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Autore: nessy89    26/12/2013    2 recensioni
THE GUARDIAN
INTRODUZIONE
Non avevo mai vissuto realmente ma se per farlo sarei dovuta morire per tutti quelli che conoscevo l'avrei fatto.
Credo sia un buon compromesso se servisse a far battere di nuovo il mio cuore.
Ero un'adolescente come tante, abituata a vivere in un mondo senza più sogni che guardava in faccia la realtà con i piedi per terra.
L'unica cosa bella della mia vita era la mia famiglia, al contrario di molte mie amiche.
Ma quando anche questa mi fu strappata via, smisi di respirare, smisi di piangere, smisi di vivere.
Mi chiamo Elisabetta, ma per tutti sono Betty. Questa è la storia di come sono stata salvata da chi di umano aveva solo l'aspetto perchè lui era molto, molto più che umanamente straordinario.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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OSSERVATA.



Sono in viaggio verso  Coober Pady, una minuscola cittadina situata nello Stato dell'Australia Meridionale, in un'area desertica.
La città è spesso ricordata per i numerosi giacimenti di opale, pietra il cui colore riflette il mio umore oggi e la maggior parte degli abitanti vive e lavora nel sottosuolo.
Alla guida della vecchia Jeep verde scuro c'è mio zio Albert, a cui sono stata affidata cinque mesi fa dopo la morte dei miei genitori.
Scapolo incallito, da addetto alla sorveglianza in una miniera, da qualche mese ha deciso di diventare imprenditore  aprendo un piccolo negozio di prodotti artigianali per i sempre più numerosi turisti.
Sono nata diciasette anni fa a Sidney, da una coppia di immigrati italiani che raggiunsero l'Australia poco dopo il matrimonio. Mio padre aveva aperto  un negozio di alimentari con prodotti solo italiani e mia madre saltuariamente dava una mano alla cassa e a far quadrare i conti.
Quando partii non salutai molta gente. Non ero molto brava a stringere amicizie, i discorsi frivoli di certe ragazze non mi interessavano, per non parlare della moda! Anche se vivevo ad un passo dai grandi negozi non mi interessava per niente vestire firmato e andarmene in giro con tacchi vertiginosi e truccata per pavoneggiarmi con i ragazzi. Preferivo  Jeans e scarpe da ginnastica.  A volte trovavo mia madre guardarmi e scuotere la testa. Non si arrendeva nel volermi vedere vestita bene e spesso mi rivoluzionava l'armadio appendendo vestiti nuovi che ovviamente non avrei mai indossato.
Osservavo fuori dal finestrino. Il paesaggio era desertico. Sbuffai.
-Coraggio Betty, siamo quasi arrivati, vedrai Coober Pedy non è poi così male. Sono sicuro che ti piacerà!-
-Certo zio!- Cercai di essere il più sorridente possibile nel rispondergli, ma sapevo che i miei occhi tradivano le mie parole. Purtroppo ero una pessima bugiarda.
-Non troverai certo l'atmosfera cittadina a cui eri abituata, ma le vecchie miniere abbandonate e le case nella roccia ti affascineranno!-
Inclinai le labbra per fingere un mezzo sorriso, ma il risultato fu più simile ad una smorfia.
Di una cosa ero sicura, appena avessi avuto le possibilità avrei ringraziato  mio zio e sarei ritornata a vivere vicino al mare.
Finalmente verso sera arrivammo. L'esterno della casa di mio zio, sempre che il termine casa possa andare bene, era una bassa collina rocciosa con diversi fori alle pareti. Nel lato destro della porta d'ingresso c'era una mucca di dimensioni appena più piccole rispetto ad una vera, con la scritta benvenuti sul fianco, simbolo dell'estrosità nei gusti di Albert.
L'interno era accogliente , ma completamente diverso da una normale casa, i soffitti erano bassi, l'ingresso, la cucina e la sala erano raccolti in unico ambiente da cui partiva il corridoio per le camere. I muri non avevano una tinta, se non il naturale colore marroncino della roccia.
Mio zio prese le valige e  si avvicinò a me con un grosso sorriso.
- Per fortuna quando ho preso questa casa non ho pensato che sarei rimasto single  altrimenti avrei preso un monolocale o qualcosa del genere.- Con la mano mi indicò il corridoio . -   Queste  sono le nostre due camere da letto una di fronte all'altra e laggiù c'è il bagno. E' uno solo ma io lavoro sempre e sono a casa solo alla sera quindi credo non avremmo grandi problemi.- Disse sempre sorridente.
-Questa è la tua stanza, in tuo onore ho fatto fare anche una targhetta da un artigiano locale con il tuo nome da appendere alla porta, così non potrai sbagliarti ...-  Cominciò a ridere. -In realtà non ce ne sarebbe stato bisogno, le porte sono solo tre,...ma mi piaceva l'idea.-
Ricambiai il sorriso e ringraziandolo aprii la porta.
La stanza era molto semplice, con  armadio e una scrivania  bianchi, un letto in ferro battuto e un piccolo comodino di legno che reggeva una vecchia lampada verde.
-Ho comprato una trapunta e delle lenzuola azzurre, spero  ti piacciano. In realtà le avevo prese rosa ma arrivato a casa mi sono accorto che non ti ho mai vista con qualcosa di rosa addosso, quindi sono tornato indietro e le ho prese azzurre come i tuoi occhi, ma se per caso non vanno bene ho tenuto da parte gli scontrini, non penso sia un problema...-
-Albert, no sul serio è tutto  perfetto grazie mille!-
-okay, allora ti lascio sistemare le tue cose, domani mattina ti accompagno a scuola e dopo se vuoi puoi rimanere con me al negozio. Se non c'è altro vado  a prepararmi un panino, quell'hamburger preso lungo la strada non mi ha saziato... se ti serve qualcosa, qualsiasi  cosa chiedi pure!-
Annuii e lui uscì chiudendo la porta.
Misi la valigia  sul letto e cominciai a riordinare le mie cose. Non ci impiegai molto a sistemare i pochi vestiti nell'armadio, il mio abbigliamento da deserto era abbastanza ristretto, misi la foto dei miei genitori e i miei libri preferiti sulla scrivania. Presi il beauty e andai in bagno, avevo proprio bisogno di una doccia dopo tutto un giorno passato in macchina ma il box era così stretto da ricordarmi una gabbia così diedi addio al benefico afflusso dell'acqua.
Triste e distrutta mi buttai sul letto.
Quella prima notte a Coober Pady fu terribile, c'era un silenzio spaventoso a cui non ero abituata,  mi mancava tanto il rumore del mare, i rumori della città e soprattutto mi mancava da morire la mia famiglia.
L'indomani fui svegliata da un inconfondibile profumo di pane tostato, guardai la sveglia, le sei in punto. Dalla piccola finestra  filtrava una luce intensa che cancellava la sensazione di claustrofobia della camera.
La colazione, completamente all'italiana,  con Albert fu piacevole e in qualche modo mi ricordava ciò che mi preparava mia madre il mattino, ma d'altro canto era sua sorella qualche analogia dovevano pur avere.
-Buongiorno Betty, dormito bene?-
-Si certo... c'era un silenzio assoluto.-
Gli si illuminò il viso.
-Visto te l'avevo detto! Ti troverai senz'altro bene! Niente trambusti cittadini qui!-
Abbasai le spalle e presi la mia tazza di caffè.
Finita la colazione lo aiutai a sparecchiare cercando di memorizzare dove tenesse le cose per essere indipendente in futuro. Non servì un grande sforzo, la piccola cucina color panna era composta da un frigo, da tre credenze, una cassettiera e un lavandino. In centro, c'era il tavolino con quattro sedie. Dietro c'era il divanetto di tessuto blu e un tavolino di legno con la televisione.
Andai in camera a cambiarmi, aprii l'armadio e mi guardai nello specchio dentro l'anta. Ero alta 1.65, con  i capelli  lunghi e castani e la  pelle era chiarissima, non si abbronzava mai, neanche quando trascorrevo intere giornate in spiaggia. I miei occhi erano azzurri come un cielo estivo senza nuvole.
Per la scuola scelsi un abbigliamento semplice, camicetta bianca e Jeans leggeri.
Mio zio insistette per accompagnarmi visto che era il primo giorno, ma dal giorno dopo sarei andata da sola con l'unico mezzo a disposizione nel suo garage, la  vecchia mountain bike blu. Me la mostrò sollevandole con un soffio la polvere.
-Non è un mezzo a motore, ma per queste parti è perfetta, gomme e freni sono come nuovi e con un po' d'olio ai pedali sfreccierà come un missile sull'asfalto-
Alzai gli occhi al cielo e annuendo con finto sorriso al suo sfrenato entusiasmo lo ringraziai. In quelle poche ore con Albert gli avevo sentito dire la parola perfetto un po'troppe volte, forse era un modo per autoconvincersi!
La scuola era a una decina di minuti da casa, in base alla velocità della macchina calcolai che in bici ci avrei impigato almeno il doppio.
L'edificio era basso e si sviluppava in lunghezza. All'apparenza sembrava un fabbricato vecchio di almeno trent'anni, un paio di alberelli mezzi secchi accompagnavano il vialetto fino all'entrata.
Salutato mio zio, mi recai in segreteria per l'orario delle lezioni e il nome dei professori ignorando le occhiate curiose dei ragazzi lungo il corridoio. Ad accogliermi c'era una signora minuta con i capelli completamente bianchi raccolti in uno chignon dietro la nuca e gli occhiali spessi, vestita con un tailleur nero, mi ricordava tanto le vecchie tate dei film in bianco e nero.
-Buongiorno io sono la signora Foster tu devi essere Elisabetta Franco la nuova arrivata, ti stavamo aspettando.  Tuo zio ci ha parlato di te e se ti dovesse servire un qualsiasi aiuto non esitare a chiedere. Questo è il tuo orario di lezione e la cartina della scuola, la prima ora è nell'aula di inglese, queste sono le chiavi del tuo armadietto, il numero 09. E' una piccola scuola, la maggior parte dei ragazzi viene dai dintorni, alcuni hanno anche un'ora di strada per raggiungerci, ma nel complesso sono tutti ospitali, ti troverai bene. Qui tutti conoscono tutti perciò dubito che farai fatica ad inserirti.-
-Okay, grazie signora Sullivan.-
Presi i miei fogli e mi incamminai verso l'armadietto per appoggiare i libri.
Tenevo la testa bassa, sentivo i ragazzi confabulare chiedendosi chi fossi e da dove venissi. Non volevo farmi venire un attacco di nostalgia così presi il mio mp3 dalla tasca e lo accesi a tutto volume sulle mie musiche preferite.
L'aula di inglese era molto stretta, mentalmente contai appena 18 banchi, avevo tutti gli occhi degli studenti puntati addosso e mi sentii arossire, ad accogliermi c'era il professor Mason.
-Buongiorno, tu devi essere Elisabetta Franco, la nuova alunna, prego accomodati nel banco libero vicino a Kate .-
-Grazie.- Accennai un timido sorriso e mi diressi a testa bassa verso il mio banco.
Girandomi  notai  che in prima fila sedevano due ragazzi bellissimi.
Uno dei due, il più minuto, mi fissò serio, con occhi sgranati. Provai ad ignorarlo anche se ero  stanca di essere al centro dell'attenzione e andai a sedermi.
-Ciao io sono Katy Sullivan- la ragazza di fianco a me si presentò con un sorriso, aveva la carnagione scura, come quasi tutti gli altri ragazzi e due grandi occhi neri. I suoi capelli erano neri, lunghi e lisci, mi ricordava un po' Pocahontas.
Mentre appoggiai lo zaino per terra vidi il ragazzo bellissimo in prima fila girarsi ed accenarmi un sorriso, come se avesse sentito la mia battuta che avevo solo pensato. Katy tossì piano, forse aspettava una mia risposta...
-Eh ciao, scusa oggi sono un po' frastornata, io sono Elisabetta Franco, ma tu puoi chiamarmi Betty, lo preferisco!-
-Da dove vieni Betty?-
-Da Sidney- ma la voce mi si spezzò nel pronunciare l'ultima lettera.
-Da Sidney? Oh mio Dio e come mai sei venuta qui a Coober Pady?-
Preferii restare sul vago non mi andava di raccontare la mia storia, non ancora.
-E' una lunga storia, sono stata affidata a mio zio Albert che qui ha aperto un negozio di prodotti artigianali, e questo è tutto.-
Vedevo il suo viso pieno di domande ma non volevo dare altre risposte quindi aprii il libro e mi concentrai sulla lezione. Certamente con una classe così piccola immaginavo che gli alunni rimanessero più concentrati sulla lezione, ma dovetti rimangiare i miei pensieri quando mi accorsi che i due bellissimi ragazzi in prima fila e un'altra ragazza a fianco a loro erano gli unici con il libro aperto e lo sguardo dritto alla lavagna, gli altri erano occupati a leggersi una rivista, qualche ragazza era persa a guardarsi nello specchio, altri scommettevano su una partita del campionato locale e un'altra ancora si stava  asciugando lo smalto.
Possibile che a nessuno importasse della lezione, magari di diplomarsi con il massimo dei voti e avere così la scusa di andare in qualche lontano college a studiare per scappare via da quel paese?
Sempre con lo sguardo al professore notai che ancora una volta il ragazzo in prima fila sghignazzava, forse stavo già impazzendo e la mia paranoia aveva preso il sopravvento.
Al termine delle lezioni, Katy si offri di accompagnarmi in sala mensa, evidentemente aveva in serbo per me un questionario di domande che infatti non tardarono ad arrivare.
Nel frattempo si unirono a noi altre tre ragazze sempre scure di carnagione, abbastanze altezzose, con tacchi e rossetto. Pochi minuti dopo avermele presentate mi ero già dimenticata i loro nomi.
-Dove abita tuo zio?- mi chiese una di loro.
-A dieci minuti da qui.-
- A parte la tua carnagione credo che potresti andare bene come cheeroleader della squadra di football della scuola, io sono il capitano!- Mi disse con aria da regina, come se a me importasse qualcosa di volteggiare e ballare in mezzo ad altri!
-No grazie non credo.-
Mi diede un occhiataccia, come a chiedersi se ero pazza.
-Fai come vuoi, se cambi idea chiamami pure, certe occasioni capitano una sola volta nella vita!- E spostando i capelli dietro la schiena se ne andò seria con le altre due.
-Non farci caso, sono talmente prese da se stesse che non vedono al di là del proprio naso- mi disse Katy.
-Spero di non averle offese...-
-Figurati, è il loro modo di fare, Shelly oltre che capitano delle cheeloleader è anche reginetta della scuola e non è abituata a ricevere un no come risposta.-
Sentivo tutti attorno seduti che parlavano ancora di me, così per non innervosirmi cominciai a fare qualche domanda alla mia compagna di tavolo.
-Chi erano quei ragazzi seduti in prima fila a lezione?- Visto che oltre a me erano gli unici attenti in classe . Si mise  a ridere.
-Gli hai notati eh? Guarda sono seduti proprio nel tavolino dietro di te.-
Mi girai e vidi che stavano mangiando il loro pranzo, stavolta la cosa che mi colpì è che erano gli unici in silenzio, anche se con gli occhi erano occupati a guardarsi.
-Quello più smilzo è Richard Ross, a fianco e più muscolso c'è suo cugino Patrick, un vero macio e la ragazza si chiama Samantha, una loro cugina. Tutti e tre si sono trasferiti qui con la zia, la signora Ross, dal Brasile l'anno scorso, si dice sia l'unica loro parente rimasta in vita nonchè unica erede e proprietaria di quasi  tutte le terre dove sorgevano le vecchie miniere.-
Mentre mi parlava mi sentivo molto osservata, ovviamente avevo gli occhi di tutti addosso, ma ero certa di sentire uno sguardo nuovo da dietro la schiena, quindi facendo finta di sistemarmi i capelli  mi voltai appena e vidi gli occhi più belli che avessi visto fin'ora guardarmi. Mi girai subito e per qualche strana ragione mi sentivo mancare il fiato, quegl'occhi verdi, talmente verdi da sembrare irreali mi fecero girare la testa.
-Betty, lascia stare...- mi disse sghignazzando  - tanto non  stringono amicizia con nessuna qui, vestono solo firmato e sfrecciano con i loro macchinoni!-
Chissà perchè Katy si sentiva di dirmi quelle cose, lo avevo solo guardato, forse ll'aveva immaginato dal mio sguardo perso, ma quello che proprio non mi serviva ora era l'ennesimo ragazzo ricco e pieno di sé!
Finito il leggero pranzo  ci preparammo per la lezione di biologia a cui seguì ginnastica. Nella scuola di prima ero molto brava in atletica ed ero anche capitano della squadra di pallavolo.
La palestra era abbastanza spoglia, senza ceste colme di palloni per ogni sport o tabellone elettronico segna punti, a metà c'era una rete da pallavolo con qualche filo smagliato.
-Bene ragazzi - disse il professor Newton -oggi partita di pallavolo!-
E dopo un breve riscaldamento pronunciò i componenti delle due squadre, per fortuna ero in squadra con Katy, almeno una persona che conoscessi, c'erano anche Richard e sua cugina, di contro fra i ragazzi avevamo quelle tre smorfiosette delle cheerleader e mister muscolo Patrick!
Mentre discutevamo della formazione Richard mi si mise di fianco, era così bello che facevo fatica a capire chi aveva il ruolo di battitore e chi di alzatrice della squadra. Coraggio mi ripetevo pensa a fare bella figura e non dargliela vinta all'ennesimo spilungone della tua vita.  I ragazzi a cui ero abituata nella mia precedente scuola erano tutti molto superficiali, con loro non riuscivo mai a fare un discorso serio a meno che non si parlasse di football o di macchine veloci quindi non ero mai uscita con nessuno che mi interessasse particolarmente.
La partita era abbastanza agguerrita ed equilibrata, entrambe le squadre avevano ragazze che per la paura di rompersi le unghie non prendevano la palla facendo segnare l'avversario.
Eravamo in parità, mancava un solo punto ad entrambe per vincere o per perdere. Mister muscolo Patrick schiacciò una cannonata impossibile da prendere tanto era veloce, ma con mio enorme stupore Richard ci riuscì e Samantha  me l'alzò, io saltai per schiacciare, Patrick mi fece muro con le sue enormi braccia e io invece di usare la forza, feci scivolare la palla di lato dove non poteva arrivare con le braccia. Punto. Vittoria!
Battemmo tutti un cinque, e io mi scambiai un 'grande' con Samantha e Richard che non la smettevano di sorridere fra loro. Evidentemente pensavano a come prendere in giro il cugino. A me non sembravano poi così indifferenti, certo belli da far invidia si ma anche altezzosi credo di no, almeno non per gli standard a cui ero stata abituata.
Mentre raccoglievamo i palloni usati per l'allenamento, con la coda dell'occhio vidi Richard avvicinarsi.
-Ciao, tu sei Elisabetta, la ragazza nuova, io mi chiamo Richard, ma per gli amici Rick.-
I suoi occhi erano così intensamente verdi che per un attimo persi il filo.
-Ehm... piacere, ma chiamami pure Betty, Elisabetta  è troppo lungo, non mi è mai piaciuto molto...- riuscii a dire.
-Come preferisci, anche se per me Elisabetta è un nome bellissimo. Oggi a lezione credo fossimo gli unici a stare attenti. Evidentemente gli altri ragazzi avevano di meglio da fare.- Cavolo l'aveva notato anche lui, forse è per questo che si era girato e mi aveva sorriso.
-Si, ma da dove vengo io queste cose non succedevano, anche se era pieno di ragazzi per cui lo studio era un passatempo ...raro...- dissi scuotendo la testa.
Scoppiò in una risata.
-  Da dove vieni?- Uff, no anche lui!
-Da Sidney, si  so già cosa starai per chiedermi..'cosa sei venuta a fare in una cittadina come questa?' - Spalancò gli occhi... -Sono venuta a vivere con mio zio!- Dissi con un po'di broncio. Forse ero stata un po'  cattiva nel rispondergli e me ne pentii subito. -Scusa non volevo è che oggi sembra essere la domanda del giorno, sento perfino gli altri chiederselo fra loro mentre cammino in corridoio.-
-Non ti preoccupare, ti capisco, anch'io mi sono appena trasferito qui con mia zia e anche se con me ci sono due miei cugini, sento spesso la solitudine, soprattutto di notte, qui è tremendamente silenziosa! E per quanto riguarda gli altri ragazzi lasciali perdere, qui non c'è mai nulla di nuovo e quando finalmente arriva qualcosa di diverso di cui parlare si fanno prendere la mano, inventando magari cose non vere. Anche se non è il tuo caso! Ho sentito tutti farti i complimenti per come fossi carina.-
Arrosii ma rimasi con gli occhi fissi su di lui.  Quel ragazzo mi capiva e le sue parole  mi rassicuravano. Quando mi accorsi di esser rimasta per quasi un minuto a guardarlo senza aprir bocca, abbassai lo sguardo vergognandomi.
-Ora devo andare Betty, ci vediamo domani a scuola!-
-Ciao Rick, a domani!-
Scossi la testa, quel magnifico ragazzo non era solo bello da far paura, bravissimo a pallavolo e attento alle lezioni ma era anche educato e simpatico, sicuramente non avrei più dato retta ai giudizi degl'altri!
Il pomeriggio lo passai in negozio da Albert e mentre sistemavo i vari oggetti fatti a mano dagl'artigiani del luogo entrò un vecchio con un bastone e un ragazzo più giovane, entrambi  erano di pelle scura con i capelli neri intrecciati lungo la schiena.
-Betty vieni, ti presento Carlos con suo figlio Dylan, è a lui che devo la fortuna del mio negozio, gli oggetti  creati da lui sono i più venduti. Lei è Betty, mia nipote!-  disse alzando tutte e due le mani verso di me.
-Albert, non fare il solito esagerato! Piuttosto complimenti, tua nipote è proprio una bellissima ragazza, vero Dylan- disse dando una gomitata al figlio. Il poverino era imbarazzato tanto quanto me,  alzò gli occhi al cielo e si presentò..
-Ciao io sono Dylan, tuo zio ci ha parlato molto di te  e devo dire che non esagerava affatto nel dire che sei molto carina..-
-Grazie, così siete voi i creatori di queste meraviglie!- Gli risposi prendendo in mano una collanina di corda con un pendente di opale intrecciato in una retina metallica.
-Non esageriamo, il maestro è lui, io sono solo l'apprendista. Noi abitiamo vicino alla riserva di Breakaways, da lì si vedono i tramonti più belli di tutto il pianeta! Quando vuoi venire basta che mi chiami e ti vengo a prendere!-
- Ci stò! Se non è lontano posso anche venirci da sola, mi piace molto correre in bici.-
-Come vuoi, ma da noi non passano molte macchine ed è abbastanza isolato quindi se per te è lo stesso insisto nel venirti a prendere!-
-Okay,  non appena mi sarò sistemata con la scuola e tutto il resto ti chiamerò!-
-Ci conto!- mi disse strizzandomi l'occhio.
 Dylan mi entrò subito in simpatia. Oltre all'aria da bravo ragazzo era anche molto bello. Dalla sua stretta maglietta nera si intavedevano i muscoli scolpiti del petto, ma non aveva la faccia da culturista, i suoi grandi occhi castani emanavano simpatia e il suo sorriso era rassicurante.
Carlos complimentandosi ancora con mio zio, prese Dylan sottobraccio e ci salutò. A differenza del figlio, aveva uno sguardo profondo e attento che mi mise in soggezione.
Per cena comprammo una pizza, entrambi eravamo troppo stanchi per cucinare, ma l'indomani avrei iniziato a ricambiare l'ospitalità dello zio cucinando e pulendo.
La notte faticai a prender sonno, mi rigiravo continuamente nel letto, appena chiudevo gli occhi vedevo quelli verdi di Richard, così tremendamente belli e anche ...familiari. A notte fonda presi un mezzo tranquillante e mentre aspettavo facesse effetto ascoltai uno dei miei brani preferiti, 'Moonlight' di Beethoven.
Il giorno dopo mi svegliai tramortita dal sonnifero e dopo una veloce colazione corsi in garage a rispolverare la vecchia bici. Mio zio insistette ancora un po' per accompagnarmi ma volevo essere  indipendente senza creargli ulteriore disturbo.
-Va bene Betty, ma ricordati di essere prudente e cerca di non andare  verso il deserto da sola!-
-Okay zio promesso, ci vediamo stasera- gli risposi prendendo la bici e correndo fuori lo salutai con la mano.
Il cielo era azzurrissimo, qualche velatura bianca ondeggiava all'orrizzonte, il paesaggio non era male come pensavo, anzi già dopo un giorno quelle distese desertiche cominciavano ad affascinarmi. Dopo circa una ventina di minuti arrivai a scuola e mentre parcheggiai la bici notai come quella breve corsa in bici mi avesse aiutato. Bene, la mountain bike d'ora in poi sarebbe diventato il mio mezzo di trasporto preferito.
Katy era davanti alla porta della classe ad aspettarmi con un sorriso speranzoso sul viso e mentre anch'io la salutavo ricambiando il sorriso fui affiancata da  Richard.
-Buongiorno Betty, passato bene la serata?- Lo guardai appena, certa che se mi fossi soffermata ancora sul suo viso e nei suoi occhi non avrei avuto la forza di rispondergli.
-Non proprio, abituarsi al silenzio delle lunghe notti di Coober Pady non è facile.- Risposi incespicandomi sulle parole.
 Quella mattina indossava dei Jeans e una maglietta celeste il cui colore assomigliava tanto a quello dei miei occhi. Mentre ci avvicinevamo alla porta notai che Katy era rimasta con la bocca aperta nel vederci parlare. Mi scappò una leggera risata.
-E' già io ho trovato un rimedio efficace contro queste brutte notti- disse con gli angoli della bocca in su, come se stesse trattenendo  una risata.
-E quale sarebbe?- Domandai incuriosita.
- Ascoltare musica classica! Magari Beethoven, a me piace molto 'Moonlight,' ho sentito dire che aiuti a concigliare il sonno, almeno a certe persone. Siuramente non a Patrick, lui ha il sonno molto pesante, appena tocca il cuscino si addormenta e anche se scoppisse una bomba atomica non farebbe una piega!-  Mi disse sghignazzando.
Rimasi di stucco, possibile che questo ragazzo avesse le mie stesse soluzioni ai miei stessi problemi? La campanella suonò e Rick entrò in classe salutandomi con la mano.
Quel giorno  ebbi parecchia difficoltà di concentrazione, continuavo a pensare a Richard e alle sue parole, ogni tanto Katy mi spostava il gomito richiamando la mia attenzione per chiedermi di Rick e di cosa avessimo parlato, ma non la degnai di una risposta, probabilmente si sarà chiesta se fossi arrabbiata con lei o magari se fossi diventata pazza ma non me ne importava granchè al momento, avevo solo una domanda urgente per lei.
-Katy, scusa per oggi, stanotte non ho praticamente chiuso occhio.-
-Oh Betty, va bene, ma la prossima volta magari fammi un ceno con la testa, pensavo fossi caduta in  coma con gli occhi aperti fissi alla lavagna!-
-Si hai ragione, scusa ancora. Volevo solo chiederti se sapevi dove vivono i Ross?-
Katy scosse la testa forse pensava che avessi perso la testa per Rick...
-Non  lo so Betty, lo vedo sfrecciare con la sua Bmw nera perennemente lucida malgrado la polvere del deserto, verso nord, ma nessuno sa dove di preciso.-
Per tutta la durata delle lezioni valutai varie ipotesi sul fatto che Rick sapesse che ascoltare musica classica di notte mi rilassava e che guarda a caso avesse citato la mia musica preferita.  Forse se  Richard fosse stato un mio vicino di casa avrebbe potuto spiarmi la notte scorsa, anche se trovavo improbabile che un ragazzo bellissimo come Richard trovasse me, una comunissima ragazza, interessante al punto di spiarla dalla finestra con il rischio di essere scoperto.
Malgrado i miei sforzi non riuscivo a venirne a capo, un'altra idea che mi venne in mente durante l'ora ci scienze fu che forse Richard aveva molte doti, oltre ad essere bello, affascinante, misterioso, poteva anche essere un indovino.
Cominciai a paragonarlo ad un ragazzo comune ma non c'era confronto, Richard possedeva un non so che di irreale, di alieno, nessun ragazzo conosciuto fino quel momento aveva le sue caratteristiche, se un ragazo comune era ricco si pavoneggiava per tutta la scuola sventolando qualche bella ragazza a fianco, ma lui niente, se ne stava con i  suoi cugini sempre in disparte senza mai aprire bocca, eppure aveva la parlata più fluida e cordiale che avessi mai sentito. Tutto quel pensare mi aveva fatto venire un gran mal di testa, non vedevo l'ora di prendere la mountain bike e fare una lunga corsa.
-Betty, Betty sveglia! Guarda dietro di te tutti e tre i Ross ti stanno guardando!-
Mi girai e vidi tre teste guardarmi con occhi sgranati. Io accennai un timido sorriso e mi rigirai subito rossa dalla vergogna! Cosa avevano da guardarmi tutti e tre in quel modo?  Ancora sotto shock presi Katy sottobraccio e gli chiesi di andare in aula per la prossima lezione con la scusa di ripassare l'argomento, in realtà non volevo rimanere un attimo in quella stanza con i loro occhi puntati addosso.
La mattinata scolastica passò relativamente veloce e al suono della campanella salutai Katy con la promessa di chiamarla in serata e corsi verso la mia mountain bike decisa a farmi un lungo giro.
Mentre aprii il lucchetto della bici vidi Rchard salire con gli altri due sulla sua macchina nera  e partire verso Hutchinson Street in direzione nord. La mia curiosità prese il soppravvento, ora sapevo dove sarei andata a correre, avrei scoperto dove abitava Richard e magari anche qualche indizio in più su quel ragazzo così strano e la sua famiglia.





 
  
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