Lucius.

Quando Draco gli aveva fatto quella confessione era rimasto allibito, sgomento. Non era riuscito a credere che una persona avesse scelto liberamente di uccidersi per salvarne un’altra.

“No, non si preoccupi.” – gli sorrise Hermione. – “Sa, Draco mi ha insegnato a non avere paura di ciò che può pensare la gente, perché con quel gesto mia madre ha voluto dirmi che mi amava tantissimo.”
“Di cosa avevi paura Hermione?” – chiese Lucius.
“Che pensassero che non meritassi un dono simile, che fossi un’assassina, che era meglio che non nascessi…”
“Non dovresti permettere alle persone di dirti come devi sentirti.”
“Lo so. Adesso lo so. Draco è un buon terapeuta.” – scherzò.
“Anche tu sei stata la sua medicina, da quanto ho potuto vedere.”
La donna fece le spallucce per schermirsi.
“Draco aveva solo bisogno di una mano e io gliel’ho data.”
I due si girarono per trovare il soggetto della loro discussione.




“Allora Draco…” – iniziò Narcissa. – “… le cose con Hermione vanno bene, mi sembra.”
“Sì, molto. Stiamo molto bene insieme.”
“Lo vedo da come vi guardate…” – disse, accarezzandogli amorevolmente i capelli. – “… da come vi cercate con lo sguardo.”
Draco cercò con lo sguardo Hermione e vide che era girata nella sua direzione. Sorrise inconsciamente per quel piccolo gesto di complicità.
“La amo molto.”

A una madre scoppia il cuore di gioia quando il figlio è felice.

“E si vede. Così come si vede che anche lei ti ama tantissimo.”
“Io… volevo chiederglielo.” – disse.
Gli occhi di Narcissa brillarono di gioia.
“E perché non lo hai ancora fatto?”
“Tutta la questione della Malfoy Home ci sta portando via parecchio tempo, le basi per la ripresa sono buone ma avrò i risultati solo l’anno prossimo. Tempi da rispettare, garanzia sul prodotto… è un casino!”
“Draco ascolta: non ricordo più ormai le volte in cui io e tuo padre ci siamo offerti per aiutarti. So che ci tieni a risolvere questo problema da solo, ma forse tu dimentichi che non sei solo! C’è tuo padre, ci sono io, c’è Hermione… accetta il nostro aiuto!”
Draco parve rifletterci seriamente. Forse se accettava il loro aiuto, poteva dedicarsi un po’ di più a Hermione. Da quando erano rientrati avevano fatto l’amore solo quel giorno e lui aveva voglia di lei, di stare vicino a lei, di sentire la sua pelle contro la sua, di affondare in lei, di perdersi in lei.
Lei non lo aveva mai cercato in quel senso non perché non lo volesse, ma perché era ancora troppo timida, troppo impacciata e troppo inibita per passare da vergine di primo grado a femme fatales.
“Draco?” – lo richiamò la madre.
“Io… d’accordo.” – accettò.
Narcissa sorrise felice.
“Hai fatto bene tesoro! Adesso non devi preoccuparti più di niente! Coraggio, torniamo da loro.”
E, neanche a farlo apposta, anche Lucius e Hermione avevano appena finito di dire la stessa cosa.




Fu un bellissimo pomeriggio, ma la stanchezza di quel pranzo si fece sentire, così Draco e Hermione, dopo aver ampiamente salutato, tornarono a casa.
Appena ne varcarono la soglia, Draco la baciò come effettivamente non faceva da mesi.
“Però…” – sussurrò Hermione, con gli occhi ancora chiusi. – “… a cosa devo questo bacio?”
“Non posso baciarti?”
“Sì che puoi!” – trillò lei allegra.
Draco rise e tornò a baciarla.
“Ho deciso di accettare l’aiuto dei miei.” – disse.
Hermione lo guardò stupita.
“Perché?”
“Perché così posso stare con te.” – rispose lui, sincero.
La riccia gli sorrise, radiosa.
“Allora hai fatto bene.”

Quel pomeriggio fecero l’amore per la seconda volta.
Hermione temeva che il “digiuno” potesse provocarle altro dolore ma non fu così. Sentì scivolare Draco dentro di lei con facilità e insieme avevano preso a muoversi.
Nemmeno quella volta raggiunse l’orgasmo, troppo concentrata a capire cosa il corpo le stesse suggerendo ma aveva capito di esserci andata molto vicina. Aveva avvertito una potente onda liquida muoversi nel ventre, tanto da farle emettere un gemito strozzato, si era sentita leggera come una piuma e pesante l’attimo successivo quando, invece di raggiungere l’orgasmo, quella scintilla si era spenta.
Aveva sentito che quando Draco si muoveva lento in lei le venivano i brividi, che avrebbe voluto la sua bocca su tutto il corpo contemporaneamente. Aveva avvertito una potente sensazione di possessione quando l’uomo le fece avvinghiare le gambe attorno al suo bacino.

Era entrato talmente tanto a fondo in lei, che Hermione pensò le avesse appena toccato l’anima.

Aveva visto mille lampi bianchi dietro le palpebre chiuse e quando sentì Draco velocizzare le spinte e venire si sentì incompleta.
Insoddisfatta.

“Scusami…” – si scusò Draco.
“Di cosa?” – chiese lei, con il cuore che pulsava velocemente.
“Non sei venuta.”
“Non ti preoccupare.” – lo tranquillizzò lei, massaggiandogli la schiena.
Ognuno di loro andò in bagno a turno per sistemarsi. Quella sera di sicuro non avrebbero cenato ed erano certi che una volta toccato il letto sarebbero finiti addormentati come sassi.
Hermione tornò con addosso il pantalone di una tuta e una maglietta. Si accomodò accanto a lui.
“Sai, pensavo a una cosa…” – iniziò il biondo, a petto nudo.
Hermione cercò di non guardarlo per non cadere in tentazione.
“Cosa?”
“Che non è giusto.”
“Ma a scuola ti hanno insegnato a mettere il soggetto nelle frasi?” – chiese lei, divertita.
“Spiritosa…” – disse facendole il solletico.
Hermione ridacchiò stretta a lui.
“Non è giusto che tu non sia venuta prima.”
Hermione sbarrò gli occhi. Che diavolo di discorsi andava a fare?
“Scusa?” – chiese, rossa in volto, non ancora del tutto avvezza a certe formule.
“Sarebbe carino che tu e il mio amico Orgasmus faceste conoscenza.” – scherzò.
Hermione gli rise in faccia. Orgasmus?!
“Motivo per il quale…”
Hermione smise di ridere quando sentì le sue mani che cercavano di sfilarle pantaloni e slip in un sol colpo.
“Draco…”
“Zitta donna.” – la rimbrottò bonariamente. – “E’ una sfida personale, mi capisci?”
Hermione, divertita, lo lasciò fare.
“Cioè… è qualcosa che non puoi lasciar correre, altrimenti poi ti abitui ad essere insoddisfatta…” – s’intrufolò sotto le coperte con la testa mentre Hermione se la rideva. – “… e vai a cercartene un altro.” – concluse il biondo con la voce ovattata dalle coperte.
“Ma che stupi…”

Il fiato morì atrocemente in gola, la faccia divenne un unico punto rosso, dove l’unica nota di colore erano e le sclere bianche degli occhi, sbarrate fino all’inverosimile.
Cosa… cosa faceva… cosa diavolo… cosa stava facendo con quella lingua?!?!?!

“Draco… Draco!” – squittì, quando lo sentì toccare una zona particolarmente sensibile. – “Oddi… OH!”

Eccole.
Stavolta erano più di una.
Le ondate liquide che aveva avvertito prima si stavano intensificando. Si sentiva come bloccata sul materasso, come se qualcosa di pesante e invisibile l’avesse inchiodata lì, come se le forze se ne fossero andate d’un tratto.

“Mhm sì…” – mugugnò a occhi chiusi, rilassandosi lentamente contro il cuscino.
Avvertì un forte sconquasso interiore quando Draco le succhiò avidamente, ma con delicatezza, il clitoride.
Stava per venire. Ne era certa.
E anche se non sapeva cosa fosse un orgasmo o perché tutti, in quel momento, dicessero “sto venendo”, lo fece anche lei, perché sentiva che nessun’altra espressione al mondo poteva definire al meglio quel particolare momento.
“Draco sto venendo!”
Draco, da sotto le coperte, lasciò che Hermione si beasse di quel momento di pura estasi. Riemerse dalle coperte e la contemplò in tutte le sue smorfiette di piacere.
Hermione, dal canto suo, riuscì solo a pensare che ne volesse un altro.
Quando si calmò, guardò Draco, ancora provata.
“Ora hai conosciuto Orgasmus.” – scherzò lui.
Con il fiatone, Hermione emise una smorzata risata. Gli prese il volto tra le mani e lo baciò.
“Il tuo amico mi sta molto simpatico.”
E, come previsto, per il pranzo luculliano e per quello che avevano fatto, crollarono addormentati ma felici.









Calli-corner:

Ed eccoci alla fine di questo super postaggio.
O pestaggio?
Beh, alla fine vi ho rivelato praticamente tutta la storia, poiché il prossimo sarà l’ultimo capitolo.

Non credo di dover aggiungere qualcosa alle parole di Draco e Hermione nei confronti di Theo e Pansy, perché credo abbiano detto tutto loro.
Draco si è finalmente fatto rispettare e Hermione si è potuta vendicare a tutto tondo contro Pansy.

Rimango a Vs. disposizione per qualsiasi dubbio o chiarimento e vi lascio con lo spoiler, sperando che sia il più criptico possibile. ^_^

“Hermione mi ha detto tutto.”
Daphne scosse il capo, confusa.
“Di cosa?”
“Del tuo male, di ciò che ti ha fatto.”
Daphne divenne seria d’un tratto e guardò con biasimo la sorella.
“Ah…” – disse, ferita. – “… dei tuoi problemi non riuscivi a parlare, ma di quelli degli altri sì, vero?” – chiese, sulla difensiva.


Bacioni,
callistas
  
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: callistas