Quinto
Capitolo:
Ησυχία
Delle
calde lacrime solcarono il viso di una ragazza di all’incirca quindici anni,
sfiorandole le ferite aperte che non tardavano a cicatrizzarsi.
Ancora
dalla strada si sentivano le musiche di festa, i canti lieti che esaltavano il
felice evento del matrimonio tra due figure di così tanto rilievo. Ma in quella
stanza, immersa nell’oscura penombra, dove solo un raggio della gelida luna
riusciva a penetrare e a illuminare il pavimento in marmo bianco, si respirava
tutt’altra aria.
Un’atmosfera
pesante, di chi aveva sofferto per tutto il giorno e stava per soffrire per
tutta la notte.
La
fanciulla, rannicchiata sul letto, tentava di soffocare i propri singhiozzi tra
i morbidi guanciali bianchi, mentre stringeva l’abito che l’aveva accompagnata
in quella giornata tanto lieta per il popolo. Rosso, sontuoso, bellissimo, degno
di chi lo indossava, seppur questa lo detestasse con tutto il cuore.
La
fredda luce volse la sua attenzione sulla ragazza, facendo risaltare in
particolar modo la macchia di sangue che si trovava ai piedi della giovane e
che si stava allargando sempre di più, inzozzando le candide lenzuola.
La
porta della camera si aprì ed entrò un alto e muscoloso uomo di all’incirca
quarant’anni, il quale portava unicamente un telo attorno alla vita.
<<
Eri la ragazza più bella oggi, sai? La più bella di tutta la capitale>>
rise lui, posandole lo sguardo blu elettrico sul corpo << Peccato che tu
abbia voluto ribellarti alla mia autorità...>>
<<
Pólemos... io non sarò mai tua>> sibilò
lei, ormai stanca di piangere.
<< Oltre ai tendini ti dovevo tagliare anche la lingua,
puttana di merda>> disse, avvicinandosi << Sono forse lacrime
quelle? Che ipocrisia, per una che non ha nemmeno pianto al funerale del
padre>>
<< Parli tu di ipocrisia, Pólemos? Tu, il
salvatore?>>
<< Preparati a soffrire>> ringhiò l’uomo, salendo
sul letto, visibilmente spazientito dal sarcasmo della fanciulla << Come
mai prima d’ora>>
Castello
del re, novembre, 851
Mancavano ormai
pochi giorni all’imminente spedizione, la prima di Thàlassa. Non era
elettrizzata al pensiero, era tranquilla, anche perché nella sua breve vita
aveva visto fin troppe battaglie.
Strinse un poco il
proprio abito rosso, prima di lasciare la tensione e fare un lungo sospiro. Mal
sopportava essere al centro dell’attenzione, soprattutto in quel momento dove
si sentiva come una bambola di porcellana esposta in una vetrina. Essere stata
invitata ad un ricevimento nel sfarzoso castello del monarca era un grande
privilegio, dovuto principalmente alla fama immeritata sempre più crescente.
Sempre più spesso si sentiva paragonata ad una delle tre dee, Sina, Rose o
Maria, arrivando addirittura a persone che la osannavano per le vie di Wall
Sina, gettandosi ai suoi piedi. Lei non sopportava essere vista come una figura
celeste, anche perché non aveva fatto nulla per meritarlo.
Era anche ben
vista dagli uomini per la sua bellezza divina,
sparlata invece dalle donne, le quali riuscivano sempre a trovare difetti. Ma
la ragazza non ascoltava né l’una, né l’altra voce, poiché le proprie idee
riguardo il fisico erano rimaste le stesse: prima di essere una femmina, era un
soldato.
Avrebbe voluto
presentarsi direttamente in divisa per quell’evento, per affermare le proprie
convinzioni, ma era stata costretta sia da Erwin che da Elizabeth a vestirsi
elegantemente. Quest’ultima tra l’altro aveva insistito particolarmente a farle
indossare un lungo e bellissimo abito scarlatto, dai tratti orientali, con
un’elegante scollatura sulla schiena e un raffinato ricamo di una tigre che
prendeva spazio sulla parte inferiore sia su quella superiore; aveva inoltre
anche una spaccatura su entrambi i lati che le arrivava fino ad intravedere il
pizzo dell’intimo e un colletto che le copriva interamente il collo.
Un tipo di abito
che suscitò in Lachesi una nostalgia di casa, sia positiva che negativa.
Infatti quel tipo di vestiti spesso li aveva visti in vendita nei grandi
mercati cittadini, dei quali ricordava soprattutto gli accentuati odori di
spezie e di essenze intense, i colori brillanti, il fiume indistinto di persone
che scorreva senza mai fine; tuttavia il rosso le faceva tornare alla memoria
momenti incredibilmente difficili, come il matrimonio forzato o il funerale del
padre.
Newton non le
rivelò come era riuscita a reperirlo, però era stata ben disposta a
regalarglielo, dicendo che era giusto che lo restituisse. L’ex comandante non
comprese, anche perché lei non aveva mai posseduto indumenti così curati, ma lo
accettò ugualmente.
Non appena il
lungo corridoio che conduceva ad una grande sala per i ricevimenti giunse al
termine con un grande portone intarsiato, lei si fermò. Guardò i suoi compagni
in un muto silenzio.
Mikasa fissava con
sguardo critico Eren, il quale, come Sasha, stava attendendo solo il momento
per fiondarsi ad assaggiare i prelibati piatti serviti. Elizabeth e Hanji
invece erano un po’ più indietro e stavano dialogando animatamente –da più di
due ore ormai- riguardo i Giganti. Armin stava tentando di placare il litigio
tra Eren e Jean, fallendo miseramente; nessuno sapeva quale era stata la causa
effettiva di tale disputa, nemmeno i due litiganti a dir la verità.
Levi ed Erwin
erano al suo fianco e la osservavano, l’uno con un’occhiata atona, l’altro con
fiducia.
<<
Lachesi>> disse Hanji, cingendole le spalle in un amichevole abbraccio
<< Falli secchi tutti!>>
<< Quanto
vorrei farlo>> sospirò Lachesi in risposta, abbassando la maniglia.
Appena entrò, sentì
un innaturale silenzio, seguito poi da bisbigli e esclamazioni come “Oh” oppure “Guarda, è lei”. La ragazza non parlò, restò taciturna a testa alta,
mentre seguiva i suoi superiori, sperando nel frattempo solo di scomparire.
Era una stanza
molto affollata, soffocante, dove tutti erano vesti in modo sfarzoso, in
sintonia con il resto.
Si notava subito la
drastica differenza tra i nobili e i membri della Legione Esplorativa: i primi
erano composti, impregnati di un’aria altezzosa irrespirabile, quasi quanto il
tanfo dei loro profumi; i secondi, per la gran parte, erano come animali
portati in un ambiente diverso da quello naturale, quindi completamente
disorientati.
Il monarca si
avvicinò con un’andatura balzellante a causa della stazza, seguito da un paio
di guardie armate. Salutò apertamente Erwin e Levi, diede un cenno ad Eren e
ignorò gli altri, prendendo invece sottobraccio Lachesi e trascinandola in
fondo all’ambiente, dove si trovava un sfarzoso palco su cui c’era il trono.
Durante il tragitto continuava a parlare. Parole che scivolarono su di lei come
l’olio sull’acqua.
<< Guardate!
La rincarnazione della Dea Sina!>> disse l’uomo per attirare l’attenzione
e il silenzio generale << Lei ci salverà dalla piaga dei Giganti!>>
Alla sua
affermazione, seguì uno scroscio di applausi, addirittura di urla. Lachesi
tentò di liberarsi dalla stretta, ma finì solo per aggravare la situazione,
visto che il re fece scivolare furtivamente una mano sul suo fianco e anche più
in basso. A quel punto però lei gli diede un’occhiata talmente glaciale da
farlo desistere nel palpare oltre.
Non poteva
ribellarsi apertamente, perché avrebbe rischiato di compromettere anche tutta
la squadra, però meditava dentro di sé vendetta.
<< Lei è un
segno! Un segno che l’umanità ha ancora speranza! Lei è una dea!>>
Thàlassa alzò lo
sguardo verso il pubblico strepitante quasi schifata. Ma l’affermazione che gli
causò un minimo di reazione, fu la frase Di
nobili origini, lei ci salverà.
<< Ditemi,
quante dee conoscete che sono nate da una prostituta e un comandante morto trucidato?
Quante dee conoscete che hanno sofferto per la morte dei compagni caduti in
battaglia? Quante divinità sono state costrette ad abortire, ad uccidere il
proprio figlio ancora in grembo, per una scelta di un gruppo di anziani? Io non
sono una dea, né voglio esserlo. Io sono stata un comandante, ora sono un
soldato, ma nulla più. Non sono una salvatrice>>
<< Oh,
quanta modestia!>> rise il re, contagiando la risata anche ai borghesi
<< Aprite voi le danze, così da deliziarci con questo bel corpo>>
Lachesi fu tentata
ad urlargli contro ogni pensiero che le correva repentino nella mente, ma
appena posò gli occhi su Erwin si trattenne, chinando il capo in segno di resa.
Avanzò come sotto un arco di spade nemiche, fino a fermarsi nel centro della
stanza, dove le avevano concesso lo spazio per la danza.
Tutti la
osservavano. Tutti si aspettavano qualcosa, chi uno sbaglio, chi uno spettacolo
degno di nota. Tutti la consideravano alla stregua di oggetto.
Fece una riverenza
delicata, in seguito si preparò per compiere il primo passo, ma qualcosa la
bloccò. Elizabeth le teneva saldamente le spalle, per poi lasciargliele
dolcemente.
<< Ed io
dico no>> disse con voce chiara la dottoressa, muovendosi nella
circonferenza << Non me ne frega un tubo se vi reputate migliori perché
avete la trippa che vi tocca terra o così tanti soldi che li usate per pulirvi
il culo. Lei è una persona tanto quanto lo siete voi, grande borghesia, e trattarla come se fosse una scimmia danzante mi
sembra incivile e inumano. Volete mettervi contro di me? Va bene, fate pure,
poi le operazioni in ospedale le farete voi, con la vostra amplissima conoscenza. Volete prendervela con la Legione
Esplorativa? Ma perfetto! Vorrà dire che metterete il vostro regale
fondoschiena sui cavalli e andrete fuori voi>>
<<
Elizabeth, danzerò, lascia stare>> cercò di mitigare Thàlassa,
inutilmente.
<< Ti hanno
paragonata ad un muro! Cioè, io non direi mai Figlio, sei così importante che ti considero un mattone, anche se
quel mattone svolge il suo ruolo alla perfezione, anche se è il miglior mattone
della storia. E sai perché? Perché nel mattone non pulsa un cuore, nel mattone
non c’è un cervello. Tu non sei un muro, né una divinità, anche perché se
realmente esistessero le divinità, non ci troveremo in una situazione così
sbilanciata. E non dico per i Giganti che, per carità, sono una bella trave
anche loro. Io parlo della disparità sociale, che è una piaga ben più
grande>> la donna si fermò a contemplare la platea stupefatta <<
Non voglio creare nessuna lite in questa serata. Voglio soltanto che voi usiate
la vostra materia grigia e capiate che Lachesi, Erwin, il nano, un nobile, un
barbone, un pescivendolo o un fattore sono tutti umani. Certo, alcuni umani un
po’ speciali, ma pur sempre umani. Quindi vi chiedo di non trattare Lachesi né
come una schiava, né come una divinità, ma come una donna. Non vedete che è una
donna? Beh, vi consiglio una visita oculistica>>
Silenzio generale.
La maggior parte
degli sguardi era ora concentrata sul monarca, il quale era visibilmente
irritato dalle parole sfacciate della Dottoressa, tanto che voleva addirittura
risponderle. Ma poi, quando pensò a cosa sarebbe accaduto se avesse ordinato di
giustiziarla, desistette, perché avrebbe rischiato di far uccidere un
importantissimo pilastro della loro società.
Era lei che
svolgeva le più importanti operazioni in ospedale, era lei che istruiva i nuovi
dottori, era lei che riusciva a mantenere la calma tra la popolazione,
prestando servizio gratuito ai bisognosi che non avevano la possibilità di
pagare le cure in ospedale.
Allora pensò di
rivolgere la propria ira contro la Legione Esplorativa, ma anche in quel caso
fu costretto a ragionare. Anche se il numero di morti era ingente, svolgeva un
significativo ruolo, anzi, senza questa branchia della milizia probabilmente i
Giganti sarebbero già da tempo entrati nelle mura.
Tuttavia lui era
il re e non poteva farsi mettere i piedi in testa.
Wall
Sina, novembre, 851
Wilde bevve d’un
sorso una pinta di birra, prima di alzarsi e attaccare la preda designata, da
bravo predatore qual era. Camminava con passò deciso e sorprese una cameriera
alle spalle, facendola sobbalzare leggermente.
Questa tentò di
ribellarsi e a rispondergli in modo sgarbato, ma la voce suadente del soldato
iniziò a persuaderla sempre di più, fino a farla cadere quasi in uno stato di
trance. Si sedettero ad un tavolo appartato, lontano dai ricchi ubriaconi e da
sguardi indiscreti.
Oscar fece un
sorriso malizioso, mentre avvicinava le proprie labbra a quelle della ragazza,
gongolando dentro di sé per il bottino della serata. Ma una vista gli fece
desistere dal suo obbiettivo, seppur l’atmosfera, aiutata dalla musica
orecchiabile, fosse perfetta.
Infatti dentro al
bar irruppero alcuni membri della Legione Esplorativa, come barbari in un
villaggio di contadini, guidati da Elizabeth, la quale la prima cosa che fece
fu quella di infastidire il giovane conquistatore.
La cameriera si
alzò imbarazzata, mentre il bel tavolo di legno diventava un luogo fin troppo
affollato.
Wilde, con l’amaro
in bocca, osservò i suoi compagni con un’occhiata mista a odio e fastidio.
<< Siete
resistiti molto>> brontolò il ragazzo, mentre la dottoressa gli
spettinava i capelli.
<< Abbiamo
avuto una complicazione>> spiegò Erwin, sedendosi davanti a lui, dove
prima c’era la bella fanciulla. Un ennesimo colpo al cuore per l’albino
<< Ti sei perso un grande spettacolo>>
<<
Già...>> sospirò Wilde, guardando ancora la mancata preda che si
allontanava sempre di più.
<< Adoro
questo bar! C’è anche la musica! Come facevi a conoscere un simile
posto?>> domandò Hanji, rimanendo stupita dalla cura del locale, seppur
si trovasse in periferia.
<< Eh,
grazie ad un mio giovane allievo. Quando dovevo recuperarlo, lo trovavo sempre
qui>> le rispose Elizabeth dando un fugace sguardo a Oscar << Se
ordini una decina di bevande alcoliche tra l’altro, ti servono anche del cibo
gratis>>
Sasha, Eren e Jean
a sentir parlare di cibo gratis, attivarono istantaneamente i loro neuroni e,
se la prima iniziò a trangugiare birra solo per le pietanze, gli altri due per
una classica gara alquanto competitiva.
Nella competizione
si aggregarono anche Mikasa, per non allontanarsi troppo dal proprio fratello, Armin,
che però cedette a poco dall’inizio, Connie e lo stesso Oscar, il quale beveva
per dimenticare.
Nessuno sembrava
serbar dispiacere per la serata sfumata al castello del re, solo Lachesi,
seduta un po’ distante dagli altri, pareva avere un’aria malinconica. Dentro di
sé ribolliva di ira, per essersi dovuta trattenere in quel modo davanti alle
umiliazioni ricevute dai nobili. Era un nervoso che sfociava però in tristezza,
poiché il bere su di lei faceva un effetto alternativo.
A nulla servirono le
due pinte che ordinò, se non farle perdere un po’ l’attaccatura che aveva con il
passato e a procurarle un fastidioso formicolio alle mani. Nella sua ingenuità
non si accorse nemmeno che qualcuno stava già tramando per risollevarle il
morale.
O perlomeno, non totalmente,
visto che si accorse quando Erwin, veloce come una saetta, placcò il capo della
Polizia Militare Neil Doak, il quale si stava avvicinando a dove era seduta
l’ex comandante.
Non fece domande.
Non volle far domande. Continuò a bere senza alzare gli occhi dal bicchiere,
per poi deprimersi sempre di più.
<<
Ohi>> disse Levi, osservando la ragazza accasciata sul tavolo <<
Alza il culo e reagisci>> aggiunse.
<< Non è il
momento giusto, lasciami stare>> mormorò lei, con la testa tra le
braccia.
<< Ti ho
detto di alzare il culo. È un ordine>>
<< E perché?
Voi smerdarmi anche tu? Grazie, ma non mi serve>>
<< Vieni a
ballare>>
La ragazza alzò il
capo e osservò con un’occhiata dubbiosa i recipienti vuoti davanti a sé. Doveva
ammettere di non saper reggere l’alcol, però due bicchieri di vino e di birra
riusciva ancora a berli senza perdere del tutto la lucidità.
<<
Eh?>> domandò incredula, passando lo sguardo sul proprio superiore, in
piedi al suo fianco.
<< Non lo
ripeto>>
Al momento desistette
a fare congetture tra il placcaggio del comandante e quella bizzarra e
inaspettata proposta del Caporale Maggiore. Rimase un attimo incerta su cosa
rispondere, poiché il suo cervello non era abituato a simili situazioni.
Fu quasi un automatismo
delle gambe a spingerla ad alzarsi.
Tanto sarebbe
stato solo per una canzone, poi sarebbe tornata al suo angolo buio, solitario e
sconfortante. Avrebbero ballato su motivi celtici e veloci, quindi nemmeno
l’imbarazzo di danzare appiccicati come cozze.
Raggiunsero la
pista, dove sul fondo, posti su un modesto palchetto, si vedevano gli artisti
che suonavano egregiamente, ma anche Hanji a ginocchioni, la quale passava
furtivamente un po’ di spiccioli al violinista e alla cantante, prima di
scomparire tra la folla.
Lachesi e Levi si
fermarono e si osservarono per lungo tempo, decidendo mutamente di mantenere le
distanze.
Ma puntuale come
un orologio svizzero, iniziò una melodia lenta, adatta ad un ballo di coppia.
Non servì nulla guardarsi attorno, notando che erano i soli a rimanere
distanziati l’uno dall’altra. Il dado era
tratto e già qualcuno dagli occhi dorati sogghignava malignamente
nell’ombra, sbattendo poi un piede contro una gamba di un tavolo.
<< Ora che
ci penso, sarebbe meglio che io ritorni al tavolo. Non sono abituata a ballare
su una simile mu...>>
Il Caporale
Maggiore le afferrò il polso con aria cupa.
I neuroni della
ragazza ebbero un collasso, non riuscendo più a gestire la situazione. Era
abituata a elaborare piani, strategie belliche, controstrategie, ma non si era
mai trovata in una situazione così bizzarra.
Non provava nessun
sentimento per quell’uomo che non fosse la fiducia; aveva imparato a parlare
con lui apertamente, forse fin troppo, divertendosi soprattutto a fargli saltare
i nervi. Quindi non riusciva a comprendere perché improvvisamente una parte
dentro di sé voleva fuggire, ritornare nel buio.
Era solo un
innocente ballo.
<< Se vuoi
mi tolgo gli anfibi così da essere alla tua altezza>> lo punzecchiò,
mentre lui le poggiava meccanicamente una mano sul fianco.
<< Vedo che
ti è tornato il buon umore>> brontolò, osservandola cupamente.
<< Nah,
credo che sia il mio lato bastardo che non mi abbandona mai>>
Ci furono diatribe
fin da subito riguardo a chi dovesse dirigere. Più che ballo romantico,
sembrava una scena comica di qualche opera teatrale. Lachesi non accettava di
essere comandata e questo pensiero era in comune accordo anche con Levi.
Dopo però un paio di
mute imprecazioni e diversi Porco
lasciati sospesi, senza sostantivo a cui appoggiarsi, alla fine la ragazza
cedette la propria parte di leadership, seppur a malincuore, visto che era
stanca di travolgere le altre coppie e di doversi scusare.
E da lì accadde
l’impensabile. Un fatto che fece andare di traverso per lo stupore il vino ad
Erwin, il quale stava tentando di trattenere le risate fino ad un attimo prima.
Hanji e Elizabeth invece, sedute allo stesso tavolo, guardarono la scena
incredule, credendo che fosse un’illusione ottica.
Thàlassa e il
Caporale Maggiore, dopo un momento di rigidezza, danzavano quasi armonicamente,
incredibilmente vicini senza insultarsi o punzecchiarsi a vicenda. Avevano
raggiunto una strana sintonia, insolita sia per loro sia per chi li osservava.
<< è colpa
dell’alcol. Non riesco più a vedere lucidamente>> si giustificò la
dottoressa, finendo tuttavia la bottiglia.
<< Sono così
teneri... quasi quanto Sonny e Bean>> esclamò Hanji, asciugandosi gli
occhi.
<< Ti
dobbiamo dei soldi, Hanji>> disse Erwin, bevendo poi una pinta di birra
scura.
Lachesi osservava
i propri anfibi in silenzio, notando sempre nuovi particolari. Inutili o poco
rilevanti, come il fatto che durante il tragitto si erano sporcati un po’ di
fango o che non erano neri, ma di un grigio assai scuro. Qualcosa le impediva
di alzare lo sguardo.
Le sue mani invece
erano poggiate saldamente alle spalle del suo superiore, come se non volessero
più separarsi dalla camicia immacolata, seppur non ne conoscesse la causa.
Quel pensiero la
fece irritare un poco, causando una leggera convulsione delle dita, le quali
però si rilassarono nuovamente subito dopo.
Era una situazione
imbarazzante. Troppo imbarazzante.
Forse era per
quello che non voleva alzare gli occhi, per non vedere il probabile viso
irritato dell’uomo. Ma fu proprio Levi a costringerla a sollevare il capo,
prendendola per la liscia chioma castana.
<< Che
c’è?>> sbottò lei, desiderando solo allontanarsi da lui, ma al contempo
di restare lì per lungo tempo.
<< Ero stufo
di respirare i tuoi capelli>>
<< Almeno li
ho lavati>>
<< Devi
tagliarli. Ti intralceranno soltanto nella prossima spedizione. E non voglio
avere un peso morto a carico>>
<<
No>> rispose seccamente lei, facendo poi una leggera pausa << Non
posso. Oltre al fatto che nella mia cultura le donne con i capelli corti sono
principalmente le prostitute, non voglio mancare alla promessa che ho fatto a
mio padre>>
<<
Promessa?>>
<< Beh... mi
ha detto di farli crescere fino al suo ritorno vittorioso dalla battaglia,
perché io mi ostinavo a tagliarli per assomigliare agli altri bambini. Spero
ancora in un suo ritorno... perché su quella pira... so... che c’era solo un
fantoccio...>> distolse lo sguardo, per non mostrare i propri occhi
lucidi, prossimi al pianto.
Un pianto
infantile, lo riconosceva anche lei. E odiava con tutta se stessa mostrarsi
debole.
Levi le spostò
ancora il viso, questa volta con un po’ più di delicatezza e la osservò diritta
nelle iridi.
<< Non serve
a nulla vivere nel passato. Apri questi cazzo di occhi e vivi>>
stranamente non l’aveva detto con un tono aggressivo, ma con più comprensione.
Lachesi quasi non
si accorse di essersi appoggiata a lui, con il volto contro la sua spalla,
mentre versava quelle lacrime che aveva trattenuto per sette anni. Era colpa
essenzialmente dell’alcol, che le aveva appianato la sua resistenza al dolore dei
ricordi, ma anche della sua incapacità di continuare a reggerli.
<< Scusa...
ti sto riempiendo di moccio la camicia>> disse d’un tratto.
<< Ti farò
pulire il castello appena torneremo>>
<<
Grazie>> mormorò, tra un singhiozzo e un altro << sembrerò
patetica>>
<< Eri più
patetica prima con quella cazzo di espressione da Eren quando è costretto a
pensare>> brontolò, tenendole il capo con una mano.
<<
Madonna... ero veramente messa così male?>> rise lei, distaccandosi un
poco e asciugandosi così parte del viso.
La canzone finì e loro due, dopo un attimo di esitazione,
Lei si sedette al
bancone e si unì agli altri della squadra nella gara del bere, anche se ormai
erano tutti mezzi ubriachi; Levi invece si sedette al tavolo con il comandante,
la dottoressa e la capo squadra, ormai troppo ebbri per domandargli qualsiasi
cosa.
Né Thàlassa, né il
Caporale Maggiore parlarono dell’accaduto in seguito.
E Lachesi, seppur
completamente brilla, eseguì ugualmente l’ordine del suo superiore, iniziando al
ritorno a pulire l’atrio; ma lui, con un colpo ben assestato di scopa, la fece
stramazzare al suolo e, con la pazienza che solo un padre nei confronti di una
figlia poteva avere, la portò sin dove si trovava uno scomodo divanetto e lì
l’adagiò, anche se malamente.
Fine quinto
capitolo!
Nome capitolo:
tranquillità (in greco antico).
Angolo
dell’autrice:
Volevo spendere
due parole riguardo ai vari rapporti che sono e saranno presentati nel corso
dei capitoli.
Allora il primo,
ovvero quello tra Pólemos e Thàlassa: in quella
cultura, non era considerato pedofilia, anche perché Thàlassa era già stata
riconosciuta come adulta. Anche il matrimonio combinato tra un quarantenne e
una quindicenne era visto come una prassi comune, visto che la moglie serviva
essenzialmente per procreare e per mantenere la casa. Nel caso di Lachesi,
essendo un comandante, solo la prima.
Agápe invece è un personaggio un po’ particolare.
Nei prossimi capitoli spero di riuscire a presentarlo meglio, comunque lui non
ha una, non ha due, non ha tre, ma bensì un intero stuolo di amanti (donne e
uomini), di cui fanno parte anche i suoi allievi. Il rapporto pederastico
(quello tra maestri e allievi) appartiene essenzialmente dell’Antica Grecia, da
cui ho tratto ispirazione. Era una sorta di iniziazione al tempo.
Per lui mi sono
ispirata alla canzone di Gakupo: Madness
of Duke Venomania. E qui ho detto fin troppo.
Poi abbiamo il
rapporto tra Lachesi e Levi. Tradotto nella mia lingua: quanto odio
trattenermi.
Allora, premetto
che in ogni FanFiction che ho scritto, i momenti romantici sono stati alquanto
rari e... brevi. E solo dio sa quante volte ho dovuto cancellare e riscrivere
questo capitolo. Tutto perché la mia vena romantica e sdolcinata continuava a
prendere il sopravvento.
Finita questa
premessa, tra loro non c’è nulla. Lui la considera come un
soldato...figlia...creatura vivente... insomma, la considera qualcosa a modo
suo; lei invece come un nano a cui appoggiarsi di tanto in tanto e con cui
poter parlare liberamente.
Niente love story,
nulla, nada. Per ora.
Poi abbiamo
Elizabeth. Delle sue paturnie/inclinazioni amorose però voglio parlarne nei
prossimi capitoli e la stessa cosa vale per Wilde. Lui e la sorella gemella...
ok, ho detto troppo.
Per riassumere
questa è la storia con relazioni più varie, più incasinate, più crudeli e più
tutto, anche perché non si limitano solo a quelle che ho scritto. Ad esempio, ci
sarebbe anche la madre e il padre di Lachesi, o sempre il padre di Lachesi e Pólemos, o Pólemos e New Thàlassa, o New Thàlassa
e Agápe.
Tuttavia
hanno tutte un perché, una ragione e non sono messe lì solo per far scena. O
perlomeno, così la penso io, la scrittrice. Poi accetterò ogni contestazione.
Ho pubblicato due capitoli nella stessa settimana perché non sono sicura di esserci nella prossima. Quindi, nulla, auguro un buon Natale a chi mi segue e anche a chi non mi segue!