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Autore: 9Pepe4    24/12/2013    8 recensioni
Il Maestro Qui-Gon Jinn non ha nessuna intenzione di prendere un nuovo apprendista… Ma l’incontro con Obi-Wan Kenobi, un Iniziato di sette anni, potrebbe cambiare le cose.
Peccato che il passato, in un modo o nell’altro, trovi sempre la maniera di fare lo sgambetto al presente.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Obi-Wan Kenobi, Qui-Gon Jinn, Yoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14 – Nihilo

***

Il secondo apprendista di Qui-Gon era seduto al tavolo con le braccia conserte, la testa piegata all’indietro e gli occhi chiusi.
Fuori, il cielo di Coruscant stava imbrunendo, ma le miriadi di luci artificiali rendevano impossibile vedere le stelle.
Qui-Gon passeggiava piano per l’area comune dell’alloggio, tenendo una tazza di tisana calda tra le mani.
Improvvisamente, il ragazzo raddrizzò il capo e aprì gli occhi. «È sciocco» dichiarò.
L’uomo si girò a guardarlo. «Che cosa?»
«Mandare su Nihilo degli Iniziati di neanche nove anni» replicò l’allievo.
A quella replica, Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio. «E perché mai?»
Lui poteva anche essere in disaccordo con molte decisioni del Consiglio, ma portare in gita gli Iniziati non gli sembrava affatto riprovevole.
«Arte» sillabò in risposta il suo apprendista. «Su Nihilo vivono alcuni artisti straordinari».
«Ne ho sentito parlare» ammise l’uomo.
«Ecco» puntualizzò il ragazzo. «Se non fossi stato solo un marmocchio, quando ho visto quel pianeta, avrei potuto apprezzare meglio la cosa».
Qui-Gon si concesse un istante di silenzio, mescolando piano l’infuso col cucchiaino. «Se vuoi» propose poi, «potremmo cercare di andare a visitarlo, nei prossimi mesi».
Il ragazzo lo guardò con incredulità. «Se voglio? Visitarlo?»
«Sì» confermò il Maestro Jedi. «Potremmo chiedere qualche giorno di permesso e…»
«Ma per favore» sbuffò il suo apprendista, alzandosi in piedi. «Siamo Jedi. Non possiamo mai fare ciò che vogliamo».
Davanti a quell’affermazione, tanto impietosa quanto inesatta, Qui-Gon non poté fare a meno di accigliarsi.
Prima che lui potesse ribattere, però, il ragazzo attraversò la stanza a passo deciso, andando a chiudersi nella propria camera da letto.

***

Nihilo era scarsamente popolato.
Siccome i nativi del pianeta si erano trasferiti su altri sistemi più ospitali, gli abitanti erano in stragrande maggioranza Umani immigrati.
La civilizzazione – osteggiata da piante dalla ricrescita rapida e dalla fauna prosperosa – si era adattata alla natura, anziché combatterla, e si era limitata a ritagliarsi una cittadina in una valle tranquilla.
Suddetta città era poco più di un paese: non poteva vantare che alcune case, un paio di mercati e qualche bottega. Ai suoi limiti, si trovava una zona industriale, ma era in disuso da tempo… Qui-Gon ricordava che stava già cominciando a chiudere i battenti quando lui era stato su Nihilo come Iniziato.
Dalla cabina di pilotaggio, vide che il pianeta non era cambiato molto: il verde delle zone boscose sembrava inghiottire avidamente ogni centimetro di terra libera, e la città spiccava come una macchia color ocra.
Il pilota che lo accompagnava era un uomo molto loquace. Durante il viaggio, aveva trovato il tempo di illustrargli per filo e per segno come i pochi abitanti di Nihilo riuscissero a sostentarsi grazie all’arte e al turismo.
«Anche se di solito» aveva aggiunto, grattandosi una guancia, «in questo periodo dell’anno non ci va nessuno».
Qui-Gon aveva annuito con cortesia, tralasciando di spiegare che era proprio per quello che gli Iniziati vi erano stati portati in quei giorni.
Ai Jedi, la sola idea di condurre i loro piccoli allievi in mezzo ad una calca di gente… piaceva molto poco.
Su Nihilo, i luoghi dov’era possibile atterrare non erano molti. Per fortuna, il pilota diede prova di non essere bravo solo a chiacchierare, ma di saper anche manovrare con abilità la propria astronave.
Dopo aver lasciato Qui-Gon sul pianeta, ripartì alla volta di Coruscant.
Forse sarebbe stato comodo, avere un’astronave a portata di mano… Ma per la solita mancanza di spazio, era improponibile che una navicella spaziale attendesse su Nihilo mentre il Maestro Jedi compiva le proprie indagini.
Per comodità, Qui-Gon avrebbe alloggiato nella medesima locanda in cui si trovavano gli Iniziati e i loro accompagnatori.
Si trattava di un edificio a tre piani, con molte finestre e qualche balconcino.
Quando arrivò il Maestro Jedi, il proprietario – un uomo sulla quarantina, con capelli neri corti e brizzolati – lo accolse piuttosto giovialmente.
Si chiamava Jon Tar, e a Qui-Gon piacque immediatamente per le sue maniere cordiali e per la sua espressione franca e affidabile.
Nell’ingresso della locanda, si trovava la reception, con un bancone lucido dietro il quale davano mostra di sé le chiavi elettroniche inutilizzate… Di fronte al bancone, si apriva una porta, mentre più avanti si poteva vedere il breve corridoio che conduceva alla sala da pranzo, nonché le scale che portavano ai piani superiori.
«Gli altri Jedi hanno portato i ragazzini a fare un giro» lo informò il proprietario. «La Maestra Sin-Mara Yula ha lasciato detto che saranno di ritorno questa sera».
Dopodiché, gli porse una chiave.
«Se volete sistemarvi…»
Dopo averlo ringraziato, Qui-Gon si recò nella propria camera. Era una stanzetta modesta, con un letto comodo, una cassettiera, una poltrona, una sedia e una scrivania…
L’uomo andò a sedersi cautamente sul materasso, dopodiché protese i sensi.
A causa della presenza degli Ysalamiri, la Forza sembrava ottenebrata ed elusiva. Appena sbarcato, Qui-Gon aveva avvertito un marcato disagio, ma si era adattato in fretta alla situazione.
Improvvisamente, si chiese come poteva aver reagito Obi-Wan.
Per un istante, riuscì quasi a vederlo: un bambino gracile, dai capelli ramati, che fissava come ipnotizzato verso la boscaglia… Su un ramo, un lucertolone dalle zampe tozze e le squame di un marrone giallastro ricambiava lo sguardo dell’Iniziato con i suoi occhietti lucidi.
O era più probabile che, davanti ad un Ysalamiri, Obi-Wan avrebbe serrato le labbra in un’espressione astiosa?
Dopotutto, quegli animali ostacolavano il suo legame con la Forza…
Qui-Gon scosse la testa, e si costrinse a mettere da parte quei pensieri. Invece, passò a riordinare le informazioni che aveva sulla propria missione.
Su Nihilo – come il suo secondo allievo aveva sottolineato in un giorno ormai lontano – vivevano alcuni artisti famosi in tutta la galassia… Una buona parte delle loro opere, secondo ciò che sapeva Qui-Gon, valevano più soldi di quanti ne occorressero per comprare uno schiavo su remoti pianeti dell’Orlo Esterno.
Il nome di uno di questi artisti era Fja Larr… Ed era stata la sua casa ad essere rapinata.
Qui-Gon si massaggiò appena le tempie… La buona notizia, era che molto probabilmente il ladro era ancora sul pianeta.
Ciò che assillava l’uomo, però, era un’altra questione.
Perché il Consiglio aveva ritenuto opportuno inviare un Maestro Jedi a risolvere un banale caso di furto?
Forse si sbagliava, ma gli sembrava che ci fosse lo zampino di Yoda…
Un discreto bussare alla porta lo distolse da quei pensieri.
Era il locandiere. «Maestro Jinn? Il signor Larr è qui. Vorrebbe parlare con voi».
Qui-Gon sbatté le palpebre. Secondo quanto pattuito, lui avrebbe dovuto recarsi a casa dell’artista quella sera…
D’altro canto, se poteva evitare di trascorrere un pomeriggio a non far nulla…
«Bene».
L’uomo fece per uscire dalla stanza, ma il proprietario della locanda lo fermò con un gesto e un lieve sorriso. «Vado a chiamarlo. Voi aspettate pure qui».
Qui-Gon lo ringraziò con un cortese cenno del capo, e l’uomo scomparve nel corridoio.
Poco dopo, fu di ritorno, accompagnato da un’altra persona.
Fja Larr era un uomo abbastanza robusto, dagli occhi verde chiaro e i capelli biondi. Aveva mani molto belle, affusolate, con dita lunghe e sottili.
«Il Maestro Jinn?» chiese, in tono indagatore.
Qui-Gon annuì. «Sono io».
Dopo una vigorosa stretta di mano, lo invitò ad entrare.
«Se volete accomodarvi…»
Larr accettò l’invito con prontezza, mentre il locandiere li salutò e tornò alle sue mansioni.
«È un posto carino» fu il commento dell’artista, non appena furono soli.
Qui-Gon diede un’occhiata alla stanza. «Lo è. Allora…» esordì, con un cenno che incoraggiava Fja Larr a sedersi sulla poltrona. «Credevo non vi avrei visto prima di stasera».
L’uomo biondo ignorò la poltrona e andò ad accomodarsi con nonchalance sul materasso. «Lo so» rispose, accavallando le gambe e posando le mani in bella vista sul ginocchio. «Ma ho pensato fosse necessario un cambio di programma».
Qualsiasi membro del Consiglio, certamente, avrebbe concordato sul fatto che Qui-Gon era uno specialista dei cambi di programma.
In quel momento, però, l’uomo pensò che un simile preambolo non prometteva nulla di buono.
«Ovvero?»
«Be’…» Larr tamburellò le dita sulla propria gamba. «Non credo sia… opportuno, ecco… che voi esaminiate casa mia».
Qui-Gon inarcò un sopracciglio. «Scusatemi?»
«Sarebbe una perdita di tempo» asserì l’altro. «Sono certo che il ladro non abbia lasciato alcuna traccia».
«Mi permetto di dissentire».
«Ma siete al mio servizio, no?» replicò Larr. «Il cliente ha sempre ragione».
«Quando si è in un bar, forse» rispose Qui-Gon, obbligandosi a mantenere un tono di voce paziente. «Se volete che io ritrovi ciò che vi è stato rubato, però, dovete lasciarmi fare il mio lavoro. E questo comprende anche esaminare casa vostra».
«Oppure» disse Larr, «potete partire da un’altra pista».
Calma, si disse Qui-Gon. Calma. «Vale a dire?»
«C’erano dei droidi, a sorvegliare le mie opere» rispose l’altro. «E mi sono stati rubati anche quelli… Qui», e si sfilò di tasca un chip di memoria, «ci sono tutti i dati che li riguardano. Forse potete rintracciarli».
Qui-Gon prese il chip. «Può essere».
Immediatamente, Larr si aprì in un sorriso enorme. «Eccellente» si rallegrò, alzandosi in piedi, «allora la faccenda può dirsi sistemata».
Si diresse verso la porta, premette la mano sul pulsante per aprirla.
«Fatemi sapere come procedono le indagini».
Qui-Gon mosse un passo verso di lui. «Signor Larr, questo chip non toglie che dovrei controllare casa vostra».
L’uomo si bloccò, un piede già fuori dalla stanza, e si girò a guardarlo. «Non toglie nemmeno che io preferirei di no».
«Io ho un buon motivo per volerlo fare» osservò Qui-Gon, con calma.
Larr indugiò, andando a posare una mano contro lo stipite della porta. «Non siete l’unico con un buon motivo».
«Voi il mio lo conoscete» replicò Qui-Gon. «Potete dirmi il vostro?»
L’uomo non rispose subito, distogliendo lo sguardo da quello del Jedi. Dopo qualche istante, tornò ad incrociare i suoi occhi. «È un motivo… personale» affermò. «Delicato».
Come risposta era ambigua, ma Qui-Gon ebbe l’impressione che Larr fosse sincero. «Vi ascolto».
La mano dell’artista si serrò appena sullo stipite. «Si tratta di mia moglie» cedette alla fine. «Ha avuto… un problema di salute. Vorrei darle un po’ di tranquillità».
Qui-Gon sbatté le palpebre. Rimase in silenzio per un istante. «Un paio di giorni?» domandò infine.
L’artista annuì, rivolgendogli un sorriso. «Poi potrete esplorare la mia casa da cima a fondo».
Sentendosi decisamente stanco, l’uomo soppesò quel compromesso.
Sapeva che, dal punto di vista della sua missione, non era un grande affare.
Normalmente, dopo una richiesta simile, avrebbe pensato che Fja Larr avesse inscenato l’intero furto, così da incassare i soldi di un’eventuale assicurazione.
Ma era proprio quello il punto. Secondo le sue informazioni, le opere di Larr non erano per niente assicurate.
Quindi lui cosa avrebbe potuto guadagnarci?
Un po’ di notorietà?
Effettivamente, sembrava il tipo di persona a cui piace stare al centro dell’attenzione, ma allo stesso tempo…
«Molto bene» sospirò Qui-Gon, cercando di non sentirsi irritato nei confronti dell’artista.
Preferiva fidarsi del proprio istinto, non delle regole.
«Un’ultima cosa» chiese.
Larr lo guardò. «Sì?»
«Avete richiesto voi l’intervento dell’Ordine Jedi?»
L’artista si strinse nelle spalle. «Be’, sono opere di immenso valore» disse. «Sapete, subito mi è stato suggerito di rivolgermi a qualcun altro, ma poi mi hanno ricontattato e detto che avrebbero mandato qualcuno…» Sorrise ampiamente. «Ed eccovi qui».
Qui-Gon dovette impegnarsi per non accigliarsi. Lo zampino di Yoda sembrava esserci davvero.
«Per curiosità, avevate mai avuto a che fare con l’Ordine Jedi, in passato?» domandò, cercando di venire a capo della questione.
L’artista aggrottò la fronte, poi fece spallucce. «No, be’, non particolarmente».
Non particolarmente?
«Grazie per la vostra disponibilità, comunque, se avete bisogno di altre informazioni potete…»
«Farmi visita?» ironizzò Qui-Gon.
Una parte di lui pensò che, probabilmente, Obi-Wan avrebbe detto proprio così.
Larr sorrise di nuovo. «Contattarmi».
Su quella nota, uscì dalla stanza e si allontanò lungo il corridoio.
La porta si richiuse con un sibilo e Qui-Gon, rimasto in piedi in mezzo alla propria camera, abbassò lo sguardo sul chip di memoria che stringeva nel pugno.
Decise di darci subito un’occhiata, e lo inserì nel proprio datapad.
A quel che pareva, i droidi rubati erano facilmente riprogrammabili e, siccome erano perfettamente capaci di brandire un’arma, erano anche potenzialmente pericolosi.
Non per un Jedi, certo, ma per un comune cittadino non sarebbero stati uno scherzo.
L’uomo si massaggiò le tempie. Un’addizionale buona notizia, insomma.
Per il resto del pomeriggio, Qui-Gon esaminò i dati sui droidi, riportando alla mente tutte le lezioni di programmazione e meccanica del Tempio… Ma non gli sembrava che fossero rintracciabili.
Studiò anche una piantina della città, e rilesse le informazioni relative al furto.
Si rese conto di quanto tempo era trascorso solo quando una donna arrivò a chiedergli se voleva scendere a cena.
Qui-Gon rifiutò cortesemente, sebbene sapesse che sarebbe stata un’occasione per vedere Obi-Wan.
La pista dei droidi non era così buona come Fja Larr sembrava credere, e il Maestro Jedi iniziò a chiedersi se lasciar passare due giorni non fosse troppo.
La notte lo trovò ancora seduto alla scrivania, intendo a ragionare sulla missione… quando il rumore di alcuni passi lo riscosse.
L’uomo sollevò gli occhi dal datapad e si alzò in piedi, dirigendosi ad aprire la porta.
Davanti alla soglia, intento ad andare avanti e indietro per il corridoio, si trovava Obi-Wan Kenobi.
Il bambino indossava un completo da notte, e fissò l’uomo con aria sorpresa.
Qui-Gon dovette aggrottare la fronte, perché si rese improvvisamente conto di non aver minimamente percepito la vicinanza dell’Iniziato. La Forza doveva essere più disturbata di quanto avesse creduto.
Obi-Wan fraintese il suo cipiglio, e parve sul punto di indietreggiare. «Maestro Jinn» disse. «Io non… non volevo disturbare».
Rapidamente, Qui-Gon ricompose il proprio volto e gli fece cenno di entrare. «Non preoccuparti» lo rassicurò, «non disturbi».
Il bambino gli gettò un’occhiata quasi austera, come se pensasse che l’uomo lo avesse detto soltanto per farlo sentire meglio.
«Piuttosto» aggiunse Qui-Gon, girandosi e tornando dentro la stanza, «non dovresti essere a letto?»
E si voltò nuovamente verso il bambino.
Obi-Wan, ancora sulla soglia, parve studiare l’uomo per qualche istante. «Faccio fatica a dormire» ammise poi.
Qui-Gon si domandò perché il bambino non riuscisse a prendere sonno. Nervosismo? Una qualche visione?
Non voleva pressarlo, tuttavia, e si limitò a sondare il terreno: «Stando a letto non ti addormenteresti prima?»
Obi-Wan lo guardò e si decise ad avanzare di qualche passo. «Sono in stanza con un Iniziato che ha il raffreddore e il naso tappato» spiegò. «Fa molto rumore, quando dorme».
Qui-Gon per poco non sorrise. Lui aveva pensato subito a problemi ben più complicati… Per un bambino assonnato, però, anche un compagno di stanza che russava poteva essere una bella seccatura.
«Capisco».
Obi-Wan era arrivato accanto alla poltrona. Quasi senza pensarci, alzò una mano e la strusciò contro il bracciolo, avanti e indietro, senza distogliere gli occhi da Qui-Gon.
«Prima della gita, stamattina» disse il bambino, «la Maestra Yula ci ha detto che saresti venuto qui per una missione. L’ha informata il Maestro Yoda, e lei ci ha raccomandato di non fare nulla che potesse disturbarti».
Qui-Gon sentì la tentazione di aggrottare la fronte. Cos’era quel discorso? Era il modo di Obi-Wan di chiedergli, di nuovo, se lo stava disturbando? Quel bambino cercava sempre di evitare le domande dirette?
«C’è stato un furto in città» si limitò a dire l’uomo, «e siccome non hanno un Corpo di Polizia…»
«Non hanno nemmeno un Corpo Medico» lo informò Obi-Wan. La sua mano si fermò. «Per questo è venuto con noi uno dei Guaritori del Tempio».
«A proposito» disse Qui-Gon, esaminando il volto del bambino, «questa è la tua prima gita fuori da Coruscant, dico bene?»
Il bambino annuì. «Sì, Maestro Jinn».
«E come sta andando?» aggiunse l’uomo.
Obi-Wan ci pensò un istante, pizzicando con le dita il bracciolo della poltrona. «Questa città è davvero piccola» decretò infine.
L’angolo delle labbra di Qui-Gon s’incurvò. «Oh, ti assicuro che esistono città molto più piccole» gli garantì. «Del resto… suppongo che tutto sembri minuscolo, se confrontato a Coruscant».
«È vero» concordò facilmente Obi-Wan. «Adesso ho capito cosa intendeva il Maestro Yoda, quando diceva: “Tutto relativo è”».
Nonostante il tono serio del bambino – o, forse, proprio per quello – Qui-Gon avvertì un nuovo moto di divertimento.
«Inoltre…» riprese Obi-Wan, per poi interrompersi.
«Inoltre?» lo incoraggiò Qui-Gon.
Il bambino abbassò per un istante lo sguardo sul bracciolo della poltrona, e vi strofinò energicamente la mano… Poi rialzò gli occhi sul Maestro Jedi. «Niente» disse. «C’è anche molto spazio, tra una casa e l’altra. Non sono abituato a così tanto spazio».
Per un istante, Qui-Gon lo scrutò con intensità. «Hai ragione» ammise poi, lentamente, «c’è molto spazio».
Rispetto a Coruscant, dove gli edifici sembravano ammassarsi l’uno sull’altro, questo paese era molto meno accatastato.
«È come la foresta» commentò Obi-Wan.
L’uomo aggrottò la fronte. «Che cosa? Questa città?»
Il bambino fece un cenno di diniego. «No» rispose, con naturalezza, «Coruscant».
«In che modo?» chiese Qui-Gon, mentre il datapad e le sue ricerche giacevano sulla scrivania, quasi dimenticati.
«Be’, perché certe volte gli alberi crescono l’uno aggrovigliato all’altro, per cercare di stare alla luce del sole» rispose Obi-Wan. «Anche le costruzioni di Coruscant sembrano tentare di arrivare il più possibile vicino al cielo».
Qui-Gon si sentì piacevolmente sorpreso.
Obi-Wan Kenobi continuava ad essere una compagnia stimolante, non c’era che dire.
E aveva ragione… L’uomo riportò alla mente Coruscant, e trovò in qualche modo ironico che, in una città del genere, priva di elementi naturali, la metropoli fosse divenuta una sorta di giungla.
Effettivamente, se le piante più lontane dal cielo rischiavano di morire, era nei livelli più bassi di Coruscant che si trovavano i vicoli più malfamati.
Innalzarsi era necessario… Serviva alla sopravvivenza.
«Ho detto qualcosa che non va?» domandò in quel momento Obi-Wan, reso dubbioso dal silenzio prolungato di Qui-Gon.
L’uomo si riscosse e fece segno di no. «Tutt’altro» replicò. «Trovo che tu abbia fatto un’osservazione molto interessante».
Il bambino lo guardò, sorpreso… Poi, le sue labbra si contrassero appena, come per un minuscolo sorriso.
Dopo un istante di silenzio, Qui-Gon domandò: «Era la prima volta che viaggiavi in astronave? Ti è piaciuto?»
In un certo senso, il suo interessamento verso quel bambino sorprendeva persino lui…
Le labbra di Obi-Wan si serrarono, e il bambino parve meditare sulla risposta da dare. «Non mi è sembrato niente di speciale» disse infine.
Alle orecchie di Qui-Gon, suonò fin troppo come un diplomatico eufemismo. «Davvero?» chiese.
Di solito, gli Iniziati trovavano quanto meno emozionante salire sulle astronavi.
«Davvero» rispose Obi-Wan. «Non è molto diverso dal salire su un aereo-bus… o un aereo-taxi».
Qui-Gon inarcò appena un sopracciglio. «Sei la prima persona che mi dice una cosa del genere» commentò poi.
«Oh» disse Obi-Wan.
L’uomo gli rivolse un lieve sorriso. «Ma non è nulla di male».
A quella risposta, il bambino abbozzò un sorriso di rimando.
«E ora» aggiunse Qui-Gon, girandosi verso la scrivania, «credo sia tempo che io mi dedichi al mio lavoro».
Nel dirlo, provò un certo rimpianto… Trovava davvero piacevole, conversare con Obi-Wan.
«Va bene» disse il bambino. «Allora io… io torno in camera».
Qui-Gon lo guardò. «Se vuoi rimanere qui, per me non è un problema» gli assicurò.
Obi-Wan, però, scosse la testa e mosse un passo indietro. «No» disse, «vado in camera. Buonanotte, Maestro Jinn».
L’uomo gli rivolse un cenno del capo. «Buonanotte, Obi-Wan».
Il bambino batté in rapida ritirata, e quando se ne fu andato Qui-Gon aggrottò la fronte. Aveva detto qualcosa di male?
Alzò appena il datapad… No, si disse, probabilmente il bambino era solo stanco.
Per qualche motivo, gli venne da pensare a Yoda… Forse, parte della ragione per cui il Gran Maestro l’aveva mandato lì in missione, era il volere di fargli incontrare l’Iniziato Kenobi per l’ennesima volta.
Quel pensiero, però, non fu fastidioso come sarebbe stato un tempo.




















Note:
Phew.
Questo capitolo mi ha fatto dannare… Quasi non riesco a credere di averlo finito in tempo! Spero solo che il risultato sia quantomeno accettabile.
Auguro a tutti una buona Vigilia e buone feste!
A martedì 1 gennaio! ;)





AVVISO: No, niente nuovo capitolo (per ora!).
Visto che continuo a rimandare l’aggiornamento, però, vorrei rassicurarvi sul fatto che non ho abbandonato questa storia. Sto solo avendo un po’ di problemi per tutti gli impegni che ho e per il fatto che sto modificando lievemente la direzione della storia rispetto a ciò che avevo programmato all’inizio (e quindi ho da scervellarmi su alcuni dettagli).
Vi chiedo scusa per l’attesa.
  
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