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Autore: x Audrey x    24/12/2013    2 recensioni
Chiuse gli occhi umidi e lasciò la presa, stringendo forte quella mano sconosciuta. Era l’unica possibilità che le rimaneva. L’ultima cosa che vide furono un paio di profondi occhi color nocciola.
Genere: Avventura, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TRE
Aprì gli occhi, ma li richiuse di colpo quando una forte luce la colpì. Aveva perso i sensi di nuovo? Stava diventando un’ abitudine. Li riaprì piano piano e mise a fuoco le immagini. Era in una specie di stanza, con una specie di consolle piena di pulsanti, fili e leve dall’ aria molto complessa. Al centro c ‘ era una colonna di vetro con qualcosa di strano dentro che si muoveva. Le pareti avevano delle piccole finestre ad oblò ed erano di un colore strano, ambrato. Ed eccolo, il Dottore, appoggiato alla consolle che armeggiava tra bottoni e levette.
“Ben svegliata” le disse. “Ti ho portato via da quel pianeta, non sembravi stare troppo bene. Ma non penso fosse colpa dell’atmosfera. Il tardis ci protegge da questo tipo di cose. Allora come ti senti? Ti sto riportando a casa, penso che sia la cosa migliore e no, non lamentarti! E no, non puoi nemmeno scappare stavolta, siamo nel vortice spazio-temporale e la porta è difficile da aprire” disse tutto d’ un fiato e concluse il suo discorso con un allegro sorriso, inarcando lievemente la sopracciglia sinistra.
Lucy cercò di parlare ma si accorse che aveva la bocca impastata. Fece un profondo respiro e con un soffio di voce chiese del tè.
“Certo, ora lo prendo!” le rispose con la solita vivacità e varcò una porta che lo condusse chissà dove.
Lei si osservò ancora intorno. Doveva essere nel tardis. E stavano andando… dove aveva detto che stavano andando? Oh già, a casa. Forse era meglio così, dato che continuava a causare imprevisti. Anche lì. Sospirò e si mise con le gambe incrociate.
“Mi dispiace, penso proprio di averlo finito… o almeno qui non c’ è ma strano perché io adoro il tè, soprattutto se ha un sacco di zucchero dentro”
“A me non piace troppo dolce”.
“Neanche a me, ora che mi ci fai pensare” rispose assumendo un’espressione corrucciata. Comunque dimmi, cosa hai sent…”
“Hai almeno un po’ d’ acqua?” lo interruppe di colpo.
“No!” disse scocciato “Ma ascolti quando ti parlano?”
“Ma non ha senso che qui dentro sia così grande se non c’ è niente di utile! Aspetta, non saremo mica in quella cabina nel prato! Come facciamo a starci in quella cosa così piccola?”
“Hei, un po’ di rispetto!” disse, dando una pacca affettuosa ad una parete. “Si chiama tardis, come ho già detto ed è più grande all’ interno” finì con orgoglio, come un bimbo che mostra il suo lecca lecca ricevuto per essersi comportato bene.
Lux soffocò una risata e aggiunse che aveva capito e di non indisporsi troppo, e tra quanto sarebbe ritornata a casa, dato che aveva voglia del suo tè.
“Esattamente… ora!” e andò ad aprire la porta del tardis. Lux guardò fuori, piano. Era esattamente nel posto in cui si trovava quella fatidica sera. Stavolta però era giorno e la temperatura era piacevolmente tiepida.
“Vuoi venire?” gli chiese.
“Io penso che, ti aspetterò qui” e tossì.
Non è proprio diverso dagli altri, pensò lei, l’ avrebbe abbandonata lì di nuovo, in quella casa, come facevano tutti. Guardò giù dalla terrazza: c’ era il solito traffico.
“E poi quando tornerò, non ci sarai più. Va bene. Addio, allora” concluse freddamente, aprendo la porta che dava su un piccolo salottino, decisa a prendere qualcos’ altro di più forte che un semplice tè.
“Perché pensi questo?” sentì il suo tono serio da dietro le spalle. Lei tirò un lungo sospiro. Gli rispose che era abituata, e di andarsene senza tirarla troppo lunga. Lui restò fermo e la osservò.
“Io non me ne vado. E poi ora anche a me è venuta voglia di prendere qualcosa. Non è che hai per caso del succo di mirtillo? Io adoro il succo di mirtillo!”
Lei si girò decisa a fulminarlo, ma appena gli vide quel sorriso da scemo stampato in faccia non riuscì a trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata.
“Sei incredibile! Ecco entra.” E gli fece cenno di seguirla” Metto su il bollitore. Siediti intanto” disse mentre entrava nella piccola stanza più fresca rispetto all’ esterno e si dirigeva verso la porta. Il Dottore si sedette su un piccolo divanetto e si guardò intorno: c’ era un piccolo tavolino di vetro, dall’ aria antica, con sopra un centrino di pizzo. Le pareti erano colorate da tonalità chiare ed era tutto luminoso.
I mobili erano tutti marrone chiaro, e anche loro avevano un’ aria antica. Sopra uno di essi c’era un orologio a pendolo, molto elaborato, che dava l’ impressione di essere molto sofisticato. Ora che notava, tutto nell’ insieme sembrava essere molto sofisticato. Inoltre era tutto perfettamente in ordine, niente era fuori posto di un millimetro. Era così perfetto che sembrava non ci abitasse nessuno. Riapparve Lux, con un vassoio d’ argento con il tè e il succo. Anche lei sembrava facesse parte di quella stanza incantata, come fosse quasi una bambolina con quell’ abito bianco e la lunga treccia.
“Ecco” gli disse interrompendo i suoi pensieri e porgendogli il bicchiere di vetro contente il succo, e iniziò a riempire la sua piccola tazzina bianca, decorata in fondo da piccoli fiorellini rosa con una striscia dorata, con l’ acqua. Al che si sedette e iniziò a soffiare sul tè bollente.
Si sentì il tic toc dell’ orologio a pendolo per qualche secondo mentre entrambi sorseggiavano lentamente.
“Non metti lo zucchero?” iniziò il Dottore.
“Non mi piacciono troppo le cose dolci. Perché?”
“Curiosità” e silenzio per qualche altro attimo. “Abiti qui? Da sola? La tua famiglia?”
Lei tentennò. “è complicato.” E accennò un sorriso.
“Ti ascolto… se vuoi…”
Lei lo studiò per qualche lungo istante. La stava osservando con i suoi grandi occhi. Non sapeva come, ma quello strano personaggio le trasmetteva simpatia. Fiducia. Spensieratezza. Le sembrava che lui sarebbe riuscito a risolvere qualsiasi situazione. Era tutte cose che ormai non riusciva a percepire più in nessun altro da un bel po’.
“Ecco…” incominciò “Non c’ è molto da dire. È da poco che vivo qui. Cioè in questa casa, prima ero nella parte opposta della città. Di Edimburgo. Mia madre è morta abbastanza anni fa. È semplicemente, morta. Nessuno è mai riuscito a scoprire il motivo.” Si fermò e bevve un altro sorso di tè. Lui rimase in silenzio e lei riprese. “Vedi siamo rimasti io e mio fratello. Sai, eravamo gemelli. Mio padre se ne stava sempre via, per lavoro. È a capo delle industrie Sharp. A parte questo, avevamo comunque una vita normale, la scuola, degli amici, divertimento. Anche se dovevo continuare ad andare a Milano a partecipare ad un sacco di noiosi ricevimenti. Mia madre faceva parte dell’ alta società e anche se non c’ era più nostro padre ci costringeva comunque. Ma poi se n’ è andato anche mio fratello, un anno fa, come mia madre.” Oddio, ma cosa le stava succedendo? Lei non parlava mai di queste cose nemmeno con Martha, come mai ora le stava rivelando ad un perfetto estraneo, che aveva trovato meno di ventiquattro ore prima? Si fermò di colpo. Eppure quella figura davanti a lei era rassicurante. Gli fece un timido sorriso. “Sono stata rinchiusa qui. Ho lasciato la scuola, tutto. Mio padre ha sempre pensato che fossi un po’ strana e ora non ha più motivo di curarsene.” Gli lanciò un’ occhiata. “Non voglio –mi dispiace- o cose del genere”. Lui la guardò “Non è comunque una bella storia.”
“No, non lo è. Ma non importa, ora è il tuo turno. Cosa ci fai nello spazio e nel tempo?”
“Nemmeno io ho molto da dire. In poche parole, il mio pianeta è stato distrutto in una guerra. Molto grande. E con esso tutti i suoi abitanti. Io mi sono salvato e da allora viaggio. Non è male, in fondo”
“Piacevole” disse sarcastica. Anche lui aveva parlato di una guerra. Allora era abbastanza comune anche nell’ intero universo, a quanto pare.
“Non mi domandi altro?” le chiese sorpreso. Tutti appena lo sentivano avevano un sacco di domande e curiosità da rivolgergli. Lei se ne stava zitta, semplicemente.
“Perché dovrei? Ora so le cose più essenziali. Odio quelle complicate, le trovo noiose e pesanti e sono costretta a prestare attenzione quando me ne parlano.”
Lui rise. Era proprio strana. Ma poi ritornò serio e con un sorso svuotò il bicchiere.
“Ora devo andarmene” disse.
“Ritornerai in quel posto là?”
“Già. Non capisco come hanno fatto tutti quanti a sparire così. E a me piacciono i misteri.” Rispose sorridendo. Poi ringraziò e si alzò e uscì nella terrazza, dov’ era parcheggiato il suo tardis. Le fece un altro cenno di saluto e sparì dentro la cabina blu.
  
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