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Autore: Genevieve De Cendres    25/12/2013    5 recensioni
[STORIA REVISIONATA E CORRETTA]
Seconda metà del 1800.
Evan, un giovane e promettente avvocato, decide di entrare nella bottega dell'orologiaio più antico e famoso della città spinto da una particolare curiosità, lì incontrerà Ael Torsten, ragazzo con il quale intreccerà un legame che va al di là della semplice amicizia, ma sarà conveniente per un uomo del suo rango, sempre sotto l'occhio scrutatore e critico della nobiltà dell'epoca? E Ael, spirito libero e irrequieto, riuscirà a non fuggire dall'uomo scegliendo il cuore al posto della ragione?
Dal testo:
"mentre le labbra dell’avvocato poggiavano sulle sue, gentili ma decise, in un bacio che volle assaporare fino all’ultimo istante, per poi scostarsi forse pentito per il suo gesto, mentre lo sguardo tornava duro, onde che si infrangono violente, che logorano e allontanano."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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1.
Capitolo primo
 
 


 
-Scusa?-
 
Evan guardò stizzito l’amico che era scoppiato in una fragorosa risata, piegandosi su se stesso. I capelli ramati e l’abito scuro facevano risaltare la pelle particolarmente chiara, macchiata da sporadiche lentiggini.
 
-Valentine, è inutile ridere! E poi scambiare quel ragazzino per un vecchio non è così difficile, gobbo e scorbutico, non ci sono andato molto lontano.-
 
L’amico poggiò i gomiti sulla scrivania del suo studio guardando Evan con aria divertita, le sopracciglia alzate, il sorriso sghembo e l’espressione di qualcuno che ne sa certamente di più.
 
-Ael non è poi così scorbutico, basta saperlo prendere.-
 
Il moro guardò il collega con aria perplessa, si appoggiò con le spalle al muro in attesa che l’altro continuasse a parlare ma Valentine sembrava aver finito il discorso ed Evan sospirò, pensieroso.
 
-Lo conosci bene?-
 
Chiese infine, sedendosi davanti al collega che adesso sistemava su un lato una pila di fascicoli
 
-Eccome!-
 
Esclamò ridacchiando soddisfatto il rosso, per poi continuare
 
-Lo conobbi qualche anno fa, gli portai un orologio trovato tra le vecchie cose di un mio zio,era rimasto per anni sotto un cumulo di scartoffie e sembrava non voler dare segni di vita. Una settimana ed era come nuovo! Il padre ha fatto proprio bene a lasciargli le redini del negozio…-
 
Concluse Valentine appoggiandosi con aria trionfante allo schienale e incrociando le dita sul grembo. Evan lo guardò perplesso corrugando la fronte.
 
-Perché lasciare l’attività in mano al figlio, così presto?-
 
Il viso dell’amico si rabbuiò. Valentine deglutì passandosi la mano tra i capelli e sorridendo teso
 
-Il padre di Ael ha ancora poco tempo da passare in questo mondo, ha deciso di lasciare il negozio al figlio minore poiché è il più dotato, ma per quel che riguarda pratiche e burocrazia ci sono il fratello e il figlio maggiore ad occuparsene.-
 
Calò il silenzio, i due si guardarono per qualche secondo imbarazzati e leggermente turbati
 
-E’ un ragazzo in gamba.-

Concluse Valentine, sospirando.
 
-In gamba e scontroso.-
 
Ribadì Evan spostando lo sguardo fuori dalla finestra, perdendosi nei rami degli alberi scossi violentemente dal vento, stagliati contro il cielo grigio. Sentì Valentine ridacchiare e si girò a guardarlo. La curiosità nei confronti dell’orologiaio era diventata quasi insopportabile.
 
-Parlami di lui.-
 
Disse infine puntando lo sguardo in quello dell’amico. Intanto fuori dal loro ufficio, il cielo prometteva pioggia
 
 
 
 
Uscì dal suo studio quando ormai la luce del sole aveva ceduto il passo alle tenebre della sera e il cielo non prometteva più pioggia, prometteva tempesta. Si strinse nel cappotto sperando che il tempo reggesse, dandogli il tempo di tornare a casa o perlomeno di avvicinarsi, ma non appena iniziò ad incamminarsi un lampo squarciò il buio e la pioggia cominciò a cadere fitta. Abbassò il capo correndo verso il negozio di orologi, sperando di trovare riparo lì per un po’; una volta riconosciuta l’insegna del negozio spalancò la porta fiondandosi all’interno e bagnando il pavimento della stanza, il campanellino d’entrata, scosso dal vento, cominciò a fare un chiasso tremendo mentre Evan faticava a chiudere la porta a causa della corrente. Chiamò a gran voce il ragazzo ma questi non rispose.
 
-Ael!-
 
Questa volta sentì dei passi pesanti sopra la sua testa, una porta sbattere al piano superiore e di colpo due mani cadaveriche sbucarono da dietro di lui, aiutandolo a chiudere la porta. L’uomo si voltò verso l’orologiaio guardandolo grato, entrambi bagnati dalla testa ai piedi.
 
-Sei fradicio.-
 
Mormorò con aria colpevole Evan, mentre guardava la camicia bianca dell’altro aderirgli al corpo per poi osservare il viso seccato del ragazzo, incorniciato da una massa di capelli bianchi appiccicati sulla fronte e le guance, con qualche ciocca a percorrere appena il profilo regolare del naso.
Ael si riavviò i capelli, voltandogli le spalle e facendogli segno di seguirlo.
 
-Non credevo fossimo così in confidenza da darci del tu.-
 
Rispose piccato mentre lo faceva entrare nel laboratorio e si avvicinava a delle scale di legno poste sul lato estremo della stanza, vicino alla porta sul retro.
 
-Mi dispiace, non volevo essere maleducato.-
 
Mormorò distratto Evan mentre si guardava intorno, per poi scrutare attentamente quelle scale perdersi nell’oscurità. Il ragazzo gli fece segno di rimanere lì e prese a salire le scale rapidamente senza accendere la luce.
Tornò poco dopo con un asciugamano appoggiato al braccio e uno sulle sue spalle. Ne passò uno ad Evan che lo ringraziò con un cenno del capo e tornò a sedersi sul suo sgabello intenzionato a rimettersi a lavorare, l’uomo rimase in piedi vicino alle scale a guardarlo, non sapendo bene come muoversi per non offendere ulteriormente l’orologiaio, ma proprio mentre stava per chiedere qualcosa Ael gli indicò una vecchia poltrona posta sotto la finestra sulla sua destra.
 
-Cosa c’è al piano superiore?-
 
Non riuscì a trattenersi Evan, continuando a guardare sopra di sé come se avesse la capacità di guardare attraverso le pareti e frizionandosi i capelli con l’asciugamano.
 
-Il mio appartamento…-
 
Sospirò il ragazzo, poi di colpo posò il suo lavoro e guardò inespressivo l’avvocato che ricambiò il suo sguardo con aria perplessa.
 
-Il vostro orologio è in quella scatola, sul davanzale dietro di la poltrona.-
 
L’uomo si voltò scorgendo la scatolina rossa proprio dietro di sé, l’afferrò aprendola e guardando soddisfatto l’orologio,non sapeva neanche lui come aveva fatto a separarsene anche se per breve tempo. Il silenzio calò pesante sui due, l’unica cosa che potevano sentire era il canto della pioggia contro i vetri della finestra e i rumori secchi e metallici degli ingranaggi tra le mani del ragazzo. Dopo un attimo di stasi Evan si alzò dalla poltrona poggiando l’asciugamano sullo schienale della poltrona.
 
-Bene, allora se permettere mi congedo.-
 
A quelle parole l’orologiaio lo incenerì con lo sguardo e l’uomo ebbe quasi il timore che il ragazzo potesse prenderlo a bastonate di nuovo e questa volta non avrebbe nemmeno capito il motivo.
 
-È pazzo forse?-
 
Chiese con aria sconcertata Ael mentre si raddrizzava sulla sedia, Evan corrugò la fronte leggermente offeso dai suoi toni
 
-E di grazia, per quale motivo dovrei essere pazzo?-
 
Chiese in tono seccato l’avvocato sostenendo lo sguardo di Ael che si era alzato in piedi e si avvicinava a lui.
 
-Fuori imperversa una tempesta e lei vuole uscire?-
 
L’orologiaio lo guardava con aria sconcertata mentre gli poneva quella domanda che spinse l’uomo a darsi dello sciocco, entrambi guardarono fuori dalla finestra con aria rassegnata.
 
-Di certo non posso dormire qua…-
 
Mormorò Evan incrociando le braccia al petto e spostando lo sguardo dalla finestra al ragazzo, che lo guardava con un’espressione indecifrabile.
 
-Perché no?-
 
Chiese improvvisamente Ael lasciando perplesso l’uomo, che sbarrò gli occhi guardandolo
-Come?-
 
Balbettò appena Evan,incredulo, non essendo certo di aver capito davvero cosa l’altro gli avesse chiesto
 
-Perché no?-
 
Ripeté più lentamente Ael, come se l’altro non avesse davvero capito il senso delle sue parole
 
-Perché voi non volete!-
 
Sbottò Evan indeciso se scoppiare a ridere o meno in faccia al ragazzo, che lo guardava a braccia conserte, quasi ad imitarlo.
 
-Questo non l’ho mai detto.-
 
Sbottò Ael  -Per questa sera sarete mio ospite, le cederò senza problemi il mio letto, non potrei mai perdonarmi se dovesse capitarvi qualcosa proprio dopo essere uscito dal mio negozio.-
 
 
Dalle scale sbucarono in un’ampia stanza adibita a camera da letto, per il resto l’appartamento composto da poche stanze era di modeste dimensioni, il parquet chiaro e le pareti coperte da carta da parati a larghe righe verticali, gialle e bianche conferivano alle stanze un’aria un po’ sciupata. Alla luce del giorno doveva essere un posto davvero luminoso date le grandi finestre prive di tende ma in quel momento, con le lampade spente  e gli scuri chiusi a metà sembrava essere uno dei posti più cupi che Evan avesse mai visto e ad illuminare le stanze c’era soltanto la fioca illuminazione esterna.
La pioggia si infrangeva violentemente sui vetri tra gli ululati del vento e i lampi, che di tanto in tanto illuminavano la stanza con la loro luce spettrale. Ael corse ad accedere tutte le lampade illuminando la stanza a giorno, sotto lo sguardo divertito dell’avvocato che soffocava una risata, ogniqualvolta il ragazzo sussultasse dopo il boato di un tuono.
Ael sistemò la camera da letto assicurandosi che al suo improvvisato ospite non mancasse nulla, poi, dopo avergli augurato la buonanotte si congedò lasciando da solo l’uomo.



 
Evan passò parte della notte a guardare il soffitto, incapace di prendere sonno. Sentiva il cigolio dell’insegna fuori dal negozio e si chiedeva dove il ragazzo fosse andato a dormire se quello era l’unico letto presente nell’appartamento. Si alzò dal letto per andare a cercarlo senza però riuscire a trovarlo, solo dopo gli venne il dubbio di poterlo trovare nel laboratorio.
Scese le scale con cautela cercando di fare meno rumore possibile. Non appena entrò nella stanza lo vide, addormentato sulla poltrona vicino la finestra e illuminato dalla luce dei lampioni mista a quella della luna che proiettava sul suo viso l’ombra dei ghirigori che la pioggia aveva formato sul vetro. Ael sembrava dormire profondamente, con le labbra schiuse e il petto che si muoveva lentamente. Evan si avvicinò prendendolo tra le braccia facendo attenzione a non svegliarlo, poi con la stessa cautela usata per scendere le scale, le ripercorse per andare nella camera da letto del ragazzo e adagiandolo sul letto, per poi addormentarsi al suo fianco.
  
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