Anime & Manga > Pandora Hearts
Segui la storia  |       
Autore: cormac    21/12/2013    2 recensioni
{ ElliotLeo & GilbertBreak | Vampire!Au | Accenni a varie pair }
1846, Bretagna. Nella città di Sablier si intensifica gradualmente uno scontro secolare tra due fazioni: i Baskerville, una famiglia di creature
sinistre e sovrannaturali, e Pandora, un'organizzazione chiamata ad annichilirli tutti. Il confine tra amore e perdizione è tuttavia molto labile per un
Baskerville ed un membro di Pandora, che pur di salvare loro stessi sono disposti a ripercorrere le orme del fondatore che venne chiamato eroe,
cento anni prima.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville, Revis Baskerville, Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Horror we called Love;
Atto II – La porta della stanza che tuona
 
 
 
Elliot Nightray era quel genere di diciassettenne cui la vita aveva smesso di sorridere da tempo. O forse lo faceva ancora, ma era un sorriso sghembo, un ghigno crudelmente divertito da tutte le sue disgrazie, contornato da denti aguzzi e stilettanti come coltelli. I diciassettenne anni di Elliot Nightray erano scanditi da un sentimento di cui nessuno, intorno a lui, si era accorto: il rancore.
Elliot Nightray era cresciuto vedendo i fratelli morire, la madre impazzire ed il padre odiare, affondando nell’impotenza della sua giovane età. Ma in questo dolore, egli si era rafforzato, innalzando una muraglia, alta ed impenetrabile, attorno al suo cuore.
La gente che lo conosceva non si stupiva di vederlo avanzare per le strade della capitale come se andasse in guerra, con un’espressione rabbiosa e ferita a deformargli il viso, contagiato dalla stessa malattia che contaminava gli animi ed irretiva i cuori di tutti, l’odio, troppo rassegnato persino per smettere di combattere.
«Sir Elliot!» un uomo lo chiamò dalla propria bottega, senza impedire al proprio cane di strattonarlo per il soprabito nero, nero come lui. Il nobile passò oltre, non rispose al saluto, non protestò per la sfacciataggine dell’animale. Che situazione ironica. Stava diventando un guscio vuoto, un uomo senza emozioni. Come suo padre.
 
Svoltato l’angolo, l’aria umida del vicolo lo investì in pieno volto, assieme al puzzo asfissiante di escrementi e fumi potenzialmente tossici. Si coprì il naso con un fazzoletto bianco, osservando disgustato la prospettiva di quella stradina semi-sconosciuta: l’acciottolato era umido di pioggia (e di qualcos’altro, di cui Elliot preferiva non conoscerne la natura), costellato da escrementi di uccelli, forse tortore. Salendo con lo sguardo fino a compiere un quarto di circonferenza, approssimativamente, gli occhi guizzarono, cogliendo un movimento in fondo al vicolo. Aveva tutta l’aria di essere una molestia.
Un uomo stava infastidendo una ragazza dai lunghi ed arruffati capelli neri, bloccandole i polsi e cercando di trascinarla via. Un altro uomo, un altro nobile, si sarebbe sicuramente allontanato, liquidando la faccenda con un “non è affar mio”, ma non lui. Non Elliot Nightray, con la rabbia che teneva seppellita in fondo al cuore.
«Ehi voi!» l’uomo lo guardò. Gli occhi gli ardevano come braci e l’espressione era feroce, ma il biondo si sforzò di apparire sicuro ed indifferente. 
«Sono Elliot Nightray, figlio di Bernard Nightray. Nel nome della mia famiglia: osate toccarla ancora una volta e passerete dei guai!» la ragazza si voltò e sembrò scrutarlo con rimprovero,  mentre l’uomo allargava un ghigno di sfida, prima di lasciarla andare e sparire l’oltre l’angolo della strada.
Adrien, la guardia cittadina, aveva commesso un grave errore.
 
«Sono un uomo, comunque» una voce lo riscosse. Elliot sgranò gli occhi. La “ragazza” si scostò la frangia dagli occhi, rivelando un paio di iridi scure, violette, in cui rifulgevano delle screziature color ametista. “Bellissimi.” fu tutto ciò che riuscì a pensare il biondo. “Ha degli occhi bellissimi.
Il nobile arrossì leggermente, distogliendo immediatamente lo sguardo.
«E’- è lo stesso! Fa’ attenzione la prossima volta, ci sono tanti malintenzionati e-»
«Non era un malintenzionato» interloquì il ragazzo senza nome, con una voce stranamente calma.
«Lo conosco... purtroppo».
Elliot batté le palpebre, perplesso.
«Comunque, io sono Leo» il moro abbozzò un sorriso, e nei i suoi occhi, fissi sulla figura del giovane nobile, scintillò la gratitudine. “Leo...” gli suonava come un bel nome, sebbene non particolarmente calzante, vista la gracile corporatura e l’aspetto un po’ dimesso.
«Sì ecco... Elliot, piacere. Anche se il mio nome l’avrai capito da solo» poi aggiunse
«Non hai un nome francese».
«L’hai urlato a tutta Sablier» commentò scherzosamente il ragazzo. «Latino. Lo preferisco al corrispettivo francese. Non che il tuo sia così tipicamente Bretone; la capitale brulica di inglesi»
Elliot si ammutolì, facendosi pensoso. Poi, senza aggiungere nulla, gli tese la mano, sorridendo nella miseria che li circondava. E la desolazione divenne un po’ più sopportabile.
 
 
3
 
 
Man mano che la carrozza si avventurava nell’aperta campagna che circondava le ville dei nobili, il paesaggio cittadino si faceva più rado, mentre quello rurale predominava, diventando sempre più aspro e desolato, spazzato da un’incessante tramontana. Il cavallo, che arrancava a fatica su per il viottolo indurito dal gelo, provocava involontari ma violenti scossoni alla carrozza.
Leo si strinse nella camicia stropicciata; più scrutava la  villa dei Nightray stagliarsi minacciosa in cima alla collina, più veniva assalito da un pessimo presentimento. Elliot dovette essersene accorto, poiché, a modo suo, cercò di rassicurarlo.
 «Senti, non... non c’è motivo di agitarsi, d’accordo? Mio padre è un uomo un po’ strano, ma è stato lui a dirmi di cercare un servitore...sicuramente non avrà  nulla in contrario» il moro non rispose. Era stato lui ad acconsentire quando il nobile gli aveva chiesto di servirlo e di rimanere al suo fianco come ‘collaboratore’, in fondo. I Nightray erano una famiglia potente, odiata quanto temuta e rispettata: sotto le ali del corvo, lui sarebbe stato al sicuro.
Ma allora perché quella sensazione di pericolo non svaniva?
 
 
4
 
 
La magione Nightray era buia e malinconica, e molto più spartana di quanto l’avesse immaginata. Nei corridoi l’illuminazione scarseggiava così tanto da essere principalmente affidata ai raggi del sole e della luna, ed erano freddi e tetri, quasi privi di ornamenti. I servitori erano pochissimi e piuttosto schivi; alcuni di loro avevano persino interrotto le proprie attività per fissare in cagnesco il nuovo arrivato.
Giunsero dinanzi ad una porticina bassa, di un blu notte laccato e punteggiato da borchie di ferro, lucidante con una pignoleria e maestria immani.
«Sarebbe inopportuno se ti presentassi davanti a mio padre senza annunciarti. Questa è la mia stanza, aspetta qui» Leo obbedì e si sentì chiudere la porta alle spalle.
Si avvicinò alla finestra, sbirciandovi attraverso: giù nel cortile che avevano attraversato prima di entrare, una giovane dai capelli neri stava animatamente discutendo con il cocchiere che li aveva accompagnati. Distolse lo sguardo; la stanza di Elliot era ordinata, illuminata e pulita.
Emanava un’aura di tranquillità, quando tutto intorno a lui era tempesta.
 
Elliot svoltò l’angolo e si trovò davanti ad una domestica: era una signora di una certa età, grassoccia e pimpante, con tutti i capelli striati di grigio raccolti in uno stretto chignon e nascosti da una cuffietta di lino.
«Donna Hélène...» il biondo deglutì: conosceva bene l’inclinazione al pettegolezzo della serva e, tenendo conto di ciò, avrebbe fatto meglio a comportarsi come al solito almeno finché suo padre non fosse stato messo al corrente della presenza di un ragazzo vagabondo all’interno della villa. L’uomo non aveva mai preso bene gli scandali, tantomeno i chiacchiericci da salotto delle domestiche.
«Buon pomeriggio, signorino Elliot» quella la salutò docilmente, accennando una riverenza. Elliot stava per passare oltre, quando la voce della donna lo fermò.
«Il nobile Duca sta ricevendo un ospite, al momento» lo informò, sorridendogli mettendo in mostra una fila di denti storti e giallognoli. Se non andava errato, quando nessuno la vedeva, ella si dilettava a fumare sigari. Il ragazzo sbuffò; cinque minuti per ascoltare quanto suo figlio aveva da dirgli non ne aveva?!
«Gli porterò via solo qualche istante» mormorò di sfuggita prima di correre via, percorrendo con ampie falcate il corridoio scuro, senza che donna Hélène potesse fermarlo. 
Forse era solo una sua percezione, gli sembrava che il corridoio dove si trovava lo studio di suo padre fosse ancora più tetro ed ostile degli altri. Infine, giunse dinanzi ad una porta nera (o forse grigia? a malapena riusciva a vedere dove metteva i piedi, figuriamoci ricordare il colore di una porta su cui, a causa della sua posizione, non batteva mai il sole!), pesante e leggermente ricurva su se stessa, come un vecchio asino su cui sono stati caricati troppi bagagli, per troppo tempo. Sollevò il pugno per bussare, ma esso rimase a mezz’aria: delle voci provenivano dalla stanza. Una era senza dubbio quella di Bernard Nightray, l’altra non la riconosceva. Era una voce vellutata, carezzevole... e pericolosa. Pronunciava parole lusinghiere, altolocate, ma ogni cosa di quella voce ricordava la fredda lama di un coltello, conficcato a tradimento nella carne. Prese coraggio e finalmente bussò. Ne seguì un attimo di silenzio prima di sentirsi mormorare un incerto “Avanti!” .
«Padre, sono io» si trovò puntati addosso gli sguardi del duca Nightray e di un altro individuo che non conosceva, il padrone della voce.
«Elliot Nightray...?» lo sconosciuto si alzò, avvicinandosi al ragazzo con un sorriso felino; un cenno di assenso da parte del ragazzo e, allungando le braccia, egli lo strinse. Il biondo rantolò: aveva una forza spaventosa ed Elliot si sentì soffocare. L’uomo emanava un penetrante e curioso profumo, come una mistura di erbe e fiori, ma il suo tocco era gelido e lo fece rabbrividire. Dovette essersene accorto, perché si staccò, tornando a sedere con un sorriso sghembo.
«Ci- ci conosciamo...?» domandò a mezza voce il ragazzo, riprendendo un po’ di colore.
Aveva i sudori freddi.
«Sono un caro amico di vostro padre. Revis Baskerville, per servirvi» l’individuo chinò la testa, presentandosi cerimoniosamente. Gli occhi azzurri di Elliot erano fissi sulla sua figura e non ne perdeva un solo movimento. Per qualche motivo, nonostante gli desse i brividi,  non riusciva a distogliere lo sguardo. Aveva qualcosa di ammaliante, di... nobile.
«Non ci vediamo dal vostro sesto compleanno» aggiunse poi, senza che quel sorriso mellifluo lo abbandonasse, evidentemente soddisfatto dalla reazione che aveva suscitato in lui.
«Stavo giustappunto informando il nobile Bernard sul conto di un ragazzo della nostra famiglia, che è fuggito meno di due giorni fa. Capelli neri, occhi viola, dimostra non più di sedici anni. Si chiama Leo. Sarei lieto se partecipaste alla ricerca» le parole del nobile Revis, sussurrate con una lentezza sfinente e con un tono da far accapponare la pelle anche al più coraggioso degli uomini, furono come una doccia gelata per il biondo.
«Cosa sei venuto a dirmi, Elliot?» domandò il Duca. Ad Elliot veniva da vomitare. Scosse fulmineamente il capo e si voltò, sbattendosi la porta alle spalle. Ignorò di aver fatto una pessima figura con un importante nobile: aveva in testa solo Leo.
 
Fuori della villa si stava scatenando un temporale in piena regola. Leo fece per l’ennesima volta su e giù per la stanza, come se si aspettasse che qualcosa spuntasse all’improvviso dal muro tappezzato di arazzi. Elliot ci stava impiegando più del dovuto. Sperava che non si fosse messo a discutere, per qualche motivo, con suo padre: non lo conosceva ancora benissimo, ma qualcosa gli suggeriva che fosse tipo da fare sciocchezze simile.
Dietro di sé, la maniglia di abbassò con un cigolio (andava senz’altro oliata, chissà perché il biondo non dava ordine di farlo!) e la porta si aprì piano. Il moro si aspettava di vedere comparire Elliot da un momento all’altro e rimase interdetto quando invece si trovò davanti la stessa giovane donna che aveva visto litigare con il cocchiere, nel cortile.
Non era chissà quale bellezza, o perlomeno non la valorizzava troppo: indossava un vestito interamente nero, fatta eccezione per una camicia bianca; teneva i capelli corti, con solo due ciuffi riccioluti ai lati e sul viso era stampato un broncio che aveva già visto altre volte. Tutto ciò che era davvero bello di lei erano gli occhi, di un azzurro limpido, come quelli di Elliot. Capelli neri ed occhi azzurri, una combinazione rara.
«Chi sei tu?» anche la ragazza era piuttosto sorpresa e non si preoccupava di nasconderlo dietro a dei modi di fare garbati. Era proprio come Elliot.
«Mi chiamo Leo» ripeté, per la seconda volta in quella giornata piena di... colpi di scena. Vide l’espressione della giovane mutare. Passò alla furia, ma poi si modificò in paura. Le gambe erano scosse da un leggero tremore, e Leo se ne avvide.
«Tu... tu sei...» il moro era abituato assai a quel tipo di reazioni, ma in altri luoghi, in altri frangenti, con altri nomi. Non capiva per quale motivo quella donna, apparentemente tanto indomabile, avesse abbassato il capo. Ella estrasse dalla tasca interna dell’abito nero un piccolo pugnale, brandito in difesa, e nel farlo la croce dorata che aveva sul petto, appuntata con una catenina come una spilla, baluginò. Leo conosceva quel simbolo. Gli era stato detto di odiarlo e di schernirlo.
«Vanessa!» silenzio. Era la voce di Elliot. La giovane si voltò verso il fratello minore, ma tacque, come paralizzata.
«Lascialo stare. Esci di qui. Qualunque cosa tu abbia visto od intuito, non farne parola con nessuno» ora Leo aveva paura. Cosa stava accadendo? Perché mai il suo nuovo padrone parlava in quel modo? E come si spiegava l’insolito comportamento di Vanessa Nightray?
Ciononostante, ella obbedì, riponendo l’arma e sparendo dietro la porta. Il cuore di Leo batteva all’impazzata, ma presto si accorse che anche per Elliot era lo stesso discorso.
«Perché non me l’hai detto?» il tono della sua voce sembrava alterato.
«Detto... cosa? Cosa avrei dovuto dirti più di quanto ti ho già detto?»
«Che sei un Baskerville!» il biondo sbottò, adirato più che mai.
«Che la tua famiglia ti sta cercando! Io non ne sapevo niente e ti ho portato qui, mi sono fidato di te! Se mia sorella parla, passeremo entrambi dei guai!» Guai. Erano quelli il problema principale di Elliot?
Forse c’era ancora speranza. Forse il giovane sapeva molto meno di quanto era convinto di sapere, e ciò, per Leo, rappresentava l’unica salvezza.
«Tu non capisci, Elliot» lo accusò, mantenendo il tono pacato e sommesso.
«Io non posso tornare. Non posso. Se lo faccio, delle persone moriranno. Tu non conosci, tu non sai»
Elliot tacque. Aveva paura. Paura che le parole del suo servitore potessero essere veritiere.
«Domani ti riporteremo dalla tua famiglia. E’ l’unica cosa da fare»
L’espressione disperata di Leo fu una coltellata nel petto, per il biondo.
E tutto il silenzio si congiunse al rombo del tuono in lontananza. 









Notes ]
Mi scuso per il ritardo con questo capitolo. Avevo detto 'due settimane' e mi sono presa tutto il tempo disponibile, ma ho attualmente il modem morto e sto clandestina sulla chiavetta.
Anyway, sono riuscita a postare il profilo, quindi spero sia di vostro gradimento ;3;
Grazie a chi leggerà e vorrà recensire!
Love u <3

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pandora Hearts / Vai alla pagina dell'autore: cormac