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Autore: Manny_chan    25/12/2013    1 recensioni
Amastra, città oscura colma di magia e di creature misteriose.
Ci sono persone che sognano di abitarci, persone che desiderano scappare da essa e persone che vorrebbero solamente poterla visitare per una volta.
Raven è uno di loro. Quando l'occasione di coronare il suo sogno è a portata di mano la coglie al volo.
Ciò che non sa però è che non tutte le creature che popolano Amastra sono degne di fiducia e quello che sembra un sogno potrebbe presto assumere tinte ben più cupe...
Tra fate, naga e un grosso inganno, l'avventura di Raven rischia di trasformarsi in un incubo... o forse no?
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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C’era un gocciolare costante e fastidioso che  non gli dava pace…
Raven aprì gli occhi, mugolando di dolore. La testa sembrava scoppiargli, aveva le labbra secche e screpolate e le ossa gli dolevano. Mise a fuoco l’ambiente che lo circondava. Spoglio,  freddo ed umido. Sul pavimento di pietra l’acqua che gocciolava dal soffitto si raccoglieva in piccole pozze. Rabbrividì, era fradicio…
Sussultò spaventato quando, con un forte cigolio, la porta di quella cella sotterranea si aprì e mezza dozzina di naga entrarono in silenzio, circondandolo, quasi temessero di vederselo scappare da sotto il naso. 
Dalla vita in giù erano molto simili, con quella coda da serpente che cambiava solo di colore, al di sopra della vita invece la Dea sembrava essersi divertita a spaziare con l’immaginazione. Pelle squamosa o simile a quella degli umani, occhi  da serpente o mono colori senza pupilla. Nasi adunchi e prominenti, o semplici fessure verticali nel bel mezzo del viso. L’insieme era ripugnante.
Due delle creature, armate di inquietanti tridenti dall’aria decisamente affilata, si avvicinarono, afferrandolo per le braccia.
Raven gemette per il ribrezzo, scalciando per farsi lasciare. Dea, salvami, pensò.
Una delle due creature sibilò, spazientita e gli mollò un manrovescio con una forza spropositata, al punto che Raven vide una miriade di puntini neri offuscargli la vista e temette di svenire di nuovo. Ma evidentemente era un opzione non contemplata dalle due guardie che lo tirarono su di peso, trascinandolo fuori dalla cella, lungo i corridoi, fino ad arrivare ad un salone. 
A quel punto Raven sperò seriamente di svenire. C’erano decine di quelle creature lungo i lati della passeggiata  centrale, forse anche un centinaio.
Stava per morire, se lo sentiva.
“L’abbiamo portato, mio principe”, disse una delle due guardie, nella lingua di Amastra, ma piuttosto grezza, dalla pronuncia scorretta. Poi sguainò una sciabola, guardandolo. Voleva che capisse. “Vuole che lo decapitiamo qua o preferisce che lo facciamo all’aperto?”
Raven, sentì le gambe cedergli a quelle parole e si accasciò sul pavimento. Respirando affannosamente cercò di ignorare le risatine sibilanti che lo circondavano e cominciò a formulare mentalmente ogni sorta di preghiera alla Dea che conosceva. 
“Non ti ho chiesto di portarlo qui per giustiziarlo”
Oh Dea, ti ringrazio…
Un mormorio di delusione percorse la sala, e la guardia fece un verso deluso. “Come sarebbe a dire?”, esclamò la guardia, frustrata.
Raven sollevò lo sguardo, tremando. Colui che aveva parlato, con una pronuncia impeccabile, al contrario delle guardie, sedeva su un elegante divanetto, qualche metro davanti a lui. La speranza che fosse umano sfumò in fretta, doveva essere il principe…
Aveva per gran parte l’aspetto di un adolescente, constatò Raven. Folti ricci neri incorniciavano un bel viso giovane, dai lineamenti delicati ma con un qualcosa di crudele nella piega delle labbra sottili. Le spalle strette, il torace minuto e i fianchi sottili da adolescente. Ma la normalità si fermava lì. La pelle di un pallore quasi innaturale, era serica e senza imperfezioni fino a poco sotto i pettorali, poi iniziava ad essere percorsa da venature bluastre che si scurivano man mano che scendevano verso il basso, fino a diventare vere e proprie squame poco sotto le anche, snodandosi in una lunga coda da serpente di un sorprendente blu cobalto. Era rivoltante….
"Non credo che tu sia nella posizione di esternare il tuo disgusto, umano"
La voce aspra del giovane lo colpì come una frustata, facendolo trasalire non si era reso conto di aver lasciato trasparire i suoi pensieri. Si guardò intorno nervosamente, era il caso di scusarsi? E se fossero suonate false avrebbe forse peggiorato la sua situazione?
L'ansia che lo attanagliava confondeva anche i pensieri più semplici, ed il naga alla sua destra che faceva saettare la lingua biforcuta ed accarezzava languidamente la lama della sciabola, non contribuivano certo a calmarlo.
Il principe sospirò, avvicinandosi. "La situazione è troppo complicata per pronunciare un verdetto immediato", ammise.
“Complicata?", la guardia non sembrava contenta. "Che c'è di complicato?! E' un ladro, la legge è chiara..."
"Conosco la nostra legge, Shobe", lo interruppe Yaksha, visibilmente irritato. "Ma lui è un umano."
"E quindi?"
"Mi sembra che tu sia troppo insolente. Ma per stavolta lascerò correre e proverò a spiegarti qualche semplice concetto, cerca di farlo entrare in quel cervello da lucertola che ti ritrovi."
Raven trasalì, spostando lo sguardo dal principe alla guardia che era diventata livida di rabbia, stringendo le dita attorno all'elsa ella sciabola.
Sarebbe morto, se lo sentiva, si sarebbe trovato nel bel mezzo di un regicidio e lo avrebbero fatto fuori.
Invece, sebbene a fatica, Shobe chinò il capo. "Si, mio signore, ci proverò", sibilò tra i denti.
Yaksha sembrò soddisfatto. "E' umano, ed abbiamo stipulato un trattato di pace con gli umani. Ucciderlo o mutilarlo secondo le nostre leggi equivarrebbe a una violazione degli accordi..."
"Ma sono stati loro a violarli per primi!"
"Lo so, ma la diplomazia è una questione spinosa. Sinceramente non ho la minima intenzione di buttare alle ortiche anni di faticose contrattazioni per uno stupido ladruncolo che non è nemmeno riuscito a superare le prime difese."
"E allora cosa facciamo, lo lasciamo andare come se nulla fosse?"
"Assolutamente no. Sarà punito, ma prima occorre una accurata valutazione. Samea!" chiamò, voltandosi.
Una nagini si fece largo tra le guardie. Il viso spigoloso era circondato da soffici ricci color muschio che le scendevano fino alla vita, nascondendo in pare il seno prosperoso. "Mio signore?", mormorò ossequiosa, scrutando il prigioniero con i suoi occhi argentei. Il suo corpo era completamente ricoperto di squame del colore di alcuni serpenti albini che a Raven era capitato i vedere tra i boschi. 
"Va a convocare l'ambasciatore di Amastra, mi consulterò con lui prima di decidere. Nel frattempo portate il prigioniero nelle segrete.”
“Mio principe!”, Shobe era furente e lo si  capiva dal modo in cui brandiva la spada. “Lo prenderanno per un atto di debolezza! Il re…”
"Mio padre ha lasciato a me la responsabilità di questa zona. Se hai problemi puoi sempre andartene." Lo interruppe Yaksha bruscamente. Poi sospirò, e continuò con un tono più calmo.
“Portatelo nelle segrete, cercherò di contrattare con l’ambasciatore una condanna a morte. Tuttavia non insisterò se questo volesse dire un incidente diplomatico, e opterò per una  punizione alternativa, sono stato chiaro?”
“Chiarissimo, principe Yaksha”, mormorò Shobe , strattonando Raven per farsi seguire.
Il ragazzo sollevò lo sguardo, lanciando un’occhiata al principe, un’occhiata disperata ed implorante. Restò sorpreso quando i suoi occhi incontrarono quelli del naga. Occhi che aveva già visto, color ametista e dalla pupilla verticale da serpente.
Si lasciò trascinare via, sconcertato, senza sapere se essere sollevato o meno da quella scoperta e angosciato per il destino incerto che lo aspettava….

   
 
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