Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Timcampi    24/12/2013    5 recensioni
Era quasi l'alba quando accadde.
Quando si svegliò di colpo, dopo aver visto Marco bruciare ancora una volta dentro la sua mente, non trovò la rassicurante presenza dei poster dei Led Zeppelin e di Blondie, né la sua amata lava lamp. C'era qualcosa, a ostruirgli la vista. Qualcosa che stava a cavalcioni sopra di lui, che lo sovrastava, qualcosa la cui vista lo paralizzò.
L'essere aprì la bocca.
«Chi sono io?»
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Christa Lenz, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti, Ymir
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Jean Kirschstein



Vedere il suo nome mutato in quello di Jean Kirschstein su tutti i documenti e le scartoffie che l'avrebbero accompagnato nel suo cambio di vita lo turbava, ed era più che sicuro che quel mutamento di identità a cui gli eventi l'avevano condotto avrebbero inciso molto negativamente sulla sua vita sociale e sulla sua forza d'animo.

Aveva cambiato città, era stato costretto ad abbandonare l'idea di studiare nel tranquillo e comodo ateneo a pochi passi da casa per iscriversi alla grande, caotica università di Sina, e s'era lasciato alle spalle la sua famiglia e i suoi amici per trovare collocazione in una piccola villa alle porte della città, di norma data in affitto a studenti universitari.

Esitò un istante, prima di suonare il campanello della sua nuova casa.

Preceduto da un notevole frastuono, corse ad aprirgli un ragazzo di statura abbastanza minuta, pelato, con indosso dei guanti di gomma e con la fronte imperlata di sudore.

«Scusami se ci ho messo tanto, amico, oggi toccava a me dare una pulita al cesso. Sei quello nuovo, eh? Io sono Connie, Connie Springer» si presentò il giovane, tendendogli la destra con un accomodante sorriso sghembo.

Valutò con cura la situazione, prima di stringerla con cautela, come se temesse di scottarsi: per quanti gabinetti avesse potuto sturare con quella mano, iniziare con il piede sbagliato sarebbe stato senza dubbio una pessima mossa per qualcuno che stesse cercando di rifarsi una vita dopo averla messa gravemente a repentaglio.

«Jean Kirschstein»

Era la prima volta che sfoderava quel nome, ma quando Connie lo ripetè ad alta voce, come per soppesarlo, si scoprì a pensare che non gli calzava poi tanto male.

Connie lo invitò frettolosamente ad entrare, chiudendo la porta alle sue spalle e facendosi carico di una delle due valigie.

«Urca, quant'è pesante! Che accidenti hai, qua dentro? Un cadavere?» borbottò, prima di fargli cenno di seguirlo. Si sentì sollevato nel realizzare quanto, già a primo impatto, si respirasse aria di casa: il piccolo salotto era arredato in modo un po' kitsch ma molto accogliente; libri sparsi sul tavolo, un vaso colmo di brutti fiori finti, un pouf d'un arancio sgargiante; l'odore invitante di pollo allo spiedo, di patatine e di qualcosa di dolciastro che non riuscì a indentificare; uno stereo acceso al piano di sopra.

Per accedere alla sua stanza era necessario passare per la cucina.

«È il ragazzo nuovo?» pigolò la ragazza che trovarono alle prese con un impasto che Jean sperava sarebbe diventato più invitante, da cotto. Era da lì che quell'odore indefinito proveniva.

«Lui è Jean. Jean, ti presento Sasha. Dovrai attraversare il suo regno ogni volta che andrai in camera tua»

Quando Jean strinse la seconda mano della giornata, la trovò sorprendentemente forte e ruvida, e piacevolmente fresca.

«Spero ti piaccia il cheesecake, Jean» sorrise Sasha.

Cheesecake. Ecco cos'era.

La sua stanza, l'unica rimasta libera, era piccola, ben illuminata e abbastanza spoglia da stimolare la sua creatività latente: già immaginava le pareti colme di poster e post-it, la radio accesa, una lava lamp sul comodino.

Forse era stato un po' precipitoso, nel bocciare la prospettiva di una nuova vita prima ancora di cominciarla.

«Di un po', amico, dov'è che ti sei iscritto?» domandò Connie, abbandonando la valigia oltre la soglia.

«Ingegneria»

«Woh, Marco mi ha detto che è tosta. Io sono di Legge, come Sasha. A proposito, ti andrebbe di venire a conoscere gli altri?»

Nella prima stanza in cui s'imbatterono, una volta al piano di sopra, regnava un ordine maniacale: libri e quaderni ordinatamente impilati sugli scaffali, manubri dall'aria molto pesante ordinatamente allineati accanto alla scrivania, un poster su cui erano disegnati in modo impeccabile la struttura scheletrica e il sistema muscolare incollato a una parete, un piacevole profumo di pulito. Seduto alla scrivania e chino su un tomo proporzionato alla sua notevole altezza, vi era un ragazzo dall'aria malinconica e un tantino emaciata, che si presentò come Berthold Fubar; disteso sul letto, con un paio di spessi occhiali da lettura sulla punta del naso e un bloc notes ricolmo d'appunti tra le mani, c'era invece quello che doveva essere il proprietario di quei manubri: un giovane dalla stretta di mano letale ma dai modi cordiali, tale Reiner Braun.

La seconda stanza -Jean fu lieto di constatarlo- era occupata da tre ragazze. Il piano inferiore del letto a castello, attorniato da fotografie, riserve di cibo e vestiti ammucchiati disordinatamente, era quello destinato a Sasha, la ragazza del cheesecake; dal piano superiore scese invece una ragazza dai tratti orientali, dal fisico atletico e dotata di una magnifica chioma corvina.

«Jean Kirschstein» dichiarò Jean, entusiasta, allungando una mano che l'altra ignorò.

«Mikasa Ackerman» tagliò corto, prima di rivolgersi a Connie: «Reiner ha ancora bisogno dei miei manubri o posso riprendermeli?» domandò, oltrepassando Jean e dirigendosi verso la stanza accanto senza aspettare una risposta.

La terza inquilina era comodamente stesa sul letto addossato alla parete opposta, con i capelli biondi raccolti dietro la nuca e un grosso libro aperto sull'addome.

«Annie, lui è Jean»

«Incantata» bofonchiò, tuffandosi nuovamente nelle sue letture.

Connie richiuse la porta con una scrollata di spalle e l'accenno d'una risata.

«Ah, amico, fidati di me: il vantaggio di queste qui è che almeno sai che ti lasceranno studiare in pace, se capisci quel che intendo; sai, a volte fanno un po' paura, e non hai ancora visto il peggio. Ma sta' tranquillo, qua siamo tutti okay»

«Il... peggio?» mormorò Jean, a mezza voce, cercando di non figurarsi un'energumena dallo sguardo assassino, con un bilanciere tra le mani e un coltello tra i denti.

La musica che aveva udito entrando in casa proveniva proprio dalla stanza di fronte a quella delle ragazze, ed era tanto assordante che Jean si domandò tra sé come mai nessuno se ne lamentasse.

«Ci abbiamo fatto il callo. Se ci lamentiamo lei alza il volume. Stiamo prendendo in considerazione l'idea fracassarle lo stereo sulla testa, però» spiegò Connie, quasi leggendogli nel pensiero e aprendo la porta senza bussare.

Forse non era un'energumena, quella seduta sul quel letto sfatto, con indosso soltanto una maglietta dei Led Zeppelin e un paio di boxer, intenta a scarabocchiare qualcosa, ma Jean non riuscì a non pensare di non esserci andato tanto lontano.

Mentre il lato destro della stanza era tappezzato di disegni e fotografie, stemmi e pupazzi, su quello sinistro facevano bella mostra di sé poster ritraenti gruppi musicali dai nomi illeggibili, molti dei quali sconosciuti a Jean, schizzi disordinati, e indumenti gettati alla rinfusa ovunque. Il tutto era condito da una massiccia quantità di libri, dischi e fumetti che, a giudicare dalla loro collocazione, dovevano appassionare entrambe le coinquiline.

«Che cazzo, Connie, non t'hanno insegnato a bussare? Qua ci sono delle signore!» sbraitò la ragazza, cercando di sovrastare il frastuono della musica. «E lui sarebbe...? Quello nuovo? M'aspettavo peggio»

«Quello nuovo?»

Un'altra ragazza era sbucata da dietro un'anta aperta dell'armadio. Minuta, pallida, dai tratti raffinati: tutto ciò che la sua compagna di stanza non era. «Christa Renz, piacere. Spero ti troverai bene, qui; siamo una specie di famiglia un po' sgangherata» trillò, andando a stringere la mano di Jean. Profumava di spezie e di cacao.

«Che accidenti è questa roba?» sbottò Connie, portandosi le mani alle orecchie.

«ACϟDC, ragazzo»

«E chi cazzo sono?»

«Ah, sta' zitto e pussa via, pelato. Tornatene ai tuoi Bee Gees e non rompere» sentenziò, balzando giù dal letto per schioccare un sonoro bacio sulla guancia dell'amica e sbattere di malagrazia la porta.

«Ymir» sospirò Connie. E Jean non volle sapere altro.

Poi gli mostrò la sua stanza.

«Eren e Armin non sono in casa, li conoscerai a cena» disse, additando il letto a castello dove dormivano i due compagni.

Quando scesero nuovamente al piano di sotto, Jean fece per congedarsi e tornare in camera propria, quando Connie lo fermò: «Ce n'è ancora uno».

«Ha voluto questa stanza perchè non ama la confusione e ha bisogno di concentrarsi. Te l'ho detto, Ingegneria qui è bella tosta» gli spiegò, mentre scendevano gli scalini che, dal salotto, portavano al seminterrato e alla stanza del ragazzo che gli era stato indicato con il nome di Marco.

Jean non faticò a comprendere cosa avesse portato il ragazzo a scegliere quella stanza: nonostante non fosse ben illuminata, era silenziosa, e non vi giungeva assolutamente nulla, né il profumo del cibo, né gli ACϟDC. Era un posto assolutamente perfetto per studiare in pace. Chino sulla scrivania, curvo su di uno spesso tomo dalle pagine ingiallite, c'era il ragazzo dall'aria più pacifica che avesse mai incontrato.

«Marco, lui è Jean... Come hai detto che ti chiami?»

«Kirschstein. Jean Kirschstein» scandì Jean, in modo quasi meccanico.

Verso di lui si tese una mano lievemente olivastra, morbida e affusolata.

«Marco Bodt. È un vero piacere conoscerti, Jean» replicò il giovane, sollevando le gote tempestate di lentiggini in un sorriso sereno. «Spero ti ambienterai, e che diventeremo buoni amici»

«Ti conviene. Seguiremo gli stessi corsi, suppongo sarebbe utile a entrambi avere un'altra testa su cui contare» disse Jean, augurandosi in cuor suo di non aver bisogno troppo spesso di approfittare della gentilezza di quel tizio, e sperando al contempo che quest'ultimo non prendesse la sua affermazione come un invito a ronzargli troppo intorno.

«Non fare complimenti, sentiti pure libero di fare affidamento su di me ogni volta che vuoi» rispose Marco.

Forse, si disse Jean, ricominciare non era affatto male.

Forse.

 

 






Innanzitutto, grazie. Grazie a tutti coloro che leggeranno questa storia, grazie a chi mi darà un parere a riguardo, grazie a chi continuerà a seguirla.
Questo racconto è nato in una notte, mentre ero stremata da una giornata di preparativi prenatalizi ma proprio non avevo voglia di dormire, e così mi sono ritrovata a sfornare pensieri malsani che ho raccolto qui, nella trama che ha appena iniziato a snodarsi. 
Se siete sorpresi dal netto contrasto tra la presentazione della storia -rating, avvertimenti, eccetera- e quanto è scritto in questo breve capitolo introduttivo, non temete... anzi, fatelo: questo è soltanto l'inizio.
Un abbraccio a tutti voi,

Timcampi

   
 
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