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Autore: Martolinsss    22/12/2013    9 recensioni
-Non mi toccare!- aveva urlato Harry con tutta la voce che aveva nel suo debole corpo, un misto di paura e incomprensione, e disgusto, dipinto sul volto.
-Harry sono io, sono qui ora, va tutto bene!- Louis sussurrò, avvicinandosi per dargli un bacio. I suoi baci l’avevano sempre calmato, sempre. Ma questa volta Harry si scansò, inorridito alla prospettiva dell’imminente contatto e quasi cadde dal letto, nel disperato tentativo di mettere quanto più spazio possibile tra se stesso e le braccia protese di Louis.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VI



Louis amava dormire fino a tardi, ormai era risaputo, ma ogni tanto gli piaceva svegliarsi presto e andare da qualche parte, senza fretta,senza troppe aspettative, e camminare seguendo la linea del marciapiede, con la luce dei  lampioni ancora accesi a guidarlo e a fargli compagnia.

Il giorno in cui Louis scelse di dire basta era stato proprio una di quelle mattine. E c’è da dire che non fu un lungo processo, non fu un qualcosa che egli capì lentamente, passo dopo passo. Louis realizzò che doveva dire basta, che poteva dirlo, tutto di colpo, ma una volta che lo ebbe fatto, una volta che ebbe capito, si rese conto che in fondo lo sapeva da un bel pezzo. Forse perfino da sempre.

Lo sapeva dal momento in cui Harry lo aveva guardato con il terrore, e il disprezzo, dipinti negli occhi dall’altra parte di quell’ermetica stanza di ospedale. Dal momento in cui, seduti sul divano, gli aveva raccontato la loro storia, mettendoci tutto il carisma e la passione di cui era stato capace, ed Harry si era limitato ad ascoltare, come se fosse stato a teatro e i fatti che gli venivano presentati non lo riguardassero personalmente.

Ma soprattutto dal momento in cui Harry aveva sfiorato i fianchi, sussurrato nell’orecchio e riso spensieratamente aggrappandosi al braccio di un uomo che non era Louis.

Una volta che fu in grado di vedere la situazione per quella che era davvero, una volta che si fu tolto la maschera nera della speranza, Louis quasi volle ridere di se stesso. Ridere per il suo sincero ottimismo. Per la sua reale convinzione che prima o poi Harry si sarebbe ricordato di lui e che ogni cosa sarebbe tornata ad essere come prima.

Ovviamente c’erano state delle volte in cui non era stato così, dei rari e fugaci momenti in cui Louis si era trovato a chiedersi che cosa avrebbe fatto se fosse davvero finita. Chi avrebbe lasciato l’appartamento e chi avrebbe continuato a viverci. Chi si sarebbe tenuto la poltrona che fa i massaggi in salotto e chi avrebbe dovuto comprarne una nuova, perché nessuno dei due sapeva farne a meno.

Ma la cosa buffa era che in tutti quei possibili scenari che Louis si creava nella sua mente, per essere pronto all’eventualità che una cosa simile accadesse davvero, era sempre lui quello ad essere lasciato. Harry era il cattivo, che entrava in cucina una mattina e gli diceva che gli doveva parlare.

Erano di Harry la voce atona e gli occhi vuoti che gli dicevano che non riuscivano a ricordarsi la loro vita insieme e che non ce la facevano nemmeno a immaginarne una futura. Erano di Louis le labbra e le mani che tremavano, strette insieme nel suo grembo, schiacciate sotto il peso di una cascata di acqua fredda, di una colata di lava bollente.

Una rivelazione inaspettata che lo squarciò a metà, che ridusse in brandelli tutte le lenzuola immacolate sulle quali lui con così tanta cura aveva dipinto sogni e immagini di giorni futuri, che li aspettavano all’orizzonte, tenuti insieme dalla volontà di esserci, la responsabilità di scegliersi e il coraggio di restare.

Mai Louis aveva pensato che quegli occhi spenti, che quelle parole vuote sarebbero state le sue, ma ormai non c’era nient’altro da fare. Non c’erano più scuse, impegni da rispettare, scadenze da tirare in ballo per rimandare ciò che andavo fatto. Erano arrivati al punto in cui Harry era diventato così trasparente, e la sua presenza così fluttuante, irregolare e sfumata in quella casa, come quella di uno spettro, che forse non averlo lì del tutto, impedirgli fisicamente di tornare, sarebbe stato quasi un sollievo.

Louis sapeva che forse un giorno, magari neanche tanto lontano, si sarebbe pentito di questa sua scelta. Forse il giorno in cui sarebbero uscite sul giornale foto di Harry con un altro uomo, o peggio ancora con una ragazza. O il giorno in cui, tornando a casa dal lavoro dopo una giornata orribile, Louis avrebbe cominciato a lamentarsene subito dopo essersi chiuso la porta alle spalle, per poi fermarsi di colpo, con le chiavi ancora in mano, perché si era ricordato che non c’era nessuno ad aspettarlo e nessuno a cui interessava starlo a sentire.

Sarebbe successo prima o poi, sicuramente, e Louis si sarebbe sentito uno schifo, non avendo nemmeno possibilità di incolpare Harry per l’accaduto, ma ora come ora non gli importava.

Voleva solo farla finita, non tanto per il suo bene, per quello ci sarebbe stato tempo. Tempo per guarire, per rimettersi in piedi e ricordarsi che poteva, se solo lo avesse voluto, tornare ad amare qualcun altro, in un modo meno malsano e meno autodistruggente.

No, ora doveva agire per il bene di Harry. Perché vederlo prigioniero, tenerlo rinchiuso in quella gabbia d’oro che una volta era stata il loro nido, stava uccidendo Louis più di quanto lasciarlo andare avrebbe mai fatto.

Così Louis prese una decisione. Louis scelse di essere ancora una volta quello che amava di più ma che sapeva che doveva smettere, e così disse basta. E lo fece a modo suo, nel modo più delicato e silenzioso che gli riuscisse. Perché troppe lacrime erano già state versate, troppo sangue aveva lasciato uscire dalle sue ferite stupide, troppe notti era stato sveglio a pensare ad una vita che non aveva più motivo di esistere.

E non c’era più un secondo da perdere.

Le parole gli bruciavano sulla lingua, minacciavano di uscire ogni volta che prendeva fiato e Louis dovette fare uno sforzo per tenerle dentro mentre si avviava verso la loro camera. Ma Harry non era lì a letto come Louis aveva sperato e così si portò la mano alla bocca, per tapparsela, per tenere a bada quella verità, per farla tacere ancora per qualche secondo. Non manca tanto, le promise, camminando in direzione del bagno, dove il rumore dell’acqua corrente annunciava la presenza di Harry.

-Voglio che tu te ne vada- disse, senza nemmeno bussare, senza nemmeno salutare, senza nemmeno dargli il tempo di afferrare un asciugamano e coprirsi.

E una volta che furono pronunciate, una volta che quelle parole furono libere di spiegare le loro ali e librarsi nel vapore di quel bagno, Louis crollò in avanti, rimanendo in ginocchio, con il suo corpo che si accartocciava su se stesso, insicuro di che farsene di tutto quello spazio vuoto, ora che si era liberato di un peso così grande.

Harry pensò che Louis si sentisse male, che fosse stato colto da un attacco di nausea e così lo tirò su, afferrandolo dalle spalle, con forza ma anche con sincera preoccupazione, e lo aiutò ad accucciarsi di fronte al wc, spostandogli i capelli che gli si erano sparpagliati sulla fronte durante la caduta.

-Avanti Lou, cerca di vomitare, vedrai che poi ti sentirai meglio.-

Louis per tutta risposta si mise a ridere, ma il suono che uscì dalle sue labbra era talmente amaro e vuoto, che perfino lui stesso avrebbe avuto difficoltà a riconoscerlo come suo.

-L’unica cosa che può farmi stare meglio è che tu te ne vada da questa casa- rispose e poi ripeté ciò che aveva detto all’inizio –voglio che tu te ne vada, Harry. Ne ho bisogno.-

Harry aveva ancora le braccia avvolte attorno suo corpo esile, nel precedente tentativo di sostenerlo e farlo arrivare il più velocemente possibile al wc.

-Puoi non credermi, ma ormai stavo contando i giorni- Harry rispose, senza lasciarlo andare, ma anche senza guardarlo negli occhi. –Sapevo che ormai era questione di giorni, al massimo settimane, prima che mi avresti chiesto di andarmene.

Louis non rispose. Se ne stava lì, godendosi la sensazione delle forti braccia di Harry strette intorno a lui, consapevole che quella probabilmente sarebbe stata l’ultima volta.

-Se è per Daniel, ti giuro che non è successo niente. Non l’ho più rivisto dalla sera della festa. E non sono uscito con nessun altro, ti prego di credermi, Louis- Harry gli disse e la sua voce era poco più che un sussurro.

-Proprio non capisci, Harry. Il punto non è se c’è qualcun’altro, il punto è che non ci siamo più noi. Devi andare via, Harry. È l’unico modo-

-Non possiamo lasciarci. Cosa diremo, sarà uno scandalo…-

-Ti prego Harry, non rendere le cose più difficili. È dura anche per me.-

-Se è dura anche per te allora non farlo. Non chiedermi di andare via.-

-Lo sai che non vorrei- rispose Louis e per la prima volta da quanto aveva iniziato a parlare, la sua voce si incrinò- ma non mi hai lasciato altra scelta. Non c’è altra scelta, non c’è altra soluzione se non questa.-

-Se mi allontano da te, ti perderò del tutto. Se me ne vado da questa casa, non recupererò più la memoria.-

-Tu non hai bisogno di recuperare la memoria, Harry. Tu non hai dimenticato chi sei, da dove vieni o chi sono i tuoi genitori. Non hai dimenticato il tuo primo bacio, il tuo gusto preferito del gelato o la marca del motorino che ti sei comprato quando hai compiuto sedici anni. Solo, non ti ricordi di me. E dobbiamo smettere di illuderci che un giorno lo farai. Vai a casa, Harry, non c’è più motivo che tu rimanga qui.-

Harry scuoteva la testa e sembrava un bambino spaventato, al quale la maestra aveva appena detto che la sua mamma non sarebbe venuta a prenderlo a scuola quel pomeriggio.

Louis dovette contenersi, perché era troppo forte la voglia di stringerlo a sé, di pregarlo di dimenticare ciò che era appena successo e tornare a vivere in quella terza dimensione, in quell’esistenza sospesa e parallela, che per gli ultimi tre mesi avevano chiamato vita. Louis avrebbe voluto consolarlo, mettere fine alla sua sofferenza, ma non poteva mollare, non ora che ce l’aveva quasi fatta.

-Harry guardami ti prego-

-Non ci riesco-

-Almeno dimmi che hai capito. Dimmi che hai capito perché lo sto facendo e che è la cosa giusta per entrambi.-

-L’ho capito, ma questo non significa che sarà semplice accettarlo.

-Mi dispiace, ma non so cos’altro fare. Ti giuro che ci ho provato Harry, ci ho provato davvero a farti vedere com’era vivere insieme. Ci ho provato a farti usare i miei occhi, affinché tu capissi, affinché tu ricordassi, ma non è bastato e io sono stanco di continuare a cercare una scusa per tenerti qui con me. Non si resta a forza nella vita delle persone Harry, mi dispiace solo di averla tirata avanti per così tanto tempo.-

Harry allentò la presa intorno alla vita di Louis per sollevare un braccio e sfiorargli piano il viso. Si prese qualche secondo per accarezzargli la linea della mascella, facendo poi scorrere il polpastrello del suo dito lungo gli zigomi e infine andò a ridisegnargli la curva delle guance.

-Tutto ciò che hai detto è giusto, su una cosa però ti sbagli. Quando prima ti ho detto che stavo contando i giorni perché sapevo che questo sarebbe successo, ero sincero. Non è vero che non me ne sono accorto, non è vero che non ho capito che mi stavo allontanando da te, non è vero che non sapevo quanto male ti stavo facendo. Solo, non sapevo cosa fare, come fermarlo, e in quella mia stupida incapacità, sono rimasto a guardare, nella speranza che le cose si sarebbero sistemate da sole, nella speranza che il tuo amore sarebbe bastato per tutti e due. Non ho saputo fermarti, non ho saputo allungare la mano e prenderti, non ho saputo tenerti fermo mentre ti buttavi giù dal burrone per salvare me. E non me lo perdonerò mai.-

-Non c’è nulla da perdonare, Harry. Non è colpa tua se non ti ricordi. Se non mi ricordi. Non lo è mai stata. Nessuno sa perché è successo, perché hai dovuto dimenticare proprio me tra tutti, ma ci deve essere un motivo e, qualsiasi esso sia, non possiamo più andare avanti ad ignorarlo. Non con tutto il male che ci siamo fatti e che stiamo continuando a farci-

-Sono così stanco di deluderti, Lou-

-Non dire così. Hai fatto del tuo meglio, ora ti puoi riposare.-

-Era iniziato tutto in un bagno- Harry disse, ormai rassegnato- e ora in un bagno tutto sta finendo-

Louis non sapeva chi aveva cominciato a piangere per primo. Non sapeva più se era lui a consolare Harry o se era Harry a consolare lui.

Rimasero lì, intrecciati sulle piastrelle a quadretti azzurri e bianchi del bagno, per un tempo che sembrava infinito, mormorando scuse e dando voce ai propri ricordi e rimpianti.

Infine Harry si alzò, dopo un ultimo sguardo, dopo un’ultima carezza e uscì da quella stanza. Louis si ritrovò solo e fu solo grazie al nuovo silenzio che si accorse che il getto dell’acqua aveva continuato a scorrere per tutto quel tempo. Senza pensarci due volte, si liberò dei vestiti e vi ci tuffò sotto.

Prima di conoscere Harry, Louis amava ballare sotto la doccia.

Quando Harry aveva fatto parte della sua vita, ogni volta che faceva la doccia, Louis desiderava che Harry fosse lì con lui.

Quando Harry era entrato in coma, Louis si sedeva sul fondo della doccia e piangeva.

Quando Harry era tornato a casa, Louis faceva la doccia così velocemente che non c’era tempo per ballare, per pensare o per piangere.

Chiudendo il rubinetto dell’acqua, quella mattina Louis pensò che le persone possono invadere ogni parte della tua vita, persino le più piccole, senza che tu te ne accorga e che capirai quanto ti sfiniva tenerle con te solamente quando ti troverai a ballare ancora sotto al getto rigenerante dell’acqua, chiedendoti perché mai tu abbia smesso di farlo.

Louis non era uno stupido. Sapeva che sarebbe passato molto tempo prima che avrebbe ricominciato a ballare, se mai avesse reimparato a farlo.

Per ora si accontentava di stare in equilibrio, di ricominciare a camminare a piccoli passi, ogni volta un po’ più sicuri, un po’ più decisi. Forse senza Harry non sarebbe mai più stato in grado di ballare, di correre, di amare, ma doveva provarci. Dopotutto, glielo doveva.

Lo doveva all’unica persona che sarebbe mai riuscito a chiamare amore.

Perché per ogni luce che Louis spegneva, per ogni fiore di cui non sapeva più riconoscere il profumo, per ogni secondo della sua vita che passava senza essere pienamente vissuto, per ogni alba che rifiutava di guardare, per ogni piccola parte di lui che ogni giorno moriva, Harry cresceva, diventando più libero, più forte.

E nient’altro, nel suo cuore scheggiato a vita da un amore che stava annegando nel suo stesso trionfo, aveva più importanza di quello.


 
♦♦♦♦♦
 

Il giorno che Harry se ne andò da quell’appartamento, Louis non era lì a guardarlo fare la valigie. Aveva detto che andava a stare a casa di Niall per un paio di giorni ed Harry ne era stato sollevato e deluso allo stesso tempo.

Sollevato perché non voleva che Louis lo vedesse piangere tirando fuori dai cassetti maglioni e calzini che condividevano da così tanti anni che gli sembrava di stare portando via una parte dell’arredamento. Deluso perché forse quella era stata la sua ultima occasione per fargli cambiare idea e, mentre si guardava per l’ultima volta intorno in cerca di pezzi di vita che avesse dimenticato, capì che era davvero finita.

Che quella era la parola fine, il punto di non ritorno. Che una volta varcata la soglia, con le valigie in mano, e chiudendo la porta, senza avere in tasca le chiavi per potenzialmente riaprirla, sarebbe stato eliminato del tutto. Come un file sul computer che non serve più e viene trascinato nel cestino, quello era il momento in cui lui cessava di esistere.

Il momento in cui lui cessava di essere parte del binomio Harry&Louis, per tornare ad essere solo Harry, okay pur sempre Harry Styles, cantante milionario e conosciuto in tutto il mondo, ma in fondo solo Harry, ventun’anni, un buco nella memoria e nessun posto, o persona, da chiamare casa.

Si era appena infilato il cappotto ed era pronto ad uscire, quando un dettaglio catturò la sua attenzione ed Harry non riuscì a trattenersi. Si incamminò verso il divano e poi vi ci si inginocchiò davanti ed estrasse il telecomando che era conficcato a fondo nella piega tra i due cuscini.

Se lo rigirò tra le mani, sorridendo come un idiota, perché Louis lo dimenticava sempre lì, ogni sera, e il giorno dopo impazziva perché non lo riusciva a trovare. Lo appoggiò sul tavolino di fronte alla tv e si chiese se, quando Louis lo avesse afferrato, avrebbe capito che ce lo aveva messo lì lui e se avesse trovato il suo gesto gentile o se stava invadendo una privacy, un’intimità, che ormai non gli apparteneva più.

Sospirò, dando un’ultima sistemata ai cuscini, quando un dolore allucinante gli fece ritrarre di scatto la mano, come se si fosse bruciato. Sì alzò in piedi e si avvicinò agli occhi il mignolo della mano sinistra, sul quale era apparso un piccolo taglietto. Succhiò velocemente il sangue che si era accumulato sul polpastrello e poi si mise alla ricerca di ciò che gli aveva provocato quella piccola ferita.

Era il libro che aveva visto Louis leggere durante le ultime due o tre settimane. Ogni volta che erano stati a casa, lo aveva avuto tra le mani, come se non si stancasse mai di rileggerlo o continuasse a cercare tra quelle pagine consunte un particolare che gli era sfuggito.

Harry ne accarezzò con l’indice il dorso, come per distendere le pieghe che vi si erano formate per tutte le volte che era stato letto. Dopo qualche secondo si accorse che l’angolo esterno di una delle pagine era ripiegato su sé stesso e così Harry lo aprì, incuriosito da cosa avesse spinto Louis a segnarla, a volerla distinguere da tutte le altre.

La pagina sarebbe stata completamente bianca se non fosse stato per una poesia, neanche tanto lunga, impressa sulla carta in un corsivo elegante e in un inchiostro nero e lucente, che sembrava farsi beffe del trascorrere del tempo.

Harry cominciò a leggere e ogni minima speranza di non crollare, di uscire da quella casa con dignità, gli morì in gola.


Dopo un po' impari la sottile differenza
fra tenere una mano ed incatenare un'anima


e impari che l'amore non é appoggiarsi a qualcuno
e che la compagnia non significa sicurezza


e inizi ad imparare che i baci non sono contratti
ed i doni non sono promesse


e cominci ad accettare le tue sconfitte a testa alta e con gli occhi aperti,
con la grazia di un adulto, non col dolore di un bambino


e impari a costruire le tue strade oggi
perché il terreno del domani é troppo incerto per fare piani.


Dopo un po’ impari che il sole scotta se ne prendi troppo.

Perciò pianti il tuo giardino e decori la tua anima,
invece di aspettare che qualcuno ti porti fiori.


E impari che puoi davvero sopportare,
che sei davvero forte
e che vali davvero.


E impari
e impari.


Ad ogni addio, impari...


Ogni singolo verso di quella poesia, ogni singola parola, fu una coltellata, ma ciò che ridusse Harry in granelli di polvere furono le sottolineature di Louis.

Il modo in cui aveva quasi bucato la carta con la punta della matita, come se evidenziare quelle parole potesse dare loro vita, rendere più vero e dare un senso, una spiegazione concreta, tangibile e accettabile al suo dolore.

Harry richiuse il piccolo volume e con cura, quasi timore, lo rimise nella piega tra i due cuscini, perché a differenza del telecomando, non voleva che Louis sapesse che lo aveva trovato.

-Non preoccuparti- disse ad alta voce, come se Louis potesse essere lì a sentirlo –non preoccuparti per avermi mandato via. Sono arrivato alla conclusione che, senza di me, starei meglio anch’io.-

Poi si alzò, uscì da quella casa e si mise a camminare sul marciapiede, con le mani strette a pugni affondate nelle tasche del cappotto, schivando l’allegria e la spensieratezza della gente che incrociava.

Dopo qualche minuto si fermò e una lacrima gli colò all’interno del maglione, andando ad inumidire il colletto della sua camicia.

Poi alzò gli occhi verso il cielo e, parlando con qualcuno della cui esistenza non era nemmeno del tutto certo, chiese perché.

Lo chiese e lo richiese, perché voleva una risposta.

Voleva che qualcuno lo ascoltasse e gli spiegasse come fosse possibile che un amore passato, che non gli apparteneva più e di cui non aveva nessun ricordo lo stesse toccando e facendo sgretolare così.

Ma nessuno rispose.


 

Spazio autrice:

Buonasera a tutti!
Innanzitutto mi scuso per il ritardo imbarazzante, ma tra il vivere in Inghilterra e il preparare la domanda di iscrizione per l'università davvero non ho avuto tempo da dedicare alla scrittura! Ora sono tornata in Italia per le vacanze di Natale e appena ho potuto mi sono messa a scrivere!
Devo dire che sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo, nonostante sia parecchio drammatico e io lo ritenga di fondamentale importanza per il proseguimento della storia. Visti i miei impegni, non penso che questa storia supererà i dieci capitoli, quindi avevo bisogno che la separazione avvenisse il prima possibile, per poi potermi dedicare a descrivere come i due affronteranno la separazione, eccetera eccetera :)
Ringrazio come sempre tutti quelli che leggono e invito questa volta più che mai a lasciarmi un commento, che fosse anche solo di una riga, perchè ora più che mai, visto che non aggiornavo da tanto, ho bisogno di sapere cosa ne pensate e che non ho perso la gran parte dei (già scarsi) lettori che avevo!
La poesia inserita in questo capitolo è di Veronica A. Shoffstall!
Spero davvero il capitolo vi sia piaciuto che non mi ci vorrà un altro mese per mettere il prossimo!
Per ogni cosa mi trovate su twitter: @martolinsss
Un bacione a tutti e buon Natale!!

Marta
   
 
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