Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Timcampi    26/12/2013    4 recensioni
Era quasi l'alba quando accadde.
Quando si svegliò di colpo, dopo aver visto Marco bruciare ancora una volta dentro la sua mente, non trovò la rassicurante presenza dei poster dei Led Zeppelin e di Blondie, né la sua amata lava lamp. C'era qualcosa, a ostruirgli la vista. Qualcosa che stava a cavalcioni sopra di lui, che lo sovrastava, qualcosa la cui vista lo paralizzò.
L'essere aprì la bocca.
«Chi sono io?»
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Christa Lenz, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti, Ymir
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Debito



Sebbene avesse i suoi inconvenienti, vivere in quella casa non era affatto male, a patto che si rispettassero alcune regole: non fare troppo casino, a meno che il casino non fosse collettivo (come Jean non tardò ad apprendere, Ymir sembrava autorizzata a violare questa norma, e lui non poteva negare che la cosa non gli stesse esattamente a genio); non bere direttamente dal cartone del latte; non occupare il bagno troppo a lungo; rispettare i turni per quanto riguardava la cura degli spazi comuni, la cucina e la spazzatura; considerare segreto professionale tutte le confessioni ricevute da compagni sbronzi. C'era, poi, la tacita regola sul non fare commenti sul naso di Annie, sul non cercare il contatto ravvicinato con Christa e sul non attaccar briga con Eren Jaeger, figlio del loro affittuario, ma questa era più un promemoria per Jean che una vera regola.

In quanto ai vari componenti della “famiglia un po' sgangherata”, una punta d'orgogliosa serenità illuminava il cuore di Jean quando si ritrovava a pensare a quanto, nel mese trascorso a Sina, aveva appreso di loro: cose come il contrasto tra la mole possente e l'indole genuina di Reiner, l'ossessione di Sasha per il cibo, le rosee cicatrici che ricoprivano il corpo di Ymir e di cui la ragazza sembrava restia a parlare, la falsa quiete che trapelava dal volto di Mikasa e la passione per i libri che caratterizzava Armin, con cui non aveva avuto difficoltà a legare, erano ormai entrati nelle sue giornate, permeandole a tal punto che ben presto il ragazzo decise che era giunto il momento di liberarsi del fardello del proprio passato e di procedere speditamente in avanti.

Quel che, però, maggiormente lo spronava e gli riempiva il cuore di una speranza fino ad allora sconosciuta era la rincuorante, rinfrescante presenza del ragazzo con le lentiggini, alias Marco Bodt.

Se la maggior parte dei suoi compagni era chiassosa, attaccabrighe e sempre pronta a seminar zizzania, Marco era il pacificatore, colui che poneva fine alle risse ancor prima che cominciassero, che si faceva carico degli oneri altrui se questo rendeva felice qualcun altro, quello per cui lo studio era sacro quanto l'amicizia. E se, in un primo momento, Jean aveva avuto qualche dubbio a proposito della sua sincerità e della sua natura da perfetto buon samaritano, buon capofamiglia e talentuoso compagno di studi, questi si erano ben presto dissipati del tutto, lasciando il posto a un legame decisamente migliore di quanto, anche prima d'essere posto di fronte alla sconfortante prospettiva di un radicale stravolgimento di vita, avesse osato sperare.

Bussò alla porta, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

Il volto gentile di Marco comparve sulla soglia, le sottili lenti da lettura davanti ai languidi occhi scuri, un intramontabile sorriso e un largo pigiama a righe colorate.

«Stai studiando?»

Magari uno “scusami il disturbo” sarebbe stato più carino, ma questo genere di idee gli sovvenivano sempre troppo tardi. Marco scosse energicamente la testa, sollevando il numero di Daredevil che stringeva in una mano, con l'indice infilato nel mezzo per tenere il segno.

«No, voglio concedermi qualche giorno di pausa» asserì. «Se hai qualche difficoltà, però, sarei felice di aiutarti. Ho già dato quell'esame e non ho granchè da fare, al momento»

Era incredibile come la sua cordialità riuscisse sempre a colpirlo. Sebbene sembrasse troppo buono, amichevole e carismatico per essere vero, Marco aveva saputo conquistare la fiducia di Jean forse anche per via del fatto che, in qualche modo, riusciva quasi a... intenerirlo. C'era quella strana sensazione che gli inondava lo stomaco, come un fiotto caldo, quando era con Marco, che lo confondeva, ma che non gli dispiaceva affatto: per quanto detestasse riconoscere le proprie difficoltà tanto nello studio quanto nelle attività domestiche e anche se non l'avrebbe mai e poi mai ammesso, monopolizzare la compagnia, il supporto e le attenzioni di quella sorta di angelo dal volto picchiettato gli piaceva, lo faceva sentire felice, abbastanza felice che non erano mancate le volte in cui aveva ringraziato i guai che l'avevano portato in quella casa.

«No, no, non si tratta di questo» mugugnò, chinando lo sguardo e massaggiandosi distrattamente la nuca. «Ho bisogno di concentrarmi, manca poco all'esame e quegli idioti non mi lasciano studiare in pace...»

Marco lo interruppe, sollevando una mano e sfiorando le sue labbra con la punta delle dita.

«Ho capito, ho capito. Ti cederò volentieri la mia stanza fino a quando non avrai superato l'esame, Jean»

«Sei il mio salvatore. Se posso sdebitarmi in qualche modo...»

«Troveremo un modo per farti sdebitare, Jean» sorrise Marco, e Jean colse in quel sorriso qualcosa che fece salire una paurosa quantità di sangue al suo viso.

«Vado a prendere le mie cose» tagliò corto, indugiando sulla soglia soltanto per mormorare un grato “grazie”.

«Hai un debito» lo congedò Marco.

 

I passi che si accavallarono oltre la porta furono tanto concitati e rumorosi da farlo svegliare ancor prima che la porta si spalancasse di colpo, rivelando il volto trafelato e terrorizzato di Connie.

Si era addormentato mentre studiava, con la luce della lampada puntata sulla sua guancia e un rivolo di saliva che scivolava sulle pagine del libro.

«Muovi il culo, Jean!» abbaiò Connie. «Questo posto va a fuoco!»

Ebbe bisogno d'una frazione di secondo per recepire la notizia, prima di schizzare in piedi e di seguire Connie su per le scale.

«Ma che cazzo...?» mormorò in un soffio, gli occhi inchiodati alla vista che gli si parò di fronte.

Una nube di denso fumo scuro, guizzanti lingue di fuoco, cenere e scintille si propagavano dalla cucina, e poco mancava prima che estendessero il proprio dominio al salotto.

Uno strattone di Connie e uno scaffale della cucina che rovinò a terra in uno sbuffo di fuoco lo destarono dal suo stato di trance.

«Marco!» sussurrò, schizzando attraverso il fulcro dell'incendio, ignorando le accese proteste di Connie e il calore che bruciava sulla sua pelle molle di sudore.

«Jean, via di lì!»

Marco.

«Vieni fuori, deficiente!»

Marco non può essere morto.

«Che cazzo fai?!»

Non giocarmi brutti scherzi.

Marco è vivo.

«Vado a cercare aiuto, non muoverti!»

Vieni avanti, ti aiuto a uscire da questo inferno.

Io ho un debito con lui.

Non avvertì il suo corpo farsi sempre più debole, ma solo il mondo diventare, a poco a poco, grigio.

Marco, come potrò mai sdebitarmi?

 

Quando aprì gli occhi, per un attimo gli parve di aver sognato tutto. Scattò a sedere, il nome di Marco cucito sulle labbra e le fiamme ancora marchiate negli occhi.

Non diede neppure a se stesso il tempo di realizzare di essere steso su una barella, dietro le porte di un'ambulanza che stavano per chiudersi, prima di gettarsi oltre di esse sotto gli sguardi attoniti dei paramedici che l'avevano caricato a bordo.

I pompieri erano già all'opera, e le fiamme s'erano ormai tramutate in una silente colonna di fumo che s'alzava contro il cielo notturno come un serpente incantato.

Di fronte alla casa, fortunatamente quasi del tutto intatta e circondata da una piccola folla di vestaglie, pigiami e fastidiosi mormorii, si stagliavano le figure dei suoi compagni. Inermi, silenziosi, fragili e spenti come foglie autunnali zuppe di pioggia.

Non erano abbracciati, frignanti, chini sulle macerie di quell'idillio ridotto in cenere: erano fianco a fianco.

Connie a denti stretti, il volto ingrigito dal fumo.

Sasha con il volto rigato da lacrime silenziose.

Mikasa a braccia conserte, tra Armin in ginocchio sull'asfalto ed Eren a pugni stretti.

Christa sembrava ipnotizzata da quell'orrido spettacolo, Ymir le teneva gli occhi inchiodati addosso e stringeva la sua mano come se faticasse a credere che fosse davvero là.

«Dov'è Marco?»

La sua voce era arrocchita, e parlare gli graffiava la gola. Non riuscì a trattenere un potente attacco di tosse.

Sasha lo guardò per un istante, come avrebbe guardato un fantasma, prima di precipitarsi sul suo petto, singhiozzando contro il suo pullover.

«Dove sono gli altri? Bert, Reiner, Annie...? Marco. Marco dov'è?»

I ragazzi si guardarono tra di loro, e fu Connie a prendere la parola: «Quando sei svenuto sono uscito a chiamare Reiner. Ha portato fuori te ed è riuscito a recuperare Annie; l'ha trovata in cucina, ma ora l'hanno portata via. È in coma, Reiner e Berthold sono andati con lei»

«Dov'è Marco?» ripetè Jean. La sua voce era ridotta a un basso ringhio gutturale.

Gli sguardi s'abbassarono.

«Jean, Marco è morto» esordì Mikasa, a testa alta. «È cenere»

«Non è possibile. Marco non può...»

«Sta' calmo, Jean» scandì Connie. «Tutti noi siamo sconvolti quanto te»

«Significa che non l'hanno trovato?»

«Jean, datti una calmata» intervenne Eren, ma Jean non ascoltava.

Si accasciò sulle ginocchia con il capo stretto tra le mani scosso da forti singulti, i denti serrati sul labbro inferiore, gli occhi gonfi di pianto.

«È colpa mia, è soltanto colpa mia.» latrò. «Ma Marco non può essere morto. Piantatela di sparare cazzate, ditemi do-»

Prima che potesse accorgersene, una mano schioccò sulla sua guancia umida.

«Qui l'unico che sta sparando cazzate sei tu, ragazzo. Magari non era esattamente la sua massima aspirazione, e lo capirei, ma Marco è morto salvandoti la vita: dovevi esserci tu, al suo posto, perciò cerca di mostrare quel briciolo di gratitudine di cui sei capace e tirati su, se non vuoi che ti dia un buon motivo per piagnucolare»

La faccia di Ymir era a un palmo dalla sua: torva, scura, una distesa di lentiggini e cicatrici.

«Sta' zitta. Parli così solo perchè lei è tutta intera» ringhiò, facendo cenno a Christa e asciugandosi il volto con il dorso della mano. Ymir si rimise in piedi.

«Reiner ha detto di averti trovato poco oltre la porta della cucina» sibilò, incrociando le braccia al petto. «Io non mi sarei fermata lì»

Soltanto allora Jean si rese conto d'aver paragonato sé e Marco a Ymir e a Christa.

Qualcun altro si fece avanti, accovacciandosi di fronte a lui e posandogli una mano sopra una spalla.

«Ce la faremo, Jean» sussurrò Armin, prima di avvicinare le labbra al suo orecchio. «Io non credo che una fuga di gas abbia ucciso Marco» aggiunse, e la fugace occhiata che lanciò all'indirizzo dei compagni gli fece intendere che la pensavano alla stessa maniera.

Deglutì, tirandosi in piedi proprio mentre le sue gambe vacillavano.

Qualunque cosa avesse fatto fuori Marco, Marco era andato per sempre, così come la sua vita passata.

Questo, almeno, era ciò che Jean Kirschstein credeva.





Grazie, grazie a tutti voi che recensite e seguite questa storia, davvero grazie di cuore.
Grazie a voi che, se prima vi eravate chiesti dove fosse il vostro thriller, ora state probabilmente marciando verso casa mia armati di torce e forconi: sarò lieta di farvi trovare la porta aperta, prego.
Spero continuiate a darmi il vostro supporto e i vostri pareri, e che ciò che scrivo sia stimolante per voi quanto scriverlo lo è per me.
Un abbraccio,

Timcampi

 

   
 
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