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Autore: SunriseNina    24/12/2013    2 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Chi è destinato alla forca non annega.”
 

Lo fece quasi senza rifletterci: scavalcò il muricciolo che lo separava dall’acqua nera come la pece e si gettò tra le spire malefiche della Senna.
Riemerse dopo pochi secondi: le membra gli si erano completamente irrigidite, e sentiva l’impellente bisogno di vomitare. La corrente, né impetuosa né placida, lo portava via, sommergendolo a tratti. Dall’alto, già ormai distante, Eler osservava l’acqua scura, alla ricerca del fuggiasco. Per un secondo -un terribile secondo- Light temette che si sarebbe tuffato anche lui in un inseguimento a nuoto; ma dopo un po’, con un gesto di collera, l’investigatore se ne andò.
La luna vegliava sulla scena, guardando Light con amara disapprovazione; ma al ragazzo non importava del giudizio dell’Universo, in quel momento: era salvo, e fradicio e alla deriva ma vivo, maledettamente vivo.




 
Non vi è linguaggio più universale e al contempo interpretabile di quello corporeo: il suo significato può essere evidente e scontato oppure oscuro e incomprensibile. Per sfortuna di Light, il corpo di Eler non faceva che mandare messaggi incoerenti e criptici, trascinandolo lentamente nella pazzia.
«Stasera cosa farai, Light?»
«Vedrò Mélisande. Ceniamo insieme.»
Eler annuì, prendendo atto della propria solitudine. Sentendosi quasi in colpa, l’altro aggiunse: «Se vuoi possiamo vederci domani. C’è uno spettacolo a teatro che potrebbe piacere ad entrambi.»
Sul viso di Eler si allargò un sorriso benevolo: «Grazie, ma penso che lavorerò.»
Sembrava si ingegnasse per confonderlo: ciò che diceva non corrispondeva alla sua espressione, ai suoi movimenti. In presenza di altri sembrava volerlo mettere in imbarazzo: gli stava appresso con la dedizione –o insistenza- di una moglie premurosa; quando erano soli –e faceva in modo che succedesse spesso- a volte frapponeva tra loro distanza e pudore in modo innaturale, a volte invadeva deliberatamente i suoi spazi vitali.
Tuttavia, non si era mai spinto tanto da replicare l’irreale teatrino avvenuto ben tre settimane prima in quel lurido cortiletto, un piccolo giardino dell’Eden dove avevano consumato il loro delitto.
«Che dovrai fare domani? Mio padre continua a sfruttarti?»
«È normale che i disordini civili lo interessino più del caso per il quale sono qui. A volte è difficile distinguere le morti del nostro omicida da quelle operate dai rivoluzionari.»
Ma Light sapeva che in realtà Eler era capace di distinguere perfettamente gli uni dagli altri. Ormai per il Dio era un incubo diurno: scriveva sempre più nomi, ad orari discontinui, a notte fonda o in presenza degli altri poliziotti, rischiando di farsi scoprire sempre più spesso. Nonostante i suoi sforzi, Eler ne riconosceva sempre il modus operandi. Incombeva su Light, leggendogli nel pensiero, prevedendone le mosse e stringendo sempre di più il cappio intorno al suo collo.
Si svegliava nel cuore della notte, coperto di sudore freddo e con il fiato corto: nel sonno le mani dell’investigatore lo additavano come colpevole e lo soffocavano. Un gelo disumano gli scaturiva nelle ossa, come se tutti gli uomini da lui uccisi lo coprissero con il loro pneuma mortifero. Ma la cosa più dolorosa era che sapeva, immerso nel freddo del suo letto solitario, di desiderare il calore di quel bacio un’altra volta. Desiderava l’abbracciarsi dei loro corpi, e il suo respiro caldo tra i capelli; in preda alla tristezza e alla vergogna si abbandonava a un sonno ancor più tormentato.
«Ci si vede domani mattina, Riou?»
«Come sempre.»
Sì, sempre, all’infinito, come l’ardente tortura dell’Inferno – eppure lui bramava quel calore…-
«Passa una bella serata.»
«Anche tu.»
Eler gli scostò i capelli dagli occhi con l’indice.
«Dovrei tagliarli.» mormorò l’altro, imbarazzato da quel gesto.
«E con che scusa potrei sistemarteli, se tu li tagliassi?»
La sua mano gli sfiorò vagamente la guancia, prima di ricadere lungo il fianco.
Light cercò di ridacchiare, ma il tentativo gli morì in gola. Eler lo guardava con occhi né seri né ironici, solo sinceri: come se quella domanda fosse la più legittima dell’Universo.
«Curati dei tuoi capelli, non dei miei! Hai una zazzera che ti si scambierebbe per un mozzo di un peschereccio!» gli scompigliò la frangia, e i due si misero a ridere.
Quella domanda aleggiò nella mente di Light per ore, infestandogli il sonno.
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

 
«Che piacere rivederti, Light.»
Il ragazzo sorrise garbatamente, con quell’angolo della bocca alzato infido e sornione.
Da quanto tempo non vedeva i suoi compagni in quelle situazioni di eccitante segretezza? Da quasi due mesi sedeva a tavoli di locande con la semplice compagnia di Eler, e in rare occasioni di altri poliziotti; ma quella sera era circondato da una dozzina di uomini, accalcati intorno a quella stretta e intima tavolata, leggermente ebbri di vino, completamente ubriachi di rivoluzione.
«Avete più saputo nulla di Roux e gli altri?»
«Ancora in prigione. Penso che ci resteranno per un bel po’. Non possiamo esporci per aiutarli, purtroppo.»
Tutti i presenti annuirono mestamente –alcuni con sincero rammarico, altri solo felici di non dover rischiare la pelle-.
Light beveva a piccoli sorsi il vino che aveva davanti. Ottima annata, un sapore afrodisiaco, ma che comunque non riusciva a distogliere la sua attenzione da pensieri contorti e angoscianti: Mélisande, che con la sua ingenuità avrebbe potuto tranquillamente far scoprire ad Eler che non era stato con lei; l’interesse della polizia per i gruppi di rivoluzionari come loro; la duplice colpa, davanti agli occhi di un giudice, che avrebbe avuto Light in quanto sovvertitore e pluriomicida. Nulla lo avrebbe salvato da un patibolo.
La mano di Theo Maxime gli colpì la spalla in un gesto di solidarietà: «Tutto bene, amico?»
Light annuì: «Sì, scusatemi tutti. Potete immaginare in che situazione pressante mi trovi, ultimamente.»
«Ci sei dentro fino al collo, eh?» borbottò irrisorio un barbuto quarantenne «Brindiamo al giovane Dieunuit, che passa tutta la giornata in mezzo ai cani e riesce a non farsi mordere.»
«Sì, in mezzo ai cani!» esclamarono alcuni, e tutti colsero l’occasione per tracannare altri bicchieri di vino.
Theo Maxime continuava a guardare Light con espressione pensosa e quasi inquietante. Lo si poteva descrivere in generale solo con questi due aggettivi: pelle pallida, naso e mento affilati e severi, capelli corvini che gli scendevano lunghi e tristi fino a toccargli le spalle. Aveva finito l’Università l’anno in cui vi era entrato Light, e si era laureato con il massimo dei voti: composto, metodico, maniacalmente preciso, integerrimo e altezzoso. Sebbene su alcune cose differissero per idee e comportamenti, tra i due vi era una forte e inconfessata ammirazione reciproca, anche se non avevano mai avuto un rapporto che si potesse definire amicizia.
«Light, volevo... volevamo, proporti una cosa.» disse, con aria pacata e al contempo estremamente autorevole.
«Ti ascolto, Theo.» il ragazzo si sistemò sulla sua sedia, mostrando quanta più tranquillità fosse possibile.
«Ultimamente hai sempre appresso un poliziotto strano…»
«Riou. O Eler, L, nessuno ha idea di come si chiami veramente.»
«Bene, vedo che capisci di chi si parla. Arriviamo al punto: da quando è arrivato lui, la polizia ha iniziato a darci la caccia e stanarci con caparbietà e soprattutto con molti più risultati. Non fraintendermi: non sto teorizzando un tuo coinvolgimento, anzi! Spesso non sapevi nemmeno di incontri che la polizia è riuscita a sventare, come quello in cui i nostri compagni sono stati catturati. Siamo convinti tutti che la presenza di quell’uomo sia una delle principali cause del pericolo che incombe su di noi, e penso che tu lo viva in prima persona tutti i giorni.»
Ah, se solo avessero saputo la molteplicità di rischi che affrontava ogni singolo secondo, accanto a Riou! Ma lasciò che Theo finisse il suo discorso, senza fare alcun cenno.
«Insomma, Light: bisogna sbarazzarsene assolutamente.»
Improvvisamente si sentì rincuorato: era il Destino che gli veniva in aiuto, che gli indicava la strada precedentemente persa di vista! Non aveva bisogno di convincersi ad ucciderlo, gli era imposto come dono e onere dalla vita stessa. Non c’era motivo né occasione di tirarsi indietro. Inoltre, non erano chiare le sue intenzioni? Non era ovvio che Eler si stesse prendendo gioco di lui, che stesse creando i fili per manovrarlo come una marionetta?
Non l’avrebbe fatta franca, mai! Il giorno del suo giudizio sarebbe presto arrivato.
Forte di queste convinzioni, brindò alla rivoluzione con i suoi compagni.
«Amici, c’è però una cosa che probabilmente non sapete e complica tutto: non è una persona che passa inosservata, è sempre sorvegliato da qualcuno. È stato mandato dalla Regina d’Austria in persona, e se si è investigatori noti a livelli simili, difficilmente ignorerebbero la tua morte. I rischi sono altissimi.»
Maxime, che con il tacito accordo di tutti si era preso l’incarico di presidiare l’impresa, fissava il tavolo in modo pensoso: «Che consigli di fare?»
«Se volete ucciderlo, dovete coglierlo in mezzo alla mischia. Appena avviene una rivolta, o comunque un affollamento di persone, infiltratevi immediatamente: a quel punto io lo porterò da voi.»
«Il Re ha convocato per i primi di Maggio gli Stati Generali: di sicuro la polizia dovrà essere a presidiare il luogo, e chissà che folla si radunerà fuori!»
«Sarebbe l’occasione perfetta.»
«Maggio? Mancano mesi!» esclamò uno dei presenti, irrequieto.
Light annuì: «Ma in proporzione al tempo che abbiamo passato ad aspettare, sono quisquilie.»
Theo concordava con lui: «Hai ragione. Tu, Light, cerca quanto più puoi di tenerlo lontano da noi.»
Oh, come già si adoperava a farlo! Spendeva buona parte delle sue energie cercando di contrastare la sua presenza e il suo operato, ma i risultati erano assai scarsi.
Ma l’impresa non risultava più del tutto impossibile: Xolotl avrebbe accolto la sua anima nuda e fragile tra le sue fauci. A quel pensiero un brivido gli corse per la schiena, e lo spinse ad ordinare altro vino.
 

Light, Theo e altri quattro uomini uscirono insieme, salutando i commensali. Ridacchiavano e parlavano con disinvoltura, come chi non ha nulla da nascondere.
Il giovane Dieunuit osservava distrattamente il viso del compagno che gli parlava, quando alle sue spalle scorse un manipolo di uomini che si avvicinava a loro: e, inconfondibile anche nella penombra, Eler capeggiava il gruppetto con una camminata spedita.
I suoi muscoli si irrigidirono di colpo, paralizzandolo e stringendogli i polmoni; ma la morsa della sorpresa era più debole di quella della paura.
«Che succede?» mormorò Theo, preoccupato dal suo cipiglio.
«Correte!» biascicò, e voltando loro le spalle si lanciò in una corsa disperata per la via.
La reazione fu immediata: appena i compagni di Light iniziarono ad allontanarsi, le intenzioni degli uomini che si avvicinavano furono del tutto smascherate; non si fecero più problemi a fingersi passanti, e si gettarono a capofitto verso di loro.
 

Light ansimava: l’aria notturna era fredda, e gli scendeva per la gola a fatica, rendendogli difficoltoso e doloroso ogni respiro. Il vino che aveva ingurgitato –che sciocco gesto, che sciocco era lui!- gli ribolliva nelle vene e gli faceva venire forti capogiri.
 Con la stessa foga con cui tempo prima aveva corso al fianco di Riou, ora gli sfuggiva disperatamente; sentiva dietro di sé le urla dei poliziotti, e i respiri dei compagni: dispersi come bestie rincorse da un branco di lupi, si lanciavano nelle direzioni più disparate, perdendosi l’un l’altro.
Light sapeva con certezza assoluta che Eler gli stava alle calcagna, e che aveva scelto lui come vittima sacrificale: l’agnello fuggiva, e il coltello del carnefice lo inseguiva fedelmente in ogni angolo di quella lurida periferia.
Lanciò uno sguardo dietro di sé, rischiando di inciampare in un pezzo di lastricato sconnesso: sì, era proprio lui ad inseguirlo. E non poteva essere altrimenti: luce e tenebra non si possono dividere, esistono una in virtù dell’altra. Ma quella sera non si sarebbero dovute toccare, assolutamente: o una mannaia avrebbe staccato la testa del giovane dal resto del corpo .
Light cercò di ragionare in modo lucido: dove poteva andare, dove? Conosceva bene il fiato dell’altro, e in una corsa simile avrebbe sicuramente vinto l’investigatore.
Dove poteva scappare, dove?
Improvvisamente la strada che stava percorrendo gli sembrò familiare: e nel momento in cui sfrecciò accanto a una serie di lanterne rotte e mai riparate, capì. Era la strada che percorrevano solitamente nel verso opposto, diretti verso le proprie abitazioni!
A una manciata di minuti c’era il ponte da cui di solito osservavano il sole che si congedava dalla sua giornata lavorativa.
«Fermati!»
Probabilmente non aveva mai sentito la voce di Eler così autoritaria, e il suo accento straniero così marcato: fece uno scatto disumano, e si diresse verso il fiume.
Quanti minuti aveva prima che quello lo raggiungesse? uno, due? Mezzo? Gli stava già afferrando il cappotto svolazzante?
Non voleva la cattura, l’onta, le accuse ingiuste, la prigionia! Non voleva gli occhi del padre devoto e della madre servizievole delusi! Ma soprattutto non voleva morire, non voleva morire!





Eler gli fece cenno di entrare nello studio di Sigismond.
Light lo seguì con finta scioltezza, che si dissolse nel momento stesso in cui l’altro chiuse la porta alle loro spalle.
«Che devi dirmi, Riou?»
L’investigatore sospirò, titubante. Light non aveva mai letto una simile incertezza su quel viso, e ne era terrorizzato.
«Riou, stai bene? Che succede?» allungò la mano verso il suo braccio quasi con premura, ma Eler gli afferrò il polso: e Light capì, ma era troppo tardi.






Era arrivato al ponte, intenzionato ad oltrepassarlo; ma gli mancavano ancora un paio di passi, quando inciampò e cadde in avanti: l’impatto gli strappò un urlo di dolore, che all’altro sicuramente non sfuggì. Si strinse il braccio, ansimante e dolorante: la manica della camicia si era lacerata, e il terriccio si era mischiato al sangue di una ferita superficiale ma vistosa. Si voltò velocemente: nonostante il buio, vedeva la sagoma di Eler che era a una decina di metri da lui.
Vedeva la prigione, sentiva il cigolare delle manette e la fredda lama della ghigliottina. sentiva i fuochi brucianti dell’Inferno corrodergli la pelle, e le urla lancinanti dei condannati eterni che gli trapassavano la mente.
E allora preferì gli abissi gelidi, l’abbraccio oscuro e freddo dell’acqua del fiume.




 
Light respirava a malapena, e sentiva il sudore invadergli il corpo: doveva essere una vista ben poco piacevole, lì, con quell’aria da persona per bene e i vestiti pregiati, che si affannava con atteggiamento colpevole. Si sentiva patetico al punto che solo guardarlo doveva essere una sofferenza assoluta: ma negli occhi di Eler si leggeva un dolore ben più acuto, più lacerante, più distruttivo. Delusione.
Aveva dormito poco, quella notte: si era trascinato per ore, fradicio, tra le strade di Parigi. Aveva rischiato di morire assiderato, e un paio di volte aveva vomitato in un vicolo: ma alla fine era arrivato a casa, si era chiuso la porta alle spalle e si era lasciato andare ad un sonno breve e profondo. Aveva pensato che quella mattina sarebbe bastato un lungo bagno per togliersi di dosso il puzzo delle acque del fiume e anche la colpevolezza, ma così non era stato.
Cercò di dimenarsi un’ultima volta, ma la presa dell’altro sul suo polso era salda: e in fondo, non c’era più da agitarsi. Non vi era modo di scappare.
Eler gli scoprì l’avambraccio: la ferita di Light, malamente rimarginata, si mostrò in tutta la sua bruttezza e colpevolezza.
Era finita.










Note Autrice.
Ci ho messo parecchio a pubblicare questo capitolo, e me ne rammarico. Spero vi sia piaciuto, non lo ritengo un gran capolavoro, ma mi ha aiutato a liberarmi dalla morsa del blocco dello scrittore. Spero che il titolo del capitolo non vi abbia fatto spaventare troppo! Tranquilli: buona parte del capitolo 7 è già stata scritta, quindi spero di pubblicarlo presto. Per vostra sventura, non è finita affatto.
La storia inizia a prendere forma e a complicarsi: speriamo di uscire vivi da quest'intreccio. Io soprattutto spero di riuscirci!
Buone vacanze di Natale a tutti! ♥
   
 
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