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Autore: KikyoOsama    22/12/2013    0 recensioni
[Prima classificata al contest "Nagagutsu de kanpai da! Hetalia~" indetto da Phantom Lady sull'Axis Powers Hetalia Fan Forum]
Ispirata ad una frase apposta all'inizio di un video (per l'appunto "Warning! Our homes are in danger!"), è una raccolta che ho scritto molto tempo fa. Vi figurano personaggi e situazioni storiche diverse, basati sulle sensazioni dei personaggi sconfitti.Il mio punto di vista non coincide necessariamente con quello dei personaggi, OOC di alcune caratteristiche di Himaruya.
 
“Io credo che tu sia una vittima.”
Gli occhi cerulei di Germania divennero vitrei, in essi era visibile l’emozione di un grido trattenuto. L’altro cercò di incoraggiarlo con un sorriso e procedette.
“Come me, come Polonia, come Russia, come tutti gli altri. Tutto questo ti sembrerà incredibile: sì, ti odiavo profondamente durante la guerra e ci sono ancora molte cose che non potrò mai perdonarti, tuttavia… la guerra è finita."
[Accenni di: Russia\Prussia; America\Germania]
Genere: Dark, Guerra, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 2p!Hetalia, Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Nuovo personaggio
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Germania sentiva uno stormo di voci provenire dal piano superiore.
Questa volta stavano parlando di lui.
La voce di America, chiassosa e prorompente come sempre, aveva sancito la divisione: benché Russia avesse inizialmente protestato era alla fine venuto subito ai patti e America sapeva quanto Russia adorasse stringere accordi – in fondo era come tutti gli altri, bastava toccare il tasto giusto.
“La separazione avrà luogo tra maggio ed ottobre”
“Posso già cominciare i preparativi?” Russia intrecciò le mani, sporgendosi poi con il busto sul tavolo con aria sonnolenta e tiepidamente compiaciuta: lo allettavano sempre i preparativi per le grandi feste e aveva sempre amato le storie con finali tragici e le separazioni erano sempre così… commoventi. “Non vedo l’ora che arrivi quel giorno. Adornerò la sua stanza con dei girasoli, in modo che anche se sarà la più fredda del palazzo possa trovarla accogliente.”
C’era una persona, convocata straordinariamente e in modo coatto all’assemblea, che ancora faticava a seguirli e a capire che ruolo avesse lui in tutto ciò: quella persona era Prussia. I suoi occhi seguivano smarriti l’andamento del battibecco da una bocca all’altra e tradivano la sua ansia, nonostante fosse riuscito a mantenere una posa decorosa e degna del temibile guerriero che era stato – e, forse, cominciava a capire.
Gli sguardi di America e Russia erano divenuti più intensi e, talvolta, lanciavano messaggi silenti anche a lui: spesso America sistemava gli occhiali in segno che lo stava guardando e che voleva attirare la sua attenzione su una particolare frase, preparandolo chiaramente a una rivelazione; gli occhi freddi di Russia invece avevano una presa salda e vigile sui suoi, con lo strano potere di riuscire a metterlo a disagio persino quando non lo stava guardando.
No, non si parlava di girasoli, accoglienza e premure innocenti.
Quello sguardo che inclinarono su di lui alla fine, ricolmo d’aspettativa e minaccioso, lo inchiodarono letteralmente alla sedia senza alcun bisogno di ganasce: capì in quell’esatto momento cosa stava per accadere, ma anche che non poteva più scappare.
“E tu, Prussia? Non sei impaziente di venire a vivere con me?”
La proposta di Russia era il meglio che poteva essergli offerto in quel momento: lui era uno sconfitto, aveva firmato una resa incondizionata e versava nella miseria, e, sebbene Russia stesso non se la passasse poi meglio di lui, lui aveva bisogno di qualcuno che lo sostenesse. Rifiutare la clemenza di Russia sarebbe stata follia. Eppure…
“No!” La voce di Prussia proruppe con uno squarcio disperato e incredulo. “Non può essere! Già, non può essere! E’ uno scherzo, vero?!”
Germania sentì la vibrazione della sua voce sulla sua pelle, come un rimbombo in grado di percuotere persino le fredde mura rivestite in acciaio di quello che era stato forse un rifugio antiaereo. Scattò con il braccio in avanti in uno sfogo di rabbia ma non riuscì neppure a sferrare un pugno contro la parete: la catena era troppo corta e l’averla strattonata gli fece procurare un taglio ad opera della polsiera di metallo che lo bloccava; abbandonò allora mollemente la mano, rassegnato, ed emise un sospiro, impossibilitato com’era ad aiutare il fratello da quella prigione sotterranea in cui era stato rinchiuso.
Aveva tentato di attribuirsi quasi tutta la colpa della guerra, come anni prima aveva ratificato Francia: sarebbe stato da lui e lui sarebbe stato in grado di rialzarsi una seconda volta, ma non Prussia; la sua magnificenza non avrebbe retto un crollo così rovinoso e avrebbe sgretolato il suo orgoglio di nazione in un solo istante.
Eppure la sorte più crudele non era accaduta a lui: benché non fosse il solo responsabile, il destino di Giappone, annichilito dalle esplosioni nucleari, e di Italia, distrutto da una guerra civile combattuta al contempo insieme e contro suo fratello –o forse proprio contro se stesso-, era stato decisamente più crudele dell’incertezza in cui versava lui ora.
Mentre le urla di Prussia che veniva trascinato con la forza da Russia affollavano tutto il palazzo, America era sceso nei sotterranei per poter parlare con lui.
 
“Ti darò da mangiare e ti porterò dei vestiti nuovi”
Germania stette a fissarlo impassibile, ma anche vulnerabile ed incredulo: America era stato incoraggiante, nella sua semplicità e prontezza l’avrebbe forse spronato a non dimenticare quali fossero le sue priorità, ma anche spiazzante, al punto che Germania aveva creduto di non riconoscerlo più. Non poteva essere lo stesso America che lo aveva preso a calci, quello che a suo dire voleva fare il culo ai nazisti e che rideva crudelmente mentre sparava con l’automatico come se fosse stato tutto un gioco: il suo odio doveva essere stato cieco quanto il suo, come aveva potuto metterlo da parte? Oh, no: Germania non credeva che America avesse smesso di odiarlo. Tuttavia, America non era obbligato ad aiutarlo e questa scelta controcorrente l’aveva destabilizzato del tutto: alla fine non aveva resistito a chiederglielo.
“Perché?” Afferrò le sbarre avvicinando il viso quanto più possibile al suo “Perché lo stai facendo?”
“Eh?”
Era America quello che non capiva ora.
Sì, prima di scendere in quell’angusta prigione aveva ripassato più volte il discorso con cui affrontare Germania, selezionando le parole da riferirgli e cercando di prevedere le possibili reazioni – mise in conto anche lo stato d’animo in cui si trovava, ma non aveva presagito affatto quella domanda.
Fece spallucce: forse doveva parlare col cuore, per una volta, dicendo una cosa che lo avrebbe stupito.
“Io credo che tu sia una vittima.”
Gli occhi cerulei di Germania divennero vitrei, in essi era visibile l’emozione di un grido trattenuto. L’altro cercò di incoraggiarlo con un sorriso e procedette.
“Come me, come Polonia, come Russia, come tutti gli altri. Tutto questo ti sembrerà incredibile: sì, ti odiavo profondamente durante la guerra e ci sono ancora molte cose che non potrò mai perdonarti, tuttavia… la guerra è finita. E quello di cui hai bisogno adesso è di aiuto, ne hai bisogno subito. Rimanderemo a dopo le conversazioni sconvenienti, voglio che tu prima ti sia rimesso del tutto: in questo modo avrai più tempo per pensare.”
D’accordo.
Germania chinò il capo in segno di resa, eloquente e silenzioso.
“E Prussia…?”
“Lo rivedrai...presto.”
Avrebbero preso strade diverse.
Anche se non aveva avuto il cuore di dirglielo quella volta che erano venuti a trovarlo dietro le sbarre, il suo silenzio e il suo scuotere lentamente la testa erano stati egualmente eloquenti.
Lo avrebbe visto dall’altra parte del muro.

 
  
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