Riassunto: “La luce calda
e soffusa del tramonto investì Draco, riempiendone gli occhi con i suoi colori,
così come faceva con qualunque cosa potesse raggiungere. Per un attimo sorrise.
Quanti tramonti aveva visto con Harry? All’epoca nessuno dei due avrebbe potuto
dire quanto tempo gli restava da vivere, ed ogni tramonto, ogni notte stellata,
ogni alba… potevano essere gli ultimi che avrebbero visto. Poi per Harry le
cose erano cambiate.”
Avvertimenti: Scene un po’ sadiche e pesanti. Sconsigliata a chi è
depresso.
Beta-readers: Ringrazio moltissimo fann1kaoriyuki
e Sourcreamandonions per aver betato questa fic, per i
consigli e la disponibilità. Grazie davvero, ad entrambe :)
Disclaimer: I personaggi non sono miei, ma appartenenti a J. K. Rowling
e a tutti gli aventi diritto. Essi inoltre non sono realmente esistenti e sono
tutti maggiorenni.
Credits: Il titolo è preso da una canzone degli R.E.M., “Undertow”, da cui è presa
anche la strofa alla fine della one-shot.
Breathing water
L’orologio ticchettava incessantemente, mentre le lancette giravano lente ma
senza sosta. Eppure il tempo non passava mai.
“Maledetto aggeggio babbano…” Si ripeteva Draco, guardandolo, “Mio
padre odiava gli oggetti babbani. Nemmeno a me dovrebbero piacere, nemmeno a
me.”
Non sapeva da dove venisse quell’orologio, così come non sapeva da dove
venissero tutti gli altri oggetti che gli erano stati consegnati durante la sua
permanenza ad Azkaban. Per un po’ aveva quasi sperato che si trattasse di lui,
ma non si era illuso a lungo.
Nessuno degli altri detenuti poteva possedere oggetti personali, soprattutto se
si trattava di oggetti fragili, mentre a lui erano stati consegnati
quell’orologio, dei quadri, e di tanto in tanto dei fiori, che una volta gli
erano stati recapitati assieme ad un bellissimo vaso per contenerli. Tre volte
l’anno, puntualmente, gli arrivava un pacco regalo con della carta verde ed
argento, contenente un dono magico o babbano di cui ogni volta Draco si
chiedeva il motivo. Sapeva che solo lui poteva avere il potere di fare una cosa
del genere, di violare perfino la stretta sorveglianza di quel luogo solo per
una cosa tanto sciocca.
Ma presto l’illusione era svanita. Probabilmente si stavano solo divertendo
alle sue spalle, magari volevano vedere come un detenuto avrebbe reagito a
determinate attenzioni.
O forse era solo frutto della sua fantasia, e stava semplicemente diventando
pazzo.
Dopotutto, perché mai lui avrebbe dovuto fare una cosa simile?
Si premette le tempie con le dita, intollerante a quel ticchettio continuo.
“Basta! Basta! Non ne posso più… Forse volete solo punirmi? È così? È COSÌ?”
Gridò al vuoto, voltandosi verso la finestra, in attesa di una qualche risposta
che non sarebbe arrivata. Le mani si poggiarono sul davanzale freddo, tremando
febbrilmente.
Una volta non era così. Era stato solo dopo mesi dall’inizio della sua
detenzione che aveva cominciato a tremare leggermente, ma i medici non vi
avevano dato peso… Dopotutto, per quale motivo avrebbero dovuto? L’avrebbero
giustiziato a breve, era solo un ‘morto che cammina’. Ed in effetti, il tremore
era talmente lieve e talmente poco frequente, che non sembrava neppure valere
la pena di preoccuparsene.
In egual modo, nessuno si era preoccupato del fatto che da quasi un anno avesse
incominciato a parlare da solo di tanto in tanto. Molti prigionieri di Azkaban
lo fanno, dopotutto, e lui non era nemmeno uscito di senno come gli altri: la
maggior parte del tempo era lucido e cosciente, ed i lunghi monologhi in genere
erano davvero poco frequenti.
Di certo, se avesse saputo che sarebbe finita così, Draco Malfoy avrebbe di
gran lungo preferito morire in guerra, con onore. Ma era stato preso, e
nonostante gli sporadici aiuti offerti ad Harry Potter e all’Ordine della
Fenice (di cui all’epoca non conosceva il nome, nonostante sapesse bene di cosa
si occupasse), alla fine era stato ugualmente incarcerato e condannato a morte.
A morte.
Quando il verdetto era stato enunciato era impallidito, ed aveva cercato lo
sguardo di Harry, nella vana speranza di leggervi qualcosa che potesse
incoraggiarlo. Erano stati amanti per tutto il periodo della guerra, fin da
prima della fine di Hogwarts, e lui davvero aveva creduto che ci fosse
qualcos’altro al di là del sesso. Non glielo aveva mai detto esplicitamente, ma
il legame che li univa era diventato talmente forte da fargli quasi credere che
avrebbero potuto rimanere assieme.
Ma evidentemente l’altro non pensava la stessa cosa.
Sentì il proprio cuore andare in frantumi quando rivolgendogli lo sguardo vide
che quello del compagno era rivolto al pavimento, senza la minima traccia di
emozione, di rabbia, di sconcerto.
“Lo sapeva?” Si chiese Draco, “Sapeva che sarebbe finita così?”
Vide Ginny avvicinarglisi e mettergli una mano sulla spalla, mentre Ron ed
Hermione borbottavano qualcosa fra di loro. Fu allora che lui alzò la testa per
guardarlo, e nella sua espressione c’era solo un vago sentore di rammarico.
Nessuna sorpresa.
Ed il biondo ne ebbe la conferma.
Conosceva già l’esito del verdetto, ma non aveva fatto nulla per modificare la
sentenza, nonostante lui fosse il salvatore del mondo magico ed in quanto tale
avrebbe potuto mutare il corso degli eventi.
Non aveva fatto nulla, ed ora neppure aveva il coraggio di guardarlo per
un’ultima volta.
Draco avrebbe voluto odiarlo, ma non ci riusciva, nonostante il dolore
lancinante all’altezza del petto, la sensazione di soffocamento e di nausea…
non riusciva a cancellare quello che provava. Non poteva.
“Ma adesso non sento più niente, lo sai? Adesso non mi importa più… sono
stato uno stupido, vero? Davvero uno stupido.”
Disse ancora al vento, mentre afferrava le sbarre fredde e ruvide della
finestra, le sbarre che avrebbero dovuto impedirgli di fuggire via.
“Come se qualcuno spogliato totalmente della propria magia fosse in grado si
fare un salto di trenta metri.” Sghignazzò ancora, guardando in basso.
Restò a lungo lì, a fissare le onde del mare infrangersi contro gli scogli, ad
osservare i disegni sempre nuovi creati dalla candida schiuma che si andava tingendo
delle rosse tinte del sole, che lentamente stava tramontando.
Il biondo alzò per un attimo lo sguardo, rivolgendolo verso il cielo terso.
La luce calda e soffusa del tramonto investì Draco, riempiendone gli occhi con
i suoi colori, così come faceva con qualunque cosa potesse raggiungere.
Per un attimo sorrise.
Quanti tramonti aveva visto con Harry? All’epoca nessuno dei due avrebbe potuto
dire quanto tempo gli restava da vivere, ed ogni tramonto, ogni notte stellata,
ogni alba… potevano essere gli ultimi che avrebbero visto.
Poi per Harry le cose erano cambiate.
Solo per Harry.
Draco diede un pugno al muro, imprecando a bassa voce.
Si sentiva uno stupido, uno stupido idiota.
“Io non ti amo più,” Continuava a ripetere nella sua mente, “Non ti
amo più! Perché continui ad essere nei miei pensieri? Perché continui a
tormentarmi? Lasciami in pace… LASCIAMI IN PACE!”
Avrebbe voluto potersi ferire, in qualche modo. Placava il dolore che aveva
dentro, e per un attimo tutte quelle voci cessavano.
Lo aveva scoperto molto tempo prima, quasi per caso.
Era particolarmente nervoso, quel giorno, ed aveva finito per prendersela con
il vaso di porcellana regalatogli un paio di settimane prima. Lo aveva
scagliato a terra, frantumandolo in mille pezzi.
Per un attimo la sua ira si era placata, ma era tornata subito dopo,
rinvigorita, mentre stava cercando di raccogliere i pezzi di quell’oggetto.
Era l’unica cosa bella di quella cella, e lui l’aveva distrutta.
Stava per mettersi a urlare, quando gli finì un pezzo di ceramica appuntito fra
le mani e lo strinse.
Non ne uscì sangue, non era abbastanza affilato. Ma il dolore che provò,
sebbene non particolarmente intenso, gli fece dimenticare gran parte del suo
risentimento. Così lo strinse più forte, facendo aumentare quella sensazione.
Era davvero possibile riuscire a star meglio in un modo del genere? Non avrebbe
mai immaginato che il dolore fisico avrebbe potuto alleviare quello che gli
lacerava l’anima, anche solo per un attimo.
Da lì ad utilizzare il frammento di ceramica per per poi passare a tormentarsi
le braccia , fino a riempirle di sottili strisce rosse, il passo fu breve.
Non era difficile, e grazie a quella nuova forma di dolore così diversa da
quella che aveva sperimentato fino a quel momento ed intimamente perfino
gradevole, provò una pace interiore mai provata prima.
Per la prima volta dopo tanto tempo, sorrise.
Quando i carcerieri se ne accorsero, ripulirono la stanza di tutti i cocci, e
lo misero sotto sedativi. Non per la sua incolumità personale, no. Gli era
stato riservato un destino ben peggiore: morire sulla pubblica piazza, sotto lo
sguardo del popolo indifferente della popolazione magica, a cui nulla importava
della sua sofferenza.
Era questo il modo che il Ministro aveva ritenuto più opportuno per segnare
definitivamente la fine di Voldemort e di tutti i suoi seguaci, il deterrente
che riteneva più efficace per impedire che altri decidessero di intraprendere
la stessa strada battuta dal Lord Oscuro. Uccidendo i mangiamorte e coloro che
erano dalla loro parte compatibilmente con le leggi del Ministero, ne avrebbe
dimostrato l’efficienza e la supremazia.
Per questo veniva mostrata pubblicamente l’esecuzione di ogni condannato.
Per questo Draco doveva arrivare vivo fino alla fine dei suoi giorni.
Nonostante gli fossero stati tolti tutti i pezzi di quel vaso rotto, nei giorni
seguenti Draco riuscì a farsi del male con un chiodo arrugginito rimasto lì da
anni. Era molto più semplice da nascondere, ed aveva imparato a ferirsi solo in
zone del corpo non visibili.
Qualche volta aveva pensato perfino di tagliarsi le vene dei polsi, o di
recidersi la carotide, o di piantarsi il lungo chiodo appuntito nello stomaco.
Ma alla fine l’istinto di sopravvivenza era stato più forte, e non ce l’aveva
fatta.
Quando gli tolsero anche quell’ultimo strumento di sofferenza e pace, rimase
nuovamente solo con il suo dolore, e precipitò nella disperazione.
Era stato allora che aveva iniziato a parlare da solo, a tentare di fuggire la
realtà.
Ora non aveva più nulla per sopravvivere al dolore che lo lacerava dentro, e
tutto ciò che poteva fare era piantarsi le unghie nelle braccia, tentando con
rabbia di affondarle nella carne. Inutilmente.
Sentiva gli occhi bruciargli, quasi come se stesse per piangere, ma nonostante
si fosse sentito così numerose volte, le lacrime non arrivavano mai. In genere
questa sensazione era seguita da quella di soffocamento e di nausea, ma questa
volta quell’abituale ed insopportabile processo venne interrotto da qualcosa di
inaspettato.
Un rumore, infatti, fece voltare Draco di scatto: un chiavistello che cigolava,
ed il “crac” seguito dal momentaneo annullamento di un qualche incantesimo di
protezione.
Il guardiano grassoccio ed un po’ avanti con gli anni borbottò a qualcuno
dietro di lui.
“Solo un’ora. Se succede qualcosa, qualunque cosa, lo sentiremo, stia
tranquillo. Io rimarrò comunque dietro la porta per ogni evenienza.”
Draco si avvicinò, incuriosito ed incredulo: non era mai andato nessuno a
fargli visita… perché adesso?
Aveva quasi paura che fosse solo frutto della sua immaginazione. Stava forse
diventando pazzo?
Ne fu quasi certo quando vide la figura slanciata di un ragazzo ormai
ventitreenne, leggermente diverso da come lo ricordava, avvicinarsi titubante
con lo sguardo basso come l’ultima volta che lo aveva visto.
All’improvviso gli parve che il cuore gli si fermasse, per poi riprendere a
battere a velocità raddoppiata. Si sentiva come se le gambe stessero per
cedergli da un momento all’altro, e la gola secca fosse impossibilitata ad
emettere perfino il più flebile suono di voce.
L’uomo moro dinnanzi a lui alzò lentamente la testa, e sorrise tristemente, gli
occhi colmi di rimpianto e di parole non dette.
“Ciao, Draco…”
Disse senza alcuna sicurezza nel suo tono di voce.
Si avvicinò di un paio di passi, e Draco arretrò altrettanto.
“Perché sei qui? Perché? Cosa… come… come sei venuto?”
Harry si voltò verso il guardiano, e gli fece un cenno con la testa. L’uomo
annuì, ed uscì richiudendosi la porta alle spalle.
“Draco…”
Tentò ancora Harry senza aggiungere altro, fissandolo con i suoi occhi color
verde intenso.
“No! No! Che cosa vuoi adesso? Perché sei venuto qui?”
Nonostante fosse visibilmente agitato, Malfoy aveva smesso di arretrare, e
questo permise ad Harry di raggiungerlo, con passi lenti e misurati. Allungando
un braccio riuscì a sfiorargli il volto ed i capelli, prima che l’altro si
scansasse.
“Non posso immaginare come ti senti, lo so. Sono uno stronzo, ed hai tutto il
diritto di odiarmi, davvero.”
“Sì che ce l’ho. E ti odio. Ti odio con tutto il cuore, Potter…”
Mormorò con voce rotta Draco, come se stesse piangendo.
Ancora non riusciva a capacitarsi che l’altro fosse lì, e qualcosa in lui gli
urlava che non doveva cedere, non doveva.
Eppure, quel qualcosa sembrava sempre più debole in confronto alla voce dei
suoi sentimenti, che sopita per lungo tempo si stava ora risvegliando.
“Sono stato lontano troppi anni.” Disse Harry più che altro a se stesso,
scuotendo la testa.
Diede una furtiva occhiata all’orologio appeso al muro, ed al mazzo di fiori
secchi poggiati accanto alla branda dalle lenzuola grigie dove il biondo
dormiva.
Avrebbe voluto aggiungere: “Volevo rivederti,” ma non lo fece.
Aveva passato moltissimo tempo a fuggire da lui, come se non vedendolo avrebbe
potuto lasciarlo scivolare via dal proprio cuore e dai propri pensieri. Ma
questo non era accaduto, e il pensiero del vecchio compagno aveva continuato a
perseguitarlo, come un incubo di cui non ci si può liberare.
Si sentiva in colpa, sporco, una persona orribile, perché nonostante
continuasse a ripetersi di continuo, giorno dopo giorno, che sarebbe andato a
trovarlo, che si sarebbe fatto perdonare, e che lo avrebbe tirato fuori di lì
in qualche modo, non era riuscito in nessuno dei suoi intenti. Forse l’ultimo
dei tre propositi era l’unico ad aver tentato di attuare davvero: complici gli
impegni lavorativi e mondani aveva sempre rimandato il momento della visita,
adducendosi continue e sempre diverse scuse che a nulla servivano se non a
sentirsi meglio con se stesso. Ma in fondo al cuore sapeva perfettamente quanto
fosse sbagliato e riprovevole il suo atteggiamento, e non riusciva mai a
sentirsi davvero sereno.
Si avvicinò ulteriormente a Draco, e lo prese per mano, accompagnandolo sul suo
letto.
“Vieni, sediamoci.”
Disse a voce troppo bassa e tentennante, cosa che non sfuggì a Draco, il quale
gli rivolse uno sguardo a metà fra la soddisfazione e la sofferenza.
“Cos’è, Potter, ti senti in colpa?”
Sibilò, cercando di non tremare al contatto con la mano di Harry.
Non aveva propriamente paura di lui. No, quello che lo spaventava realmente
erano i propri sentimenti nei suoi confronti: dopo tanto tempo, com’era
possibile che si sentisse ancora così? Non aveva il batticuore come i primi
tempi, ma si sentiva più leggero ed in qualche modo perfino allegro, come se la
presenza di Harry riempisse l’aria di quella lurida cella trasformandola in un
posto quasi piacevole. Si sentiva accaldato, ed il tremore non era più dovuto
al nervosismo e alla paranoia. Era qualcosa di diverso: fremeva sotto il suo
tocco, come una stupida ragazzina tredicenne.
Avrebbe dovuto odiarsi per questo, così come odiava Harry Potter, eppure non
riusciva a farlo. Non riusciva ad odiare nessuno dei due, in quel momento, e si
ritrovò stupidamente a sperare, meno inconsciamente di quanto non avrebbe
voluto, che Harry fosse lì per portarlo via, per ridargli una vita. Per
riprendersi il suo amante.
Lo vide sorridere tristemente, e scuotere la testa.
“Sì, Draco. Sì, mi sento in colpa, è vero.”
Ammise.
“Ne hai tutti i motivi.”
Mormorò l’ex-serpeverde, e la sua voce non era fredda come avrebbe voluto. Era
più che altro… delusa. Delusa come lo sarebbe stata se avesse avuto modo di
parlargli quel giorno di tanti anni prima, subito dopo la sentenza.
“È vero, li ho. Ma non sono qui per chiederti perdono.”
“Perché so che non potrei ottenerlo.”
Aggiunse mentalmente. Ma anche questa volta non riuscì a pronunciare le parole
dettate dalla sua coscienza, e tentò di soffocarle nell’angolo dove aveva
rinchiuso per tanti anni ciò che avrebbe voluto dirgli.
Draco fece per alzarsi, ma Harry lo trattenne per un braccio.
“Perché sei qui, allora?”
Non ottenendo risposta, Draco si voltò, distogliendo il proprio sguardo da
quello dell’antico compagno.
“Eri tu? Eri tu a mandarmi tutte quelle cose? Tutte quelle… quelle
cianfrusaglie?”
Harry spalancò gli occhi, non visto. L’amarezza con cui gli era stata posta
quella domanda non lasciava dubbi sui sentimenti dell’altro nei confronti di
quell’iniziativa. Fare quella domanda equivaleva a chiedere: “Hai davvero
pensato che degli oggetti fossero un surrogato sufficiente in mancanza di una
stupida visita? Pensavi davvero che sarebbero serviti a farmi star meglio?”
“Cambierebbe qualcosa se fossi stato io?”
Draco scosse la testa suo malgrado. Sì, sì che sarebbe cambiato qualcosa.
Sarebbe cambiato tutto nel sapere che Harry lo aveva sempre pensato, che non si
era davvero dimenticato di lui, che non lo aveva davvero abbandonato. Forse non
avrebbe potuto modificare il passato, ma gli avrebbe dato un conforto nel
presente sapere che lui gli voleva bene, anche se solo un poco. Aprì la bocca
per rispondere, ma le parole gli morirono in gola. E quando riprovò, riuscì
solo a dire:
“No. Non cambierebbe nulla.”
Tacquero entrambi per qualche secondo, e la tensione era quasi palpabile,
mentre l’aria si faceva tanto densa da apparire irrespirabile.
Fu Draco ad infrangere quella sottile ma dolorosa barriera di parole non dette
e di pensieri stagnanti nell’aria viziata di Azkaban che lo avevano circondato
fino a quel giorno.
“Sai, mi è capitato di pensare ad Hogwarts. Anche a te, a volte.”
Stava mentendo, lo sapeva benissimo. Harry non era un pensiero casuale che di
tanto in tanto si infilava nella sua testa. No, anche se non l’aveva mai voluto
ammettere, Harry era la sua ossessione.
Non era pronto a dirlo ad alta voce, ma si stava accorgendo che avendolo
vicino, parlando con lui, per la prima volta i suoi pensieri restavano
coerenti, e la voglia di urlare svaniva. Come se Harry fosse stato la sua
droga, e la lunga astinenza l’avesse portato quasi alla follia. Ma poterlo
respirare ancora un po’ lo faceva star meglio.
“Davvero?”
Domandò Harry incoraggiante, tentando di dare al tono della sua voce una
parvenza di noncuranza. “E cosa pensavi?”
Draco ridacchiò, in modo quasi isterico.
“A tutto. Alle nostre liti, a Silente… Alle lumache che ha vomitato Weasley
quella volta… Ieri stavo pensando al Ballo del Ceppo.”
Ammise, sorprendendosi di se stesso.
“Il Ballo del Ceppo?”
Domandò Harry, mentre cominciava a giocare con la sua bacchetta, rigirandosela
fra le mani.
Tutto ciò sembrava surreale. Davvero stavano parlando così tranquillamente,
come se gli anni non fossero trascorsi?
“Sì, il Ballo del Ceppo. Sai, quando hai ballato con quella troietta, Cosa
Patil o come si chiamava.”
Harry avrebbe riso, se la situazione fosse stata diversa, e forse si sarebbe
sentito lusingato dalla gelosia irrazionale che impregnava quelle ultime
parole.
“Anche tu eri accompagnato, se non sbaglio.”
Rispose immediatamente, dandosi dello stupido subito dopo. Che senso aveva
rivangare quei momenti, che senso avevano quelle scaramucce sentimentali?
Sentì il cuore stringersi in una morsa, al pensiero di quello che avrebbe
provato uscendo di lì dopo quella conversazione apparentemente normale. Non
sarebbe mai dovuto andare lì, avrebbe dovuto restare coerente con il suo
comportamento fino all’ultimo e continuare a far finta di ignorarlo. Sarebbe
stato senz’altro meglio. Ma subito si ricordò che non era per se stesso che
stava lì. Era per Draco, solo per Draco che lo aveva fatto.
La voce di quest’ultimo lo fece tornare alla realtà.
“Non conta.” Affermò, quasi balbettando. “Anche se ero accompagnato, era te che
volevo. Non mi importava nulla di ballare con Pansy.”
Harry lo fece voltare.
“Con me?”
Domandò, come se non fosse sicuro di ciò che aveva sentito.
“Lo trovi divertente, Potter?”
Biascicò Draco, sentendosi quasi attaccato.
“No, affatto.”
Si sforzò di sorridere, mentre lo fissava negli occhi. Erano di un grigio più
spento e cupo di un tempo, ed il moro non era sicuro che fosse solo per la poca
luce di quella cella.
“Ti andrebbe… Ti andrebbe di recuperare l’occasione perduta?”
Domandò incerto.
Draco si alterò, e si allontanò di scatto.
“Mi prendi per il culo, Potter? Non giocare con me!”
“No, io… non voglio farlo.”
Con un colpo di bacchetta, fece mutare le pareti, e con un altro colpo
trasfigurò i vestiti di Draco ed i propri, proprio come erano quel giorno al
ballo: il completo serio e scuro di Malfoy, che accentuava il pallore della sua
carnagione, rendendo più visibili le occhiaie e le gote scavate, ed il suo, di
un verde di una bellezza pari a quella dei suoi occhi.
“Devi essere impazzito…” Sussurrò appena Draco, per la prima volta divertito
dopo tanto tempo. “Chi ti dice che io voglia davvero assecondarti? Che voglia
rivivere questo dopo tanto tempo?”
Fu afferrato per un braccio da Harry, proprio mentre una musica da ballo
cominciò a riecheggiare in quello che sembrava un salone addobbato.
“Già, hai ragione. È passato tantissimo tempo.”
Sospirò.
“Cinque anni, per l’esattezza.”
Mormorò tristemente l’altro.
Harry strinse a sé il biondo, incurante dell’odore pungente che emanava la sua
pelle sporca. Gli accarezzò i lunghi capelli, un tempo soffici e curati ed ora
coperti di una viscida patina d’unto, e sentì una fitta al cuore.
“Cinque anni,” Pigolò ancora il ragazzo tremante fra le sue braccia, “Cinque
lunghi anni, e non sei venuto neppure una volta. Neppure una volta…”
Harry annuì. Avrebbe potuto dire che gli dispiaceva, che non ne aveva avuto il
coraggio, che aveva pensato continuamente a lui. Ma sarebbe servito solo a
mettersi a posto la coscienza, e Draco non si meritava questo.
“Lo so.”
Rispose semplicemente, mentre gli afferrava la mano un po’ sudata, e cominciava
a muoversi al ritmo di una musica che non c’era.
Draco si adeguò immediatamente ai passi di quel valzer un po’ troppo veloce, e
poggiò la propria testa sulla spalla di Harry. Avrebbe tanto voluto baciarlo,
ma sapeva bene che nelle condizioni in cui si trovava l’altro non lo avrebbe
mai fatto, così si limitò a stringersi a lui, inspirando l’odore del suo
vecchio amante misto ad un profumo di acqua di colonia così poco familiare da
fargli quasi male.
“Perché adesso?”
Domandò a voce così bassa da risultare a malapena udibile.
Harry tentennò, e si bloccò per un istante. Un solo istante, prima di
riprendere a ballare come se nulla fosse, ma a Draco bastò per avere la
consapevolezza che qualcosa non andava. Per far riemergere quella sensazione
che aveva provato non appena lo aveva visto entrare, e che aveva tentato in
tutti i modi di soffocare per lasciar posto solo alla gioia che gli davano quei
luminosi occhi verdi.
“Perché adesso, Harry?”
Ripeté a voce leggermente più alta e stridula.
Harry sentì gli occhi bruciargli, e tacque per un attimo. Sapeva che se avesse
parlato ora non sarebbe riuscito a trattenere le lacrime, e non voleva
piangere. Non ne aveva il diritto, dopo aver abbandonato Draco a se stesso per
tutto quel tempo. Dopo averlo ignorato, pensando che dei regali sarebbero
riusciti a colmare l’enorme vuoto della solitudine, pensando che se non
l’avesse più visto se ne sarebbe fatto una ragione. E quando aveva capito i
suoi errori, era stato troppo tardi.
Ma era troppo semplice cercare di fare ammenda quando oramai era troppo tardi,
quando la vita di chi aveva amato, e forse ancora amava, stava scivolando via.
Era troppo facile ripararsi dietro inutili scuse, cercando di giustificarsi, di
far sì che il proprio dolore diventi un’arma di difesa contro le accuse mosse
dalla coscienza.
Sapeva che Draco meritava la verità, ed era lì per dirgliela. Pensava sarebbe
stato semplice, solo poche parole e poi sarebbe sparito dalla sua vita per
sempre. Dopotutto aveva vissuto senza di lui per cinque anni… Per quale motivo
non ci sarebbe dovuto riuscire per altri dieci, venti, una vita intera?
Eppure sapere di perderlo definitivamente gli riempiva il cuore di
angoscia e paura. Sapeva che era solo colpa sua se fino a quel momento aveva
sempre rimandato, fino a non avere più tempo.
Come avrebbe potuto perdonarsi?
Sospirò, e mormorò soltanto:
“Volevo poterti vedere un’ultima volta.”
Draco alzò lo sguardo, ed i suoi occhi si riempirono di consapevolezza.
“Un’ultima volta.”
Ripetè atono, allontanandosi da Harry. Per poi domandare:
“Quando… quando sarà?”
La voce tremava leggermente, ma dopotutto non era una notizia inaspettata.
Sapeva che sarebbe avvenuto prima o poi, ed ogni giorno che passava la data
della sua esecuzione era sempre più vicina.
Aveva creduto che sarebbe stato più difficile, che quando sarebbe giunto il
momento questo l’avrebbe terrorizzato. Invece i suoi sentimenti non erano forti
quanto si aspettava… era come se stesse accadendo ad un altro, e quella notizia
non lo riguardasse, mentre il mondo che lo circondava perdeva di ogni
significato.
Come se all’improvviso non esistesse più nulla attorno a lui.
“Domani mattina.”
Rispose Harry, distogliendolo dai suoi pensieri.
Draco si avvicinò al suo letto e, dopo aver guardato Harry, si sedette.
Si sentiva le gambe leggermente molli e le mani sudate. Ma andava tutto bene, o
almeno così cercava di ripetersi.
Harry si sedette accanto a lui, e gli posò la mano su una spalla.
“Sai, nei film babbani, quando sta per arrivare l’ultima ora… beh, chiedono al
condannato se ha un unico desiderio da esprimere.”
Mormorò sommessamente il moro, sentendosi uno stupido.
Non sarebbe bastato, non sarebbe servito a nulla.
Non avrebbe ottenuto il perdono di Draco né quello della propria coscienza, e
le cose non sarebbero affatto andate meglio dopo quella visita, dopo essere
stato con lui.
Era una farsa, e sebbene lo sapesse fin dall’inizio, guardare Draco in quel
momento lo fece rendere improvvisamente conto di quanto scioccamente inutile
era stato quel suo gesto, così come era stato sbagliato il comportamento di
quegli anni.
Draco lo guardò sconcertato.
“Mi stai chiedendo se voglio qualcosa? Ora mi stai chiedendo se voglio
qualcosa?”
Harry annuì, ma non rispose a parole, mentre Draco lo guardava con
un’espressione di rabbia.
“Non voglio nulla, Potter. Non puoi ridarmi la mia vita, non puoi ridarmi gli
anni che ho perso, né puoi darmi quelli che non vivrò mai.”
Non sapeva perché quelle poche parole lo avessero fatto arrabbiare tanto,
mentre fino a quel momento era riuscito senza troppe difficoltà a soffocare il
risentimento. Forse era la sensazione che Harry volesse solamente mettersi a
posto la coscienza, o il fatto che tutto ciò che provava per lui si stesse
dimostrando essere pena.
Non voleva la sua pietà. Non voleva che lo vedesse solo come qualcuno che
sarebbe morto di lì a poco.
Harry sembrò capire questi pensiero e sospirò.
“È stata un’idea stupida. Scusa.”
Draco non disse nulla, ma abbassò lo sguardo dirigendolo verso le proprie mani.
La stanza si riempì di un pesante silenzio, e la tensione si fece quasi
palpabile nell’aria.
Harry sentì un nodo in gola che gli impediva di respirare, e gli occhi
bruciargli leggermente.
“Io… ora devo andare.”
Annunciò, alzandosi.
Quell’addio non detto rimase in sospeso fra di loro, quando Draco si alzò e sorridendo
tristemente gli si avvicinò, e lo abbracciò un ultima volta.
Allontanandosi, Harry sentì qualcosa dentro di sé spezzarsi definitivamente, e,
quando varcando la soglia vide il guardiano apprestarsi a chiudere la porta, si
rese conto che nulla sarebbe stato mai più come prima.
Uscendo, Harry venne investito dall’oscurità della notte, combattuta solo da un
sottile spicchio di luna e dalle tenui luci che illuminavano Azkaban.
L’aria fredda e pungente gli riempì i polmoni, dandogli l’impressione di essere
trafitto internamente da mille aghi, mentre rivolgeva un ultimo sguardo alle
finestre delle celle.
Non lo avrebbe mai più rivisto.
Non gli aveva mai detto di amarlo, e non avrebbe mai potuto farlo.
Era troppo tardi per tutto…
Strinse i pugni, e tentò di trattenere le lacrime, senza risultato.
Gli avevano detto che non c’era peggior rimpianto che per le cose mai fatte.
Solo ora capiva quanto ciò fosse vero.
You know I am tired.
Cold and bony tired.
Nothing is going to save me,
I can see.
I can't say I'm fearful.
I can't say I'm not afraid.
I am not resisting,
I can see.
That I don't need a heaven.
I don't need religion.
I am in the place where I should be.
I am breathing water.
I am breathing water.
You know a body's got to breathe.
[Undertow, R.E.M.]
Note conclusive:
Non
ero sicura di voler postare questa one-shot prima di aver continuato le altre
fanfic, questo perchè stanno ferme da un po' e non mi pareva giusto postare
altre cose. Purtroppo, però, una serie di motivi lavorativi e soprattutto
familiari, tra cui un lutto recente, mi hanno impedito di continuare a scrivere
le long-fic, nonostante avessi scritto che per aprile sarei riuscita ad
aggiornarle. Non lo dico per autogiustificarmi o per cercare compassione (pder
carità, ognuno ha i suoi problemi e lo sappiamo tutti benissimo), ma perchè mi
sembrava corretto farvi sapere che fino ad ora non ho scritto nulla - ma
davvero nulla - oltre a questa shot e che non so quando ricomincerò ad
aggiornare. Di sicuro non le abbandonerò a loro stesse, ma per quanto riguarda
i tempi davvero non so cosa dire, mi dispiace. Alla fine ho deciso di
pubblicare questa one-shot proprio perchè era tantissimo che non aggiungevo
nulla, e un po' mi mancava il mondo delle fanfic.
Ringrazio moltissimo, inoltre, quelle poche persone che mi hanno chiesto che
fine avessi fatto e se avrei aggiornato ancora. Mi ha fatto davvero piacere il
vostro interessamento, per cui... grazie.
Un bacione a tutti coloro che sono arrivati fin qui... spero a presto :)
Vahly