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Autore: rosaleona    22/12/2013    3 recensioni
- Ma tu non dormi mai? E' pieno giorno, a quest'ora i vampiri dovrebbero riposare nelle bare! -
- Master, ho dormito per vent'anni. Come posso avere sonno, dopo essermi riposato per così tanto tempo? Sono pieno di energia e sento il bisogno di sfogarla. Giocare con Richard e i suoi uomini non mi è bastato, ho bisogno di molta più azione. Finchè non avrò scaricato tutta l'adrenalina accumulata in due decenni di letargo, non mi sentirò stanco, nè desidererò dormire. -
Negli anni successivi, ogni volta che Integra ripensava a quella conversazione, un sorriso le increspava il volto.
"Mi aveva avvertita. A modo suo, mi aveva spiegato cos'avrei dovuto attendermi di lì a pochi giorni" diceva a se stessa Sir Hellsing.
Ma la ragazzina di dodici anni che sedeva di fronte ad Alucard non poteva capire fino in fondo le parole di un individuo che conosceva appena. Non poteva sapere che il vampiro stava solo mordendo il freno, nell'attesa che la nuova Sir Hellsing si riprendesse dalla morte del padre e dal tentativo di omicidio per mano dello zio. E una volta che Integra fosse stata in grado di tenergli testa, Alucard si sarebbe divertito a metterla alla prova
Genere: Comico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alucard, Integra Farburke Wingates Hellsing, Walter C. Dorneaz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Walter era appena rientrato dall’aver accompagnato Integra a scuola quando Alucard gli si parò davanti chiedendo:
- Abbiamo del pane secco da dare agli uccellini? -
Il maggiordomo lo fissò a lungo in silenzio, stentando a credere alle proprie orecchie, infine replicò:
- Tu vorresti dare da mangiare agli uccellini? - e lo sconcerto dell’uomo traspariva dal tono con cui pronunciava ogni singola parola.
Alucard si strinse nelle spalle:
- In cinquecento anni ho fatto tante cose, ma non ho mai dato da mangiare agli uccellini. Dato che mi sto annoiando e non so cosa fare, mi sono detto “perché non provare anche questa nuova esperienza”? -
Walter, sbigottito, rifletté a lungo sulle parole del vampiro. Forse Alucard gli nascondeva qualcosa. Forse dare da mangiare agli uccellini era una copertura per qualche azione spericolata. Per quanto rigirasse la questione però il maggiordomo doveva concludere che né a lui né alla villa poteva venirne qualcosa di male se Alucard distribuiva delle briciole ai passerotti, così disse:
- In cucina, vicino al forno, c’è uno sportello. All’interno troverai un sacchetto di tela. Lì dentro c’è del pane secco. -
Il vampiro si recò in cucina con passo flemmatico e Walter lo guardò allontanarsi con molti interrogativi nella testa.

Alucard uscì in giardino. Pensò che gli uccellini, saggiamente, non si sarebbero avvicinati a un cumulo di pane posizionato vicino a una persona, nel timore di essere attaccati. Decise così di frantumarlo fra le sue manone in un punto del prato posto a una decina di metri di distanza dalla villa, dopo di che andò a sedersi sul gradino di una delle tante porticine secondarie della magione che immettevano nel parco.
Attese con la pazienza del predatore in agguato e dopo una mezz’oretta un pettirosso planò con circospezione vicino al cumulo di briciole. L’animaletto si guardò attorno con sospetto ma dovette concludere che il tizio seduto sul gradino non costituiva un pericolo. Nessun umano, così distante e privo di armi, poteva far del male a un figlio dell’aria. Il pettirosso afferrò un bel pezzo di mollica, saettando poi velocemente verso gli alberi.
Quello fu il segnale di “via libera” che portò tutti gli uccellini dei paraggi a banchettare con il mucchio di pane secco. Alucard li vide arrivare alla spicciolata, guardinghi e veloci ma col passare dei quarti d’ora e delle mezz’ore, rassicurati dalla sua immobilità e dalla sua distanza, cominciarono a stazionare per periodi sempre più lunghi intorno a quell’Eldorado di briciole, scegliendo e contendendosi i pezzi più grossi. Ogni volta che un passerotto volava via, il capino quasi piegato dalla pesantezza del bottino, tornava poi con qualche altro simile, quasi avesse sparso un passaparola all’interno dello stormo.
Arrivò quindi il momento in cui il vampiro contò una trentina e forse più di uccellini intorno alla montagnola di pane che aveva sbriciolato. Pensò che più di quelli, l’Eldorado di briciole non poteva attrarne anche perché ormai il cumulo di cibo andava riducendosi.
I passerotti e i pettirossi intenti a banchettare videro il tizio seduto sul gradino tendere un braccio verso di loro. Non se ne preoccuparono. Un umano disarmato, da quella distanza, non poteva nuocergli.
Purtroppo per loro, il tizio seduto sul gradino non era umano.
I contorni del braccio teso si alterarono, una testa di cane prese il posto della mano e prima che gli uccellini avessero il tempo di accorgersi di quel che stava accadendo, il segugio infernale scattò a fauci aperte verso di loro, veloce come la lingua di un camaleonte. In un solo boccone inghiottì pane secco e volatili. Nessuno si salvò, solo qualche penna rimase a fluttuare per l’aria e con lentezza la testa di cane si ritirò verso il proprietario, riprendendo la forma di un braccio.
Alucard ghignava felice, gli occhi raggianti di soddisfazione. Com’era divertente dare da mangiare agli uccellini! Come aveva potuto trascorrere cinquecento anni privandosi di un simile passatempo?Pensò che era un vero peccato che nel parco di Hellsing Manor non si trovasse una grande vasca in cui nuotavano pesci e anatre, e che essendo in pieno inverno gli scoiattoli erano in letargo, perché lui si sarebbe divertito un mondo a dare da mangiare anche ai pesci, alle anatre e agli scoiattoli!Rientrò in casa, deciso a scovare altro pane con cui dare da mangiare ad un nuovo stormo di passeri, e nell’atrio incrociò Walter che indossava con gesti febbrili il cappotto.
- Una telefonata dalla scuola di Integra, devo andare subito. - spiegò al vampiro.
- La master ha rotto un altro naso? -
- No, sembra che stia male. - rispose mister Dorneaz, avviandosi verso il garage.
Alucard attese pazientemente il ritorno di camerata e padrona in giardino ma proprio quando un nuovo stormo di uccellini si era concentrato intorno al cumulo di biscotti che aveva sbriciolato e lui stava per tendere il braccio verso di loro, i due umani fecero ritorno. Il vampiro graziò quindi gli ignari animaletti e andò incontro alla master.
Integra aveva un febbrone da cavallo. Fu messa a letto, fu chiamato il dottore. La diagnosi emessa:
- Una settimana a riposo. -
Mentre il maggiordomo accompagnava il medico alla porta Integra, sotto le coperte, sentì una gran voglia di piangere. Era stata sospesa per tre giorni, era tornata a scuola e dopo appena un paio d’ore di lezione era dovuta rientrare a casa e sarebbe dovuta rimanerci per una settimana intera. Sommò quella nuova assenza a tutte le altre che aveva fatto nel corso dell’anno per colpa di Alucard e si disse che non era possibile, la sfortuna si accaniva contro di lei!
Aveva pensato di concludere l’anno scolastico e poi ritirarsi per studiare in casa, in modo da sorvegliare il suo vampiro ma adesso cominciò a chiedersi se davvero valesse la pena di continuare quello stillicidio di presenze mordi-e-fuggi per i mesi rimanenti.
Walter, che nulla sapeva delle elucubrazioni di Integra sul ritirarsi dalla scuola, la sentì borbottare:
- Perché aspettare l’estate? Potrei restare a casa sin da ora! -
- Come dite, Sir? -
- Perché devo aspettare l’estate? Posso restare a casa da adesso. - ripeté la ragazzina a cui i fumi della febbre impedivano di pensare e parlare con chiarezza.
Il maggiordomo, convinto si trattasse di deliri senza senso, le rimboccò meglio le coperte:
- Adesso pensate solo a riposarvi, Sir. -

Fu in parte dovuto al delirio della febbre e in parte alla scarsa voglia di Integra di guarire presto, dato che era convinta che una nuova magagna si sarebbe abbattuta su di lei una volta tornata a scuola, il suo rifiuto di prendere i medicinali prescritti dal dottore.
Walter non se ne capacitava di come la sua Sir potesse fare i capricci come una bambina piccola. La dodicenne stringeva i denti e faceva segno di no con la testa davanti al cucchiaio colmo di sciroppo. Mister Dornez tentò con la persuasione, con le minacce, con la dolcezza e con la severità ma non ci fu niente da fare: Integra rifiutava di aprire la bocca. Alucard, appoggiato con una spalla allo stipite della porta, assisteva alla scena come ad una prima teatrale ora ridacchiando, ora annuendo, ora applaudendo, sottolineando così la sua soddisfazione di fronte allo spettacolo offertogli dai due umani. Quando Walter non ne poté più di essere soppesato in quel modo da quegli occhi rossi, si voltò come una furia verso il nosferatu ringhiando:
- Credi di saper risolvere questa situazione meglio di me? -
- Ma certo! - rispose il vampiro con un largo sorriso.
Integra vide il servo piantarsi davanti a lei, il cucchiaio con lo sciroppo in una mano. Sir Hellsing strinse le mascelle e guardò il vampiro con aria di sfida. Alucard ricambiò con un mezzo sorriso di compatimento: povera, piccola umana, convinta di poterlo contrastare!
Rapido come un fulmine, con la mano libera Alucard strinse il naso alla master. Integra tentò di liberarsi da quella stretta ma le sue manine non potevano opporsi alla forza del vampiro. Bisognosa d’aria, aprì la bocca.
Alucard le diede il tempo di riprendere fiato e le ficcò il cucchiaio in bocca. Lasciò la presa dal naso e le chiuse le mascelle con la mano. Sir Hellsing gli lanciò uno sguardo colmo d’odio. Il vampiro, placido, rispose:
- Non ti mollo finché non inghiotti. Possiamo rimanere qui anche per l’eternità, se vuoi. -
“ Ne sarebbe capace! “ fu obbligata ad ammettere Integra. Strinse le palpebre e inghiottì. Alucard lasciò la presa e mentre la master tirava fuori la lingua e scrollava la testa nel tentativo di far passare il saporaccio che aveva in bocca, restituì il cucchiaio a uno sbigottito Walter.
- Se fa ancora i capricci, chiamami. -
E si avviò in cucina a scaldarsi una porzione di sangue.

I primi due giorni, Integra li trascorse inchiodata a letto. Il terzo, alternò il letto alla poltrona. Il quarto giorno, alle quattro del mattino aprì gli occhi, incapace di riaddormentarsi. Capiva di essere ormai totalmente sfebbrata e il suo corpicino, indolenzito per aver trascorso due giorni e mezzo sdraiata, non ne poteva più di mantenere la posizione orizzontale.
“ Oggi voglio passare tutto il giorno in piedi. “ decise Sir Hellsing.
Si alzò, indossò una vestaglia sul pigiama di flanella, pesanti calzettoni ai piedi e le pantofole più calde che possedeva, due affari ingombranti a forma di testa di Pluto. La dodicenne provò a immaginare come sarebbero rimasti stupiti i suoi compagni se avessero saputo che lei, “Integra la tosta” come l’avevano soprannominata, la nemesi di tutti gli insegnanti dell’istituto, a casa ciabattava con due infantili teste di Pluto ai piedi.
“ Be’, nessuno è perfetto e anche io ho le mie debolezze “ concluse Sir Hellsing, avviandosi giù per le scale.
Giunta a pianterreno, vide Alucard far capolino dal salone da biliardo.
- Tutto a posto, master? -
- Sì, mi sono alzata perché non riuscivo più a dormire. -
- Va bene. Se hai bisogno di qualcosa, fammi un fischio. -
Alucard tornò alla sua partita solitaria, Integra si scaldò una tazzona di latte e miele in cucina e andò a bersela nel salone del televisore. Finché Walter dormiva e non poteva impedirglielo, lei voleva approfittarne per guardare di straforo lo “schermo della perdizione” come l'aveva definito sprezzantemente suo padre, finchè era stato in vita. Con suo grande rammarico, scoprì che alle quattro del mattino c’era ben poco da vedere, in televisione. Qualche notiziario, previsioni del tempo, oroscopi, televendite, repliche di film in bianco e nero.
Saltellando da un canale all’altro, si imbatté in quello che pareva essere un documentario. Integra si fermò, ammirando la sfilata di immagini che comparivano sullo schermo, vecchiotte per la verità ma molto suggestive, tutte rappresentanti castelli, immersi in silenziosi boschi o avvolti sotto spesse cortine di neve. La voce narrante interruppe il silenzio delle immagini per spiegare:
- Vlad l’Impalatore apportò delle modifiche ai castelli costruiti dai suoi antenati, e ne fece erigere di nuovi… -
Integra sobbalzò sulla poltrona. Vlad l’Impalatore? Allora quelli che stavano passando sullo schermo erano i castelli che, tanto tempo prima, erano appartenuti ad Alucard? A voce alta lo chiamò:
- Alucard, vieni, in televisione c’è una cosa che t’interessa! -
- Donne nude? - chiese il vampiro, dal salone del biliardo.
- Ma no, sciocco! Stanno facendo vedere i tuoi castelli, quelli che si trovano in Romania. -
- Allora non m’interessa. -
Integra si convinse che Alucard non dovesse aver compreso quel che gli aveva detto. Al posto di “castelli” doveva aver capito un’altra parola, Sir Hellsing ne era certa perché era altrettanto certa del fatto che il suo servo non potesse disinteressarsi a quel modo delle sue antiche dimore. Così come lei amava Hellsing Manor, la sua casa, allo stesso modo Alucard doveva essere affezionato ai luoghi in cui aveva vissuto e non-vissuto per tutta la parte libera della sua esistenza e non-esistenza.
Nel timore di svegliare Walter urlando ancora da una stanza all’altra, Integra preferì alzarsi, andare nel salone da biliardo e ripetere:
- In televisione stanno facendo vedere i tuoi castelli. -
- Ho capito, master. - rispose Alucard, concentrato nel prendere di mira una biglia con la stecca - E ti ho risposto che non m’interessa. -
Integra, incredula e stupita, rimase a fissare a lungo e in silenzio il servo prima di chiedere:
- Com’è possibile che non te ne importi niente? Sono cento anni che sei lontano da casa, non ne hai nostalgia? -
Il vampiro si appoggiò con le palme delle mani al bordo del biliardo e soppesò la master con lo sguardo. Quali parole scegliere per far comprendere a quella ragazzina il motivo del suo disinteresse? Infine parlò:
- Conosci qualche immigrato? -
Integra aggrottò le sopracciglia, contrariata; perché Alucard doveva sempre affrontare gli argomenti partendo da particolari apparentemente privi di qualsiasi collegamento? Quello però era il modo di muoversi del suo vampiro, ormai lo sapeva bene e lasciò che il servo conducesse il gioco, rispondendo:
- Molti fra i miei compagni sono nati all’estero, o hanno genitori stranieri. Alcuni dei miei insegnanti provengono dalle ex-colonie. Metà dei domestici che hai fatto fuggire erano immigrati. -
- Hai mai parlato con qualcuna di queste persone dei loro Paesi d’origine? -
- In verità no. Non faccio domande in merito, non voglio passare per impicciona e invadente. -
- Allora lascia che ti metta sull’avviso. Se mai un giorno dovessi parlare con queste persone delle nazioni da cui provengono, molto spesso ascolteresti parole grondanti nostalgia, malinconia e struggimento. Cristallizzano nella memoria i Paesi che hanno lasciato, convinti che anche a distanza di anni e decenni li ritroveranno per come li ricordano. Invece, quando tornano “a casa”, trovano tutto mutato, luoghi, abitudini, mentalità…il Paese che ricordavano non esiste più, ucciso dal tempo e loro fanno la figura dei forestieri tanto quanto qui in Inghilterra. Master, non voglio fare la fine di un immigrato. Non voglio struggermi nel sentimentalismo. Sono affezionato ai luoghi in cui ho regnato da essere libero ma non commetto l’ingenuità di sognare che siano rimasti immutati nel tempo. I miei castelli, chissà che fine avranno fatto! Saranno diroccati? Oppure li avranno restaurati in modo talmente lezioso da farli sembrare il castello di Cenerentola? E i luoghi che ho attraversato, anche quelli, chissà quanto saranno cambiati! Sotto alcuni alberi seppellii i cadaveri di persone che mi erano appartenute e a cui avevo voluto bene. Forse avranno costruito delle dighe dove sorgevano quei boschi e gli alberi e le tombe fra le loro radici saranno stati sommersi da tonnellate d’acqua. Non ci tengo a vedere tutto ciò. Per questo mi affretto a cambiare canale quando mi imbatto in qualche servizio sul luogo in cui nacqui. -
Il vampiro riprese a giocare. Integra, pensierosa, tornò nel salone ma dopo pochi minuti spense la televisione e raggiunse Alucard. Si sedette su una poltroncina e guardò il servo giocare prima di chiedere:
- In quale dei tuoi castelli venne a trovarti Jonathan Harker? -
- Nella fortezza di Poienari. - rispose il vampiro senza alzare gli occhi dal panno verde - La feci costruire quand’ero ancora voivoda, dai boiardi traditori che catturai e dalle loro mogli e figli. Lasciai che morissero consumandosi dalla fatica. Quelli che avevano la pellaccia talmente dura da sopravvivere persino a quell’impresa, li feci impalare. -
Un senso di disagio e disgusto s’impadronì di Integra mentre chiedeva:
- Impalasti anche i bambini? -
- Certo - rispose con noncuranza Alucard, girando intorno al tavolo alla ricerca della migliore angolazione per colpire le biglie - Sarei stato uno stupido se li avessi risparmiati. Quei bambini un giorno sarebbero diventati adulti e avrebbero voluto vendicare la morte dei loro genitori, nonché accaparrarsi il titolo di voivoda. Avrei quindi dovuto ricominciare a battagliare daccapo o, se fossi morto, lasciare questa magagna in eredità ai miei figli e non avevo fatto tanta fatica per impadronirmi del trono solo per permettere a dei giovincelli arroganti di intralciare le mie ambizioni e quelle della mia stirpe. Quando vogliamo sbarazzarci di un’erbaccia infestante, bisogna estirparla dalle radici per essere sicuri che non ricresca mai più. -
Sir Hellsing si strinse maggiormente la vestaglia addosso, quasi volesse frapporre una barriera fra sé e le eventuali influenze negative che poteva trasmetterle Alucard. Non poteva certamente stimarlo per quel modo d’agire. Il vampiro, apparentemente ignaro della reazione della master, mentre prendeva di mira una biglia continuava a spiegare:
- Fra tutti i miei castelli, la fortezza di Poienari era quello di cui andavo più fiero. Era un nido d’aquila arroccato sul cocuzzolo di una montagna, posta al confine fra Valacchia e Transilvania. Da lì potevo controllare e avvistare chiunque passasse, amici o nemici. Avevo consultato i migliori architetti del regno per edificarla. Avevo preteso mura capaci di resistere ai terremoti e un sistema che convogliasse l’acqua piovana in cisterne sotterranee, in modo da resistere anche a lunghi assedi. Dopo che morii, la fortezza venne abbandonata al suo destino. Nessuno dei voivoda che mi succedettero pensò di utilizzarla. Stolti! Un simile gioiello di architettura militare ignorato come un inutile soprammobile! Durante il mio vagabondare vampiro, quando decisi di abbandonare il brigantaggio, m’imbattei nella fortezza. La vidi in cima alla montagna, priva di qualsiasi presenza umana e mi sentii ribollire il cuore di rabbia e pena nel trovarla così abbandonata. Entrai nel castello, lo esplorai, constatai con orgoglio che tutto sommato aveva ben resistito agli attacchi del tempo, segno che l’avevo ben costruito e mi dissi che se gli umani erano così stupidi da non apprezzarlo, allora me ne sarei riappropriato io. L’avrei usato come mia dimora. -
Il vampiro riprese a giocare e Integra lo lasciò fare in silenzio. Aveva bisogno di smaltire il nodo di sofferenza che le stringeva la gola da quando Alucard aveva accennato con tanta disinvoltura ai bambini impalati.
Il nosferatu mandò in buca tutte le biglie, le riprese e le dispose nuovamente al centro del tavolo. La voce di Sir Hellsing tornò a farsi sentire:
- Perché abbandonasti il brigantaggio? -
Fu la volta del vampiro di concedersi del tempo prima di far risentire la propria voce:
- La scorsa volta cosa sono arrivato a raccontarti? -
- Mi parlasti di tua figlia Lilith. Era una strega e venne uccisa, bruciata sul rogo. -
- E le sue ceneri vennero buttate nell’immondezzaio che sorgeva fuori dalle mura della città. - concluse Alucard, con un tono che Integra non seppe interpretare.
Il vampiro teneva gli occhi fissi sul tavolo da biliardo ma in realtà non vedeva né il panno verde, né le biglie appoggiate sopra. Si concesse una lunga pausa prima di aprire bocca e la voce che gli uscì aveva un tono stanco e avvilito:
- Vendicai mia figlia. Andai a trovare una per una tutte le persone che avevano contribuito ad ucciderla, le donne che l’avevano denunciata e testimoniato al processo che era una fattucchiera, gli uomini che l’avevano condannata e uccisa, e li torturai. Feci in modo che arrivassero a supplicarmi di ammazzarli, in modo da mettere fine alle loro sofferenze ma non avevo intenzione di concedergli un simile regalo, così continuai ad accanirmi su di loro finché il gioco non mi venne a noia e solo allora li uccisi. Solo dopo aver terminato la mia vendetta andai a vedere quella che poteva essere considerata la tomba di Lilith, l’immondezzaio in cui l'avevano buttata. Era una grande fossa, ribollente di escrementi umani, carcasse di animali macellati e verdure marce. E in mezzo a tutta quella merda c’era mia figlia. -
Integra sentì un groppo annodarle la gola. Alucard continuava a fissare il velluto verde del biliardo, con la fronte aggrottata:
- Da viva, la sua pelle aveva avuto un buon odore. Quando andavo a trovarla, mi sedevo accanto a lei e la guardavo lavorare in silenzio. Pestava le pianticelle che raccoglieva nel mortaio e respiravo il profumo di mia figlia mischiato con quello delle erbe. Ricordai questo, quando mi ritrovai davanti a quella tomba puzzolente. Avrei tanto voluto piangere davanti a quella fossa ma non ci riuscii. Certi dolori sovrastano persino le lacrime. -
Il vampiro si grattò la fronte. Quando riabbassò la mano, la fronte era tornata liscia:
- Oltre a vendicarla, feci anche un'altra cosa, più importante. -
Alucard si concesse una pausa per colpire una palla, dopo di che riprese:
- A quei tempi la mortalità infantile era altissima. Molti neonati si affacciavano al mondo solo per morire dopo poche ore o pochi giorni. Chi sopravviveva a quelle prime settimane tanto pericolose, continuava comunque a correre il rischio di lasciarci le cuoia nel corso di tutti i primi anni di vita. Eh sì, l'infanzia era davvero un'età pericolosa, prima ne uscivi e meglio era. Questa era una delle ragioni per cui una volta se ne facevano tanti, di figli: non esistevano altri modi per vederne arrivare qualcuno vivo all'età adulta. Anche Lilith aveva un marito e dei figli. Un paio di marmocchi le erano deceduti appena nati ma gli altri erano sopravvissuti. Il guaio, master, è che ogni volta che una donna moriva i suoi figli, soprattutto se piccoli, rischiavano di seguirla nella tomba nel giro di breve tempo. Per quanta buona volontà impiegassero gli altri parenti nell'accudirli, sembrava che nessuno fosse in grado di sostituire la dedizione di una madre. La notte in cui giunsi all'accampamento tzigano, non scoprii solo che Lilith era morta. Anche la più piccola dei suoi figli era deceduta poco dopo la madre. Nella tenda di mio genero dormivano solo i due marmocchi maggiori di Lilith e il più grande aveva appena dieci anni. Quei nipoti erano tutto ciò che mi rimaneva sulla Terra di Lilith e Zofia, non volevo che morissero anch'essi prima del tempo così decisi che mi sarei occupato di loro, facendomi in quattro perchè avessero una vita il più lunga possibile e dato che voi umani non siete in grado di sopravvivere da soli, mi accollai il peso dell'intero gruppo a cui appartenevano. Per più di quindici anni non-vissi insieme al clan tzigano. Li conducevo per sentieri sicuri, attraverso boschi e montagne, badando di non farli imbattere in valacchi e sassoni, a meno che non si trattasse di servi di cui potevo fidarmi. -
- Perchè tanta diffidenza verso valacchi e sassoni? Perchè hai fatto di tutto per isolare gli tzigani dal resto del mondo? -
- Perchè era più salutare. Quando Zofia era ancora in vita, In Valacchia e nei regni limitrofi da tempo ormai c'era l'usanza che quando dei nomadi mettevano piede in un feudo appartenente a un nobile o ad un'abbazia, ne diventavano automaticamente gli schiavi. Per quale motivo avrei quindi dovuto guidare gli tzigani su strade trafficate e piene di testimoni che sarebbero corsi ad avvertire l'abate o il boiardo della presenza di un nuovo clan? Il signorotto o il pretonzolo si sarebbero affrettati a mandare un manipolo di soldati ad "accogliere" i nuovi schiavi per condurli in qualche fattoria bisognosa di manodopera. Non che l'arrivo di un gruppo di sgherri sarebbe stato un problema per me, anzi, avrebbe costituito un lauto pasto. Chi me lo assicurava però che non potessero scoppiare tafferugli in cui avrebbero finito col rimetterci la pelle i miei nipoti? Non era quello che volevo! Per questo preferivo guidare la mia gente attraverso zone isolate e allontanarmi da loro solo per andare alla ricerca di prede. -
Il vampiro alzò lo sguardo sul visetto della master e vide la fronte di Integra aggrottarsi.
- Cosa c'è che non ti torna del mio racconto? -
- Sinceramente, Alucard, non riesco a vedere grandi differenze fra la vita di uno schiavo e di una persona libera. A quei tempi, anche la gente comune se la passava male ed era soggetta ai capricci dei signorotti e degli abati, quindi dov'era la differenza fra l'essere uno schiavo e un non-schiavo? -
- Hai una visione drastica del passato, lo sai? - ridacchiò il servo - E' vero, la vita era più difficile di ora ma non fino al punto di far diventare superflua la differenza fra una parsona schiava e una persona libera. I sudditi, oltre ai doveri, godevano anche di diritti, non tanti quanti ne avete adesso ma si trattava pur sempre di diritti. Gli schiavi, invece, non avevano diritti, solo doveri e quando mai hai sentito dire che il lavoro di uno schiavo viene pagato? Riguardo al passarsela male, ricorda che così come esistono diversi livelli di ricchezza, esistono anche diversi livelli di povertà. Per quanto la gente comune non se la passasse bene, stava comunque meglio di uno schiavo. Hai dimenticato per quale ragione Zofia venne uccisa? Aveva osato tentare di migliorare l'esistenza della sua gente e questo era stato un affronto che gli abitanti dei paesi attraversati dal suo clan non avevano tollerato. Alla fine del 1400, tutti gli tzigani della Valacchia erano ridotti in schiavitù. Le persone comuni favoleggiavano di un gruppo di tzigani, i "netotsi", a detta loro talmente selvaggi da non asservirsi a nessuno. Boiardi e abati, quando sentivano parlare dei netotsi, sorridevano con indulgenza per la superstizione del popolo. I netotsi non esistevano, loro lo sapevano con certezza perché erano sicuri che nessuno schiavo potesse sfuggire alle fitte maglie del loro controllo. -
Alucard riprese a giocare a biliardo. Integra ormai conosceva abbastanza bene il servo da rendersi conto che quella pausa di silenzio non era dettata unicamente dal desiderio di continuare la partita. Un senso di attesa gravava nell'aria. Alucard, a dispetto della sua espressione indifferente, aspettava che la giovane padrona dicesse qualcosa e Integra accettò di accontentare il servo:
- I netotsi erano il clan che guidavi tu? -
Un sorriso soddisfatto apparve sul volto del vampiro:
- E' sempre una gioia vederti usare il cervello per annodare insieme gli indizi in cui ti imbatti. Sì, master, i netotsi non erano una leggenda e nemmeno dei selvaggi pericolosi. Erano il gruppo a cui appartenevano Zofia, Lilith e i miei nipoti e che aveva accettato la mia guida. Non mi separai da loro finché i figli di mia figlia non diventarono un uomo e una donna adulti, capaci di guidare il clan al posto mio. Per tutto il tempo in cui rimasi con i netosti, durante ogni spostamento, volli che i miei nipoti cavalcassero alla mia destra e alla mia sinistra e in quel modo insegnai loro a leggere le tracce e a individuare e schivare i pericoli. I sentieri che i figli di mia figlia batterono per sfuggire alla schiavitù e che tramandarono alle generazioni successive, erano quelli che avevo tracciato io e di questo i netosti mi rimasero sempre grati. Fra tutti i miei servi, gli tzigani furono quelli più fedeli e li chiamavo sempre quando avevo qualche impegno importante da svolgere. Per questo mi feci aiutare da loro quando dovetti riempire le casse con la terra di sepoltura da spedire in Inghilterra e sempre da loro feci scortare la mia bara quando tornai a casa. -
I tratti del vampiro si indurirono, in un'espressione di disappunto:
- Che errore grossolano commisi, nel non armarli di fucili e pistole! Ero certo di aver seminato Van Helsing e Mina e invece quella donna riuscì a trovarmi. Ho pagato caro il mio sbaglio di valutazione e ammetto di essermelo meritato. Errori così stupidamente madornali meritano di essere puniti nel peggiore dei modi! -
L'irritazione di Alucard si trasmise nel gioco, come Integra poté facilmente constatare. Per molti minuti il vampiro colpì le biglie a casaccio, sbagliando colpo su colpo, la mente evidentemente altrove. Integra lo lasciò sfogare e solo quando lo vide tornare a giocare con più attenzione, lo giudicò sufficientemente calmo da potergli rivolgere una nuova domanda:
- Quando lasciasti il clan tzigano tornasti a fare il brigante? -
- No, niente brigante, ne avevo abbastanza di tutte le sciagure accadute facendo quel lavoro, inoltre non aveva più senso proseguirlo. Mi ero dato al brigantaggio per aiutare la mia stirpe ma dopo la morte di Lilith, stabilii che in quel momento erano i miei nipoti ad avere maggiormente bisogno della mia protezione, gli altri discendenti se la cavassero da soli. Non fraintendere, non abbandonai la mia stirpe. Durante i nostri spostamenti, se capitava di passare nella zona in cui abitava qualcuno dei miei servi, lasciavo momentaneamente i netotsi per controllare se i miei discendenti fossero ancora vivi o se erano stati spazzati via da una pestilenza o da una guerra e se potevo aiutarli in qualche modo. Continuavo a vegliare sulla mia stirpe ma non più con la stessa assiduità di prima. Con alcune famiglie, il legame si annacquò talmente tanto che finì con lo sciogliersi e in fondo era inevitabile. Generazione dopo generazione, la stirpe si ramificava, si ampliava, in certi casi si trasferiva in altri Regni...non potevo tenere sotto la mia ala un numero così alto di persone disperse su un territorio tanto vasto, per questo lasciai che alcuni proseguissero il loro cammino senza di me. Con altri clan, invece, mantenni il patto di alleanza e continuarono a servirmi finché Dio Abraham non mi fece sparire dalla circolazione. Quando lasciai che si occupassero i miei nipoti di condurre la loro gente, decisi di cominciare a non-vivere come un vero vampiro. -
- Perché, fino ad allora cos'avevi fatto? -
- Fino ad allora ero stato un vampiro che si perdeva dietro alle beghe degli umani. Sai, master, disprezzo i vampiri principianti, quelli che non riescono ad accettare fino in fondo la loro nuova natura di succhiasangue e temono di camminare nel buio, o si ostinano a continuare a mangiare cibo umano. Proprio per questo m'imbarazza ripensare ai miei esordi. Anch'io fui un pivello che faticò a separarsi dalla sua ormai conclusa esistenza umana e il bello è che nemmeno me ne rendevo conto perché accettavo di buon grado tutte quelle rinunce che sembravano pesare agli altri novizi, come smettere di guardare il sole. La verità però è che nonostante camminassi nella notte senza paura e mi piacesse bere il sangue, con la testa e con il cuore continuavo ad essere legato ai miei sogni umani. Da questo punto di vista, penso di essere rimasto attaccato agli scampoli della mia precedente esistenza umana molto più a lungo di tanti pivellini di mezza tacca e non hai un'idea di quanto tutto ciò mi faccia vergognare! -
Alucard colpì una biglia. Osservò in silenzio la sfera sbattere più e più volte contro le sponde del tavolo e solo quando si fermò riprese la narrazione:
- Durante i quarant'anni che trascorsi nell'Impero Ottomano e nel corso del secolo successivo in cui mi diedi da fare come brigante, cominciai a crearmi una fama fra i vampiri ma non m'interessai di sfruttarla. In quel girovagare, spesso attraversavo i territori di altri nosferatu e non ti dico come s'incazzavano i legittimi proprietari quando m'incontravano. Erano convinti che m'intrufolassi in casa loro per sottrargliela. Non era quella la mia intenzione, avevo ben altri pensieri per la testa ma siccome ho sempre amato combattere e rischiare, non mi tiravo mai indietro dai duelli a cui mi sfidavano. -
- Come duellavate? Con la spada? Con le zanne? - chiese Integra, con occhi sgranati dalla curiosità.
Alucard sorrise divertito:
- Master, la spada me la portavo dietro per gli umani, non per i vampiri. Già una volta ti dissi che amo incutere paura nel prossimo e dato che non ho scritto sulla faccia "sono un vampiro", per vedere brillare il timore negli occhi dei mortali non mi restavano che due possibilità: o facevo larghi sorrisi a tutti i bipedi in cui m'imbattevo, così da mostrargli le zanne, o mi spacciavo per uno di quei cavalieri che tanto li atterrivano. Non so te ma a me è sempre parso molto più semplice viaggiare in groppa a un cavallo e con una spada al fianco che sorridere perennemente come lo scemo del villaggio. Inoltre, la maggior parte dei vampiri che affrontavo, in vita era stata gente comune e non aveva mai impugnato una lama in tutta la sua esistenza. -
- E quindi? Come combattevate? -
- Ognuno con i propri mezzi e secondo le proprie abilità. Niente regole, vinceva quello più attaccato alla pellaccia. Evocavamo i famigli demoniaci, ci prendevamo a pugni, ci azzannavamo...ricordo ancora il mio primo duello, nei pressi di Ankara. Io ero un non-morto di pochi mesi, ancora all'ABC del vampirismo. Non sapevo fare nient'altro che trasformarmi in pipistrello e da pochi giorni avevo imparato a dissolvermi in nebbia. Mi ritrovai ad affrontare un veterano con secoli di non-vita alle spalle. A quel maledetto bastò puntare le mani verso di me per tramutare ciascun dito in una belva con le fauci spalancate. Se sono qui a raccontarla, è perchè riuscii a schivare gli attacchi delle dieci bestiacce che mi scagliò contro. Non chiedermi come ci riuscii, non lo so nemmeno io. Presumo che la fifa mi avrà messo le ali ai piedi, riuscendo a farmi correre e saltare come un gheguro. -
- Che roba è un gheguro? -
- Un incrocio fra un ghepardo e un canguro, mi pare ovvio. Dicevo, se sono qui a raccontarla è perchè dopo aver schivato le fauci di quelle belve, riuscii ad avvicinarmi al mio avversario quel tanto che bastava per assestargli un calcio nelle palle. Lo so master, non è quel che si dice un comportamento sportivo ma dovevo pur salvare la pelle! Non mi ero impegnato tanto per diventare un vampiro solo per farmi inghiottire dal primo sbruffone che incontravo, quindi smettila di rimproverarmi con quella faccia scandalizzata, tanto più se consideri quanto fosse strategicamente azzeccata la mia mossa. Il dolore mandò in fumo la magia e potei azzannare quel maledetto. Mi servì molto inghiottirlo, insieme al suo sangue assimilai le sue abilità anche se poi metterle in pratica e ampliarle fu tutta farina del mio sacco. A quel duello ne seguirono molti altri e non persi mai, per questo il mio nome cominciò a diventare famoso fra gli altri vampiri, benchè non sapessi cosa farmene di questa celebrità. Ogni volta che uccidevo un avversario, diventavo il proprietario del suo territorio ma io ero preso dalle contese per il potere fra i Draculesti e i clan rivali, conducevo una non-vita nomade, non avevo tempo di occuparmi di quei regni, così li abbandonavo, lasciando che altri succhiasangue se ne impadronissero. -
Nuovamente, Alucard attese che la biglia colpita smettesse di sbattere contro le sponde del biliardo prima di riprendere a parlare:
- Poi al mio fianco cominciò a cavalcare Sekure e anche lei diventò famosa. Dopo essersi trasformata in una vampira a tutti gli effetti, le occorse ancora molto tempo per accettare fino in fondo la sua nuova natura e finchè non ci riuscì, sfogò con ferocia la sua rabbia sui nosferatu che ci sfidavano. Uccideva i rivali con brutalità, gli altri vampiri la temevano e quando capivano che attraverso il loro territorio passavamo noi, non solo non ci intralciavano la strada ma correvano a nascondersi, aspettando che ce ne andassimo per uscire allo scoperto. Poi Sekure morì e i nosferatu smisero di rintanarsi al mio passaggio perchè un vampiro da solo non incute lo stesso timore di due a meno che non sia immensamente forte, cosa che a quei tempi non ero ancora. Ero però un mostro di bravura in confronto al master di mia figlia Marya, per questo quell'idiota si appropriava dei territori altrui a nome mio. Ora, Integra, prova ad immaginare la scena: procedo tranquillo per i fattacci miei, con quella spina nel fianco di mio figlio Adrian alle calcagna... -
- Perchè "spina nel fianco"? -
- Perchè non aveva ereditato neanche un grammo del mio spirito guerriero! - sbraitò il vampiro, irato - Negli otto anni in cui me lo trascinai appresso nel mio lavoro di brigante, tutto il suo contributo alla mia attività consistè nello spogliare i cadaveri dei loro averi da caricare sui muli e lo disgustava persino quest'incombenza! Non ebbe mai il coraggio di uccidere una persona in tutta la sua vita, la violenza e il sangue lo ripugnavano e sognava un mondo di pace. Durante i nostri bivacchi nei boschi, quando era convinto che non lo vedessi perchè credeva che fossi immerso nel mio sonno diurno, mentre invece lo spiavo tenendo un occhio mezzo aperto, sai come trascorreva il suo tempo? Componendo poesie! No, dico, ti rendi conto della gravità della situazione?! Io, Dracula, avevo un figlio pacifista e non-violento che scriveva le poesie! Come potevo non considerarlo una preoccupazione, una spina nel fianco? -
Integra se ne convinse definitivamente: Adrian doveva essere la copia spiccicata di sua madre Nullità.
Internamente la ragazzina gongolò sadicamente di questa certezza, considerandola una riuscitissima vendetta di Nullità ma non lo diede a vedere al servo. La febbre le aveva prosciugato le forze, lasciandogliene poche, non sufficienti per sostenere un duello verbale con Alucard. Il vampiro proseguì:
- Dicevo, procedevo tranquillo per i fattacci miei con quella spina nel fianco di Adrian alle calcagna, quando un vampiro o una vampira o un intero branco di vampiri ci sbarrava il passo con aria imbufalita, perchè "il mio ambasciatore" gli aveva annunciato l'esproprio di un pezzo del loro regno a nome mio. Era inutile tentare di spiegargli che non avevo ambasciatori e che se proprio volevano prendersela con qualcuno, tornassero indietro a massacrare il mio sedicente portavoce, quei succhiasangue erano troppo nervosi per starmi a sentire. Peccato! Se mi avessero ascoltato, avrebbero scoperto che ero disposto a subissarli di regali se mi avessero fatto la cortesia di liberare la mia non-esistenza dalla fastidiosa presenza di mio genero. Smontavo da cavallo avvilito all'idea che anche per quella volta il marito di mia figlia l'avesse sfangata e mi sarebbe toccato continuare a sopportarlo per chissà quanto tempo. Consegnavo la mia spada ad Adrian perchè in quel momento non mi serviva a nulla e affrontavo quei vampiri. Alla fine del duello, mi toccava viaggiare a venti passi di distanza da mio figlio perchè mentre combattevo Adrian tirava fuori dalla sua bisaccia dell'aglio e se lo stropicciava sulla pelle in modo che, nell'eventualità che perdessi, i vampiri che mi avevano battuto non lo mangiassero. Un'estate particolarmente siccitosa, trascorsero ben dieci giorni prima che trovassimo un torrentello in cui Adrian potesse lavarsi di dosso quel puzzo d'aglio. Quando mi capitava di incrociare il mio cammino con quello di Marya e del suo master, non mancavo mai di ringraziare quel vigliacco tirandogli un pugno in faccia. Mia figlia non replicava: sapeva che il suo maestro agiva scorrettamente e quel cazzotto se lo meritava. Però non mi avrebbe mai perdonato se le avessi inghiottito il marito davanti agli occhi, per questo dovetti attendere l'occasione giusta per sbarazzarmi di quel deficiente. E ora, alla luce di queste nuove informazioni, hai ancora il coraggio di affermare che sbagliai ad uccidere quella mezza tacca di vampiro? -
- Sì, hai sbagliato. Per quanto idiota fosse, era pur sempre il marito di Marya e il padre di tua nipote. Sei stato ingiusto a lasciarle vedova e orfana. -
- Lo dici solo per farmi dispetto, lo so. Be', non importa, intestardisciti quanto ti pare, so di essere nel giusto! Adesso andiamo avanti nel racconto. Dicevo, anche se non avevo mai perso un duello, non potevo ancora considerarmi un vampiro immensamente forte, per questo gli altri nosferatu continuavano a sfidarmi senza timori quando mi sorprendevano ad attraversare i loro regni. O forse non avevano paura di me perchè non sfruttavo la mia fama. Insomma, non è che quando incontravo gli altri vampiri mi presentassi dicendo "Trema miserabile, ti trovi di fronte a Vlad Dracula, mai sconfitto in cinquantaquattro duelli"! Preferivo tacere e combattere anche perchè non volevo rischiare che l'avversario, udendo quante volte l'avevo sfangata, ci ripensasse e non volesse più lottare, fuggendo a gambe levate. Azzuffarmi è sempre stato uno dei miei passatempi preferiti, mi sarebbe seccato terribilmente veder mandare all'aria una rissa per defezione improvvisa del nemico. Quando però decisi di cominciare a non-vivere come un vero vampiro, capii che dovevo cambiare radicalmente stile. Innanzi tutto, dovevo ritagliarmi un territorio su cui regnare come unico Signore, badando che nessun altro nosferatu entrasse a succhiarmi le prede. Quando passai dalla fortezza di Poienari, decisi che da lì avrei cominciato a creare il mio nuovo regno. Il castello sarebbe stato la mia tana, le zone circostanti il primo nucleo del mio territorio e partendo da quella base, avrei dovuto essere abbastanza abile da ampliarlo sempre più. Quest'ultimo aspetto era vitale per la mia sopravvivenza. Ricordalo, master: un predatore deve sempre tenere in considerazione la quantità di prede che circolano nel suo territorio, se non vuole correre il rischio di morire di fame. E' vero, nel passato ho compiuto stragi di umani, assalendo e massacrando interi paesini, ma era un capriccio che potevo concedermi saltuariamente. Se avessi commesso troppe stragi, avrei estinto le mie prede e poi non mi sarebbe rimasto che seguirle nella stessa sorte, morendo di fame così, molto più frequentemente, mi comportavo come qualsiasi vampiro lungimirante, limitandomi a succhiare un umano per volta mentre dormiva. Anche così facendo, rimaneva un problema di fondo e cioè che intorno alla fortezza, non sorgevano molti borghi. Se avessi preteso di sfamarmi unicamente con i loro abitanti per tutta la durata dei mesi piovosi, i mesi in cui mi rinchiudevo nel castello, li avrei spopolati nel giro di qualche inverno. Dovevo centellinare i miei pasti. Calavo su quei paesi solo ogni tanto e cercavo per lo più prede anziane, lasciando in vita i giovani finchè potevo. Quei pranzi saltuari però non bastavano a sostentarmi, così presi l'abitudine di accumulare delle "scorte". Quando facevo ancora il brigante, sia nel periodo in cui Sekure era ancora su questa Terra, sia quando lavoravo da solo, sia quando Marya mi affiancò, c'era sempre il solito problema da affrontare. Quando passavo dai miei discendenti, normalmente rimanevo presso di loro solo un giorno o poche notti. In un periodo così breve, potevo anche evitare di mangiare ed era ciò che facevo. Ma se dovevo trattenermi presso di loro per più notti, la situazione cambiava. In quel caso, avevo bisogno di sangue, ma da dove lo potevo prendere? Non volevo bere i miei discendenti, e nemmeno era giusto che succhiassi i loro servi, se ne avevano. Sarebbe stato scortese, capisci? Come se un amico venisse a trovarti e ripagasse l'ospitalità rubando un oggetto di tua proprietà. Nemmeno volevo bere i loro vicini, concittadini o compaesani, sarebbe stato troppo rischioso. Se gli umani che li circondavano avessero sospettato che la mia stirpe dava asilo a un vampiro, l'avrebbe trucidata senza starci troppo a pensare. No, per la sicurezza dei miei discendenti era meglio che mi portassi dietro un umano catturato strada facendo ed era quel che facevo. Lo nascondevano legato e imbavagliato in qualche soffitta, e quando me ne andavo portavo via con me il suo cadavere, per buttarlo da qualche parte. -
Sir Hellsing stentava a credere alle proprie orecchie:
- Un momento! Vuoi farmi credere che i tuoi discendenti, degli umani, non provassero pena di fronte ai tuoi prigionieri e non li aiutassero a scappare? -
Il vampiro rise paternamente davanti a tanta ingenuità:
- Master, non tutti gli umani ragionano come Integra Hellsing. Non tutti gli umani antepongono i propri simili ai vampiri, anche perchè molti umani considerano persone solo i membri del popolo a cui appartengono. Stavo sempre attento a scegliere i miei "spuntini viventi" fra le razze opposte a quella dei discendenti da cui mi recavo. I sassoni e gli ungheresi detestavano i valacchi. I valacchi detestavano i sassoni e gli ungheresi. Tutti odiavano gli tzigani, gli ebrei e i turchi. Gli tzigani detestavano chiunque. Mi bastava catturare un individuo che suscitasse il disprezzo delle persone che mi avrebbero alloggiato e ti assicuro che nessuno dei miei discendenti tentò mai di aiutare i miei prigionieri. -
Integra abbassò la testa, rabbuiata in volto. Si sentiva come se fosse stata presa a schiaffi ma il ceffone in questo caso non glielo aveva dato Alucard ma la grettezza degli altri umani. Il Re-senza-vita proseguì:
- Decisi di utilizzare questo metodo anche quando diventai un vampiro sedentario. Anzi, semi-nomade è la definizione più calzante. Dopo aver trascorso i miei primi centocinquant'anni di non-esistenza vampira viaggiando continuamente, non potevo tollerare l'idea di rinchiudermi in un castello senza più spostarmi per tutto il tempo che fossi non-vissuto sulla Terra. Decisi così di restare nella fortezza solo durante i mesi piovosi, scansando l'acqua che per noi vampiri è sempre deleteria, e all'arrivo dell'estate mi sarei dedicato alla caccia nomade. Questo mi serviva anche per evitare di spopolare i borghi che sorgevano intorno al castello e per catturare quante più prede possibile da rinchiudere nelle segrete di Poienari per inghiottirle durante l'inverno. -
Integra si sentì rizzare i capelli in testa dall'orrore. Alucard dovette equivocare gli occhi sbarrati della master con un'espressione di stupore perchè in tono professionale proseguì:
- Il castello aveva un sacco di comodità. Ti ho già detto delle cisterne piene di acqua potabile. A quelle mi bastava aggiungere qualche scorta di cibo umano, coperte e legna da ardere e in quel modo potevo rinchiudere un bel po' di umani nelle segrete, riuscendo a tenerli in vita per tutto l'inverno. Li succhiavo un po' per volta ed evitavo di dissanguare i paesi intorno a Poienari. Che hai master? Ti fa male la testa? -
- No, no... - rispose flebilmente la ragazzina, tenendosi la fronte con le mani.
Immaginava il terrore, l'angosciosa attesa di quelle povere persone che languivano nelle segrete del castello, costrette ad attendere il loro turno di essere divorate.
Spesso le parole che uscivano dalla bocca di Alucard provocavano un terremoto nell'animo di Integra. In particolar modo, quando il servo andava a rivangare il proprio passato, saltavano fuori dei particolari che gettavano Sir Hellsing nel più nero sconforto. La volta precedente la giovane master aveva tentato di difendersi dalla sofferenza che le frasi del Re-senza-vita le causavano corazzandosi dietro un'armatura di diffidenza. Forse era stata talmente prevenuta nei confronti del servo da finire col fare la figura di una sciocca ragazzina infantile ma non aveva trovato nessun'arma migliore mentre era seduta schiena contro schiena nel boschetto degli olmi. Quella mattina, nel salone da biliardo, Integra era ancora talmente intontita dai postumi della febbre e degli antibiotici da non riuscire nemmeno ad indossare la sua corazza di diffidenza e ogni parola di Alucard la colpiva in pieno, come un pugno nello stomaco. 
Avrebbe voluto pregare il vampiro di terminare lì il suo racconto, bisognosa com'era di digerire quel che aveva appreso ma un senso di profonda vergogna le impedì di aprire bocca, quasi temesse di passare per una smidollata davanti agli occhi di un servo tanto spietato. Lasciò quindi il succhiasangue libero di continuare a narrare, pur estraniandosi parzialmente dalle sue parole:
- Avevo comunque un grosso problema da affrontare e cioè che il mio territorio era estremamente risicato. Bastava una carestia o una pestilenza per diminuire drasticamente il numero delle mie prede e ritornavo sempre alla questione principale: come nutrirmi senza estinguere gli umani? C'era un'unica soluzione possibile, ampliare il mio regno più che potevo in modo da spostarmi di volta in volta nelle zone più popolose, dando tempo a quelle piegate dalle carestie di rimpolparsi. Il guaio è che il mio regno era circondato da ogni lato dai territori di altri succhiasangue e ampliarlo avrebbe voluto dire entrare in competizione con loro. Non che mi dispiacesse guerreggiare ma da solo dovevo affrontare interi branchi di vampiri e a quei tempi, per quanta esperienza avessi accumulata, non ero potente quanto lo sono oggi. Adesso posso divertirmi ad utilizzare la forza bruta ma allora ad essere in possesso della forza bruta erano i miei vicini, non certo io. A me toccava giocare d'astuzia e utilizzare più il cervello dei muscoli. Non potendo affrontare contemporaneamente un intero branco di vampiri, m'ingegnavo su come riuscire a sorprendere un componente isolato ed eliminarlo. Non potevo fare altro che questo, erodere lentamente i miei avversari sbranando un membro per volta. Mi occorreva un'estate intera per distruggere un branco in quel modo e non era nemmeno detto che giungessi agli inizi dell'autunno riuscendo a completare l'opera. Il nostro diventava un macabro gioco a nascondino; i miei avversari mi cercavano per vendicare i loro compagni e sbranarmi, io dovevo al contempo far perdere le mie tracce e continuare a seguire le loro. Cavalcavamo in tondo come in una giostra, cercando di essere lesti a scappare e ancor più svelti ad acciuffarci. Spesso giunsi alle soglie dell'autunno senza essere riuscito a portare a termine la mia missione. Dovevo interrompere la battaglia, darmi da fare per cercare prede da trascinare vive al castello. Non potevo fuggire dai miei inseguitori con una fila di umani legati e imbavagliati appresso così cancellavo le mie tracce, catturavo quante più persone possibile alla chetichella e me ne tornavo alla fortezza cercando di non dare nell'occhio. Quante volte, arrivato all'estate successiva, scoprii che tutta la fatica compiuta l'anno precedente era stata vana! Durante l'inverno i miei avversari avevano compensato le perdite vampirizzando nuovi allievi e mi trovavo a dover ricominciare tutto daccapo. Ma anche quando riuscivo ad eliminare tutti i miei vicini, non per questo le fatiche erano terminate. Quel nuovo pezzo di regno che mi ero conquistato dovevo pattugliarlo e difenderlo con le zanne da tutti quei vampiri che entravano di straforo per cacciare i miei umani. Eh sì, furono davvero faticosi i miei esordi! -
Alucard riprese a giocare. Integra, di quel che le aveva raccontato il servo, aveva ascoltato sì e no la metà delle parole, tanto era rimasta turbata dal pensiero dei poveri disgraziati che avevano languito nelle segrete di Vlad Dracula. Adesso, tentando di riprendersi dal magone, cercava di riannodare i fili di quel poco che aveva afferrato:
- Dunque...se ho capito bene, trascorrevi l'inverno chiuso nel castello e l'estate a fare il nomade? -
- Sì ma non devi pensare che fossi necessariamente così fiscale. Ci furono anni di grandi piogge e straripamenti di fiumi in cui mi toccò restare rintanato nella fortezza tutto l'anno, per non rischiare inutilmente la salute. E ci furono anni siccitosi, in cui non trascorsi una sola notte chiuso nel castello. Fu durante un inverno in cui non cadde una sola goccia d'acqua, infatti, che incontrai la mia Prima Leonessa. -
Integra tese le orecchie. Le Leonesse, l'ultima famiglia di Dracula, le tre mogli che comparivano anche nel romanzo di Stoker e a cui ogni tanto Alucard stesso accennava, ammettendo che gli mancavano "più di quanto le parole non possano dire". Gliene avrebbe parlato, finalmente? 
Dopo quella frase, il vampiro ricominciò a giocare. Integra attese, fiduciosa che come era accaduto tante volte durante quella mattinata Alucard, dopo aver colpito una biglia, avrebbe ricominciato a raccontare. Invece il servo continuò a colpire una biglia dopo l'altra, lasciando trascorrere i minuti senza dimostrare la volontà di voler continuare la narrazione.
Integra stentava a credere in quel silenzio. Ma come?! Prima le metteva addosso la curiosità di sapere la storia e poi gliela negava? Che carogna! 
Forse il vampiro lesse nella mente della padrona, forse il respiro di Integra accellerò per la rabbia mettendo il servo sull'avviso, fatto sta che Alucard sollevò lo sguardo sulla ragazzina e con un sorriso beffardo chiese:
- Curiosa? -
- Da morire! - ammise la master.
Il nosferatu riprese a giocare silenziosamente e la delusione si dipinse sul faccino della dodicenne. Per quel giorno, evidentemente, la parlantina di Alucard si era esaurita. Integra se ne fece una ragione e si alzò per tornare a vedere la televisione quando Alucard, mirando con la stecca una biglia, disse:
- La mia Prima Leonessa nacque nel 1621 ed era figlia di banchieri. -
Integra si rimise a sedere. Alucard colpì la sfera e proseguì:
- Era nata e cresciuta in mezzo agli agi e al lusso e avrebbe continuato a spassarsela per il resto della vita se i suoi genitori non avessero avuto il pessimo tempismo di morire durante un'epidemia di vaiolo, prima di maritare la figlia. La Legge era chiara: così come Dio aveva stabilito che Eva dovesse sottostare ad Adamo, così ogni donna doveva sottomettersi alle decisioni degli uomini di famiglia, in virtù del loro superiore raziocinio. Non ti scaldare master, lo vedo che ti stai innervosendo. Sto solo riferendo le leggi del tempo quindi è inutile che te la prendi con me. Dopo la morte del padre, il capofamiglia divene il fratello della mia futura Prima Leonessa. Sarebbe toccato a lui trovare un marito per la sorella ma farla sposare avrebbe significato sborsare una dote e per far bella figura davanti alla società, sarebbe dovuta essere esosa, tanto più che non aveva altre sorelle da accasare, quindi non era giustificabile che tentasse di risparmiare. Quel bravo banchiere però non aveva nessuna intenzione di sperperare un patrimonio per sua sorella, che presumo gli facesse pure antipatia. Se la ragazza fosse rimasta zitella, sarebbe stato un bel risparmio, il problema è che la mia Leonessa aveva un carattere troppo passionale per accettare l'idea di restare vergine a vita. Sarebbe stata capacissima di sfornare un figlio bastardo e allora l'onore della famiglia, e con esso gli affari, avrebbe preso il volo. "Se gestisce la banca come gestisce la famiglia, gli fotteranno i soldi da sotto il naso così come gli hanno fottuto la sorella" sarebbe stato il commento della gente. Dato che tenere la ragazza in casa senza un marito era troppo rischioso, quel bravo fratello premuroso decise di seppellire la sorellina in convento. Ora, master, prova ad immaginare con quanto entusiasmo una giovane donna abituata a divertirsi, truccarsi, ingioiellarsi, vestirsi sontuosamente ed essere sempre al centro dell'attenzione in ogni banchetto grazie alla sua conversazione brillante e audace, potesse abbracciare la vita monastica. Come mi raccontò in seguito, per lei andare a messa era stata sempre e solo una valida scusa per contare il codazzo di ammiratori che la seguivano per la strada. Figurati quanto potesse fregargliene di trascorrere il resto della vita a pregare! Mi disse che la mattina in cui capì che l'avrebbero condotta al convento, lottò come una furia, decisa a vendere cara la sua libertà, e occorsero quattro uomini per infilarla nella carrozza, ognuno impegnato a trattenerla per un braccio o una gamba. Conoscendola, non penso abbia esagerato i fatti anzi, fossi stato al posto del fratello, avrei ordinato ad un quinto uomo di tenerle ferma anche la testa, a scanso che prendesse a morsi, capocciate o sputi i servi che le tenevano le braccia. - 
- Quindi fu costretta a diventare una suora? - 
- No ma solo perchè l'iter per prendere i voti era lungo e complicato. Santa Ipocrita Madre Chiesa pretendeva che le vocazioni fossero autentiche, pena la scomunica per coloro che obbligavano una persona ad entrare in convento. Certo, master, siamo sinceri: a dispetto di tutte queste regole e minacce, un sacco di gente è diventata prete, suora o frate per obbligo ma un temperamento come quello della mia Prima Leonessa, avrebbe reso la faccenda molto più complicata. Non avrebbe perso occasione per sbraitare che a lei non fregava nulla di farsi monaca e avrebbe preferito lavorare in una porcilaia pur di vivere fuori dal convento. Anche gli ecclesiastici più compiacenti ai desideri di suo fratello non sarebbero riusciti a portare avanti quella sceneggiata per molto tempo. A quei tempi però potevi finire a vario titolo in un convento, non necessariamente perchè diventavi una suora. Spesso le famiglie vi posteggiavano dentro le figlie finchè non raggiungevano l'età del matrimonio, o una sorella troppo vivace, con troppe tresche e troppi amanti, per farle capire che era meglio si desse una calmata. Ufficialmente, queste donne erano ospiti del convento, quindi avrebbero potuto andarsene quando gli pareva e piaceva ma la prudenza consigliava di rimanere fra le suore finchè i parenti che ti avevano generosamente scarrozzato fino al chiostro non venissero a riprenderti, sempre ammesso che fossero intenzionati a farlo. Uscire dal monastero senza il consenso della famiglia poteva essere pericoloso. In fondo, ti avevano offerto una seconda possibilità: restare ancora viva ma in convento invece di ucciderti subito e lavare l'onore, quindi meglio non sfidare la loro tolleranza. La mia Leonessa però aveva una testa più dura del marmo quindi le occorse del tempo per afferrare questo concetto. Per due volte litigò con la madre badessa, riuscendo a far valere il suo diritto di andarsene quando le pareva e uscendo a testa alta e in pompa magna dall'ingresso principale, rifugiandosi poi presso dei parenti in un caso e presso amici nell'altro. Ma secondo te, master, parenti e amici chi avranno preferito scontentare? Il fratello banchiere che teneva i cordoni della borsa o la sorella che finanziariamente parlando dipendeva da lui? Entrambe le volte le persone che avrebbero dovuto aiutare quella ragazza la tradirono, mandando dei messi al banchiere per avvertirlo che si trovava in casa loro e l'uomo inviò i suoi sgherri a prendere quella scalmanata per ricondurla in convento. Nel corso dell'ultimo viaggio, gli scagnozzi le dissero chiaro e tondo che il fratello non sarebbe passato sopra a una terza fuga. Se si fosse azzardata a rimettere il naso fuori dal convento senza l'autorizzazione del banchiere, sarebbe stata uccisa e il suo corpo abbandonato sulla pubblica via, così che tutti potessero constatare come quell'uomo non fosse disposto a lasciarsi prendere in giro da nessuno, parenti inclusi. Per la mia Leonessa fu la fine. Ufficialmente, restava ospite del convento ma la madre superiora aveva ricevuto dal banchiere precise istruzioni e una generosa donazione e si diede attivamente da fare per tenere imprigionata quella pestifera ragazza. - 
L'ultima frase del vampiro sembrò a Integra così assurda che la ragazzina non potè trattenersi dall'insorgere: 
- Non ha senso! Prima il banchiere rinchiude la sorella in convento per non sborsare una dote e poi offre una generosa donazione per convincere la badessa a trattenerla? A questo punto non gli conveniva farla sposare? - 
- Master, devi imparare a ragionare sui grandi numeri. La donazione, per quanto esosa, era una cifra comunque inferiore a una dote e per il banchiere rappresentava un risparmio notevole, pur restando un bel gruzzolo agli occhi della madre superiora. Per essere certa che non avesse la possibilità di andarsene, nonostante la mia futura Leonessa non avesse preso i voti, la badessa la obbligò a vestirsi come una novizia e ad osservare la regola monastica. A quella scalmanata toccò imparare ad obbedire e chissà quanto sarà stata dura per lei, viziata com'era e abituata da una vita a fare come le pareva! All'inizio sperò che il fratello, vedendola rigare dritto, le consentisse di tornare a casa ma gli anni passavano senza che quell'uomo si facesse vedere, così capì che era stata condannata ad uscire da quelle mura solo all'interno di una bara ma per lei fu come se fosse stata già seppellita mentre ancora respirava. Si trascinò in quell'esistenza per anni e quando non ne potè più, cominciò a prendere l'abitudine di alzarsi durante la notte per aprire la finestrella della sua cella, nella speranza di attirare un vampiro che si fosse trovato a passare da lì. E una notte, sotto quella finestra, passai io. - 
Il vampiro colpì con la stecca una biglia, mandandola in buca. 
- Trovare una finestra spalancata in una gelida notte invernale, era uno spettacolo bizzarro. Vedere una finestra aperta in un convento di suore, in qualsiasi periodo dell'anno, era uno spettacolo ancor più insolito. Unisci insieme questi due elementi e capirai perchè mi incuriosisse tanto, quella finestrella aperta all'ultimo piano di un monastero. Mi tramutai in nebbia per arrivare fin lassù e passare attraverso quello spazio angusto e quando fui dentro, mi ritrovai in una celletta, dove una monaca dormiva circondata da amuleti anti-vampiro. Quella donna quindi era consapevole del rischio che correva, dormendo con la finestra aperta. Di più: considerando che eravamo in pieno inverno, non poteva che averla aperta apposta per attirare un nosferatu, eppure si era circondata di amuleti per non farsi mangiare. Dovevo sapere perchè agiva così, ormai la curiosità mi divorava. Siccome non potevo avvicinarmi a lei a causa degli amuleti, la svegliai con una sassata. Quando mi vide, si comportò come se attendesse il mio arrivo da anni. Si mise a sedere sul letto e con calma mi raccontò quel che io ho detto a te. Concluse dicendo che essere rinchiusa fra quelle mura la faceva sentire come se l'avessero sepolta mentre ancora respirava e se quello era il suo destino, per lo meno voleva scegliere da sola la propria non-vita e preferiva diventare una vampira che restare una suora. Le risposi di pensarci bene perchè non volevo ritrovarmi fra i piedi una pentita che per i secoli avvenire mi avrebbe rotto lamentandosi di quanto avrebbe preferito rimanere umana. Dopo tutta la fatica che mi era costata convincere Sekure a diventare una vampira a tutti gli effetti, avevo giurato a me stesso che non avrei più vampirizzato un'allieva senza il suo consenso e senza che fosse più che certa della strada che voleva intraprendere. Per questo avevo tenuto le zanne fuori dal collo di Zofia. Dissi alla monaca che se sperava che potessi restituirle la bella vita che faceva prima di entrare in convento, era meglio che si togliesse quel sogno dalla testa. Non avevo da offrirle nè servi nè comodità nel mio castello. Rispose che non s'illudeva di tornare a riavere la sua vecchia esistenza, la considerava un bel sogno ormai svanito. Riguardo al pentirsi, mi disse che una simile eventualità non sarebbe mai accaduta. Era da otto anni che marciva in quel convento, di tempo per meditare sui pro e i contro della sua scelta ne aveva avuto a iosa. Mi toccò darle ragione. Le dissi di allontanare da sè gli amuleti che la circondavano, così l'avrei esaudita. E la vampirizzai. - 
Tutte le biglie erano state mandate in buca. Alucard le recuperò dalle retine, e mentre le disponeva nuovamente al centro del tavolo, riprese a parlare: 
- Tre notti dopo andai al cimitero dove l'avevano sepolta. Ormai il processo di vampirizzazione era concluso ed era diventata una draculina. Era la prima volta che tiravo fuori un'allieva dalla tomba. Sekure aveva dormito tutto il tempo nella caverna in cui l'avevo portata. Mi avvicinai al tumulo della suora e da sottoterra sentii un grattare leggero, uguale a quello che potrebbe fare un gattino di pochi giorni sulle pareti della scatola in cui è nato. -
C'era tenerezza nella voce di Alucard e Integra sgranò gli occhi, stupita.
Quante volte aveva sentito dire che i mostri non avevano sentimenti? Ora comprendeva che i mostri, in realtà, possiedono l'intero spettro delle emozioni umane ma diretti verso obbiettivi diametralmente opposti.
Udire provenire da sottoterra il rumore di qualcuno che raspa contro il coperchio della bara colma gli umani di terrore puro e un maestro-vampiro di dolcezza, nè più nè meno di una madre che sente scalciare nel ventre il figlio, perchè indica che lì sotto c'è la sua creatura, la sua allieva.
" Dovrò meditare a lungo su queste differenze " pensò Integra ma subito prestò attenzione al servo che aveva ricominciato a narrare:
- Era perfettamente in grado di uscire dalla tomba da sola, lo sapevo, però decisi di agevolarle il lavoro. Anche lei, come me, avrebbe dovuto portarsi dietro il sacco con la terra di sepoltura così cominciai a riempirlo scavando il tumulo. Alla fine, scavando io dall'alto e spingendo lei dal basso, riuscì a sollevare il coperchio della bara. Le tesi la mano, la prese e l'aiutai ad uscire dalla bara. -
Il vampiro ingessò la sommità della stecca: 
- Appena uscì dalla sua tomba, corse dalla madre badessa che l'aveva tenuta sotto sequestro per anni e la mangiò, passando in uno schiocco di dita dallo stadio di draculina a quello di vampira. Finito di succhiarla, decise di compiere una strage fra le consorelle, affermando che le facevano tutte antipatia. - 
Il tono del vampiro diventò ilare, come se alla sua mente fosse riaffiorato un ricordo divertentissimo: 
- La scena che seguì, master, avresti dovuto vederla! Raccontarla non rende quanto viverla. Prova ad immaginare: una vampira, ancora abbigliata da novizia, che semina il panico fra un branco di monache in camicia da notte, che corrono come pecore spaventate per i corridoi e il chiostro! - 
Sir Hellsing immaginò la scena e le mise i brividi addosso. La reazione di Alucard era invece diametralmente opposta. Scoppiò in un'allegra risata prima di proseguire:
- Era uno spettacolo talmente divertente che non mi lanciai nella caccia, per agguantare una monaca da succhiare. Camminavo qualche passo dietro alla mia allieva, ammirando la sua opera. Che tipa che era! Non ho più incontrato un succhiasangue capace di scalmanarsi tanto, la prima notte della sua venuta al mondo! Ma anche per un'energica come lei arrivò il momento in cui cominciò a barcollare dalla stanchezza. A quel punto si arrese a farsi trascinare via da me alla ricerca di un luogo in cui trascorrere il giorno. Si risvegliò due tramonti dopo e non me ne stupii: considerando quanto si era strapazzata, ne aveva da recuperare di forze! Non era riuscita a sterminare tutte le suore, molte erano rimaste vive ma decise che era superfluo tornare ad accanirsi contro di loro. Affermò che era giunto il momento di andare a far visita al suo amato fratello. Galoppò a rotta di collo verso la sua città natale, ci intrufolammo nella casa in cui era nata, agguantò il fratello e lo torturò una notte intera prima di divorarlo. Solo allora, dopo che la vendetta fu compiuta, si spogliò dell'abito da monaca per indossare una veste da donna, presa alla cognata. Aveva un buon sapore, la moglie di suo fratello. Me la succhiai di gusto, mentre attendevo che la mia allieva terminasse la sua vendetta. - 
Il racconto di Alucard aveva provocato nella mente della master un terremoto di dubbi. L'idea che il padre le aveva instillato e che la figlia aveva accettato senza metterla in dubbio, non perchè Integra accettasse passivamente le idee dei grandi ma perchè quella visione particolare si confaceva alla sua mentalità, era che gli umani che accettavano di farsi vampirizzare fossero persone spregevoli, degne del disprezzo più profondo. Traditori della loro specie che accettavano di trasformarsi in mostri per raggiungere futili mete come la giovinezza o la bellezza eterne.
Adesso però si rendeva conto che al mondo potevano anche esistere motivazioni più serie e pressanti per rinnegare la propria umanità. Benchè agli occhi di Integra la scelta della "suora" di diventare una non-morta non fosse scusabile, era comunque costretta ad ammettere con se stessa che quella decisione poteva comunque essere comprensibile. 
"Ecco qualcos'altro su cui mi toccherà meditare a lungo! " pensò la ragazzina. Rimandò comunque l'inizio della meditazione ad un'altra occasione. Per adesso, le premeva ascoltare il racconto di Alucard ed espresse tutto il suo stupore per ciò che aveva udito fino ad allora commentando: 
- Non sai quanto mi sembri strano, immaginare una suora-vampiro. -
- Non immagini quanto sembri strano a me aver preso prima come allieva e poi compagna una suora, considerando quanto detesto gli ecclesiastici. La mia Prima Leonessa comunque si vergognava di quella parte della sua esistenza umana e cercava di nasconderla, non parlandone mai. - 
Se ne vergognava talmente tanto che Vlad il vampiro presto cominciò a sfruttare quella debolezza a suo favore, per soddisfare la parte dispettosa del suo animo. Capitava che la Leonessa vedesse il compagno avvicinarsi con uno sguardo che prometteva passione sfrenata, facendola fremere di desiderio fin nel profondo. La vampira si lasciava cingere la vita con le braccia, vedeva le labbra di Dracula stendersi in un sorriso e attendeva il complimento che di lì a poco sarebbe arrivato.
E il complimento, invariabilmente arrivava ma non era "il mio tesoro" e nemmeno "la mia amata" benchè fosse pronunciato nello stesso tono ma:
- La mia suora! -
In un istante il volto della vampira passava dall'adorazione all'odio puro. Schiumando rabbia cominciava a tempestare selvaggiamente il petto del marito di pugni ma ci voleva altro per riuscire a fargli male. Ridendo soddisfatto davanti a tanta ira, Vlad afferrava le braccia della compagna torcendogliele dietro la schiena e resala inoffensiva, continuava a prenderla in giro fino a renderla furiosa:
- Ma sì, la mia bella suora, la mia amata suora... -
Di questo però Alucard non fece parola con Integra. Forse, in un'altra occasione, avrebbe raccontato quell'aneddoto alla master ma per adesso non gli andava di rivangarlo, così ascoltò la voce della ragazzina chiedergli:
- Ma riuscì ad abituarsi alla sua nuova condizione? Insomma, aveva tanto detestato la vita monastica perchè non poteva divertirsi e agghindarsi come aveva sempre fatto...mi pare strano che si sia adattata ad una non-esistenza dove continuava a mancarle ciò che aveva sempre amato. - 
- Non sottovalutarla, master. E' vero, era viziata e capricciosa ma era soprattutto una femmina tutto istinto e passione. Conoscendola, sono certo che se anche non le fosse mai passato per la testa di diventare una vampira, decidendo di rimanere umana, sarebbe comunque giunta la notte in cui avrebbe afferrato un coltello e ucciso la badessa e le altre consorelle. Se poi provo ad immaginare la vita che avrebbe potuto fare se il fratello non l'avesse rinchiusa in convento, indipendentemente che si fosse sposata o meno, immagino uno scenario ancor più torbido. Un temperamento come il suo avrebbe sguazzato beato fra intrighi politici e lotte di potere. Sarebbe stata capacissima di far uccidere, o ammazzare con le sue stesse mani, chiunque si fosse messo sulla sua strada. Per questo la non-vita che le offrii le andò subito a genio: soddisfaceva la parte sanguinaria e violenta del suo carattere. Sì, era veramente sprecata come suora. In tutti i sensi. - 
Integra si sentì rinfrancata da quella spiegazione. Dopotutto, non era sbagliata la sua idea che gli umani che decidevano di trasformarsi in vampiro fossero persone degne di disprezzo. La Prima Leonessa di Alucard, ai suoi occhi, aveva davvero un temperamento spregevole. Il vampiro proseguì: - Comunque, dalla sua nuova non-esistenza, riuscì a trarre anche motivi di soddisfazione più consoni ai suoi reali interessi. Quando ci intrufolavamo nelle abitazioni di gente ricca lei, invece di mangiare, correva a spalancare la cassapanca della padrona di casa e si metteva a frugare fra i suoi vestiti. Io succhiavo i proprietari addormentati e alle mie spalle sentivo mia moglie blaterare "Quindi adesso si usano le maniche strette? E guarda quanti merletti applicano sulle gonne! Certo che la moda è proprio cambiata!". Uscivamo dall'abitazione io con lo stomaco pieno e lei con le braccia cariche dei vestiti e dei gioielli della donna che avevo inghiottito. Dopo di che si divertiva a trascorrere l'inverno nel castello passando tutta la notte a truccarsi, ingioiellarsi, cambiarsi di abito e a pettinarsi i capelli in acconciature assurde. - 
Alucard non accennò all'alta frequenza di volte in cui, dopo aver atteso pazientemente per ore, analogamente a un coccodrillo che spia la preda dal pelo dell'acqua, che la compagna fosse vestita e agghindata di tutto punto, aveva commentato il suo aspetto esclamando:
- Sei splendida ma nuda sei ancora più bella! -
Dopo di che in due minuti buttava all'aria ciò che alla vampira era costato ore e ore di impegno e dedizione perchè per spogliarla finiva per scombinarle anche i capelli e il belletto, provocando nella donna delle furiose esplosioni di rabbia che in più di un'occasione aveva sfogato tentando di pestare selvaggiamente il compagno. Tentativi inutili dato che Dracula era più forte di lei e riusciva a bloccarla con facilità, sghignazzando divertito dalla situazione, cosa che faceva aumentare ulteriormente l'ira della sposa. 
No, ad Alucard non parve il caso di raccontare proprio tutto-tutto-tutto alla master, così sorvolò su quel dispetto con cui così spesso si era divertito per proseguire a raccontare:
- A dispetto delle apparenze, aveva un'indole guerriera come scoprirono a loro spese i vampiri dei territori confinanti col nostro. Adesso che eravamo in due, non dovevo più escogitare piani per far cadere in trappola ed eliminare quanti più componenti possibile dei branchi numerosi. Potevamo agire allo scoperto, utilizzando la forza bruta e fu quel che facemmo. Ammetto che per incoscienza spesso ci cacciammo nei guai. Più di una volta finimmo accerchiati da forze preponderanti, col rischio di venire divorati ma sempre ne uscimmo vittoriosi, mettendoci schiena contro schiena e affrontandoli in quel modo. Col tempo e con l'impegno riuscimmo a sterminare i nostri vicini e ad impossessarci dei loro territori. Il nostro regno cominciava ad essere vasto e gli altri vampiri cominciarono a prenderci sul serio. I racconti sulla nostra spietatezza passavano di bocca in bocca, riempiendoli di inquietudine. Quando nel nostro regno il numero di prede calava, a causa di guerre, pestilenze o carestie, per evitare di salassarlo ulteriormente e permettere alla popolazione di rimpinguarsi, andavamo a caccia nei territori altrui. Quando avevo agito così da solo, avevo dovuto farlo alla chetichella. Adesso invece ci muovevamo con spavalderia, disinteressandoci di cancellare le tracce del nostro passaggio. Che i legittimi proprietari si accorgessero pure che degli estranei erano entrati in casa loro! Sapevamo che, se si fossero sentiti più deboli di noi, si sarebbero nascosti, lasciandoci passare senza intralciarci. Se si fossero considerati più forti, sarebbero usciti allo scoperto per sfidarci e a noi non pareva vero di poter lottare. Fu in una di queste occasioni, mentre attraversavamo il territorio di una succhiasangue che preferì rintanarsi chissà dove lasciandoci liberi di fare quel che volevamo, che una notte ci imbattemmo in una cittadina. Decidemmo di cacciare separatamente. La mia Leonessa imboccò la strada di destra e io quella di sinistra. Camminando, passai davanti a una stalla, costruita a ridosso della casa padronale. L'anta superiore della porta della stalla era socchiusa. Pensai che valesse la pena di entrare là dentro, magari con un po' di fortuna l'incosciente che aveva lasciato mezzo aperto l'ingresso della stalla, aveva lasciata schiusa anche la porta che la collegava all'abitazione e avrei potuto mangiare un abitante della casa. Così filtrai attraverso quel piccolo spazio e quando fui dentro, trovai a dormire sulla paglia un'asina e una donna. Che si trattasse di una schiava, era chiaro: cos'altro poteva mai essere una tipa vestita di stracci che teneva compagnia all'asina di casa? Ciò che mi sorprese però fu che quella ragazza dormiva circondata da amuleti anti-vampiro. Era la stessa scena che mi si era presentata davanti quando avevo incontrato la Prima Leonessa. Mi chiesi se non fosse stata quella donna a socchiudere l'anta della stalla e se non avesse qualcosa da dirmi, così svegliai anche lei con una sassata. E anche lei, come la Prima Leonessa, quando mi vide si comportò come se attendesse il mio arrivo da tempo. Si mise a sedere sulla paglia e mi raccontò la sua storia. Era una schiava, figlia di una schiava, appartenente ad una stirpe di schiave, formatasi quando una guerra si abbattè sulla Crimea e sua nonna venne catturata insieme a tanta altra gente. Siccome era una povera spiantata, senza parenti ricchi che potessero pagare il suo riscatto, divenne bottino di guerra, proprietà di chi l'aveva catturata. La tizia che mi parlava aveva fatto la solita vita della gente nella sua stessa condizione: era rimasta presto orfana e aveva condiviso con l'asina di casa molto lavoro, poco cibo, tante bastonate e un pagliericcio nella stalla. La padrona a cui apparteneva era vecchia. La schiava aveva sperato che sentendo il fiato della morte sul collo, la padrona l'avrebbe liberata. Erano in molti a fare azioni simili, sperando così di ripulirsi l'anima e di meritare il paradiso. La padrona però non aveva alcuna intenzione di concederle un simile regalo. Una volta che la vecchia fosse morta, la schiava sarebbe stata ereditata dal nipote della megera e questo avrebbe significato che sarebbe stata violentata dal nuovo padrone, dai suoi figli, da tutti i servi della casa e dagli ospiti di passaggio e lei si sarebbe consumata partorendo una nuova generazione di schiavi. Non voleva fare quella fine e dato che scappare non le sarebbe servito a niente, aveva deciso che la sua unica salvezza consistesse nel diventare una vampira. -
- Perchè dici che scappare non le sarebbe servito? -
- Perchè è solo nei film che guardate voi umani moderni che scappare sembra una cosa facile da attuare e capace di risolvere ogni guaio. Innanzi tutto, fuggire era tutt'altro che facile. Credi sia un gioco da ragazzi far perdere le proprie tracce? Era molto, molto probabile che ti avrebbero ritrovata, riportata dalla padrona e a quel punto, la Legge era dalla sua parte. La vecchia sarebbe stata in diritto di mutilarti, ad esempio tagliandoti le orecchie o mozzandoti il naso. Con il viso deturpato non avresti potuto ritentare la fuga perchè saresti stata subito riconosciuta come schiava fuggiasca e ricondotta dalla proprietaria. Ma anche se nessuno fosse stato in grado di riprenderti, cosa credi che ti sarebbe accaduto? Se non ti fossi persa nei boschi finendo per morire di fame, il che era un evento molto probabile, se fossi riuscita a raggiungere una grande città in cui far perdere le tue tracce, cosa avresti potuto fare? Al giorno d'oggi avete pensioni, servizi sociali, pubblica assistenza ma una volta esisteva solo la famiglia, nel senso più ampio del termine. Era normale aiutare anche parenti alla lontana e mai visti prima, certi che il favore sarebbe stato ricambiato in caso di bisogno. Non avere una famiglia su cui contare faceva di una persona l'essere più vulnerabile del mondo. Quella schiava non aveva nessuno. Una volta giunta in una grande città, senza uno straccio di persona conosciuta che la ospitasse e l'aiutasse a trovare un lavoro, costretta a dormire e vivere per strada, quale altro destino le sarebbe stato riservato se non quello di diventare una prostituta? Avrebbe condotto un'esistenza breve e disgraziata tanto quanto quella che le sarebbe toccata restando schiava. Visto che rimanendo umana la sua sorte era segnata, tanto valeva tentare la fortuna come vampira. -
Un senso di disagio s'impadronì di Integra. Se poteva riuscire a far rientrare la Prima Leonessa nel suo personale stereotipo di persona spregevole, che solo in quanto tale può pensare di tradire la specie a cui appartiene, non era assolutamente in grado di fare altrettanto con la Seconda Leonessa. Da qualsiasi parte rigirasse la storia di quella donna, agli occhi di Sir Hellsing i veri mostri da temere e disprezzare erano gli umani da cui la schiava tentava di difendersi trasformandosi in vampira.
Oh, ma perchè gli umani sono capaci di commettere crudeltà degne di un mostro? Perchè non sono sempre e comunque migliori di un maledetto ghoul? Quanto sarebbe stata più semplice la sua missione, se non si fosse trovata a dover affrontare simili bivi: difendere umani mostruosi da vampiri capaci di suscitarle compassione ed empatia, come quella schiava, perchè questo era il suo dovere!
Sir Hellsing sentì acutissima la mancanza di suo padre. Se solo lui fosse stato vivo, avrebbe potuto parlargli, dare voce a quel marasma di contradizioni, incoerenze e perplessità che la narrazione di Alucard le aveva suscitato. Con tutta l'esperienza che aveva, certamente suo padre avrebbe saputo consigliarla, schiarire i suoi dubbi. Invece era da sola e da sola le sarebbe toccato trovare un senso, una spiegazione e una direzione alla causa che avrebbe condotto per l'intera esistenza.
Integra sentì le sue spallucce curvarsi stancamente sotto il peso di una simile ricerca, mentre le orecchie continuavano a registrare le parole di Alucard:
- Alla Prima Leonessa avevo chiesto se era sicura della strada che stava scegliendo di intraprendere. A quella giovane non posi la domanda. Era superflua. Era ovvio che nella sua condizione non le restava altra via di scampo. Le dissi di allontanare da sè gli amuleti che la circondavano e la vampirizzai. -
Alucard riprese a giocare in silenzio e Integra lo lasciò fare. La ragazzina sentiva il bisogno di acquietare il proprio animo prima di proseguire l'ascolto del racconto. Lentamente, i molti interrogativi di Sir Hellsing si sedimentarono sul fondo della sua mente, per essere analizzati in un secondo momento e la sua attenzione tornò a concentrarsi sulle ultime parole del servo.
Sir Hellsing ripensò a una scena, letta nel "Dracula" di Stoker. Le tre mogli di Dracula avevano sorpreso Jonathan Harker fuori dalla stanza in cui il vampiro l'aveva blindato, giudicandola un'ottima scusa per approfittare dell'ospite. Bisbigliando e ridacchiando fra di loro, avevano stabilito chi delle tre dovesse avere il piacere di assaggiare l'umano. 
L'amicizia regnava fra le tre non-morte, Integra l'aveva percepita e accettata come un evento naturale, senza stupirsene. Adesso però non poteva fare a meno di pensare che, se una sua ipotetica compagna di classe avesse udito l'ultima parte del racconto di Alucard, sarebbe saltata su indignata e scandalizzata, sbraitando che ciò che aveva fatto il vampiro (portare in famiglia una nuova draculina) era un affronto bello e buono alla sua prima moglie e certamente avrebbe concluso il discorso commentando:
- Se ci fossi stata io, al posto della moglie, non gliel'avrei fatta passare liscia! -
Sì, come no! Voleva proprio vederle, Integra, le sue compagne alle prese con un Vlad Dracula! Rimaneva comunque un fatto su cui Integra, scarsamente interessata alle questioni amorose, non aveva fino ad allora riflettuto ma che adesso le martellava nella testa, chiedendo una spiegazione:
- Fammi capire una cosa, Alucard...all'alba tornasti dalla Prima Leonessa e le dicesti che il branco sarebbe cresciuto di un'unità, perchè di lì a tre giorni avrebbe fatto il suo ingresso un'allieva? -
- Sì, all'incirca dissi così. - rispose svagato il vampiro, studiando il velluto verde nel tentativo di capire quale biglia era meglio colpire.
- E lei non s'arrabbiò? Non s'ingelosì? -
Alucard sollevò sulla master due occhi pieni di stupore:
- Perchè mai si sarebbe dovuta arrabbiare? Perchè una compagna di sventura entrava a far parte del branco? Conoscevano entrambe la disperazione che ti spinge ad alzarti la notte per socchiudere una finestra, nella speranza che un vampiro passi da lì a salvarti. E per sperare nel tipo di salvezza che può offrirti un vampiro, bisogna aver davvero raggiunto il fondo del barile! Bisognerebbe essere ben meschini per rifiutare aiuto a chi è disperato quanto te e le mie Leonesse non erano persone meschine. -
Integra arrossì d'imbarazzo, vergognandosi di non aver compreso da sola una verità tanto semplice. Alucard proseguì:
- Andammo insieme al cimitero a tirare fuori il nuovo membro del branco dalla sua bara. Quando la mia Seconda Leonessa uscì dalla tomba, corse a succhiare la sua vecchia padrona così anche lei passò in uno schiocco di dita dalla condizione di draculina a quella di vampira. Poi andò a casa del nipote della vecchia e inghiottì tutti i maschi adulti che trovò. -
- Insomma, si vendicò allo stesso modo della tua prima moglie. -
- "Allo stesso modo" non direi proprio. La Prima Leonessa era tutta istinto e passione. Per lei, terrorizzare la vittima era parte integrante della vendetta. Aveva destato la madre badessa prima di azzannarla. Erano state le urla impaurite di quella donna che chiamava aiuto a svegliare le altre suore che quando si ritrovarono davanti due vampiri, cominciarono a scappare qua e là per il convento schiamazzando. La mia Prima Leonessa si divertì un mondo ad inseguirle. Così come si diverì a torturare il fratello sotto gli occhi atterriti della moglie, prima che la succhiassi. La mia Seconda Leonessa aveva tutt'altra tempra, era fredda e razionale. Non le interessava torturare le prede, le bastava ucciderle. Non svegliò nè la padrona nè gli uomini, lasciò che scivolassero dal sonno alla morte giù per la sua gola. Se la vendetta della Prima Leonessa era stata piena di confusione, schizzi di sangue e umani che supplicavano pietà, quella della Seconda Leonessa fu invece silenziosa, pulita e asettica. Si riteneva soddisfatta così. - 
Per la prima volta da quando aveva risvegliato il servo, Integra inviò mentalmente un fervido ringraziamento ad Abraham Van Helsing che le aveva scampato il rischio di imbattersi in simili predatori addomesticando Dracula. Alucard proseguì:
- Anche nei passatempi mostrava la sua personalità razionale. Quando entravamo nelle ville delle persone ricche, come ti ho già detto, io succhiavo i padroni di casa e la Prima Leonessa correva a spalancare la cassapanca della nobildonna per frugarvi dentro. La Seconda Leonessa, invece, passeggiava per le stanze alla ricerca di orologi. Sì, proprio così, orologi. Era affascinata dalla meccanica di precisione. Andavamo via dalla villa io con lo stomaco pieno, la Prima Leonessa con le braccia cariche di vestiti e la Seconda Leonessa con un orologio da tavolo sottobraccio. Dopo di che trascorreva le notti d'inverno al castello a smontare e rimontare l'orologio per capire come funzionava, e poi provava a riassemblarlo in un modo innovativo. Avevamo un sacco di orologi, alla fortezza di Poienari. Erano il passatempo della mia Leonessa. -
Il vampiro riprese a giocare. Integra meditò su ciò che aveva ascoltato fino ad allora e infine chiese:
- Sei sicuro di non avermi mentito? -
- Mentito? E su cosa? - domandò Alucard, perplesso. 
- Hai detto che dopo Sekure, non hai più commesso l'errore di vampirizzare una donna contro il suo volere. -
- E' così, infatti. -
- E Lucy Westenra? Non mi risulta che lei fosse consenziente. -
- Chi? - chiese Alucard, stupito, come se quel nome gli giungesse completamente nuovo.
Fu la volta di Integra di stupirsi. Possibile che il vampiro avesse dimenticato una delle sue spose?
- Lucy, la prima persona che vampirizzasti appena sbarcato in Gran Bretagna, l'amica di Mina. Soffriva di sonnambulismo, una notte uscì di casa, la incontrasti su di una panchina e ne approfittasti per azzannarla. - spiegò la ragazzina. 
- Ah! - esclamò il nosferatu, ghignando divertito - Ora ricordo! Lucy la finta sonnambula, Lucy la baldracca! -
Sir Hellsing sbattè le palpebre, sempre più allibita. Alucard aveva un'infinità di difetti ma non lo aveva mai sentito parlare sprezzantemente di una compagna. E' vero, aveva infangato senza rimorso la memoria della povera Nullità ma come Sir Hellsing si era resa conto dopo aver riflettuto per settimane su quanto le aveva raccontato il servo nel boschetto degli olmi, Vlad il Vampiro non aveva mai considerato quella donna come una moglie. Era qualcosa che gli era stato regalato dagli Stanciu e che lui aveva accettato per raggiungere uno scopo, cioè trovare qualcuno che si occupasse della piccola Marya al posto suo ma non l'aveva percepita realmente come una compagna. Compagne erano Sekure, Zofia, le Leonesse, non Nullità. 
Adesso sembrava che neanche Lucy Westenra rientrasse nel novero delle spose e la scoperta lasciava allibita Integra. Possibile che Alucard mettesse sullo stesso piano una donna che aveva vampirizzato con Nullità?
In quel momento però Sir Hellsing dovette accantonare le domande che le frullavano per la testa perchè il servo stava ancora rispondendo al suo primo quesito: 
- Sì, anche Lucy Wequalcosa si lasciò vampirizzare di propria volontà. Ho giocato un po' sporco con lei, lo ammetto, ma considerando che quella donna prendeva tutti per i fondelli, l'ho solo ripagata con la sua stessa carta. Quella era sonnambula quanto lo potremmo essere io o tu. Il sonnambulismo era solo un'ottima scusa per uscire di casa in piena notte senza che uno gliene chiedesse conto il mattino seguente, per andare in cerca di guai in cui cacciarsi. Fondamentalmente, la ragazza era un'amante delle emozioni forti, la piatta vita da benestante che conduceva l'annoiava da morire. Assicuro che quando la incontrai seduta su quella panchina, era sveglia e vigile e fu lei ad attaccare bottone con me. Sono stato il primo vampiro a mettere piede su quest'isola, i tuoi connazionali non sapevano cosa fosse un nosferatu, ai loro occhi sembravo soltanto un semplice umano, dai denti strani ma pur sempre umano. Lucy pensò che fossi un tizio qualsiasi che tentasse di rimorchiarla. Accettai di giocare su quell'equivoco e recitai la mia parte. Quando le chiesi se era disposta a seguirmi, era ovvio che lei intendesse tutt'altra cosa ma decisi di prendere per buono il suo “sì” così la morsi. In quel momento arrivò quella rompiscatole di Mina in cerca dell'amica e dovetti interrompermi ma a mente fredda, ammisi che mi aveva fatto un piacere. Era rischioso ritrovarsi con un'allieva che aveva equivocato le tue parole. Avevo morso Lucy per un tempo troppo breve per trasformarla in una draculina ma sufficiente lungo per trasmetterle l'idea di cosa sarebbe diventata, accettando la mia proposta. Non conta cosa andasse dicendo a voce alta agli altri e a sé stessa, quando blaterava che ero un incubo che non voleva più sognare. Conta il modo con cui agì. Quando comparii dietro alla sua finestra, era ancora in grado di scegliere se rifiutare di aprirmi o meno. Fosse rimasta rintanata in camera sua, sarebbe restata umana e io avrei proseguito il mio cammino verso Londra. Invece aprì l'anta e mi offrì il suo collo. Accettò di sua spontanea volontà di seguirmi nell'oscurità. - 
-Allora perchè la ricordi con disprezzo? Non ti ho mai sentito usare questo tono per nessuna delle tue mogli. -
- Moglie?! - ripetè il vampiro, costernato - Ho mai detto che Lucy Wequalcosa era mia moglie? -
- Ma...l'avevi vampirizzata! -
- E allora? Te l'ho già spiegato tempo fa: essere morsa da un vampiro non ti rende automaticamente la sua sposa. Una volta diventata una Regina-della-notte, puoi andartene per la tua strada o scegliere di rimanere nel branco del maestro ma ne diventi la compagna solo se lo vuoi. La finta sonnambula non avrebbe accettato di diventare la mia donna. Una tipa come quella non sarebbe mai stata la donna di nessuno. Diventata una non-morta a tutti gli effetti, avrebbe vampirizzato un harem di giovanotti con cui seminare morte e distruzione per tutto il Regno Unito ma non avrebbe continuato a camminare alle mie spalle. Proprio per questo scelsi di morderla. Tre mogli sono un bell'impegno, le Leonesse mi bastavano, non avevo nessuna intenzione di allargare la famiglia. Però erano trascorsi centonovant'anni da quando avevo vampirizzato la mia ultima compagna, mi mancava essere il maestro di un'allieva, insegnare a una draculina a camminare nell'oscurità. Quando incontrai quella bagascia di Lucy sulla panchina e cominciai a parlarle, capii che era ciò che faceva al caso mio. Sarei potuto tornare ad essere un Maestro senza correre il rischio che l'allieva mi rimanesse sul groppone come quarta sposa. E fu ciò che accadde. -
- Non mi pare che il ruolo di Maestro ti abbia dato grandi soddisfazioni, considerando che ti sei quasi scordato della tua allieva. -
- E' così, purtroppo. - sospirò Alucard con amarezza - Lucy restò la mia draculina per un tempo troppo breve! Master Abraham e quelle nullità dei suoi amici la uccisero quasi subito. -
Il vampiro riprese a giocare. Integra attese un po', infine chiese:
- Perchè offendi Lucy? -
- Offendere? Io non sto offendendo nessuno. -
- Dare della baldracca a una donna non ti risulta essere un'offesa? -
- No se la donna in questione è realmente una bagascia e ti assicuro che Lucy lo era. Mi sembra di ricordare che hai letto il libro di Stoker. Davvero non ti sei accorta della profonda vocazione in merito posseduta da miss Wequalcosa? -
- No davvero! - rispose Sir Hellsing, vagamente irritata dal tono insolente di Alucard - Anzi, mi sembra una ragazza timida. Il giorno in cui si presentarono a casa sua tutti e tre i suoi pretendenti, era scombussolata dall'emozione. -
Sul viso di Alucard comparve un ghigno che si trasformò in una risatina sommessa che si tramutò a sua volta in una sghignazzata clamorosa:
- Master, sei sveglia per tante cose ma per tutto ciò che riguarda "sesso, amore & dintorni" sei veramente negata! Insomma, tutto ciò che era capitato a Lucy era frutto di semplici coincidenze, secondo te. Per puro caso ben tre giovanotti si innamorano di una pudica ragazza che mai aveva dato loro spago. Ed è sempre una coincidenza che la dolce donzella si accorga di amare maggiormente il più ricco dei tre, tanto da accettare di sposarlo, vero? Mia sprovveduta e ingenua Integra, non ti passa per la testa che Lucy Wequalcosa recitasse la parte della giovincella timida mentre in realtà aveva un obbiettivo ben chiaro in mente, cioè accapparrarsi un marito ricco e tenersi per scorta un altro paio di gonzi su cui ripiegare casomai le nozze andassero a monte? Può capitare che un uomo a cui non hai mai dato corda si invaghisca di te ma quando a chiederti in moglie sono tre maschi contemporaneamente...be' allora o sei una yellata incredibile, che attiri come il miele uomini di cui non ti interessa un fico secco, o sai recitare molto bene la parte della casta pulzella, mentre in realtà sei una pescatrice provetta che sa come far abboccare il pesce all'amo. - 
La master guardò dubbiosa il servo. Accettava senza problemi l'idea di essersi sbagliata sul conto di Lucy perchè ammetteva che Alucard avesse ragione quando diceva che nelle questioni amorose lei non capiva un accidente ma la signorina Westenra veniva descritta come una dolce fanciulla in tutto il romanzo e possibile che fosse riuscita a trarre in inganno anche Stoker, Van Helsing, Mina e chiunque la circondasse? Il nosferatu dovette leggere nella mente di Integra quella domanda perchè rispose:
- A Stoker sembrava ingiusto infangare la memoria di una ragazza morta giovane, così cercò di indorare la pillola descrivendola come una soave creatura ma la realtà dei fatti, cioè che avesse tre imbecilli che le correvano dietro, non la poteva mascherare. -
- Insomma, Lucy era una bugiarda e le persone che la circondavano degli stupidi che non se ne accorgevano. - concluse Integra 
- Esatto ed è anche per questo che non mi sarebbe mai passato per la testa di prendere Lucy Wequalcosa come moglie. Detesto circondarmi di gente ipocrita quindi come potevo desiderare come compagna una doppiogiochista che non ammetteva apertamente la sua vera natura? La Prima Leonessa avrebbe potuto insegnare molto a Lucy. Anche a lei interessavano parecchio gli uomini e per questo era stata rinchiusa in convento ma a differenza della signorina Westenra, non nascondeva le sue voglie. La prima volta che la incontrai, nella sua cella, mi fu chiaro sin dal principio a quali rischi mi esponevo se avessi tenuto una tipa come quella come sposa. Tutto, in lei (il suo modo di parlare, di guardarmi, di sedersi) faceva capire che averla come moglie avrebbe voluto dire sorvegliarla assiduamente se non volevi ritrovarti con un palco di corna in testa da far invidia ad un alce. Decisi di accogliere quella sfida e a dispetto di tutte le tribolazioni che mi fece passare quella compagna, non mi pentii mai di averla con me, proprio perchè non era un'ipocrita che tentava di spacciarsi per qualcos'altro ma affrontava il mondo a viso aperto. -
Che il Conte Dracula potesse tribolare come un qualsiasi mortale, a Integra non era mai passato per la mente ed espresse tutta la sua sorpresa davanti a quella scoperta ripetendo stupefatta:
- Tribolare? Tu? Davvero ne sei capace? -
- Certo che ne sono capace, soprattutto quando trovo qualcuno in grado di preoccuparmi con le sue mosse e nessuno batteva la Prima Leonessa nella capacità di angustiarmi! Il secolo in cui mi diede maggiormente da tribolare fu il XVIII perchè nelle cassapanche delle riccone che succhiavamo cominciarono a comparire dei vestiti che fino ad allora avevo visto solo nei bordelli. Per prime comparvero delle scollature talmente ampie da rasentare i capezzoli. Poi sembrò che i sarti si fossero improvvisamente stufati di cucire le maniche e alle scollature si unirono le braccia nude. Infine spuntarono delle gonne talmente leggere che riuscivi a vedere le gambe attraverso la stoffa. La Prima Leonessa andava via dalle ville portandosi dietro bracciate di quei vestiti. Finchè li indossava dentro al castello, dove solo io potevo vederla, non avevo niente da obbiettare ma quella civetta pretendeva di uscire conciata a quel modo anche quando andavamo a caccia e in quei casi era lecito domandarsi di che cosa volesse andare a caccia. Non le permisi mai di mettere piede fuori dalla fortezza abbigliata come una baldracca ma lei non era un tipo che si scoraggiasse facilmente e a più riprese tentò di fregarmi. Indossava i vestiti scollati sotto i vestiti normali, oppure li arrotolava e li infilava nelle bisacce dei cavalli ma la scoprii ogni volta. Alla fine, decisi di risolvere il problema alla radice e le vietai di portare via dalle cassapanche altrui roba con scollature, spacchi o trasparenze. Ovviamente sapevo che non aveva nessuna intenzione di ubbidirmi così, quando la vedevo uscire da una casa con le braccia cariche di abiti, glieli toglievo dalle mani, mi mettevo ad esaminarli uno ad uno e buttavo via quelli degni di un bordello. Una volta buttai via tutti i vestiti che aveva sgraffignato. Lei non sopportava quegli esami, rimaneva ferma a guardarmi con gli occhi pieni di rabbia. “Non torcerli così, li sgualcisci tutti!” diceva. “Augurati che in questo mucchio non trovi uno di quei vestiti che ti ho proibito di prendere, sennò poi ti sgualcisco io a ceffoni” rispondevo. -
Integra volle augurarsi che la minaccia degli schiaffi fosse solo figurata, così chiese: - Parlavi sul serio quando dicevi che l'avresti sgualcita a ceffoni? -
- Certo che parlavo sul serio, avevo anche stabilito un “listino prezzi”: uno schiaffo per ogni vestito da baldracca che tentava di far uscire dalle case altrui, due sberle a vestito quando tentava di farli uscire dal nostro castello arrotolati nelle bisacce dei cavalli o sotto i suoi abiti. - 
- Lasciatelo dire, Alucard: sei davvero un farabutto! E' da mascalzoni picchiare una persona per delle sciocchezze simili! -
- Ciò che tu definisci “sciocchezze”, master, io le definivo “corna” e non mi andava di rivaleggiare con i cervi. -
- Ma lo sai che sei un'ipocrita? Tu avevi tre mogli contemporaneamente, per tua stessa ammissione ti concedevi in sovrapiù delle scappatelle, quando sbarcasti qui in Gran Bretagna senza le tue spose appresso chissà quante dame avrai tampinato e pretendevi pure di essere nel giusto impedendo alla Prima Leonessa di ricambiarti le corna? -
- Ma è ovvio! Io avevo il diritto di comportarmi così, lei no. -
- E perchè tu sì e lei no? -
- Perchè io sono un uomo. E poi ero il capobranco. -
- E' un ragionamento maschilista! - 
- Non vedo cos'altro puoi aspettarti da uno nato nel 1431. -
Stavolta, Integra fu obbligata a dargli ragione. 
- Comunque, master, non farti venire in mente strane idee. - ammonì Alucard - Non pensare che le mie Leonesse fossero pecorelle che si rannicchiavano tremanti in un angolo buscandole senza reagire. Se le chiamo Leonesse, e non Pecore, una ragione ci sarà, no? Tutto erano tranne che remissive, soprattutto la prima. Ogni sganassone che le mollavo per quei vestiti, lei me lo ricambiava, e io ovviamente glielo restituivo, e lei faceva altrettanto...eravamo capaci di rimanere impalati l'uno di fronte all'altra anche per un quarto d'ora a ricambiarci i ceffoni. Alla fine vincevo sempre io, è ovvio, perchè fra i due ero quello con le mani più grandi e dato che lei aveva il viso piccolo, alla fine del trattamento non possedeva più una porzione di pelle che non fosse paonazza e bruciante dal dolore, mentre la mia faccia aveva ancora ampie zone in grado di reggere lo scontro. Era obbligata ad arrendersi, ma mai una volta mi diede la soddisfazione di vederla piangere. Si ritirava dallo scontro guardandomi piena d'odio e poi per qualche giorno dormivo con un occhio aperto, si sa mai che anche a lei venisse in mente la brillante idea di vendicarsi affettandomi nel sonno. Prima di riavvicinarla, era sempre consigliabile che le chiedessi scusa, ma questa è un'altra storia. -
Il vampiro battè leggermente la stecca sul bordo del biliardo, come per intimare il silenzio e richiamare l'attenzione:
- Ma adesso basta continuare questi sproloqui, Non ti interessa conoscere la carriera che fece il mio branco presso gli altri vampiri? -
Integra fece segno di sì con la testa e Alucard riattaccò:
- Una volta diventati tre, cominciammo a compiere meraviglie! Eravamo affiatati e feroci, una vera macchina da guerra. Nessun branco di vampiri riusciva più ad ostacolarci. In poche estati sbranammo tutti i nostri vicini, impossessandoci dei loro regni. Il nostro territorio si espandeva e con esso anche la nostra fama. Tutti i nosferatu ci temevano e quando capivano che attraverso il loro regno si aggirava il branco di Dracula, correvano a nascondersi, lasciandoci passare senza intralciarci. Ma noi non ci accontentavamo più di andare dove ci pareva nell' impunità totale. Volevamo di più, molto di più. Volevamo regnare su un territorio vastissimo e soprattutto volevamo che gli altri vampiri non ci temessero ma nutrissero verso di noi terrore puro. Per questo, quando attraversavamo i territori di succhiasangue che si nascondevano al nostro passaggio, seguivamo le loro tracce e appena li trovavamo, li sterminavamo fino all'ultimo. -
Integra si sentì ribollire di sdegno. Non avrebbe dovuto prendersela tanto a cuore, in fondo le vittime di Alucard non erano altro che succhiasangue ma di fronte a un comportamento tanto arrogante da parte del servo, non potè che compatire i mostri eliminati dal vampiro Vlad Dracula:
- Lasciatelo dire: tu e le tue mogli eravate dei bulli! Insomma, non solo entravate in casa d'altri, ma vi sentivate addirittura in diritto di tampinare i legittimi proprietari che, ti faccio notare, nemmeno vi davano fastidio, stanarli e ucciderli! Questo è un modo d'agire da prepotenti! Anzi, diciamo le cose come stanno: questo è un modo d'agire da stronzi! -
- E noi ne eravamo perfettamente consapevoli, master! - rispose Alucard con un sorriso compiaciuto, come se Sir Hellsing gli avesse rivolto un complimento - Massacrammo l'intera popolazione di vampiri della Transilvania, della parte settentrionale della Valacchia e delle zone confinanti con l'Ungheria. Devo ammettere però che quest'impresa titanica non fu merito esclusivamente nostro. Un altro branco di vampiri ci diede man forte. -
Integra sgranò gli occhi dalla sorpresa. Che novità era questa? Alucard non aveva fatto altro che ripeterle che un nosferatu considera suoi alleati solo i vampiri con cui ha uno scambio di sangue, quindi com'era possibile che Dracula e le Leonesse avessero stretto un patto con degli altri succhiasangue? Alucard ghignò di fronte allo stupore della master e aggiunse:
- Ti sei dimenticata di mia figlia Marya? -
- Ehi, un momento, questo è giocare sporco! - esclamò la ragazzina, sentendosi presa in giro - L'altra volta mi avevi detto che Marya condusse col suo branco una non-esistenza nomade in giro per l'Europa, quindi come potevo immaginare che non-viveste e agiste tutti insieme appassionatamente? -
- Frena master, stai facendo confusione. E' vero, l'altra volta ti avevo detto che mia figlia era andata a zonzo per ogni dove. Avevo però scordato di specificare che si diede ai viaggi solo da una certa epoca in poi. Inizialmente, quando creò il suo branco, decise di rientrare in possesso del regno del suo maestro, che si estendeva sul confine fra Ungheria e Transilvania e lì non-visse per un bel pezzo. Come vedi, non abitavamo tutti insieme in un unico territorio. Decidemmo però in contemporanea di estendere al massimo i nostri domini e così agimmo in concerto. Lei e i suoi mariti massacrarono i vampiri della zona meridionale dell'Ungheria e poi calarono a sud, sulla Transilvania. Io e le Leonesse, dato che la fortezza di Poienari si trovava a ridosso fra la Valacchia e la Transilvania, prima agimmo in Valacchia e poi risalimmo verso nord, in Transilvania. Capisci adesso come riuscimmo ad eliminare tutti i non-morti della Transilvania? Restarono triturati fra il branco di Marya che scendeva dal nord e il mio che proveniva da sud. Arrivò la notte in cui in cui il confine del territorio di mia figlia e il limite del mio regno combaciarono, perchè avevamo travolto tutti i succhiasangue che si si frapponevano nel mezzo. -
Sir Hellsing ricordò di come Alucard, la volta precedente, le avesse raccontato del master di Marya che, incontrato il branco del suocero, senza troppi scrupoli aveva tentato di pasteggiare con i sottoposti di Vlad, incurante del fatto che fossero la compagna e i figli dello stesso Dracula. La ragazzina si domandò se quel modo tanto superficiale d'agire non fosse comune ai vampiri, così le venne spontaneo chiedere:
- E quando i vostri territori confinarono, cosa accadde? Le Leonesse e i mariti di Marya tentarono di sbranarsi a vicenda? -
Il Re-senza-vita scoppiò in un'allegra risata prima di replicare:
- Ti sei ricordata del master di Marya, vero? Indubbiamente, un idiota di quel calibro avrebbe lasciato che i nostri sottoposti si scannassero in una faida familiare ma io e mia figlia sapevamo come tenere a freno i rispettivi allievi. Le mie mogli sapevano che non dovevano azzardarsi ad assaggiare i coniugi e i figli di Marya e i mariti di Marya sapevano che non dovevano osare mordere le mie consorti e i miei marmocchi. Il risultato è che con mia figlia potevamo concederci il lusso di incontrarci lungo il confine senza doverci allontanare dai nostri branchi ma anzi portandoceli dietro, sicuri che avrebbe regnato la pace per tutta la durata della visita e i marmocchi avrebbero giocato insieme indisturbati. Non potevamo permetterci spesso quelle rimpatriate perchè un così alto numero di vampiri concentrato su un unico territorio ha bisogno di molti umani per sfamarsi e come ti ho già detto, sterminare troppe prede non era un capriccio che potessimo concederci sovente ma continuammo comunque a rivederci finchè Marya mi annunciò che col suo branco voleva visitare nuove terre. Mi affidò il suo territorio in modo che ne avessi cura finchè non fosse tornata. -
Integra vide Alucard incupirsi e ne comprese la ragione. Non c'era stato nessun ritorno a casa da parte di Marya, nessun successivo incontro fra padre e figlia. Prima Dracula era stato sconfitto, portato in Inghilterra e schiavizzato da Van Helsing e una quarantina di anni dopo Marya aveva terminato la propria non-esistenza da qualche parte in Germania, con un paletto nel cuore e la testa tagliata. Nuovamente, Sir Hellsing attese che la tempesta scemasse dall'animo del servo, rimanendo in silenzio e osservando il suo gioco nervoso, che scagliava le biglie a casaccio sul velluto verde. Occorse un bel pezzo ad Alucard per rasserenarsi e quando ormai la master non sperava più che il vampiro avrebbe ripreso a parlare, tanto da apprestarsi a tornare in salotto, lo udì continuare:
- Quando fra gli altri vampiri si sparsero i racconti sulla nostra spietatezza, il terrore si impadronì di loro. I branchi che vivevano nei territori confinanti col nostro, abbandonarono le loro zone di caccia per paura che li divorassimo e nessuno osò occupare quei regni. Li lasciarono vuoti, come un cuscinetto protettivo fra loro e noi e chi abitava al di là di essi, non-viveva in continua allerta, temendo le nostre incursioni. Avevamo ottenuto ciò che volevamo: eravamo diventati una leggenda nera fra gli stessi vampiri. Erano in molti ad aver paura di pronunciare il nostro nome, "il branco di Dracula", temendo superstiziosamente che tanto bastasse ad evocarci, facendoci calare sui loro possedimenti come i cavalieri dell'Apocalisse. Oltre a questo, regnavamo su un territorio immenso. Per darti un'idea della sua vastità, ci furono zone di caccia che esplorammo decenni dopo averle conquistate. Le calamità che affliggevano gli umani cioè le guerre, le carestie, le pestilenze, non ci interessavano più. Quando una di queste sciagure si abbatteva su una parte del regno, noi semplicemente levavamo le tende, trasferendoci in una zona non toccata dalla disgrazia. Non dovevamo più centellinare i nostri pasti, nel timore di estinguere le nostre prede, nè dovevamo sorvegliare costantemente i nostri possedimenti perchè non esisteva nessun nosferatu talmente incosciente da entrare in casa nostra per sottrarci gli umani o sfidarci. Potevamo perfino concederci il lusso di abbandonare il regno per un'intera estate, certi che nessuno l'avrebbe invaso, andando a cacciare in Serbia, in Ucraina, in Bulgaria e ovunque andassimo, la nostra fama ci precedeva, con i vampiri che fuggivano prima del nostro arrivo.-
Le biglie, mandate tutte in buca, furono nuovamente risistemate da Alucard al centro del tavolo.
- Un'estate ci spingemmo in Moldavia. I vampiri dei territori che attraversavamo, rendendosi conto che gli invasori erano il branco di Dracula, scappavano terrorizzati. Sulla via del ritorno però incappammo in un incosciente che si era illuso di sfuggirci nascondendosi. Le sue tracce erano fresche, segno che si trovava ancora nei paraggi. Decidemmo di eliminare quella nullità ma per un lavoro tanto facile uno solo di noi bastava e avanzava così stabilii che me ne sarei occupato io. Le Leonesse volevano venire con me ma l'estate stava finendo ed era meglio che i nostri figli umani si trovassero al riparo nel castello prima che giungesse il freddo. Dissi quindi alla Prima Leonessa di condurre il branco alla fortezza mentre mi occupavo di quel succhiasangue. Dopo di me, era lei il membro con più anzianità ed esperienza ed era sua responsabilità fare le mie veci. Guardai il mio branco allontanarsi, poi cavalcai alla ricerca di quella nullità. Dopo averlo divorato, m'incamminai anch'io verso casa. Lungo la strada, incontrai un borgo umano. Attraversai le sue vie, sperando che qualche incauto avesse lasciata aperta una finestra o un abbaino, consentendomi di entrare e mangiare un umano. Finalmente trovai la finestrella di una mansarda spalancata. M'intrufolai dentro sottoforma di nebbia e...secono te, cosa trovai? -
- Una ragazza addormentata circondata da amuleti anti-vampiro. -
- Brava master! Mi piaci, quando dimostri di usare il cervello! E secondo te, cosa feci? -
- La svegliasti con una sassata per ascoltare cosa aveva da raccontarti. -
- Esatto! E devo ammettere che quel che mi disse mi sorprese enormemente. Insomma, le mie due prime Leonesse avevano deciso di diventare vampire per vendetta e disperazione. Quella ragazza, invece, conduceva un'esistenza talmente pacifica! Era una contadina ma se la passava molto meglio di tante altre persone del suo ceto. I campi che lavorava con i genitori e i fratelli appartenevano alla sua famiglia, quindi non avevano esosi affitti da pagare a qualche proprietario terriero e il guadagno rimaneva tutto in tasca alla ragazza e ai suoi congiunti. La fatica che richiedeva coltivarli era notevole ma veniva compensata da un benessere altrettanto notevole e quell'autunno si sarebbe sposata con il giovane macellaio del paese. Master, tu non puoi capire cosa volesse dire questo perchè adesso siete abituati a mangiare carne ogni volta che vi pare ma per secoli è stata un cibo costoso che la maggior parte della gente poteva concedersi raramente. Sposarsi col macellaio del paese avrebbe consentito a quella ragazza di rientrare nel ristretto novero della popolazione che poteva permettersi di mangiarla spesso. Ti assicuro che considerando qual'era la vita abituale dell'epoca, quella giovane conduceva un'esistenza invidiabile e un sacco di donne avrebbe venduto l'anima al diavolo per essere al suo posto. Anche ai miei occhi sembrava assurdo che una che avesse tante fortune, fosse disposta a buttare via tutto per diventare una vampira. Mi raccontò che sin da quando era una bambina, aveva ascoltato con bramosia i racconti dei mercanti che facevano scalo nel suo paese. Insomma, alla ragazza sarebbe piaciuto vedere il mondo e secondo lei questa era una motivazione più che valida per diventare una non-morta. Quando terminò di parlare, credo che rimasi a fissarla in silenzio per molti minuti, domandandomi se avessi a che fare con una pazza o un'imbecille. Per ragioni analoghe, Zofia mi era sì venuta dietro ma rimanendo umana. Quando recuperai la parola, dissi a quella squinternata che se proprio ci teneva ad andar via dal suo paesino, poteva intraprendere un pellegrinaggio. Inoltre circolavano racconti di donne che si travestivano da uomini e in quel modo andavano dove gli pareva così sarebbe rimasta umana e avrebbe visto il mondo. Mi rispose che i suoi parenti non le avrebbero mai permesso di andare a rischiare la vita su strade infestate da briganti per compiere un pellegrinaggio. Riguardo alle donne travestite da uomini di cui si favoleggiava, lei non era brava a recitare, non sarebbe mai riuscita a parlare e muoversi come un uomo. L'avrebbero subito scoperta e riportata a casa. Col senno di poi, aggiungo che aveva addosso tante di quelle curve che non sarebbe riuscita a nasconderle in nessun modo, neanche se si fosse fasciata il petto. Lei concluse dicendo che se per visitare il mondo bisognava travestirsi da uomo, tanto valeva essere nati uomini ma dato che lei era nata donna, voleva camminare per le strade vestita da donna. Aggiunse che trovava più coerente trasformarsi in una vera vampira che in un finto uomo. A me quegli sproloqui sembravano insensati e cominciavo ad irritarmi. Risposi che non mi sarei mai sognato di vampirizzare una persona con delle motivazioni tanto deboli perchè certamente si sarebbe pentita della sua scelta e poi avrebbe trascorso i secoli successivi a rompermi le scatole, ripetendo quanto avrebbe preferito rimanere umana. Restò sorpresa, non si aspettava che un vampiro trovasse da ridire sul suo progetto ma non si arrese. Insistè e insistè e siccome a testardaggine io non ero da meno, conclusi dicendo che ci pensasse bene. Sarei rimasto nei paraggi per un po' di tempo, dandole il tempo di valutare la portata di quel che si accingeva a fare. Se davvero era decisa a diventare una non-morta, l'avrei accontentata, altrimenti avrei proseguito per la mia strada e lei per la sua esistenza umana. -
Alucard sospirò seccato:
- Mi toccò bighellonare intorno al paesino per un'intera luna. Ogni tanto passavo a trovarla e sempre mi ripeteva la stessa solfa, che lei era decisa a diventare una vampira. Io però non riuscivo a convincermi che quella decisione fosse finale e irremovibile e sempre rimandavo il momento di morderla ad un'altra occasione, ripetendole che doveva rifletterci ancora un po'. Da quelle discussioni, comunque, capii che non era solo il desiderio di vedere il mondo a suggerirle di trasformarsi in un mostro. Si sentiva estranea all'umanità che la circondava. In vent'anni di vita non aveva stretto legami con nessuno, nè uomini nè donne, nè vecchi nè giovani, nè adulti nè bambini, nemmeno con i suoi stessi parenti. Non capiva le ambizioni e le aspirazioni umane. Le sembrava insensato trascorrere l'esistenza su questa Terra avendo come unico scopo conquistarsi l'aldilà. Compresi che un tipo del genere non poteva che essere scarsamente interessato alle fortune che le erano capitate nella vita, per questo era pronta a sbarazzarsene senza rimpianti, pur di condurre l'esistenza che si era scelta da sola e che considerava idonea per se stessa. -
Alucard osservò la biglia che aveva colpito scontrarsi a sua volta contro le altre e attese che ogni sfera terminasse la sua corsa prima di riprendere a parlare:
- Un tramonto la sorpresi a prendere l'acqua alla fonte fuori dal paese. Non c'era nessun'altro nei paraggi. Le dissi che se proprio era intenzionata a venirmi dietro, poteva approfittare di quell'occasione. Senza rispondere niente, lei appoggiò la giara a terra e si issò sull'arcione della mia sella, così partimmo. Ancora però non avevo intenzione di vampirizzarla. Stentavo a credere che fosse davvero così sicura della strada che aveva deciso di intraprendere e non volevo correre il rischio di essere affettato nel sonno da un'altra draculina. Per questo, lungo la via, cominciai carognescamente a pungolarle il cuore dicendo "A quest'ora si saranno accorti che sei scomparsa. Tua madre starà piangendo disperata. Tuo padre, il tuo fidanzato e i tuoi fratelli ti staranno cercando chiamando il tuo nome con voce tremante d'angoscia". Vedevo quell'incosciente rabbuiarsi in viso e aggiungevo che era ancora in tempo per cambiare idea, bastava che me lo dicesse e l'avrei riportata indietro. Ma lei rispondeva che sbagliavo, non era più in tempo. Era diventato troppo tardi nel momento stesso in cui era salita sulla mia sella. Non avrebbe potuto giustificare quelle ore di assenza davanti ai suoi familiari in nessun modo. Smisi di insistere, decidendo di ritentare più tardi. Calò la notte. Camminavamo a piedi per far riposare il cavallo. Ci inerpicammo su per un massiccio montuoso da cui si dominava la vallata e su quella tavola nera che era la pianura sottostante, vedemmo brillare tanti puntini luminosi in movimento. Erano le fiaccole dei compaesani che cercavano per ogni dove la ragazza. Gliele feci notare e ripetei che era ancora in tempo per tornare indietro. A quel punto si arrabbiò. Disse che ormai era troppo tardi, che i suoi compaesani la cercavano sperando di ritrovarla viva ma in un fosso con una gamba rotta, o morta in un canale, le uniche due soluzioni che potessero giustificare la sua assenza senza gettare dubbi sul suo onore. In ogni altro caso, cos'avrebbero pensato? Se anche fosse tornata indietro, cos'avrebbe raccontato a parenti e vicini? Qualsiasi scusa avesse inventato, loro si sarebbero convinti che era stata rapita e violentata da qualche signorotto di passaggio. Il fidanzato l'avrebbe lasciata, nessun altro uomo l'avrebbe voluta e le sarebbe toccato fare la vita della zitella. Sarebbe rimasta a vivere a casa dei fratelli, diventando la persona che avrebbe sgobbato di più in famiglia per ripagarli della cortesia di tollerare la sua sgradita presenza ma nonostante questo, cognate e mariti le avrebbero fatto pesare ogni boccone che inghiottiva, come se fosse stata una scansafatiche che non lo meritava. "La vita delle donne sposate è dura, ma quella delle donne nubili è ancora più dura" concluse. Non dico che quello che dipinse non fosse uno scenario realistico ma mi pareva un tantinello catastrofico. Le dissi che se il problema stava tutto nei dubbi della gente, bastava poco per dissiparli. Le levatrici non servivano solo per far nascere i bambini. La mia futura leonessa rispose che non si sarebbe umiliata sdraiandosi su un tavolo a gambe aperte davanti a una di quelle megere, per farsi frugare dentro. Inoltre era convinta che a questo mondo non contano i fatti ma ciò che la gente pensa. "Se anche passassero tutte le levatrici del Regno a visitarmi, se i miei compaesani vogliono convincersi che ormai sono deflorata, nessuno glielo toglierà dalla testa". A quel punto mi toccò rimanere zitto perchè una delle poche certezze granitiche che ho aquisito in cinquecento anni è proprio questa: non contano i fatti ma ciò che le persone preferiscono pensare. Così riprendemmo il cammino senza dire una parola e non tentai più di dissuaderla. Proseguimmo per giorni, finchè non raggiungemmo la casa provvista di cantina di una famiglia di miei servi. Solo allora accettai di vampirizzarla, facendola dormire per tre notti in quella cantina e tornai al castello con una nuova draculina. E non hai un'idea di quanto fossero incacchiate le mie mogli quando mi videro arrivare! -
- Perchè avevi portato un'allieva in famiglia? - chiese stupita Integra.
- Ma no, che hai capito! Non per quello. Te l'ho già detto che non avevano motivo di nutrire rancore verso le compagne di sventura che si aggiungevano al branco. No, erano imbestialite con me perchè mi ero assentato per quasi due mesi senza dare notizie. Avevano tentato di mettersi telepaticamente in contatto ma ammetto che in quel periodo avevo il cervello da tutt'altra parte quindi non sentivo le loro chiamate. Immaginavano i più foschi scenari, che qualche cataclisma o qualche essere vivente mi avesse cancellato dalla faccia della terra. Quando mi rividero davanti a loro, tranquillo e in salute e senza una scusa plausibile con cui giustificare quell'assenza, dopo che loro si erano angustiate per due lune piene, ebbero la tentazione di linciarmi. Gliela vidi brillare negli occhi. Non passarono all'azione solo perchè sapevano che se si fossero azzardate, anch'io sarei passato ai fatti e avrei restituito loro due sberle perogni schiaffo che mi avessero mollato. -
- Pensare che ti saresti meritato ogni sganassone che avresti ricevuto! - commentò Integra, scuotendo il capo.
- Sono sincero master: so che me li meritavo. Ma dannazione, ero il capobranco, non potevo farmi menare, capisci? Ne andava del mio ruolo e della mia reputazione! Anche se ero nel torto marcio, dovevo comunque salvare la faccia! -
Integra preferì tralasciare l'argomento, parlando d'altro:
- Immagino che quando il tuo branco salì a quattro componenti, avrete seminato morte e distruzione fra mostri e umani. -
- No, master, niente del genere. Avevamo già raggiunto i nostri obbiettivi cioè conquistare un vasto regno ed essere i Signori fra i vampiri. Non aveva senso pretendere di allargare il nostro raggio d'azione solo perchè un nuovo membro si era aggiunto. Tanto più che dal punto di vista guerresco, la mia ultima moglie lasciava molto a desiderare. Non essendo diventata vampira per desiderio di vendetta o rivalsa, le mancava la quantità d'astio necessaria per lanciarsi a caccia di umani senza farsi troppi scrupoli. Sekure si ostinò a bere animali per un anno. La Terza Leonessa battè persino Sekure! Rifiutò di inghiottire le persone per un paio d'anni o forse anche più. Ormai disperavo di vederla diventare una vampira adulta. Ero convinto che sarebbe rimasta allo stadio di draculina per i secoli avvenire. Poi, fortunatamente, cominciò a mangiare gli altri vampiri. Capì che fra inghiottire un mostro e un umano non c'è molta differenza e così finalmente si decise a compiere il grande passo ma rimase una Regina-della-notte tranquilla e non amante degli spargimenti di sangue, come ci dimostrò sin dalla prima caccia all'umano a cui partecipò. -
Alucard ingessò la punta della stecca e riprese a parlare:
- Non finisce mai di stupirmi la stupidità che dimostrano gli umani quando agiscono in gruppo. Una persona sola è consapevole di rischiare, per questo riflette e valuta la situazione prima di agire. Un branco di persone, invece, non ragiona. Il numero li rende baldanzosi e incoscienti. Nei boschi si accampavano branchi di briganti, nei pascoli branchi di pastori, lungo le vie commerciali branchi di mercanti, ovunque trovavi branchi di soldati che fra tutti erano quelli più violenti e temuti, peggiori persino dei briganti. Sentivano una donna cantare nella notte. Se ciascuno di quegli uomini fosse stato solo, udendo una voce femminile nel buio, si sarebbe fatto il segno della croce e avrebbe cercato di rintanarsi nel suo nascondiglio più che poteva perchè quando mai una donna andava a spasso nella notte, parlando a voce alta in quel modo? Chi poteva comportarsi così se non una pazza o una strega? Ma ciascuno di quegli uomini, all'interno di un gruppo, perdeva la prudenza. Sentivano una donna schiamazzare e cantare a squarciagola nel bel mezzo della notte, facendo di tutto per farsi sentire e notare. Scartavano l'ipotesi "strega", tenendo solo l'ipotesi "pazza" a cui aggiungevano altre varianti: "pellegrina", "viandante", "prostituta", "smarrita" e si lanciavano al suo inseguimento pregustando uno stupro di gruppo. La donna li vedeva e cominciava a scappare urlando e quelli, sentendola gridare spaventata, ancor più si eccitavano e le andavano dietro. La donna correva e correva e quelli continuavano a inseguirla. Ad un certo punto la donna si fermava, si voltava, sorrideva e mostrava le zanne ma a quel punto era troppo tardi per salvarsi perchè alla destra, alla sinistra e alle spalle di quegli uomini comparivano altri tre vampiri. Una parte di loro la divoravamo subito. Gli altri li legavamo, li imbavagliavamo e li portavamo al castello, per rinchiuderli nelle segrete e utilizzarli come provvista invernale. -
Integra dovette ammetterlo: la sua pietà per gli sventurati segregati nelle prigioni di Dracula diminuì sensibilmente.
- Finchè nel branco eravamo stati in tre, avevamo suddiviso gli uomini da inghiottire subito in tre gruppi, in modo che ciascuno di noi potesse divertirsi con le sue prede come meglio gli pareva. A me e alla Prima Leonessa piaceva torturare i nostri umani prima di divorarli. Era appagante veder brillare il terrore nei loro occhi. La Seconda Leonessa invece eliminava le proprie prede nel giro di pochi minuti. Non dava loro il tempo di comprendere cosa stesse accadendo. Agiva in quel lasso di pochi istanti in cui una persona osserva perplessa ciò che le accade intorno, cercando di capire se c'è un pericolo o meno. Quella manciata di momenti in cui i suoi sentimenti sono interrotti, sospesi, non ha paura e nemmeno è tranquilla. Ecco, alla mia seconda moglie piaceva falciare la vita in quell'attimo di sospensione. Quando anche la Terza Leonessa diventò una vampira, dividemmo le prede in quattro gruppi ma tutto ciò che la mia ultima moglie faceva con i suoi uomini era imbavagliarli e legarli con una lunga corda dietro la sua cavalla, per portarseli appresso. Quando le veniva fame, ne mordeva uno. Insomma, lei azzannava solo quando era affamata, l'arte di regalare gratuitamente la morte non era cosa che le interessasse. Analogamente, era scarsamente interessata anche alle battaglie. Quando ci misuravamo contro altri vampiri, eravamo solo io e le prime due leonesse a lanciarci nella battaglia. La Terza Leonessa, per la sua poca attitudine alla lotta, la lasciavamo sempre indietro. Se erano periodi in cui con noi c'erano dei figli, la incaricavamo di badare a loro e proteggerli. Se era un periodo in cui non avevamo marmocchi, le dicevamo semplicemente di fare da retroguardia e venire ad avvertirci se un pericolo arrivava dalle spalle. -
" Davvero bizzarra come mostro " pensò Integra e per cercare di capire meglio la personalità di quella vampira, chiese:
- E cosa faceva quando vi intrufolavate nelle dimore della gente ricca? Tu succhiavi i proprietari, la Prima Leonessa andava in cerca di vestiti, la Seconda di orologi e la Terza? -
- Faceva la turista. - spiegò Alucard, prendendo di mira una biglia con la stecca - Passeggiava per tutto il palazzo con le mani incrociate dietro la schiena, ammirando quel che vedeva intorno a sè e ripetendo "Quante cose belle e interessanti ci sono al mondo"! Penso che se Dio Abraham non avesse ucciso le mie spose e fossimo riusciti a trasferirci tutti e quattro a Londra, la Terza Leonessa avrebbe trascorso tutto il suo tempo libero a visitare i musei di questa città. -
- E cos'è che portava via dalle ville da usare come passatempo invernale? -
- Assolutamente nulla. Dentro i palazzi si comportava come se fosse in un museo: guardava ma non toccava, lasciando ogni cosa dove si trovava, a beneficio di chi sarebbe passato ad ammirarle dopo di lei. -
- Ma allora qual'era il suo passatempo invernale? -
Era il passatempo che il vampiro Vlad Dracula aveva giudicato essere il più costruttivo di tutti, dato che consisteva nel chiudersi col proprio master in una delle camere da letto del castello ma dato che quel giorno ad Alucard non andava di raccontare proprio tutto ad Integra, preferì uscirsene con un vago:
- Mha...non ricordo... -
Sir Hellsing non indagò oltre, sinceramente convinta che la memoria di Alucard avesse fatto cilecca e si alzò, stiracchiandosi. Il suo corpicino ancora indolenzito dall'inattività di quei giorni sentiva il bisogno di cambiare posizione. La ragazzina decise di rimanere in piedi. Riflettendo sul ruolo che era stato assegnato all'ultima moglie (retroguardia quando non c'erano rampolli nel branco, guardiana dei cuccioli in caso contrario) le venne spontaneo esclamare:
- Non capisco. Perchè in alcuni periodi non c'erano figli con voi? -
- Perchè voi umani crescete alla svelta. Quando i nostri figli e figlie diventavano adulti, se ne andavano per la loro strada, com'era giusto che fosse e noi quattro restavamo soli finchè non sfornavamo una nuova nidiata e siccome il ciclo biologico di un vampiro è rallentato rispetto a quello di un essere vivente e alle Leonesse, quando andava bene, venivano una volta all'anno, come risultato potevano trascorrere anche decenni prima che restassero nuovamente incinte. Altre volte invece ci ritrovavamo senza figli perchè morivano. -
L'ultima frase era stata pronunciata con distacco dal vampiro, come se si stesse limitando a constatare un evento usuale dei tempi andati che non lo riguardasse da vicino. Col proseguimento della narrazione però la fronte di Alucard si aggrottò e il tono della voce divenne cupo, segno che una miriade di brutti ricordi stava tornando a galla:
- Una volta non esistevano nè farmaci nè vaccini, era normale che i marmocchi si ammalassero e morissero. Le malattie si assomigliavano fra loro e per quanta buona volontà impiegassimo, non riuscivamo a curarle. Arrivava la febbre e la pelle dei nanerottoli si copriva di pustole. Oppure arrivava la febbre e la diarrea scioglieva i loro intestini. Li vedevamo spegnersi come candeline, senza sapere come aiutarli. Nei periodi in cui con noi c'erano figli, l'intero branco finiva per trasferirsi nella cucina del castello. Voi umani avete bisogno di mangiare e stare al caldo. Le Leonesse tenevano il fuoco della cucina sempre acceso per preparare i pasti ai marmocchi e giudicavamo più pratico tenerli lì anche a dormire, a giocare, a imparare, a vivere perchè era il luogo più caldo e riparato di tutta la fortezza e noi quattro che ruotavamo intorno ai cuccioli, finivamo per tenergli compagnia tutto il tempo. Ma quando si ammalavano, battevano i denti anche in cucina, seduti davanti al fuoco e allora a turno, con le Leonesse, ci calavamo il cappuccio sulla testa, ci avvolgevamo nel mantello e uscivamo sotto il sole del pomeriggio con il bambino o la bambina imbacuccato in una coperta, per farle scaldare dai raggi. Quando invece la febbre si alzava troppo, per cercare di farla abbassare, riempivamo una tinozza d'acqua fredda e vi immergevamo il leoncino. -
Integra avvertì una sofferenza indistinta agitarsi nel suo petto. Considerando quanto dolore causasse ai vampiri l'esposizione ai raggi del sole o il contatto con l'acqua, scoprire che quei quattro succhiasangue erano stati disposti a scottarsi e ustionarsi pur di far star meglio i loro cuccioli umani, dava la misura di...
Sir Hellsing aggrottò le sopracciglia, mentre sentimenti contrastanti cozzavano dentro di lei. Aveva paura di completare nella sua mente quella frase. Temeva che acquisire la consapevolezza che fra umani e mostri ci siano molte somiglianze, avrebbe finito col minare la solidità della sua missione.
O forse era vero il contrario?
Davvero comportarsi come uno struzzo, nascondendo la testa per non vedere ciò che la turbava, avrebbe reso più facile il suo lavoro? Sottovalutare l'avversario, dare per scontato che non percepisca ciò che senti anche tu, non è una mossa strategicamente azzeccata.
La ragazzina sospirò. Non sapeva quale fosse la strada giusta, decise però di prendere atto della realtà dei fatti e accettò di completare la frase nella sua mente.
Considerando quanto dolore causasse ai vampiri l'esposizione ai raggi del sole o il contatto con l'acqua, scoprire che quei quattro succhiasangue erano stati disposti a scottarsi e ustionarsi pur di far star meglio i loro cuccioli umani, dava la misura di quanto quei mostri avessero amato i loro figli.
Alucard, intanto, continuava a ricordare:
- Spesso, sia il sole che l'acqua finivano per rivelarsi inutili e la conclusione di quelle malattie era che una leonessa cercava per il castello un sudario in cui avvolgere il corpicino, un'altra leonessa abbracciava stretta la madre sconvolta e io scavavo una fossa ai piedi di un albero, il più profonda possibile, in modo che gli animali non potessero raggiungerlo. -
Integra sentì una stretta fredda intorno al cuore e si avvolse maggiormente nella sua vestaglia. Adesso capiva a chi si riferiva Alucard, quando all'inizio del racconto aveva detto " Sotto alcuni alberi seppellii i cadaveri di persone che mi erano appartenute e a cui avevo voluto bene ". La voce del vampiro intanto continuava ad incalzare:
- Altre volte invece morivano poco dopo essere nati, senza ragione apparente. Le Leonesse non si capacitavano di aver fatto tanta fatica per niente. Non riuscivano neanche a piangere, ripetevano solo quella frase, per notti e notti: "Ho fatto così tanta fatica!" -
Sir Hellsing seguì più e più volte con gli occhi il contorno delle gambe del tavolo da biliardo prima di chiedere a bassa voce:
- E tu cosa dicevi? -
- Cosa vuoi che dicessi, marmocchia? - chiese Alucard con irritazione - Tu cos'avresti detto, al posto mio? In casi come questo non c'è molto da dire, non ti pare? C'è solo da fare. -
- Come scavare una fossa? -
- Già. -
La pausa di silenzio fu lunga. Integra sapeva che quest'ultima parte del racconto del servo non costituiva qualcosa di speciale capitato solo a lui ma era stato un evento abituale per tutte le generazioni umane che l'avevano preceduta. Gli insegnanti di storia avevano spesso spiegato a lei e ai suoi compagni quanto fossero difficili le condizioni di vita prima dei progressi medici. In fondo, Sir Hellsing non ne aveva avuti vari esempi all'interno della sua stessa famiglia? Il figlio di Abraham Van Helsing era deceduto ancora giovane. Sapeva che il fratello minore di nonna Eva era morto bambino di varicella e la stessa signora Wingates Hellsing era infine stata abbattuta da un parto.
Quegli scarni resoconti non erano stati però in grado di spiegarle quali fossero i sentimenti delle persone che provavano sulla loro pelle quei lutti, lasciandole nella mente molte domande senza risposta. 
Integra si chiese se non fosse il caso di domandare spiegazioni ad Alucard. Da un lato, la imbarazzava indagare: stava pur sempre parlando con un padre che aveva seppellito con le proprie mani i suoi stessi figli. D'altra parte non c'era nessun altro che potesse svelarle certi misteri meglio di lui. Fu quindi con titubanza, dettata da un misto di imbarazzo e curiosità, che la ragazzina disse:
- Io non capisco. Al giorno d'oggi, quando un bambino muore, i genitori soffrono terribilmente. Ci sono genitori che non riescono a riprendersi da tanto dolore, altri che arrivano a suicidarsi. Voi vedevate morire spesso i bambini. Come riuscivate a sopravvivere a quella sofferenza? Gli volevate meno bene di quanto ne vogliano i genitori di adesso? -
Ecco, l'aveva detto. Sentì l'ansia pungerle il cuore e le vene, non sapendo come avrebbe reagito Alucard. 
Si sarebbe irato? L'avrebbe insultata per la sua stupidità? Presa a ceffoni?
Alucard appoggiò orizzontalmente la stecca da biliardo sulle proprie spalle, tenendone le estremità con le mani e guardò il faccino della master. Non c'era astio negli occhi del servo, rimaneva semplicemente in silenzio ad osservarla. La piccola master comprese che il vampiro stava cercando le parole adatte per risponderle adeguatamente. Finalmente parlò:
- Integra, l'unica differenza sta nel fatto che al giorno d'oggi nessuno si attende che un bambino muoia. E' un evento raro e per questo sconvolgente che vi lascia impreparati. Per millenni, invece, tutti gli uomini e tutte le donne hanno dato per scontato che dei figli che avrebbero messo al mondo, alcuni sarebbero morti. Sapere che un certo evento accadrà non vuol dire però che soffrirai di meno quando si verificherà, nè ti farà volere meno bene alle persone destinate a morire. -
Il silenzio della master era carico di incomprensione e Alucard non se ne stupì. Era ovvio che una persona tanto giovane e inesperta della vita non capisse quelle parole. Solo lo scorrere degli anni e degli eventi le avrebbe consentito di afferrarne il senso.
La ragazzina cominciò lentamente a camminare per il salone, bisognosa di sgranchirsi le gambe. Con lo sguardo fisso sulle due teste di Pluto ai suoi piedi, indagò: 
- Mi sembra di capire che tu e le Leonesse vi allevaste da soli i figli. Perchè non li affidaste a dei tutori umani, come facesti con Marya? -
- Perchè non ce n'era motivo, erano due situazioni completamente diverse. Con Sekure eravamo briganti e nomadi perenni e Marya era esposta a troppi rischi. Con le Leonesse ci dedicavamo alla non-vita nomade solo per alcuni mesi all'anno, il resto del tempo lo trascorrevamo al castello. Alte mura impedivano ai marmocchi di perdersi e lì dentro potevamo accumulare tutto ciò di cui avevano bisogno gli umani per sopravvivere: cibo, coperte, legna per scaldarsi, inoltre le cisterne erano sempre piene di acqua potabile. Con tutte quelle comodità a disposizione, potevamo occuparci da soli dei nani. -
Integra riflettè in silenzio e Alucard vide la sua fronte corrugarsi di disappunto.
- Cosa c'è adesso, master? -
- Penso che per i vostri figli sarebbe stato comunque meglio crescere con degli umani. Il vostro, in fondo, era un castello degli orrori. Tutta quella gente rinchiusa nelle prigioni che doveva solo attendere che scendeste giù a succhiarli! E anche quando partivate per la caccia estiva, le vostre prede rimanevano pur sempre umani. Non venirmi a raccontare che tutto questo non abbia turbato i Leoncini! -
- Integra, quando te ne esci con questi giudizi, non so se mi fai più divertire o intenerire. - ghignò il vampiro - Tuo zio ha cercato di farti la pelle, quando ti parlo del mio passato ascolti racconti in cui le persone sono spregevoli quanto i mostri eppure continui a intestardirti nel pensare che gli umani siano migliori dei vampiri. Non so se giudicarti una grande zuccona o una grande ingenua. Lascia che ti dia qualche esempio di quanto possa essere migliore un'infanzia trascorsa con gli umani invece che con dei genitori succhiasangue. Quando ero bambino e la corte di mio padre risiedeva nel palazzo di Tirgoviste, sapevo che sotto il pavimento che calpestavo si trovavano le prigioni e che lì dentro uomini e donne venivano rosicchiati vivi dai topi. Vuoi che sia sincero, master? Non me ne fregava niente! Sapevo che se mio padre non si fosse comportato così, sbattendo in prigione i suoi rivali, sarebbero stati loro a rinchiudere noi tutti in una segreta, lasciandoci morire nel buio. Ogni tanto uno di quei prigionieri veniva tirato fuori dalla cella per essere giustiziato sulla pubblica piazza. A quei tempi le esecuzioni capitali erano considerate uno spettacolo, la gente accorreva a vederle con lo stesso entusiamo di quando ammirava i giocolieri esibirsi nei mercati. Che ci vuoi fare, una volta gli umani si divertivano così. I contadini macinavano ore di strada, venendo dai borghi vicini e si portavano dietro i figli per ammonirli che se non avessero rigato dritto, sarebbero finiti come il delinquente sul patibolo. La prima volta che mi portarono a vedere un'esecuzione, ero alto quanto una capra. Qualcuno mi teneva in braccio, presumo fosse la balia perchè mia madre doveva essere ormai morta da un pezzo. In quanto componenti della famiglia reale, avevamo diritto a un posto in prima fila, da cui potevamo ammirare al meglio lo spettacolo ma che aveva anche i suoi inconvenienti. La scure del boia si abbattè sul collo del prigioniero e vidi la testa rotolare nella polvere. Uno schizzò del suo sangue ci colpì, macchiando la gonna della donna che mi teneva in braccio e il mio piede. -
Un'espressione di disgusto contorse la bocca di Sir Hellsing che girò il capo di lato per non leggere negli occhi del servo il trionfo che li aveva animati vedendo la reazione della padroncina.
- Per millenni i bambini sono sopravvissuti all'orrore quotidiano che la vita umana offriva. Perchè i nostri figli si sarebbero dovuti lasciare abbattere da qualche orrore vampirico? Sapevano che nelle segrete del castello languivano gli "spuntini viventi" dei genitori ma la loro sorte non li rattristava. "Morte loro, vita nostra" era il modo con cui i marmocchi risolvevano la questione. Sapevano che la maggior parte degli umani sarebbe stata altrettanto feroce con il nostro branco. Prima si sarebbero sbarazzati dei vampiri adulti, tagliandoci la testa e pugnalandoci il cuore, poi si sarebbero accaniti contro i ragazzini umani. Chi si sarebbe mai potuto fidare dei figli di quattro succhiasangue? Li avrebbero impiccati, o gettati giù da una rupe, o annegati, o chissà cos'altro si sarebbero inventati e di questo i Leoncini ne erano consapevoli. E durante le cacce estive, non mangiavamo le nostre prede di fronte ai marmocchi; non vedevamo la necessità di renderli partecipi di simili spettacoli. -
Alucard appoggiò la stecca sul tavolo, sentiva il bisogno di interrompere per un po' il gioco. Si stiracchiò, poi si sedette sul bordo del biliardo. A braccia conserte, si rivolse verso la padrona spiegando:
- Crescere con dei vampiri aveva anche i suoi pregi. La stragrande maggioranza dell'umanità, per millenni, non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire "viaggiare". Tutti nascevano e morivano sullo stesso pezzo di terra, troppo impegnati a lavorare per sopravvivere per porsi il quesito "come sarà fatto il resto del mondo"? Il mio branco, come ti ho detto, conduceva una vita semi-nomade, quindi i nostri marmocchi rientravano fra i pochi eletti che esploravano nuove terre. E ogni esplorazione comportava sempre nuove scoperte. A partire dalla Rivoluzione Industriale, il mondo cominciò a cambiare. Ogni anno veniva inventato qualcosa di nuovo che aveva un impatto immediato sulla vita degli umani. La tua specie cominciò a riempirsi la bocca con la parola "progresso", in cui riponeva la stessa cieca fiducia che nutriva verso gli Dei e il Paradiso. Per noi vampiri, più semplicemente, il progresso era ciò che produceva nuovi giocattoli con cui divertirci. La città di Timișoara era il parco-giochi preferito del mio branco! Ci andavamo spesso, certi di trovare qualche novità tecnologica con cui stupirci. Fu la prima città dell'Impero Austro-Ungarico a dotarsi di un impianto di illuminazione stradale a gas, una delle prime a dotarsi di impianto telegrafico e telefonico e fu forse la prima città europea in assoluto ad utilizzare l'illuminazione elettrica. Ricordo che con le Leonesse e i marmocchi smontammo un lampione per capire come funzionava. Insomma, per millenni, la luce era sempre stata data dal fuoco. Adesso, per la prima volta, l'illuminazione veniva separata dal calore. Come potevamo rimanere con le mani in mano, davanti a un simile prodigio? Dovevamo scoprire come funzionava! Tanto più che eravamo curiosi di natura. Non ci bastava guardare le novità, volevamo capire qual'era il meccanismo alla loro base. Vuoi un esempio? Un tardo pomeriggio di primavera ci affacciamo alle mura del castello e nella strada che serpeggia nel fondovalle vediamo un gruppo di umani su degli stranissimi oggetti a due ruote che filano veloci come su un cavallo lanciato al galoppo. Era la prima volta che vedevamo delle biciclette. Eravamo curiosi di scoprire cosa fossero quegli attrezzi misteriosi, così ci dirigemmo a rotta di collo nella valle per bloccare il passo a quei forestieri prima che svanissero. Era un gruppo di viaggiatori inglesi, quattro uomini e due donne, visitavano gli stati danubiani a bordo di tandem e biciclette. Li invitammo gentilmente al castello per mostrarci quei prodigi della tecnica su cui viaggiavano. -
- Quanto gentilmente li invitaste? -
- Togliti quell'espressione diffidente dalla faccia, master. Li invitammo gentilmente, sì, sul vero senso della parola! O almeno, quelle erano le nostre intenzioni che purtroppo dovettero scontrarsi contro l'incapacità di voi inglesi di imparare le lingue straniere. -
- Ehi! - esclamò Integra, offesa.
- Non hai ragione di arrabbiarti, master, è la verità e dovresti esserne consapevole tu più di chiunque altro. Ancora non ho capito se a scuola, come lingua straniera, studi francese o tedesco perchè quando ti sento ripetere a voce alta gli esercizi, non comprendo una sola parola di quel che dici. Un secolo fa, l'equivalente odierno dell'inglese erano il francese e il tedesco, chiunque desiderasse viaggiare doveva saper parlare almeno una di queste due lingue. Voi britannici però già a quei tempi seminavate il terrore fra i locandieri di tutta Europa pretendendo di parlare esclusivamente in inglese. Anche nel gruppo di ciclisti che fermammo, solo un componente sapeva il sassone e pure male e sudai sette camicie per fargli comprendere cosa volessi da loro. Alla fine mi toccò parlare nello stile "Voi venire con noi. Voi e noi fare lunga passeggiata fino a castello", il tutto accompagnato da ampi gesti per far comprendere cosa volesse dire "voi", "noi" e "castello". -
- Non sapevi parlare inglese? - chiese la ragazzina. Non c'era malizia nè secondi fini nella domanda della dodicenne, solo desiderio di comprendere. Dracula era sbarcato nel Regno Unito con una perfetta padronanza della lingua inglese e adesso Integra si chiedeva in che epoca avesse cominciato a studiarlo, data la sua difficoltà nel farsi capire da quei turisti.
Alucard forse sospettò in quella domanda una malafede in realtà inesistente perchè la risposta che diede suonò a Integra come un rimprovero:
- Sinceramente, master...sapevo parlare egregiamente sei lingue e me la cavavo in altre tre. Mettermi a studiare una decima lingua, a quei tempi, mi sembrava francamente superfluo. -
Sir Hellsing incassò il collo nelle spalle, messa in soggezione dal tono del servo, chiedendosi dove avesse sbagliato per meritare quella doccia fredda. Il vampiro, schizzato quel veleno, riprese a narrare: 
- Credo che alla fine ciò che li persuase veramente a seguirci fino alla fortezza non fu ciò che dissi ma la vista dei fucili che ci eravamo portati dietro per ogni evenienza. -
- Fucili? - ripetè Integra, incredula e un po' balbettante per l'imbarazzo che ancora provava. Cosa accidenti se ne facevano dei vampiri di un fucile?
- Master, eravamo nel XIX secolo, non crederai che a quei tempi andassi ancora a spasso con uno spadone medievale al fianco per intimorire gli umani? Andiamo, sarei stato ridicolo! Chiesi ai miei servi mercanti di procurare per me e le Leonesse quattro fucili Winchester a ripetizione, con il caricatore da quindici colpi. Ce li portammo appresso quando scendemmo a parlare con i ciclisti. Probabilmente quel particolare fece sì che nelle loro teste venissimo classificati come "pittoreschi predoni locali" e ci seguirono sino alla fortezza per avere qualcosa di eccitante da raccontare una volta tornati a casa. Niente manda più in bestia un turista del non avere un'esperienza spiacevole da narrare ad amici e parenti. Una volta giunti nel cortile del castello si esibirono a nostro beneficio pedalando per tutto il perimetro delle mura. Intanto era calata la sera, sarebbe stato scortese buttarli fuori casa col buio, così li rifocillammo e li mettemmo a dormire nella fortezza. -
- E durante la notte li mangiaste? - chiese Integra, timorosa per la sorte dei suoi connazionali.
Alucard la guardò indignato:
- Per chi ci hai preso? Per degli ingrati? Quei tizi ci avevano fatto il piacere di mostrarci qualcosa che non avevamo mai visto quindi perchè avremmo dovuto compensarli inghiottendoli? Li svegliammo prima dell'alba perchè per noi era vitale che lasciassero il castello prima che arrivasse il giorno e dovessimo ritirarci nelle segrete a dormire. Purtroppo non avevamo tenuto conto dei nostri figli umani. -
Il vampiro riprese la stecca, ricominciando a giocare:
- A quei tempi nel branco avevamo due cuccioli, un maschio e una femmina. La sera precedente avevano ammirato a bocca aperta i forestieri pedalare e quando li trovarono nel cortile, pronti ad andarsene portandosi via le biciclette, cominciarono a smaniare. Corsero ad abbracciare un tandem, implorando che lo volevano, lo volevano a tutti i costi. Ma ti pare possibile che potessimo tenerci quel trabiccolo? I due umani che lo cavalcavano come avrebbero potuto proseguire il viaggio? Per niente al mondo avremmo dato a quei forestieri la soddisfazione di tornare a casa parlando male degli abitanti della Transilvania e della Valacchia e soprattutto della famiglia Dracula, colpevoli di avergli fottuto il mezzo di trasporto! La Seconda e la Terza Leonessa, di carattere più calmo, cercarono di convincere i pargoli con le buone, sforzandosi di farli ragionare, di fargli capire che il tandem andava restituito ma quei due capoccioni abbracciarono ancora più strettamente la bicicletta. Allora io e la Prima Leonessa, i nervosi del branco, cominciammo a far piovere ceffoni sui marmocchi come se grandinasse ma neanche in quel modo ci fu verso di scollarli dal tandem. Erano peggio dei polpi: riuscivamo a staccare dai raggi della ruota tutte e cinque le dita con cui si erano aggrappati e si afferravano con le gambe al telaio. Avessimo avuto più tempo a disposizione, saremmo riusciti ad avere la meglio sui marmocchi ma il sole stava sorgendo e avevamo fretta di mandare via i turisti così dovemmo arrenderci. Non potevamo però appiedare due viaggiatori così dovetti prendere due cavalli dalla stalla, sellarli, mettergli le briglie e darglieli al posto del tandem. -
I tratti del viso di Alucard si tesero dalla rabbia:
- Te ne rendi conto, master? Due cavalli per una bicicletta! No, dico, due cavalli! Con tanto di sella e briglie! E li avevo pure fatti ferrare da poco! Non credo che al mondo un'altra bicicletta sia stata pagata più di quella! -
A Sir Hellsing tornò in mente un ricordo di suo padre, la faccia scura che faceva quando si rendeva conto di aver acquistato un giocattolo eccessivamente costoso alla figlia, arrabbiandosi con se stesso nella convinzione di essersi lasciato turlupinare dalla bambina e di aver ormai imboccato in modo irreparabile la strada che avrebbe fatto della sua erede una mocciosetta viziata. Sì, Alucard in quel momento aveva esattamente la stessa espressione di Sir Arthur. Integra pensò che probabilmente, ad ogni latitudine e in ogni epoca, i genitori reagivano allo stesso modo quando si rendevano conto di essersi piegati ai capricci dei figli.
- Nella settimana che seguì, i marmocchi impararono ad andare sul tandem. Pedalavano tutto il giorno per il cortile della fortezza, schiamazzando e ridendo a voce così alta che li sentivo persino dalle segrete. Non ci fu verso di chiudere occhio, in quella settimana! -
Era irritato, il tono di Alucard. A distanza di più di un secolo, il ricordo di quanto avesse sborsato per acquistare un tandem e delle conseguenze che il diabolico oggetto aveva apportato alla sua non-esistenza continuava a rodergli. Il racconto proseguì:
- Finalmente partimmo per la caccia estiva e dato che ci mancavano due cavalli, fummo costretti a portarci dietro quel maledetto tandem, lasciando che i Leoncini viaggiassero su di esso. Due giorni dopo essere partiti, mentre noi vampiri dormivamo il sonno diurno, una cagna randagia si avvicinò al nostro bivacco. Era uno dei più puzzolenti agglomerati di pulci che abbia mai incontrato e i miei figli se ne innamorarono perdutamente perchè quell'essere asmatico concesse loro di accarezzarla in cambio di un tozzo di pane. Per i marmocchi, questo indicava che la cagna li amava e desiderava rimanere con loro per sempre, così le legarono un pezzo di corda intorno al collo a mò di guinzaglio e decisero di portarsela dietro per tutto il viaggio. In verità, non era necessario che la legassero: in cambio di qualche avanzo, quella bestia sfiatata era disposta a seguirci anche in capo al mondo. La terza notte di viaggio passammo attraverso un paese e decidemmo di andare a caccia. Posteggiammo i tappi in un luogo sicuro e li salutammo al solito modo "Restate fermi qui finchè non torniamo, altrimenti vi spelliamo il culo a ceffoni". Ma loro non potevano rimanere fermi con una bicletta nuova sotto i piedi! La parte alta e la parte bassa del paese erano collegate fra loro da una lunga scalinata. I marmocchi si dissero che ancora non avevano tentato l'impresa di scendere con il tandem giù per una scala, così decisero di provare quell'esperienza, sicuri che sarebbero tornati prima di noi nel luogo in cui li avevamo lasciati e che non ci saremmo accorti di niente. Così partirono, tirandosi dietro la cagna per la corda. -
Il vampiro interruppe il gioco per guardare la padroncina con aria seria: 
- Non avrei mai immaginato che due ragazzini, una bicicletta e una cagna potessero fare un simile casino ruzzolando giù per una scalinata! Svegliarono l'intero paese e potemmo dire addio alla caccia. Prendemmo i marmocchi in braccio e tornammo di corsa ai cavalli, prima che dalle finestre cominciassero a lanciarci addosso secchiate d'acqua e manciate di sorbe e aglio. Nessuno di noi pensò alla cagna ma la cagna pensò a noi e benchè reggesse l'anima coi denti, ci corse dietro con tutto il fiato che aveva in corpo. Aveva finalmente trovato dei gonzi disposti a darle da mangiare, non voleva perderci per tutto l'oro del mondo! -
- E il tandem? - chiese Sir Hellsing.
- Il tandem... - sibilò Alucard, con sguardo omicida - Il tandem dovemmo abbandonarlo ai piedi della scalinata perchè ormai era ridotto ad un inservibile groviglio di lamiera. -
Il vampiro si erse in tutta la sua statura e cominciò a sbraitare come un ossesso:
- Il tandem che mi era costato due cavalli! Con tanto di sella e redini! E li avevo pure fatti ferrare da poco! Avevo speso due cavalli per un trabiccolo che era durato dieci giorni! Te ne rendi conto? Due cavalli spesi per niente! -
Adesso Alucard aveva la stessa espressione di Sir Arthur quando scopriva che la figlia aveva distrutto un giocattolo costoso, e che accompagnava sempre con la frase:
- Integra, hai un'idea di quanto sia costato quell'affare? Credi forse che i soldi crescano sugli alberi?! -
E infatti:
- Ma cosa credevano i miei figli? Che i cavalli crescessero sugli alberi? Con tutta la fatica che avevo fatto per guadagnarmeli! - 
Sir Hellsing spalancò gli occhi:
- Te li eri guadagnati? E come? Che lavoro avevi fatto? -
- Me li ero guadagnati rubandoli. - specificò il vampiro, in tono professionale - Come ti dissi tempo fa, il furto richiede l'osservanza di una serie di regole per non scadere in un gioco noioso e io mi sono sempre attenuto scrupolosamente a ogni direttiva. E ti assicuro, master, che sgraffignare i cavalli rispettando le regole è davvero una faticaccia improba, per questo posso dire di essermeli guadagnati col sudore della fronte! -
Integra preferì non insistere in merito, era chiaro che per Alucard quei cavalli erano stati la giusta ricompensa di un lavoro condotto onestamente. Preferì piuttosto indagare:
- Mantenesti la promessa? Quella di spellare il sedere a sculacciate ai tuoi figli se si fossero allontanati dal luogo in cui li avevate posteggiati. -
- Certo che mantenni la promessa! Ci mancava pure che la sfangassero dopo che mi avevano fatto spendere due cavalli per una bicicletta, avermi tenuto sveglio con i loro schiamazzi una settimana intera e aver rotto il tandem dieci giorni dopo l'acquisto! Per cinque giorni dormirono a pancia in giù da quanto gli facevano male le chiappe! -
Integra meditò sulla scena descrittale da Alucard e non potè fare a meno di commentare:
- Dev'essere terrificante averti come padre. -
- Ti assicuro che molti umani sarebbero terrificati ad avere dei figli come i miei. - sbuffò sprezzantemente il vampiro - Non erano ragazzini dalla resa facile. Non c'è stata una sola generazione di figli che, appena scoperto come le croci, l'acqua benedetta e le sorbe tenessero alla larga noi genitori vampiri, non ne abbia bassamente approfittato. Quando combinavano qualche pandemonio, per evitare di prenderle, si mettevano fra i capelli fiori d'aglio e rose selvatiche. E al collo tenevano tutti una croce e ce la sbattevano sotto il muso per tenerci alla larga. Ci toccava aspettare che i fiori appassissero, o che i marmocchi si addormentassero e le croci gli scivolassero fra le dita, per agguantarli e suonargliele di santa ragione. -
- Oserei dire che eravate dei genitori e dei figli che si meritavano reciprocamente. -
- Oserei dire che molto probabilmente hai ragione. - replicò Alucard con un sorriso abbozzato come se a dispetto di tutto, fosse parecchio contento della grinta dei suoi rampolli.
Dopo aver bestemmiato un po' perchè la biglia che aveva colpito aveva mancato per un capello la boccetta bianca, Alucard riprese a raccontare:
- Un'altra estate portammo i marmocchi a vedere i lavori per la costruzione della ferrovia. La prima linea ferroviaria della mia patria collegava Bucarest alla città di Giurgiu e qui mi sembra doveroso interrompere il racconto per spiegarti chi era l'ospite che viaggiava con noi, visto che avrà un ruolo importante in questa storia. -
Il vampiro ingessò nuovamente la punta della stecca mentre narrava:
- I nostri marmocchi trascorrevano la maggior parte dell'anno isolati in un castello in compagnia di quattro vampiri. Ammettiamolo master: per i bambini non c'è niente di più palloso che avere come unica compagnia gli adulti, non è vero? -
- Verissimo! - annuì con enfasi Integra, a cui era sempre pesato essere l'unica creatura giovane di Hellsing Manor.
- Io e le mie mogli ne eravamo consapevoli per questo chiedevamo ai nostri servi di portarci uno dei loro figli, un ragazzino o una ragazzina dell'età dei Leoncini, che vivesse con noi per tutto l'inverno in modo da far loro compagnia. -
Benchè Integra vivesse quotidianamente a contatto con Alucard, quando provava a calarsi nei panni degli altri esseri umani stentava a credere che potessero esserci individui capaci di allearsi o fidarsi di un vampiro. 
" Per me è diverso perchè io sono la master " pensava la ragazzina, giustificando così il legame che la univa al Re-senza-vita, senza rendersi conto che la sudditanza del nosferatu era stata solo la base di partenza del loro rapporto e che nel corso di quei mesi il loro affiatamento era aumentato solo grazie alla reciproca stima e comprensione.
Per questo, anche quella volta, faticò ad accettare l'idea che dei genitori potessero affidare spontaneamente i propri pargoli a dei mostri. Dovevano aver agito così spinti dalla paura di contraddire il proprio signore, non esisteva altra spiegazione! Alucard dovette leggerle sul viso quel pensiero perchè ghignò:
- Certamente i miei servi non desideravano scontentarmi ma non credere che mi ubbidissero solo per questo. Non avevano ragione di diffidare di me, dato che ho sempre protetto i miei sottoposti. Anche i ragazzini che venivano a tenere compagnia ai Leoncini erano miei servi quindi nè io nè le Leonesse avevamo motivo di far loro del male. All'inizio, quando entravano nella fortezza, erano titubanti ma presto imparavano a godersela. Non hai un'idea di quanto fosse faticosa l'esistenza delle generazioni che ti hanno preceduta, master. Il lavoro manuale da svolgere per sopravvivere era tantissimo e anche i bambini dovevano fare la loro parte, cominciando a faticare sin da piccoli. A Poienari, invece, non c'era quasi niente da fare, quindi i marmocchi avevano tantissimo tempo a disposizione per spassarsela e i nuovi arrivati s'integravano alla svelta in questo clima. Per i ragazzini che ospitavamo era come una bellissima vacanza, un periodo di riposo che non sarebbe più capitato nelle loro faticose esistenze. L'estate in cui andammo a vedere i lavori della linea ferroviaria Bucarest-Giurgiu, con noi viveva una ragazzina. Normalmente, prima di partire per la caccia nomade, i genitori venivano a riprendersi i pargoli ma la famiglia di quella marmocchia abitava troppo distante dalla fortezza, così ci sembrò più sensato che gliela riportassimo noi strada facendo. Ci mettemmo in cammino, dirigendoci verso la ferrovia e una notte raggiungemmo i binari. Lungo le traversine sorgevano le tende dove dormivano gli operai. In silenzio osservammo le longarine, i tralicci, le massicciate, poi i marmocchi cominciarono a bisbigliare che avevano fame. -
Il vampiro sollevò sulla master uno sguardo che conteneva rimprovero e ironia:
- Voi umani siete una lagna. Avete fame, sete, freddo...prima di partire per la caccia nomade, dovevamo caricare un cavallo con tutto ciò che occorreva per non far schiattare i nostri figli umani, coperte, borracce e viveri ma l'acqua e il cibo si esaurivano durante il tragitto e dovevamo rifornirci nuovamente. Un ottimo modo di approvvigionamento consisteva nello spedire i marmocchi al saccheggio di ogni consorzio umano che incontravamo. Li sorvegliavamo da lontano, per essere sicuri che nessun contadino li vedesse e cominciasse ad inseguirli col forcone e lasciavamo che si dessero da fare razziando orti, frutteti e portando via dai pollai uova e galline. Erano dei ladruncoli in gamba, i nostri figli; rapidi e silenziosi come una torma di piccoli Attila. Anche quella notte, dato che non avevamo nulla da dargli da mangiare, li mandammo all'assalto delle tende degli operai. S'intrufolavano fra i dormienti sgraffignando tutto ciò che era commestibile. Il problema era la ragazzina che ospitavamo, la servetta presa per tener compagnia ai nostri figli. Era una tipa tranquilla, non abituata all'avventura. L'impegno per starci dietro nelle nostre scalmanataggini lo metteva ma era evidente che non era tagliata per il ruolo e arrancava sui nostri passi. Anche quella notte dimostrò la sua imbranataggine. Quando demmo il via libera al saccheggio ai marmocchi, questa ragazzina si intrufolò in una tenda ma non era abile a rubare, ammesso che avesse mai sgraffignato qualcosa in vita sua. Fece troppo rumore, svegliò l'occupante e quello l'afferrò per un braccio cominciando a dargliele di santa ragione. -
Il vampiro guardò dritto negli occhi Integra prima di proseguire:
- Master, ti pare possibile che potessi permettere al primo mortale che incontravo di picchiare una delle mie serve, nonchè amichetta dei miei marmocchi e mia diretta discendente? Lo capisci anche tu che non potevo permettere un affronto del genere, vero? Così azzanai alla giugulare quel tipo, impedendogli fra l'altro di mettere in allarme il campo. Come potevo sapere che stavo inghiottendo il capo-ingegnere preposto alla costruzione della linea ferroviaria? La sua dipartita ritardò il completamento dell'opera di un bel po' di mesi, perchè dovettero farsi spedire un nuovo ingegnere da Vienna prima di proseguire i lavori. Io però agii in buona fede: se lui avesse permesso alla mia sottoposta di frugargli fra i bagagli, invece di alzarsi e prenderla a sberle, non mi sarei sognato in berlo. Be', comunque andò così, inutile rivangare sugli errori del passato. Visti i binari, volevamo vedere i treni, così galoppammo fino alla città di Reșița, dove sorgevano delle fabbriche che costruivano locomotive. Una notte attendemmo nei pressi di un binario periferico. Arrivò un treno merci, staccarono i vagoni e la locomotiva procedette verso il deposito. A quel punto saltammo tutti sulla vaporiera e imponemmo ai macchinisti di mostrarci come funzionava. -
Un paio d'anni prima, Integra era salita su una locomotiva a vapore. Ricordava quanto angusto le fosse sembrato lo spazio della cabina e ascoltando le parole di Alucard non poté trattenersi dal chiedere:
- Cosa intendi con “saltammo tutti sulla vaporiera”? -
- Che salimmo tutti a bordo, mi pare ovvio. Io, le Leonesse, i marmocchi. -
- E come stavate tutti quanti in uno spazio così risicato? -
- Ci organizzammo. Non rimanemmo tutti quanti nella cabina. Qualcuno si sedette sul cassone del carbone e qualcun'altro si arrampicò sul tetto e sul muso della locomotiva. -
Un'immagine vista in un documentario si affacciò nella mente di Integra. Il furgone di un safari fotografico si era fermato nella savana e un gruppo di leoni curiosi l'aveva preso d'assalto, chi arrampicandosi sul tettuccio del veicolo, chi sul cofano. Benché i viaggiatori avessero sperato di vedere da vicino le belve, era chiaro che quell'incontro fosse fin troppo ravvicinato per i loro gusti e osservavano con apprensione i felini scrutarli da dietro i vetri spessi.
Ecco, a Sir Hellsing sembrava che i due poveri macchinisti fossero incappati in una situazione analoga. In fondo, non c'era poi molta differenza fra il branco di Dracula e un branco di leoni. I tecnici avevano guidato e spiegato il funzionamento della locomotiva a delle creature che li assediavano da ogni lato, dotate di occhi curiosi e zanne affilate con l'aggravante che, a differenza dei turisti degli zoo-safari, avrebbero fatto volentieri a meno di quell'incontro.
- Ci facemmo scarrozzare per un bel po' di ore. Fu molto interessante anche se i marmocchi rischiarono di volare di sotto più di una volta e alla fine ci toccò tenerli in braccio per tutto il tempo, a scanso di incidenti. Ripagai quei brav'uomini del disturbo con due cospicui rotoli di bigliettoni che casualmente mi erano finiti fra le mani quando le avevo lasciate scivolare nelle tasche dell'ingegnere, mentre lo bevevo. - 
Ciò detto, Alucard pestò un piede in terra, sgranando al contempo un rosario di bestemmie in una decina di lingue diverse. Per l'ennesima volta una biglia aveva sfiorato la boccetta bianca senza però colpirla apertamente e la maledetta candida era rimasta immobile. Sfogatosi a quel modo, riprese a parlare:
- Quell'anno fu parecchio interessante perché sul fare dell'autunno, mentre stavamo tornando verso la fortezza, ci imbattemmo nella nostra prima automobile. Non immagini quanto fossero differenti dalle vetture odierne quei primi prototipi. Quella in cui incappammo era un trabiccolo montato su tre ruote enormi, da carrozza, e come scoprimmo smontandolo, funzionava a vapore, esattamente come le locomotive. -
- Che splendido risveglio avrà avuto il proprietario di quell'automobile! La sera prima l'aveva posteggiata tutta intera e al mattino la ritrova ridotta a un cumulo di pezzi da riassemblare. - commentò sarcastica Sir Hellsing.
Il vampiro non sembrò cogliere l'ironia perché con serietà rispose:
- Ti sbagli master, la smontammo proprio sotto gli occhi del proprietario. Andò così: un tramonto procedevamo lungo una strada di campagna, distavamo un miglio circa da Bucarest quando ci vediamo sfrecciare sotto al naso questo trabiccolo con due damerini a bordo. Potevamo rimanere indifferenti di fronte a una simile meraviglia della tecnica? No, ovvio! Raggiungemmo facilmente il triciclo perché a quei tempi le vetture non avevano una gran velocità e obbligammo i conducenti a posteggiarsi in un campo sterrato. Li facemmo scendere, aprimmo il cofano del motore e gli chiedemmo di spiegarci come funzionava quell'affare. Davamo per scontato che sapessero com'era fatto. Era il loro mezzo di trasporto. I cavalli erano il mezzo di trasporto del mio branco e noi dei cavalli sapevamo tutto. Capivamo quando avevano fame, sete o bisogno di leccare una manciata di sale. Sapevamo come preparare gli impiastri con cui medicare le piaghe che le selle lasciavano sulle loro schiene, sapevamo togliere i sassi che rimanevano incastrati nei loro zoccoli e sapevamo come aiutare una cavalla a partorire. Sapevamo distinguere i sentieri attraverso cui erano in grado di passare da quelli troppo impervi e per loro impraticabili, quando potevamo pretendere da loro un ultimo sforzo e quando dovevamo accamparci perchè erano esausti. Tutte queste cose, noi le sapevamo ed eravamo convinti che qualsiasi umano fosse ferrato sui mezzi che usava per muoversi. Era stato così con i macchinisti della locomotiva che conoscevano tutto del marchingegno che guidavano. Era stato così per i ciclisti che sapevano come rimettere a posto una catena o gonfiare una ruota. Non fu così per gli automobilisti e non hai un'idea del nostro stupore di fronte alla loro abissale ignoranza su come fosse fatta la macchina che conducevano! All'inizio rifiutammo di crederlo: eravamo convinti che non dicessero niente per farci dispetto. Poi però ci rendemmo conto che neanche prendendoli a sganassoni c'era verso di cavargli niente di bocca, così capimmo che rimanevano in silenzio perchè non sapevamo un tubo di come funzionasse il motore. Rimanemmo disgustati di fronte a tanta ignoranza. A calci li spedimmo a sedere sull'erba e cercammo di comprendere da soli come funzionasse il motore. Smontavamo un pezzo per volta e osservavamo cosa cambiava, nel funzionamento dell'automobile, senza quell'elemento. I due idioti seduti sull'erba ci guardavano piangendo disperati. -
Che piangessero come fontane, a Integra sembrava perfettamente comprensibile: considerando il costo astronomico che dovevano avere quei primi prototipi di automobile, anche il più ricco magnate si sarebbe sentito spezzare il cuore vedendo quel branco di vampiri adulti e ragazzini umani affondare le mani nel motore svitandolo un pezzo per volta.
- E li abbandonaste così, a un miglio dalla città, con la macchina smontata? -
- Certo che no! Per chi ci hai preso? Per dei maleducati? Benchè fossero due idioti, ci avevano comunque fatto la cortesia di farci studiare un'automobile ed era giusto che li compensassimo del favore non mangiandoli e restituendogli la macchina per com'era. O almeno, il tentativo di restituirgliela per com'era lo facemmo, quanto poi ci riuscimmo non saprei dire. I marmocchi si stancarono presto di studiare il motore e utilizzarono i bulloni che avevamo svitato per giocare a biglie sul prato. Fra l'erba alta, fra che era buio, molti bulloni andarono smarriti e quindi alcuni pezzi del motore non eravamo in grado di riassemblarli. I nostri figli ne approfittarono e quei pezzi avanzati li infilarono nelle bisacce dei loro cavalli, come ricordo e come giocattoli. Per molte settimane si addormentarono abbracciati a quegli ingranaggi metallici come se fossero bambole o orsacchiotti. Comunque, anche senza quei pezzi, la macchina era in grado di accendersi e muoversi, così vi infilammo dentro i due babbei e li lasciammo andar via. Non assicuro che la carretta riuscì a portarli fino a casa però presumo che fino alle porte di Bucarest sia riuscita ad arrivare prima di defungere. -
Alucard continuò a giocare in silenzio. Pareva non avesse più niente da raccontare. Sir Hellsing riempì quel silenzio riflettendo su quanto che le aveva detto il servo. Tutto sommato, era obbligata a dargli ragione: crescere con dei genitori-vampiro non sembrava essere un evento particolarmente traumatico. Mettendo insieme tutte le tessere del puzzle, avrebbe definito l'infanzia dei Leoncini "sfrenata", "selvaggia", "confusionaria", non particolarmente peggiore di altre.
Fu a quel punto che la mente di Integra compì un volo pindarico, ripescando dalla memoria un passo del romanzo di Stoker in cui il Conte tornava al castello portando da mangiare alle sue spose un bambino rapito dal borgo vicino. Alucard le aveva detto che non tutto ciò che era scritto in quel libro corrispondeva a verità e la ragazzina si domandò se quel particolare non fosse un'invenzione dello scrittore, desideroso di rendere ancor più inquietante il personaggio di Dracula. Ad essere sincera, Sir Hellsing sperava con tutte le sue forze che il piccolo divorato fosse un'iperbole di Stoker e fu col cuore in gola che chiese:
- Mangiavate anche i bambini? -
- Con un adulto ci sfamavamo di più ma se non ne trovavamo, succhiavamo anche i ragazzini. -
Un moto di repulsione afferrò Integra che sentì il bisogno di allontanarsi più che potè dal servo. Alucard la lasciò agire senza scomporsi. In fondo, la comprendeva: neanche per lui era stata indolore la consapevolezza che Dio Abraham era lo stesso individuo che aveva ucciso le sue mogli.
- Avevate figli umani! Come potevate mangiare bambini umani? - chiese la ragazzina, la voce tremante d'angoscia.
Il tono del vampiro diventò indulgente davanti a tanto dolore:
- Hai mai pensato, my master, che un vampiro considera gli umani così come gli umani considerano il bestiame? -
Una pausa, per dare alla piccola il tempo di assimilare il concetto, poi Alucard riprese:
- Il fatto che alcuni animali vi suscitino talmente tanta tenerezza da trattarli come componenti della famiglia, non vi impedisce di considerare altri unicamente come cibo e mangiarli senza rimorsi. Quanti genitori umani smettono di mangiare vitelli o agnelli dopo la nascita dei loro figli, dicendosi che dopo tutto sono cuccioli innocenti quanto i loro bambini? Avere una discendenza umana, graziare degli umani che suscitano la nostra stima, non costringe un vampiro a sentirsi in obbligo verso l'intera specie umana. -
Razionalmente, Sir Hellsing comprendeva le parole del vampiro ma emotivamente non poteva accettarle. Alucard rimase in attesa infine, vedendo come la padrona non riuscisse ad uscire da quel silenzio addolorato, disse:
- Anche tu giocavi con le formiche, vero? Tutti i bambini lo fanno. Dimmi, cosa facevi?-
Integra non voleva rispondere. Intuiva dove il vampiro volesse andare a parare. Il servo però era ostinato e continuò ad incalzarla finchè la ragazzina uscì dal suo mutismo:
- Certe volte mi divertivo a schiacciarle tutte. Altre, portavo loro briciole di pane. Tutto dipendeva dall'umore della giornata. Capitava che cambiassi idea in corso d'opera. Arrivavo armata di intenzioni pacifiche, poi mi veniva a noia vederle arrancare con le molliche e cominciavo a torturarle. Buttavo acqua all'ingresso del formicaio per affogarle, oppure le rinchiudevo in una scatolina di plastica trasparente e le guardavo correre avanti e indietro impazzite dalla paura, cercando una via di fuga. Altre volte invece arrivavo decisa a schiacciarle tutte. Andavo avanti così per un pezzo, poi cominciavo a graziarne qualcuna, perchè provavo una pena improvvisa o perchè mi sembrava che quella formica in particolare meritasse di vivere più di un'altra, magari perchè per quanto m'impegnassi a pestarla, riusciva sempre a sfuggire alla mia suola, o perchè il gioco mi era venuto a noia o perchè non lo sapevo nemmeno io. -
Alucard sorrideva soddisfatto:
- Perfetto, non avrei saputo spiegarmi meglio. Master, sostituisci le formiche agli umani, metti al tuo posto me o qualsiasi altro vampiro e capirai il nostro modo d'agire. L'umanità non la amiamo nè l'odiamo: ci lascia indifferente e di conseguenza ci comportiamo. A seconda dell'umore della giornata, possiamo decidere di graziare tutti gli umani che incontriamo, andandocene a succhiare un animale, o possiamo decidere di compiere una carneficina superiore al nostro reale bisogno di nutrimento. E può anche capitare che cambiamo idea in corso d'opera. Dato che in questo momento sei particolarmente afflitta dall'idea che possiamo mangiare senza scrupoli anche i cuccioli d'uomo, l'unica consolazione che posso darti è che è capitato che col mio branco sterminassimo famiglie intere, salvo un bambino o una neonata. Perchè lui o lei sì e gli altri no? Chi lo sa! Perchè ci era venuto a noia il gioco, per un' improvvisa pena, perchè ci sembrava meritasse di vivere più degli altri benchè fossimo consapevoli che non ci fossero differenze fra il graziato e i suoi parenti, o ancora per un capriccio a cui non sapevamo dare risposta. Certe volte si trattava dei figli umani dei branchi di vampiri rivali che sterminavamo, altre erano i cuccioli delle prede umane che mangiavamo. In entrambi i casi non potevamo lasciarli dove si trovavano, sarebbero andati incontro a morte certa, così li portavamo con noi, affidandoli alla prima famiglia di servi che incontravamo sul cammino affinchè li allevassero. Restavano a vivere con i nostri sottoposti e in questo modo finivano per diventare anche loro miei servi e protetti. Ma immagino che tutto questo non ci farà comunque rientrare nella tua categoria dei "buoni".-
Pur nel suo turbamento, Integra non potè fare a meno di analizzare le parole del vampiro e si accorse di non comprenderle. Che portassero via i figli dei vampiri uccisi era ovvio: dei bambini non potevano certo sopravvivere da soli in un bosco o in un castello diroccato. Ma i figli delle prede umane, perchè li conducevano via? Perchè non li lasciavano continuare a vivere nel borgo in cui erano nati e dove certamente avevano dei parenti che potessero occuparsi di loro? Glielo chiese e Alucard spiegò:
- Non potevamo lasciarli dove avevamo compiuto la carneficina perchè una volta che gli altri umani del paese si fossero accorti di cos'era accaduto ai loro vicini, si sarebbero chiesti perchè proprio quel piccolo era sopravvissuto. C'era il rischio che lo considerassero un maledetto, uno che aveva venduto l'anima al diavolo per aver salva la vita e lo avrebbero messo al rogo senza rimpianti. Così non ci restava che issarci gli scampati in sella e portarli via. - 
Con i nervi a fior di pelle e l'emotività in subbuglio, Sir Hellsing non resse quella nuova rivelazione sulla crudeltà umana. La sua reazione fu di difesa e si concretizzò in uno sprezzante:
- Stai mentendo! -
Alucard non si scompose. Con calma, continuando a girare intorno al biliardo studiando l'angolazione migliore da cui colpire le biglie, disse:
- Sekure camminò al mio fianco per quarantotto anni prima di restare incinta di Marya. Sai cosa vuol dire questo? Che la mia compagna vide scorrere i decenni senza che nessun bambino arrivasse. Inizialmente, diceva che era un bene. Era convinta che due vampiri non potessero che generare un vampiro e siccome lei non aveva ancora accettato la sua nuova natura, affermava che meno mostri calcavano questo mondo, meglio era per tutti. Non la contraddicevo su ciò che poteva nascere fra due vampiri perchè non avevo esperienza in merito. Fino ad allora, avevo avuto a che fare solo con donne umane, Sekure era la mia prima vampira quindi mettevo in conto che potesse avere ragione, o che addirittura due vampiri non potessero generare niente. Ma su un particolare sapevo con certezza che la mia compagna sbagliava. Non era vero che fosse contenta di non avere figli. Ricordalo sempre, master: c'è una notevole discrepanza fra ciò che la gente dice e ciò che desidera realmente e Sekure non faceva eccezione. Mi dispiaceva vederla soffrire così una notte calai su una città, entrai nella casa di una famiglia addormentata, presi un bambino di due anni e me ne andai, per portarlo a Sekure. -
Il vampiro colpì una biglia rossa:
- Sin da quando glielo misi in braccio, Sekure cominciò a dire che avevo sbagliato perchè i figli delle donne devono stare con gli umani e non con i mostri. Non le diedi retta ma Sekure s'intestardì su quell'idea anche perchè il bambino piangeva e piangeva. Era normale, tutti i cuccioli, separati dalla madre, si disperano finchè non la dimenticano. Dicevo a Sekure di avere pazienza, dovevamo solo attendere che il marmocchio si affezionasse a noi e avrebbe smesso di frignare ma quella zuccona non voleva sentire ragioni e alla fine mi arresi alla sua volontà così una notte riportammo il bambino alla casa da dove l'avevo preso. -
La boccetta rossa correva sul velluto verde, rimbalzando da una sponda all'altra del tavolo.
- Ricominciammo a fare i briganti ma Sekure ripensava continuamente al marmocchio e una notte volle andare a rivederlo, per accertarsi che stesse bene. Ci intrufolammo nuovamente nella casa, cercammo dappertutto in mezzo ai dormienti ma del bambino non c'era traccia. C'erano i suoi fratelli, le sue sorelle, il padre e la madre ma non lui. Svegliammo i genitori, chiedendogli dove fosse il piccolo. Quando ci videro, ammutolirono dal terrore e occorsero un bel po' di ceffoni per fargli recuperare la parola. Ci dissero che la mattina in cui si svegliarono e non trovarono il figlio, lo cercarono con i vicini di casa per ogni dove. Erano certi che la sua sparizione fosse opera di una forza oscura perchè un bambino non poteva svanire così, senza che le sorelle e i fratelli che dividevano il suo stesso letto si accorgessero di nulla. Quando si erano arresi all'idea che non lo avrebbero rivisto mai più, una mattina si svegliarono e ritrovarono il figlio addormentato in mezzo agli altri. Ebbero paura che chi l'aveva rapito e riportato potesse aver fatto un maleficio sul marmocchio, una magia che avrebbe portato disgrazia sul resto della famiglia, così lo condussero da un frate esorcista, perchè lo purificasse. Il frate calcò un po' troppo la mano nella conduzione del rito di esorcismo e finì per annegare il bambino nella tinozza d'acqua che avrebbe dovuto mondarlo. -
La biglia rossa, dopo tanto vorticare, colpì finalmente la biglia bianca.
- Dopo che Sekure ascoltò questa storia, uscì diretta al convento del monaco e la seguii. Trovammo il frate e Sekure lo torturò per parecchie ore prima di ucciderlo. Non volle bere neanche una goccia del suo sangue, affermando che le faceva schifo l'idea di assaggiarlo. Lo inghiottii io, mi dispiaceva sprecare il buon sangue di un tizio ben pasciuto. Da quella notte, finalmente, Sekure smise di vergognarsi della sua nuova natura e di rimpiangere di non essere più umana. Aveva capito che fra mostri e persone non ci sono molte differenze, il livello di crudeltà è analogo e imparò ad inghiottire gli umani senza più sentirsi in colpa. -
La biglia bianca, dopo essere rimbalzata fra le sponde ed essersi scontrata contro le altre palline, terminò la sua corsa in buca. Il silenzio all'interno del salone era denso e vischioso come colla.
- Per questo, con le Leonesse, portavamo via i bambini che graziavamo. Sapevo con certezza che sarebbero stati uccisi se li avessimo lasciati nel borgo in cui erano nati. Così è, master. Che tu l'accetti o meno, non mi tange. - concluse il vampiro, mettendo fine alla conversazione.
Un tirar su col naso gli fece capire che la piccola Sir stava piangendo. Alucard non si mosse nè si girò verso la ragazzina. Capiva che la padrona si sarebbe mortificata, vedendosi scoperta in lacrime dal sottoposto. Proprio per non correre questo rischio, Integra uscì da salone del biliardo, dirigendosi in camera propria. Alucard la guardò allontanarsi con una pena improvvisa nel cuore. Quante cose aveva ancora da imparare quella master in erba!


1)Nel suo romanzo, tutto ciò che Stoker dice delle spose di Dracula è che due avevano i capelli neri e il naso aquilino e la terza era bionda e con gli occhi azzurri. A parte questo, buio totale. Come si chiamavano? Com'erano divenute vampire? Stoker non ce lo rivela, riducendole a un semplice terzetto di comparse.
Se per Stoker si trattava di personaggi quasi senza importanza, sulla mia fantasia invece queste tre donne hanno esercitato una curiosità notevole. Sono le uniche persone in tutto il libro verso cui il Conte Dracula dimostra affetto e scusate se è poco :D ! Ho così sbrigliato la fantasia per ricreare un passato alle Leonesse di Alucard. Ho preferito evitare di dar loro un nome perchè so che in circolazione esistono almeno un paio di film in cui compaiono le spose di Dracula e mi sono detta che se fra voi c'è qualche fan di quelle pellicole, se lo desidera può chiamare le tre vampire con i nomi che sono stati appioppati loro in quei film. Se invece non siete fan...oh, bè, chiamatele pure con i nomi che più vi piacciono. Per quel che mi riguarda, dopo aver spulciato un corposo elenco di nomi femminili rumeni, nella mia fantasia le ho ribattezzate Ruxandra, Stanca e Paula. Sempre nelle mie perverse fantasie, le mogli more sarebbero la prima e la terza Leonessa mentre la bionda sarebbe la seconda consorte.
Presumo che chi ha sempre immaginato Dracula e le sue spose come quattro aristocratici che facevano la bella vita in un elegante castello saranno rimasti spiazzati davanti all'esistenza "tribale" che faccio loro condurre in questo capitolo. Io però è così che li vedo: non quattro vampiri eleganti e raffinati ma quattro predatori che agiscono e ragionano da predatori, molto simili ad un branco di leoni.
2)Qual'è il castello di Dracula? Domanda da un milione di dollari :D. Probabilmente il castello del Conte non esiste, nel senso che Stoker l'ha "creato" attingendo da particolari presi da vari palazzi costruiti da Vlad III (le dimensioni dal castello di Bran, la posizione in cima a una montagna dalla fortezza di Poienari...). Siccome però ci tenevo a dare ad Alucard una tana reale e tangibile, ho deciso di farlo risiedere per tutta la durata del suo passato di Conte nella fortezza di Poienari che fra tutti i castelli di Vlad III è quello che, per quanto spartano, mi affascina maggiormente. Se non la conoscete, in questo filmato parlano brevemente della fortezza di Poienari http://www.youtube.com/watch?v=678K27k7olU





 
  
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