Era proprio una bella serata quella, la pioggia cadeva lieve sui finestrini del Bus che percorreva
ormai da sempre quella strada, impervia e stretta, in mezzo ai campi. Nonostante fosse inverno la
nebbia non s’era ancora mostrata e le serate, seppur di pioggia come questa, lasciavano scrutare
indisturbati il paesaggio dell’aperta campagna. Un paesaggio come questo avrebbe riempito il cuore
di gioia a qualunque persona tornasse a casa dopo una dura giornata di lavoro; ma per Enea non era
così, lui non doveva trovarsi in quel luogo e, per giunta, a quell’ora! Doveva essere a casa da
oramai due ore buone ma il fato aveva voluto che l’autobus fosse in ritardo e che l’autista avesse
talmente paura di quelle strade da percorrerle al di poco sopra del limite consentito. “Questa volta
Arci mi ammazza!” pensava Enea con un triste sospiro. Doveva e voleva essere a casa con il suo
dolce Alessandro, anche se ormai lui lo chiamava Arci poiché una delle sue più usate esclamazioni
era “Arcipicchia!”, quante volte lo aveva preso in giro dicendogli “Amur! Si dice aCCipicchia!” ma
lui imperterrito continuava con il suo arcipicchia e da allora è nato quel soprannome, piccolo, dolce
e misterioso, proprio come Arci. Fatto stà che lui non doveva essere li! Il giorno seguente sarebbe
stato il compleanno di Arci e lui gli aveva promesso che avrebbero passato l’ultima notte prima del
suo trasferimento a Parigi insieme, raggomitolati uno vicino all’altro, senza mai lasciarsi, come se
fossero una cosa sola. Enea immaginava già la scena, loro due, davanti al caminetto, avvolti nella
bellissima coperta leopardata di Arci, che ormai aveva assorbito il loro odore e di due odori distinti
ne aveva creato uno unico, sapeva di.. fragole al limone! E poi, i loro corpi nudi abbracciati l’uno
all’altro, avvinghiati, quasi in una morsa mortale, ma che invece sprigionava l’amore più puro e
casto. Sì, non l’avevano ancora fatto, l’amore quello vero. Enea non si sentiva pronto, a 22 anni non
ne aveva il coraggio, aveva paura, ma nonostante tutto il suo Arci gli era rimasto vicino, lo amava
veramente; tutti, prima di lui, si erano stancati della situazione e se ne erano andati, ma lui no, dopo
2 anni era ancora lì.
Enea decise di alzarsi e di andare dall’autista, si era seduto lontano, nell’ultima fila del bus, era
l’unico passeggero quella sera e non c’era da stupirsi, l’autobus aveva avuto un ritardo di ben
un’ora e la maggior parte delle persone aveva chiamato casa e se n’era andata in auto, ma lui,
ancora senza auto, aveva dovuto aspettare quell’autobus maledetto. Quel conducente gli faceva
paura, era un uomo sulla trentina, davvero giovane per essere un autista, ma i suoi modi erano
bruschi e violenti e gli occhiali neri che portava tutto il giorno incutevano timore che si ripercuoteva
in tutto il bus. Con tutto il coraggio che aveva in corpo si avvicinò all’autista e con un grande
respiro gli chiese quanto tempo rimaneva prima di arrivare alla sua fermata; l’autista si girò di
scatto e con un impeto che non aveva mai visto prima gli disse di sedersi e che avrebbe pensato lui
ad informarlo qualora fossero arrivati. Enea si avviò dubbioso verso il suo posto, ma subito si girò
di scatto. Una lacrima, sì, era proprio una lacrima quella che era scesa dal conducente, il piccolo
rigagnolo di acqua e sale solcava il suo volto e si concludeva sulle sue labbra; “strano” pensò Enea,
ma non solo quella lacrima gli parve strana ma anche il fatto che l’autista sapesse dove lui
scendeva, eppure non una parola aveva fatto sul suo luogo di residenza. “Va bene”- pensò-
“l’importante è arrivare a casa da Arci… al massimo mi farò perdonare con il suo regalo di
compleanno!”. Già, se ne stava per dimenticare! Domani sarebbe stato il compleanno di Arci! Il 15
gennaio avrebbe compiuto 25 anni, una tappa che gli permetteva di ottenere un ambito lavoro a
Parigi. Enea era al contempo felice e triste perché Arci aveva ottenuto quel tanto atteso lavoro ma
gli sarebbe restato lontano per un lungo anno e lui non voleva accadesse, ma d’altra parte, non
poteva impedirgli di diventare un affermato uomo di successo e quindi aveva accettato e appoggiato
questa sua scelta.
Il viaggio sembrava proseguire senza alcun imprevisto ed erano quasi arrivati, mancava solo il
passaggio ferroviario e l’incrocio con la statale e poi la loro casa era subito giù dal ponticello a
destra. Come se il fato volesse impedirgli di raggiungere casa le sbarre si chiusero ed Enea dovette
aspettare anche il passaggio di quel treno che, ovviamente, era in ritardo. L’autista si rivolse ancora
una volta ad Enea, ma senza rivolgergli lo sguardo, né in forma diretta, né tramite lo specchio
“Mancherebbe poco alla tua fermata...” gli disse. E dopo quelle parole non ce ne furono altre. Un
lungo silenzio. Interrotto solamente dal transitare del treno in corsa. Piccolo, solamente due
carrozze, una luce rivolgeva il suo sguardo verso il bus ma era così forte che Enea non potè
scorgere chi vi era dietro e la proiettava. Ancora pochi istanti e poi le rumorose sbarre si alzarono
lente nella notte. Passarono i binari, cupi e vecchi, incutevano così tanta tristezza che il cuore di
Enea sembrò per un attimo diventare di un blu scuro come la notte che lo circondava e poi di colpo
la piccola lampadina che illuminava l’unico binario della stazione esplose, sì, esplose proprio, non
si era bruciata, quella piccola esplosione aveva creato delle scintille che molto lentamente
cercavano di raggiungere il suolo ma che si spegnevano prima di raggiungere il loro obiettivo.
Arrivarono finalmente al grande incrocio, l’ultima tappa del viaggio prima di raggiungere la casa.
Enea spasimava dalla voglia di scendere da quel maledetto autobus e di riabbracciare il suo tanto
amato Arci.
Il pullman riprese il viaggio dopo essersi fermato allo stop.
Poi si bloccò.
In mezzo alla strada, senza alcun senso.
A quel punto, giratosi verso l’autista, Enea iniziò a gridare di andare avanti e di non stare lì fermo
in mezzo alla strada, ma da parte dell’autista ricevette una sola parola. Scusa.
Dagli occhi di Enea iniziarono a sgorgare lacrime e il suo volto si girò all’indietro. Dai finestrini
dell’autobus si poteva vedere distintamente un camion di grossa cilindrata con i fari abbaglianti
accesi e che procedeva ad alta velocità. Enea imprecava e urlava contro l’autista di andare avanti o
di aprirgli le porte, ma niente, non una risposta.
Ormai Enea era disperato, le lacrime gli avevano ricoperto tutto il viso, non riusciva più a vedere
niente, o quasi, l’ultima cosa che vide fu una figura che correva verso l’autobus, poco prima
dell’impatto una luce di un lampione la illuminò, era Arci, stava correndo verso l’autobus urlando il
suo nome. Aveva la sciarpa rossa, sì, quella sciarpa che gli aveva regalato a natale, sapeva che non
gli piaceva ma quella notte se l’era messa, per lui, solo per lui.
Un suono sordo diede fine a questa visione, era successo, quello che doveva succedere era successo.
Senza un motivo, senza un perché ma era successo. Le lamiere imprigionavano il corpo di Enea
come in una morsa letale, diversa da quella che sperava di ricevere quella sera.
Un ultimo sorriso affiorò sulle sue labbra e due parole uscirono dalla sua bocca. Ti amo. Queste le
sue ultime parole mentre una lacrima rosso sangue gli rigava il viso.