Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: _Lakshmi_    21/12/2013    2 recensioni
Se esistesse vita al di fuori delle mura? Se esistesse una civiltà evoluta?
Questa storia è incentrata sul personaggio di una giovane comandante, privata del proprio titolo, del proprio onore, delle proprie armi, capitata a Wall Rose per un maligno gioco del destino. Una ragazza che ha conosciuto il mare, da cui ha eredito la calma, ma anche l'impetuosità.
Una ragazza che ha conosciuto fin da subito il sangue, la morte e la freddezza della vita.
Dal capitolo quarto:
"[...] Ti immagini? Enormi animali, grandi quasi quanto dei Giganti, con lunghe zanne e grandi orecchie! Quando li abbiamo visti la prima volta eravamo rimasti un po’ spiazzati"
"Avete animali bizzarri..." commentò il Caporale con voce atona, non riuscendo ad immaginare l’animale appena citato.
"E voi attrezzature infernali" rise lei "Comunque gli Elefanti non sono nostri, ma di una tribù proveniente dall’estremo oriente, al di là delle altissime montagne. Sono uomini anche più bassi di te, sai?"

Al suo fianco ci saranno altri OC, alcuni dei quali comporranno una squadra molto particolare...
[...] Perché se esistevano persone così estroverse, talmente particolari da poter causare il suicidio di qualsiasi psichiatra, nulla poteva reputarsi infattibile.
Genere: Azione, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rivaille, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quinto Capitolo

Quinto Capitolo:

Ησυχία

 
Delle calde lacrime solcarono il viso di una ragazza di all’incirca quindici anni, sfiorandole le ferite aperte che non tardavano a cicatrizzarsi.
Ancora dalla strada si sentivano le musiche di festa, i canti lieti che esaltavano il felice evento del matrimonio tra due figure di così tanto rilievo. Ma in quella stanza, immersa nell’oscura penombra, dove solo un raggio della gelida luna riusciva a penetrare e a illuminare il pavimento in marmo bianco, si respirava tutt’altra aria.
Un’atmosfera pesante, di chi aveva sofferto per tutto il giorno e stava per soffrire per tutta la notte.
La fanciulla, rannicchiata sul letto, tentava di soffocare i propri singhiozzi tra i morbidi guanciali bianchi, mentre stringeva l’abito che l’aveva accompagnata in quella giornata tanto lieta per il popolo. Rosso, sontuoso, bellissimo, degno di chi lo indossava, seppur questa lo detestasse con tutto il cuore.
La fredda luce volse la sua attenzione sulla ragazza, facendo risaltare in particolar modo la macchia di sangue che si trovava ai piedi della giovane e che si stava allargando sempre di più, inzozzando le candide lenzuola.
La porta della camera si aprì ed entrò un alto e muscoloso uomo di all’incirca quarant’anni, il quale portava unicamente un telo attorno alla vita.
<< Eri la ragazza più bella oggi, sai? La più bella di tutta la capitale>> rise lui, posandole lo sguardo blu elettrico sul corpo << Peccato che tu abbia voluto ribellarti alla mia autorità...>>
<< Pólemos... io non sarò mai tua>> sibilò lei, ormai stanca di piangere.

<< Oltre ai tendini ti dovevo tagliare anche la lingua, puttana di merda>> disse, avvicinandosi << Sono forse lacrime quelle? Che ipocrisia, per una che non ha nemmeno pianto al funerale del padre>>
<< Parli tu di ipocrisia, Pólemos? Tu, il salvatore?>>
<< Preparati a soffrire>> ringhiò l’uomo, salendo sul letto, visibilmente spazientito dal sarcasmo della fanciulla << Come mai prima d’ora>>

 

 
Castello del re, novembre, 851

 
Mancavano ormai pochi giorni all’imminente spedizione, la prima di Thàlassa. Non era elettrizzata al pensiero, era tranquilla, anche perché nella sua breve vita aveva visto fin troppe battaglie.
Strinse un poco il proprio abito rosso, prima di lasciare la tensione e fare un lungo sospiro. Mal sopportava essere al centro dell’attenzione, soprattutto in quel momento dove si sentiva come una bambola di porcellana esposta in una vetrina. Essere stata invitata ad un ricevimento nel sfarzoso castello del monarca era un grande privilegio, dovuto principalmente alla fama immeritata sempre più crescente. Sempre più spesso si sentiva paragonata ad una delle tre dee, Sina, Rose o Maria, arrivando addirittura a persone che la osannavano per le vie di Wall Sina, gettandosi ai suoi piedi. Lei non sopportava essere vista come una figura celeste, anche perché non aveva fatto nulla per meritarlo.
Era anche ben vista dagli uomini per la sua bellezza divina, sparlata invece dalle donne, le quali riuscivano sempre a trovare difetti. Ma la ragazza non ascoltava né l’una, né l’altra voce, poiché le proprie idee riguardo il fisico erano rimaste le stesse: prima di essere una femmina, era un soldato.
Avrebbe voluto presentarsi direttamente in divisa per quell’evento, per affermare le proprie convinzioni, ma era stata costretta sia da Erwin che da Elizabeth a vestirsi elegantemente. Quest’ultima tra l’altro aveva insistito particolarmente a farle indossare un lungo e bellissimo abito scarlatto, dai tratti orientali, con un’elegante scollatura sulla schiena e un raffinato ricamo di una tigre che prendeva spazio sulla parte inferiore sia su quella superiore; aveva inoltre anche una spaccatura su entrambi i lati che le arrivava fino ad intravedere il pizzo dell’intimo e un colletto che le copriva interamente il collo.
Un tipo di abito che suscitò in Lachesi una nostalgia di casa, sia positiva che negativa. Infatti quel tipo di vestiti spesso li aveva visti in vendita nei grandi mercati cittadini, dei quali ricordava soprattutto gli accentuati odori di spezie e di essenze intense, i colori brillanti, il fiume indistinto di persone che scorreva senza mai fine; tuttavia il rosso le faceva tornare alla memoria momenti incredibilmente difficili, come il matrimonio forzato o il funerale del padre.
Newton non le rivelò come era riuscita a reperirlo, però era stata ben disposta a regalarglielo, dicendo che era giusto che lo restituisse. L’ex comandante non comprese, anche perché lei non aveva mai posseduto indumenti così curati, ma lo accettò ugualmente.
Non appena il lungo corridoio che conduceva ad una grande sala per i ricevimenti giunse al termine con un grande portone intarsiato, lei si fermò. Guardò i suoi compagni in un muto silenzio.
Mikasa fissava con sguardo critico Eren, il quale, come Sasha, stava attendendo solo il momento per fiondarsi ad assaggiare i prelibati piatti serviti. Elizabeth e Hanji invece erano un po’ più indietro e stavano dialogando animatamente –da più di due ore ormai- riguardo i Giganti. Armin stava tentando di placare il litigio tra Eren e Jean, fallendo miseramente; nessuno sapeva quale era stata la causa effettiva di tale disputa, nemmeno i due litiganti a dir la verità.
Levi ed Erwin erano al suo fianco e la osservavano, l’uno con un’occhiata atona, l’altro con fiducia.
<< Lachesi>> disse Hanji, cingendole le spalle in un amichevole abbraccio << Falli secchi tutti!>>
<< Quanto vorrei farlo>> sospirò Lachesi in risposta, abbassando la maniglia.
Appena entrò, sentì un innaturale silenzio, seguito poi da bisbigli e esclamazioni come “Oh” oppure “Guarda, è lei”. La ragazza non parlò, restò taciturna a testa alta, mentre seguiva i suoi superiori, sperando nel frattempo solo di scomparire.
Era una stanza molto affollata, soffocante, dove tutti erano vesti in modo sfarzoso, in sintonia con il resto.
Si notava subito la drastica differenza tra i nobili e i membri della Legione Esplorativa: i primi erano composti, impregnati di un’aria altezzosa irrespirabile, quasi quanto il tanfo dei loro profumi; i secondi, per la gran parte, erano come animali portati in un ambiente diverso da quello naturale, quindi completamente disorientati.
Il monarca si avvicinò con un’andatura balzellante a causa della stazza, seguito da un paio di guardie armate. Salutò apertamente Erwin e Levi, diede un cenno ad Eren e ignorò gli altri, prendendo invece sottobraccio Lachesi e trascinandola in fondo all’ambiente, dove si trovava un sfarzoso palco su cui c’era il trono. Durante il tragitto continuava a parlare. Parole che scivolarono su di lei come l’olio sull’acqua.
<< Guardate! La rincarnazione della Dea Sina!>> disse l’uomo per attirare l’attenzione e il silenzio generale << Lei ci salverà dalla piaga dei Giganti!>>
Alla sua affermazione, seguì uno scroscio di applausi, addirittura di urla. Lachesi tentò di liberarsi dalla stretta, ma finì solo per aggravare la situazione, visto che il re fece scivolare furtivamente una mano sul suo fianco e anche più in basso. A quel punto però lei gli diede un’occhiata talmente glaciale da farlo desistere nel palpare oltre.
Non poteva ribellarsi apertamente, perché avrebbe rischiato di compromettere anche tutta la squadra, però meditava dentro di sé vendetta.
<< Lei è un segno! Un segno che l’umanità ha ancora speranza! Lei è una dea!>>
Thàlassa alzò lo sguardo verso il pubblico strepitante quasi schifata. Ma l’affermazione che gli causò un minimo di reazione, fu la frase Di nobili origini, lei ci salverà.
<< Ditemi, quante dee conoscete che sono nate da una prostituta e un comandante morto trucidato? Quante dee conoscete che hanno sofferto per la morte dei compagni caduti in battaglia? Quante divinità sono state costrette ad abortire, ad uccidere il proprio figlio ancora in grembo, per una scelta di un gruppo di anziani? Io non sono una dea, né voglio esserlo. Io sono stata un comandante, ora sono un soldato, ma nulla più. Non sono una salvatrice>>
<< Oh, quanta modestia!>> rise il re, contagiando la risata anche ai borghesi << Aprite voi le danze, così da deliziarci con questo bel corpo>>
Lachesi fu tentata ad urlargli contro ogni pensiero che le correva repentino nella mente, ma appena posò gli occhi su Erwin si trattenne, chinando il capo in segno di resa. Avanzò come sotto un arco di spade nemiche, fino a fermarsi nel centro della stanza, dove le avevano concesso lo spazio per la danza.
Tutti la osservavano. Tutti si aspettavano qualcosa, chi uno sbaglio, chi uno spettacolo degno di nota. Tutti la consideravano alla stregua di oggetto.
Fece una riverenza delicata, in seguito si preparò per compiere il primo passo, ma qualcosa la bloccò. Elizabeth le teneva saldamente le spalle, per poi lasciargliele dolcemente.
<< Ed io dico no>> disse con voce chiara la dottoressa, muovendosi nella circonferenza << Non me ne frega un tubo se vi reputate migliori perché avete la trippa che vi tocca terra o così tanti soldi che li usate per pulirvi il culo. Lei è una persona tanto quanto lo siete voi, grande borghesia, e trattarla come se fosse una scimmia danzante mi sembra incivile e inumano. Volete mettervi contro di me? Va bene, fate pure, poi le operazioni in ospedale le farete voi, con la vostra amplissima conoscenza. Volete prendervela con la Legione Esplorativa? Ma perfetto! Vorrà dire che metterete il vostro regale fondoschiena sui cavalli e andrete fuori voi>>
<< Elizabeth, danzerò, lascia stare>> cercò di mitigare Thàlassa, inutilmente.
<< Ti hanno paragonata ad un muro! Cioè, io non direi mai Figlio, sei così importante che ti considero un mattone, anche se quel mattone svolge il suo ruolo alla perfezione, anche se è il miglior mattone della storia. E sai perché? Perché nel mattone non pulsa un cuore, nel mattone non c’è un cervello. Tu non sei un muro, né una divinità, anche perché se realmente esistessero le divinità, non ci troveremo in una situazione così sbilanciata. E non dico per i Giganti che, per carità, sono una bella trave anche loro. Io parlo della disparità sociale, che è una piaga ben più grande>> la donna si fermò a contemplare la platea stupefatta << Non voglio creare nessuna lite in questa serata. Voglio soltanto che voi usiate la vostra materia grigia e capiate che Lachesi, Erwin, il nano, un nobile, un barbone, un pescivendolo o un fattore sono tutti umani. Certo, alcuni umani un po’ speciali, ma pur sempre umani. Quindi vi chiedo di non trattare Lachesi né come una schiava, né come una divinità, ma come una donna. Non vedete che è una donna? Beh, vi consiglio una visita oculistica>>
Silenzio generale.
La maggior parte degli sguardi era ora concentrata sul monarca, il quale era visibilmente irritato dalle parole sfacciate della Dottoressa, tanto che voleva addirittura risponderle. Ma poi, quando pensò a cosa sarebbe accaduto se avesse ordinato di giustiziarla, desistette, perché avrebbe rischiato di far uccidere un importantissimo pilastro della loro società.
Era lei che svolgeva le più importanti operazioni in ospedale, era lei che istruiva i nuovi dottori, era lei che riusciva a mantenere la calma tra la popolazione, prestando servizio gratuito ai bisognosi che non avevano la possibilità di pagare le cure in ospedale.
Allora pensò di rivolgere la propria ira contro la Legione Esplorativa, ma anche in quel caso fu costretto a ragionare. Anche se il numero di morti era ingente, svolgeva un significativo ruolo, anzi, senza questa branchia della milizia probabilmente i Giganti sarebbero già da tempo entrati nelle mura.
Tuttavia lui era il re e non poteva farsi mettere i piedi in testa.

 
Wall Sina, novembre, 851

 
Wilde bevve d’un sorso una pinta di birra, prima di alzarsi e attaccare la preda designata, da bravo predatore qual era. Camminava con passò deciso e sorprese una cameriera alle spalle, facendola sobbalzare leggermente.
Questa tentò di ribellarsi e a rispondergli in modo sgarbato, ma la voce suadente del soldato iniziò a persuaderla sempre di più, fino a farla cadere quasi in uno stato di trance. Si sedettero ad un tavolo appartato, lontano dai ricchi ubriaconi e da sguardi indiscreti.
Oscar fece un sorriso malizioso, mentre avvicinava le proprie labbra a quelle della ragazza, gongolando dentro di sé per il bottino della serata. Ma una vista gli fece desistere dal suo obbiettivo, seppur l’atmosfera, aiutata dalla musica orecchiabile, fosse perfetta.
Infatti dentro al bar irruppero alcuni membri della Legione Esplorativa, come barbari in un villaggio di contadini, guidati da Elizabeth, la quale la prima cosa che fece fu quella di infastidire il giovane conquistatore.
La cameriera si alzò imbarazzata, mentre il bel tavolo di legno diventava un luogo fin troppo affollato.
Wilde, con l’amaro in bocca, osservò i suoi compagni con un’occhiata mista a odio e fastidio.
<< Siete resistiti molto>> brontolò il ragazzo, mentre la dottoressa gli spettinava i capelli.
<< Abbiamo avuto una complicazione>> spiegò Erwin, sedendosi davanti a lui, dove prima c’era la bella fanciulla. Un ennesimo colpo al cuore per l’albino << Ti sei perso un grande spettacolo>>
<< Già...>> sospirò Wilde, guardando ancora la mancata preda che si allontanava sempre di più.
<< Adoro questo bar! C’è anche la musica! Come facevi a conoscere un simile posto?>> domandò Hanji, rimanendo stupita dalla cura del locale, seppur si trovasse in periferia.
<< Eh, grazie ad un mio giovane allievo. Quando dovevo recuperarlo, lo trovavo sempre qui>> le rispose Elizabeth dando un fugace sguardo a Oscar << Se ordini una decina di bevande alcoliche tra l’altro, ti servono anche del cibo gratis>>
Sasha, Eren e Jean a sentir parlare di cibo gratis, attivarono istantaneamente i loro neuroni e, se la prima iniziò a trangugiare birra solo per le pietanze, gli altri due per una classica gara alquanto competitiva.
Nella competizione si aggregarono anche Mikasa, per non allontanarsi troppo dal proprio fratello, Armin, che però cedette a poco dall’inizio, Connie e lo stesso Oscar, il quale beveva per dimenticare.
Nessuno sembrava serbar dispiacere per la serata sfumata al castello del re, solo Lachesi, seduta un po’ distante dagli altri, pareva avere un’aria malinconica. Dentro di sé ribolliva di ira, per essersi dovuta trattenere in quel modo davanti alle umiliazioni ricevute dai nobili. Era un nervoso che sfociava però in tristezza, poiché il bere su di lei faceva un effetto alternativo.
A nulla servirono le due pinte che ordinò, se non farle perdere un po’ l’attaccatura che aveva con il passato e a procurarle un fastidioso formicolio alle mani. Nella sua ingenuità non si accorse nemmeno che qualcuno stava già tramando per risollevarle il morale.
O perlomeno, non totalmente, visto che si accorse quando Erwin, veloce come una saetta, placcò il capo della Polizia Militare Neil Doak, il quale si stava avvicinando a dove era seduta l’ex comandante.
Non fece domande. Non volle far domande. Continuò a bere senza alzare gli occhi dal bicchiere, per poi deprimersi sempre di più.
<< Ohi>> disse Levi, osservando la ragazza accasciata sul tavolo << Alza il culo e reagisci>> aggiunse.
<< Non è il momento giusto, lasciami stare>> mormorò lei, con la testa tra le braccia.
<< Ti ho detto di alzare il culo. È un ordine>>
<< E perché? Voi smerdarmi anche tu? Grazie, ma non mi serve>>
<< Vieni a ballare>>
La ragazza alzò il capo e osservò con un’occhiata dubbiosa i recipienti vuoti davanti a sé. Doveva ammettere di non saper reggere l’alcol, però due bicchieri di vino e di birra riusciva ancora a berli senza perdere del tutto la lucidità.
<< Eh?>> domandò incredula, passando lo sguardo sul proprio superiore, in piedi al suo fianco.
<< Non lo ripeto>>
Al momento desistette a fare congetture tra il placcaggio del comandante e quella bizzarra e inaspettata proposta del Caporale Maggiore. Rimase un attimo incerta su cosa rispondere, poiché il suo cervello non era abituato a simili situazioni.
Fu quasi un automatismo delle gambe a spingerla ad alzarsi.
Tanto sarebbe stato solo per una canzone, poi sarebbe tornata al suo angolo buio, solitario e sconfortante. Avrebbero ballato su motivi celtici e veloci, quindi nemmeno l’imbarazzo di danzare appiccicati come cozze.
Raggiunsero la pista, dove sul fondo, posti su un modesto palchetto, si vedevano gli artisti che suonavano egregiamente, ma anche Hanji a ginocchioni, la quale passava furtivamente un po’ di spiccioli al violinista e alla cantante, prima di scomparire tra la folla.
Lachesi e Levi si fermarono e si osservarono per lungo tempo, decidendo mutamente di mantenere le distanze.
Ma puntuale come un orologio svizzero, iniziò una melodia lenta, adatta ad un ballo di coppia. Non servì nulla guardarsi attorno, notando che erano i soli a rimanere distanziati l’uno dall’altra. Il dado era tratto e già qualcuno dagli occhi dorati sogghignava malignamente nell’ombra, sbattendo poi un piede contro una gamba di un tavolo.
<< Ora che ci penso, sarebbe meglio che io ritorni al tavolo. Non sono abituata a ballare su una simile mu...>>
Il Caporale Maggiore le afferrò il polso con aria cupa.
I neuroni della ragazza ebbero un collasso, non riuscendo più a gestire la situazione. Era abituata a elaborare piani, strategie belliche, controstrategie, ma non si era mai trovata in una situazione così bizzarra.
Non provava nessun sentimento per quell’uomo che non fosse la fiducia; aveva imparato a parlare con lui apertamente, forse fin troppo, divertendosi soprattutto a fargli saltare i nervi. Quindi non riusciva a comprendere perché improvvisamente una parte dentro di sé voleva fuggire, ritornare nel buio.
Era solo un innocente ballo.
<< Se vuoi mi tolgo gli anfibi così da essere alla tua altezza>> lo punzecchiò, mentre lui le poggiava meccanicamente una mano sul fianco.
<< Vedo che ti è tornato il buon umore>> brontolò, osservandola cupamente.
<< Nah, credo che sia il mio lato bastardo che non mi abbandona mai>>
Ci furono diatribe fin da subito riguardo a chi dovesse dirigere. Più che ballo romantico, sembrava una scena comica di qualche opera teatrale. Lachesi non accettava di essere comandata e questo pensiero era in comune accordo anche con Levi.
Dopo però un paio di mute imprecazioni e diversi Porco lasciati sospesi, senza sostantivo a cui appoggiarsi, alla fine la ragazza cedette la propria parte di leadership, seppur a malincuore, visto che era stanca di travolgere le altre coppie e di doversi scusare.
E da lì accadde l’impensabile. Un fatto che fece andare di traverso per lo stupore il vino ad Erwin, il quale stava tentando di trattenere le risate fino ad un attimo prima. Hanji e Elizabeth invece, sedute allo stesso tavolo, guardarono la scena incredule, credendo che fosse un’illusione ottica.
Thàlassa e il Caporale Maggiore, dopo un momento di rigidezza, danzavano quasi armonicamente, incredibilmente vicini senza insultarsi o punzecchiarsi a vicenda. Avevano raggiunto una strana sintonia, insolita sia per loro sia per chi li osservava.
<< è colpa dell’alcol. Non riesco più a vedere lucidamente>> si giustificò la dottoressa, finendo tuttavia la bottiglia.
<< Sono così teneri... quasi quanto Sonny e Bean>> esclamò Hanji, asciugandosi gli occhi.
<< Ti dobbiamo dei soldi, Hanji>> disse Erwin, bevendo poi una pinta di birra scura.
Lachesi osservava i propri anfibi in silenzio, notando sempre nuovi particolari. Inutili o poco rilevanti, come il fatto che durante il tragitto si erano sporcati un po’ di fango o che non erano neri, ma di un grigio assai scuro. Qualcosa le impediva di alzare lo sguardo.
Le sue mani invece erano poggiate saldamente alle spalle del suo superiore, come se non volessero più separarsi dalla camicia immacolata, seppur non ne conoscesse la causa.
Quel pensiero la fece irritare un poco, causando una leggera convulsione delle dita, le quali però si rilassarono nuovamente subito dopo.
Era una situazione imbarazzante. Troppo imbarazzante.
Forse era per quello che non voleva alzare gli occhi, per non vedere il probabile viso irritato dell’uomo. Ma fu proprio Levi a costringerla a sollevare il capo, prendendola per la liscia chioma castana.
<< Che c’è?>> sbottò lei, desiderando solo allontanarsi da lui, ma al contempo di restare lì per lungo tempo.
<< Ero stufo di respirare i tuoi capelli>>
<< Almeno li ho lavati>>
<< Devi tagliarli. Ti intralceranno soltanto nella prossima spedizione. E non voglio avere un peso morto a carico>>
<< No>> rispose seccamente lei, facendo poi una leggera pausa << Non posso. Oltre al fatto che nella mia cultura le donne con i capelli corti sono principalmente le prostitute, non voglio mancare alla promessa che ho fatto a mio padre>>
<< Promessa?>>
<< Beh... mi ha detto di farli crescere fino al suo ritorno vittorioso dalla battaglia, perché io mi ostinavo a tagliarli per assomigliare agli altri bambini. Spero ancora in un suo ritorno... perché su quella pira... so... che c’era solo un fantoccio...>> distolse lo sguardo, per non mostrare i propri occhi lucidi, prossimi al pianto.
Un pianto infantile, lo riconosceva anche lei. E odiava con tutta se stessa mostrarsi debole.
Levi le spostò ancora il viso, questa volta con un po’ più di delicatezza e la osservò diritta nelle iridi.
<< Non serve a nulla vivere nel passato. Apri questi cazzo di occhi e vivi>> stranamente non l’aveva detto con un tono aggressivo, ma con più comprensione.
Lachesi quasi non si accorse di essersi appoggiata a lui, con il volto contro la sua spalla, mentre versava quelle lacrime che aveva trattenuto per sette anni. Era colpa essenzialmente dell’alcol, che le aveva appianato la sua resistenza al dolore dei ricordi, ma anche della sua incapacità di continuare a reggerli.
<< Scusa... ti sto riempiendo di moccio la camicia>> disse d’un tratto.
<< Ti farò pulire il castello appena torneremo>>
<< Grazie>> mormorò, tra un singhiozzo e un altro << sembrerò patetica>>
<< Eri più patetica prima con quella cazzo di espressione da Eren quando è costretto a pensare>> brontolò, tenendole il capo con una mano.
<< Madonna... ero veramente messa così male?>> rise lei, distaccandosi un poco e asciugandosi così parte del viso.
La canzone finì e loro due, dopo un attimo di esitazione, si allontanarono in muto silenzio.
Lei si sedette al bancone e si unì agli altri della squadra nella gara del bere, anche se ormai erano tutti mezzi ubriachi; Levi invece si sedette al tavolo con il comandante, la dottoressa e la capo squadra, ormai troppo ebbri per domandargli qualsiasi cosa.
Né Thàlassa, né il Caporale Maggiore parlarono dell’accaduto in seguito.
E Lachesi, seppur completamente brilla, eseguì ugualmente l’ordine del suo superiore, iniziando al ritorno a pulire l’atrio; ma lui, con un colpo ben assestato di scopa, la fece stramazzare al suolo e, con la pazienza che solo un padre nei confronti di una figlia poteva avere, la portò sin dove si trovava uno scomodo divanetto e lì l’adagiò, anche se malamente.

 
Fine quinto capitolo!

 
Nome capitolo: tranquillità (in greco antico).

 

 
Angolo dell’autrice:

 
Volevo spendere due parole riguardo ai vari rapporti che sono e saranno presentati nel corso dei capitoli.
Allora il primo, ovvero quello tra Pólemos e Thàlassa: in quella cultura, non era considerato pedofilia, anche perché Thàlassa era già stata riconosciuta come adulta. Anche il matrimonio combinato tra un quarantenne e una quindicenne era visto come una prassi comune, visto che la moglie serviva essenzialmente per procreare e per mantenere la casa. Nel caso di Lachesi, essendo un comandante, solo la prima.
Agápe invece è un personaggio un po’ particolare. Nei prossimi capitoli spero di riuscire a presentarlo meglio, comunque lui non ha una, non ha due, non ha tre, ma bensì un intero stuolo di amanti (donne e uomini), di cui fanno parte anche i suoi allievi. Il rapporto pederastico (quello tra maestri e allievi) appartiene essenzialmente dell’Antica Grecia, da cui ho tratto ispirazione. Era una sorta di iniziazione al tempo.
Per lui mi sono ispirata alla canzone di Gakupo: Madness of Duke Venomania. E qui ho detto fin troppo.
Poi abbiamo il rapporto tra Lachesi e Levi. Tradotto nella mia lingua: quanto odio trattenermi.
Allora, premetto che in ogni FanFiction che ho scritto, i momenti romantici sono stati alquanto rari e... brevi. E solo dio sa quante volte ho dovuto cancellare e riscrivere questo capitolo. Tutto perché la mia vena romantica e sdolcinata continuava a prendere il sopravvento.
Finita questa premessa, tra loro non c’è nulla. Lui la considera come un soldato...figlia...creatura vivente... insomma, la considera qualcosa a modo suo; lei invece come un nano a cui appoggiarsi di tanto in tanto e con cui poter parlare liberamente.
Niente love story, nulla, nada. Per ora.
Poi abbiamo Elizabeth. Delle sue paturnie/inclinazioni amorose però voglio parlarne nei prossimi capitoli e la stessa cosa vale per Wilde. Lui e la sorella gemella... ok, ho detto troppo.
Per riassumere questa è la storia con relazioni più varie, più incasinate, più crudeli e più tutto, anche perché non si limitano solo a quelle che ho scritto. Ad esempio, ci sarebbe anche la madre e il padre di Lachesi, o sempre il padre di Lachesi e Pólemos, o Pólemos e New Thàlassa, o New Thàlassa e Agápe.
Tuttavia hanno tutte un perché, una ragione e non sono messe lì solo per far scena. O perlomeno, così la penso io, la scrittrice. Poi accetterò ogni contestazione.

Ho pubblicato due capitoli nella stessa settimana perché non sono sicura di esserci nella prossima. Quindi, nulla, auguro un buon Natale a chi mi segue e anche a chi non mi segue!

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: _Lakshmi_