Il corpo di Remus Lupin se ne stava steso sulla comoda poltrona di velluto scuro. Così quello era l’ufficio si Silente. Veramente un bel posto, arredato con una cura che solo il vecchio preside poteva avere. Era ore che cercava un angolo tranquillo in quel dannato castello. Sembrava che ovunque andasse in qualche modo riuscissero a sapere dov’era e a raggiungerlo. Non poteva affrontarli. Non ora. Non poteva lasciarsi fregare come con Black. Doveva mantenere il controllo del corpo il più a lungo possibile. Sì, certo, lui era il signore oscuro e tutto il resto, ma finché non avesse controllato perfettamente il suo nuovo corpo, non avrebbe potuto sfidarli. Aveva difficoltà a tenere a bada la volontà di Lupin. Era come uno scontro impari. Uno contro due.
Certo la sua aspirazione non era di avere quel corpo a disposizione. Era anni che ci lavorava. Non era ancora pronto, ma ormai non poteva aspettare. Era una emergenza e, anche se incompiuto, doveva utilizzarlo. Gli mancavano solo un paio di cose. Una l’aveva appena trovata. La sua bacchetta, era fondamentale per riconoscere il nuovo corpo, e soprattutto per utilizzare al pieno il suo potere.
L’altro lo stava cercando. Ed era sicuro di trovarlo proprio qui, nell’ufficio di silente. Una piuma di fenice. Era sicuro che il vecchio mago avesse un esemplare dell’uccello, testimone era il trespolo accanto alla scrivania, ma ora dov’era?
Rassegnato il corpo di Lupin si alzò sbuffando. Non aveva molto tempo. L’avrebbero trovato anche qui. Cominciò ad aprire tutti i cassetti in cerca dell’oggetto o di qualche indizio che lo aiutasse. I cassetti chiusi li faceva semplicemente esplodere con un semplice sguardo. Niente. Passò alla libreria addossata alle pareti. Era fitta di libri. Tanti troppi, per lo più inutili. Ma nessuno piuma comparve fra i vecchi volumi. E pensare che una piuma era proprio stretta fra le sue mani, dentro la bacchetta. Buttò a terra con rabbia gli ultimi libri e passò ai mobiletti e agli armadi dietro la scrivania.
Spalancò di scatto le ante. Ecco qualcosa di interessante. Il vecchio cappello parlante. Come svegliatosi per la luce le vecchie cuciture del copricapo senziente si mossero, come per squadrare chi era davanti a lui.
“Ah, Lupin” disse il cappello “Cosa ti porta qui? Sei il nuovo professore assegnato a scorrazzarmi qua e là per Hogwarts? Che fine a fatto la McGrannit?” Lupin attese per un po’. Non l’aveva riconosciuto. Pensava fosse quell’inetto di Lupin. Poteva giocare a suo vantaggio.
“No, caro cappello parlante. Sto cercando una cosa per Silente. Tu sai dov’è la sua fenice?” chiese la voce di Remus.
“Fanny? Non è sul trespolo? Sarà a farsi un volo qui in giro… tra poco torna, tranquillo” la bocca di Lupin trattenne a stento un acido commento. Riprese a parlare.
“Non mi serve la fenice, mi serve una sua piuma. Silente ne ha estremo bisogno” recitò alla perfezione la voce di Lupin. Il cappello si piegò di lato, come per alzare un sopracciglio.
“Una piuma? Allora prendila dalla sua collezione”
“Quale collezione?” chiese con tono incredulo Lupin.
“Fra i suoi libri vi è una collezione di ingredienti magici. Probabilmente c’è anche la piuma che ti serve. Basta che quando Silente torna ne prenda un’altra per sostituirla”
L’espressione di Lupin divenne raggiante. Si allontanò di corsa verso i libri che aveva buttato a terra in cerca del agognato tomo. Quasi scavò fra i vari tomi, li lanciò per aria senza cura. Infine lo trovò. Ingredienti magici rari. Tremando per l’eccitazione lo aprì e fece sfogliare velocemente fra le dita le pagine spesse. Eccola. Una piuma di fenice, in tutto il suo splendore. Gli scappò una verso di soddisfazione quando la strinse fra le sue dita.
“Professore? E lo smistamento quest’anno?” chiese il capello dal suo angolo nell’armadio. Il volto di Lupin, sorridente e malvagio, lo fissò e rispose.
“Niente smistamento. C’è già stato quest’anno, non ricordi?”
“Ah sì? D’accordo… mi sembrano anni che non smisto. Mah, il tempo a volte vola, altre no…arrivederci professore”
Ma Lupin non era già più lì per ascoltarlo.
*****
“Si sta muovendo” disse Draco fissando ancora la mappa del malandrino. Sulla sua superficie vedeva chiaramente il punto offuscato rappresentante Lupin scendere di corsa dall’ufficio di Silente e dirigersi verso i piani alti.
“Dove?” chiese Sirius davanti a lui, marciando con gli occhi ben aperti.
“Di sopra. Sta andando verso la torre più piccola. Ad ovest” Sirius si fermò e si girò verso Draco, che alzò gli occhi dal pezzo di carta per guardarlo.
“Direzione?” Draco rigirò un po’ il foglio davanti agli occhi, poi annuì col capo.
“Se prendiamo a destra lì in fondo” indico il fondo del corridoio “E poi saliamo per le scale mobili potremmo anche tagliargli la strada. Ammesso che le scale siano in posizione per farci passare” Sirius grugnì il suo disappunto. Che fare? Rischiare e cercare di superarlo oppure seguirlo standogli semplicemente dietro.
“Andiamo per le scale. Ho ancora qualche trucco utile per la nostra caccia” Piton parlò secco sfiorando il borsone delle pozioni appeso a tracolla. Non aveva più parlato da quando erano partiti in quell’inseguimento. Non era molto loquace, era pensieroso, distratto. Peter Minus stava zitto anche lui. Non per volontà, quanto per forza. Zompettava accanto a Piton tenendogli un lembo della tunica per guidarsi. Fra tutta quella combriccola Piton gli sembrava l’unico affidabile, dopo la scomparsa di Remus. Non aveva ben capito che cosa fosse successo, ma Voldemort aveva in qualche modo Rapito Remus, e loro ora stavano andando a salvarlo. Non che gli piacesse parecchio l’idea di buttarsi fra le fauci di Voldemort, ma piuttosto che rimanere da solo, ridotto com’era, in quel freddo castello preferiva di gran lunga stare in compagnia. I soldati ancora in forma si erano divisi. La metà stava partecipando alla spedizione, mentre l’altra metà era rimasta nel campo provvisorio a tenere d’occhio i feriti e la statua del preside. Per i morti non c’era problema.
Sirius si girò a fissare il professore non-morto.
“Allora, che facciamo?” chiese Draco poggiandosi contro la parete a braccia incrociate. Sirius sembrò soppesare un po’ la situazione. Da come batteva le dita ritmicamente sul suo mento e dai suoi occhi, sembrava fortemente indeciso se fidarsi o no di Piton. Draco aveva gettato la spugna. Lui lo aveva condannato per la morte degli altri, ma Remus lo aveva liberato, e l’autorità di Remus era sicuramente più alta della sua. Non potendo dichiarare nullo l’ordine di liberazione, nonostante ora al comando ci fosse lui quale battlemage con grado più alto presente, decise di non considerarlo. Ora, per lui, Severus Piton era meno di zero. Ma avrebbe fatto i conti con lui, in un modo o nell’altro.
“Va bene. Andiamo per le scale e speriamo bene” detto questo Sirius ricominciò a marciare subito seguito dagli altri che faticavano a tenere il suo passo. Per lui era importante quanto la sua vita salvare Lupin. Lo conosceva da più di vent’anni. Lo aveva sempre aiutato, sempre. Nonostante fosse stato ritenuto il colpevole della morte di Lily e James, Remus gli aveva creduto, infine. Non lo aveva mai abbandonato, mai. E lui non avrebbe potuto fare di meno. Aveva perso già troppe persone in quell’assurda guerra contro Voldemort e i suoi tirapiedi. James, Lily, Ron, Hermione…Harry. Non era certo morto Harry, ma era come se lo fosse. Non poteva considerare quel folle omicida il suo Harry.
Perdonami
James, ho fallito.
Strinse gli occhi per scacciare quei pensieri. Non era il momento quello. Per niente. Ora il suo obiettivo era di recuperare l’amico e scacciare Voldemort. Era stanco di ritrovarselo sempre fra i piedi. Era ora di mettere la parola fine a questa storia.
Raggiunse per primo la tromba delle scale. Guardò la loro posizione. Pessima posizione. Nessuna scala era in grado di aprire la strada fino alla zona ovest. Anche gli altri giunsero allo sbocco del corridoio. Sirius si girò verso Piton. Neanche lo guardò, ma Piton capì che toccava a lui ora.
“Avanti, datti da fare” gli disse Draco in tono brusco. Piton li ignorò entrambi. Come avrebbe ignorato chiunque se gli avesse fatto comodo. Senza esitare si portò al ciglio del baratro ed infilò una mano nella sacca delle pozioni. Ricercò per un po’ con il solo ausilio delle mani, non guardava neanche quello che toccava. Il tintinnio di vetri che cozzavano fra loro riempiva quel silenzio carico di tensione che nessuno aveva il coraggio di spezzare. Piton mormorava fra se parole incomprensibili mentre fissava con gli occhi di un falco le varie rampe sopra e sotto di se. Infine in tintinnio dei vetri cessò. Con un sorriso soddisfatto Piton estrasse un grosso sacco di pelle di un qualche animale misterioso. Lo stappò ed il tappo penzolò, legato con una cordicella, al collo del contenitore.
Si chinò a terra e versò un sottile strato di pozione lungo il bordo dell’apertura. Il liquido che ne uscì era denso come il gel per capelli o il dentifricio, e di colore azzurro.
Piton si rialzò tappando la sacca che tenne in mano. Ed estrasse una altra bottiglia trasparente che sembrava non contenere nulla.
“E quella che roba è?” chiese Draco fissando la nuova bottiglia.
“Questa è una sostanza molto semplice. Acqua, Malfoy. Fondamentale per reidratare la pozione di prima” sorrise Piton.
Ne versò un po’ sul gel azzurro. All’inizio non successe nulla, ma la reazione non si fece attendere. La densa pozione sembrò gonfiarsi. Si dilatava sempre più, verso l’esterno, e rapidamente crebbe fino all’inverosimile puntando verso l’alto. Piton sembrava concentrato e strizzava le labbra secche fino quasi a sembrare ridicolo. Con altrettanta forza strizzava la sacca della pozione. La colonna di melma azzurra salì rapidamente fino a raggiungere il buco nella parete a loro interessato. Si agganciò, come incollata, e in un attimo si solidificò con rumori simili a quelli di due pietre che si sfregano.
Piton, soddisfatto, ripose i due contenitori e con un inchino invitò l’avanzata dei suoi compagni, ancora stupiti da quella misteriosa pozione.
“Prego, dopo di voi” Sirius lo superò con indifferenza e cominciò a percorrere quella strada sospesa nel vuoto. Dopo di lui anche Draco lo seguì non senza qualche dubbio. Infine i battlemage rimasti e Piton chiusero la fila. Quel ponte era straordinariamente solido. Un po’ ripido, sì, ma perfetto. Sirius ringraziò il cielo di aver aiutato Piton nella preparazione di tutte quelle pozioni. Ancora si ricordava la puzza terribile che aveva dovuto sopportare.
Un forte tremito fece vacillare il ponte i chi lo percorreva. Un soldato cadde di lato e Draco lo afferrò appena in tempo per la mano, prima che precipitasse nel vuoto.
“Consiglierei a chi ha problemi di equilibrio di sbrigarsi a percorrere il resto della strada. Sembra che le scale non siano contente del mio lavoro” disse un calmissimo Piton che ancora non si era mosso nonostante il forte scossone. Sirius non sopportava quel suo atteggiamento da “so tutto io”, ma non era il momento migliore per rinfacciarglielo. Una delle rampe aveva sbattuto violentemente contro il loro ponte magico facendolo tremare. Quella cosa in mezzo alla tromba delle scale impediva il normale spostamento di tutte quelle rampe.
Sirius si chinò ad aiutare Draco a sostenere il peso del battlemage penzolante. Non riuscivano a tirarlo su, troppo pesante. E il fatto che la scala continuasse a tremare pericolosamente non aiutava per niente. Draco ebbe un idea. Si rivolse al ragazzo che sosteneva con entrambe le mani.
“Ok, ho avuto un idea. Quella rampa di scale sta per passare sotto di te. Al momento giusto mollati e atterra lì. Ritorna al campo base e rimanici. Conosci la strada, vero?”
“Sissignore” disse quello, titubante.
“D’accordo, allora al mio tre. Ci sei Sirius?” l’uomo fece un cenno con il capo.
“Bene. Uno…due…tre!” il battlemage precipitò, e con una mezza capriola si fermò sui gradini della scala. Un sorriso gli comparve sul volto. Ce l’aveva fatta.
“Ottimo lavoro!” gli urlò Draco “Ora vai e informa gli altri di come siamo messi noi” il soldato assentì col capo e partì verso il corridoio più in basso.
Un altro scossone fece tremare il ponte azzurro. Intanto gli altri soldati e Piton avevano raggiunto l’apertura ed erano in salvo. Questo fu più intenso di prima e sbalzò Draco fuori dal ponte. Appena resosi conto della situazione afferrò i bordi del ponte e si ancorò ad esso. Ora aveva le mani su entrambi i bordi e si reggeva a fatica. Erano ore che non riposava come si deve, come tutti del resto.
“Draco! Aspetta, ti aiuto!” gridò Sirius. La sua voce era coperta dal crocchiare inquietate del ponte. Si stava spezzando.
“Presto, afferra la mia mano!” gridò ancora Sirius. Draco si allungò, ma proprio in quel momento il ponte si spezzo in due. La prima parte non resse. Si staccò dal bordo dove era attaccata e precipitò, con un sonoro rombo nell’oscurità sottostante. Draco non si fece prendere dal panico. Indietreggiò appeso come una scimmia fino al punto in cui si era spezzato, verso la metà, e si issò sopra di esso. Sirius tirò un sospiro di sollievo. Draco ripercorse l’ultimo pezzo di ponte sospeso preceduto da Sirius che arrivò all’apertura sostenuto dagli altri ragazzi. Ma fu l’unico ad arrivare. Un altro sonoro CRACK stacco un altro pezzo di ponte a cui Draco era attaccato. Si stese sulla superficie e la strinse forte a se. Il pezzo di ponte precipitò. Ed anche Draco, inghiottito dalle tenebre.
*****
Debole il battito. C’era talmente tanto silenzio che riusciva a sentire le pulsazioni del suo cuore. Un formicolio partiva dal piede. Era fastidioso. Voleva spostare la gamba, ma non poteva. Era bloccata da qualcosa di più pesante. Non aveva la forza di volontà, tantomeno quella fisica, di muoversi da quella posizione. Come in qui giorni afosi d’estate in cui anche il tragitto dal giardino al frigorifero per concedersi una bibita fresca sembra troppo lungo e faticoso. Talmente faticoso che uno rinuncia a farlo. Come ora rinunciava a spostare la gamba. A strisciare via da lì. A stringere le mano a pugno. Ad aprire gli occhi. Questo poteva farlo.
Con sforzo incredibile, anche quello sembrava assorbire tutte le sue energie, alzò le palpebre, piano. Era ancora buio. Fantastico, dopo tutto lo sforzo che uno ha fatto ci si ritrova nella stessa situazione. Ancora non vedeva nulla. Una vaga luce riflessa. Luce? Ma era buio prima. Era notte. Hogwarts!
Hermione alzò il busto di scatto con un sospiro di paura simile a chi si risveglia da un incubo. Si tolse di testa il sacco nero in cui era avvolta. Il suo respiro era affannoso. Si guardò intorno ad occhi spalancati. Ora ricordava. Il suo incantesimo. I signori elementali. Ron.
In quel momento si accorse di essere accanto agli altri cadaveri. Era morta? Impossibile, sentiva il suo cuore battere, il suo respiro alzargli il petto ritmicamente, ma soprattutto lo sguardo dei battlemage che la fissavano straniati. Uno corse nella sua direzione ed allungo una mano per tirarla fuori da quel cumulo di corpi morti. Lei accettò ben volentieri l’aiuto e striscio lontano. Si poggiò con la schiena alla parete. Respirava ancora con affanno e ora aveva gli occhi chiusi. Qualcosa era andato storto. Era sicura di aver completato brillantemente l’incantesimo. Non aveva mai sbagliato uno in vita sua. Aprì gli occhi e fisso il battlemage che l’aveva liberata, ora seduto davanti a se.
“Che cosa è successo?” chiese la ragazza “Dove sono tutti? Il mio incantesimo ha funzionato?”
“Sì, l’incantesimo ha funzionato…ma gli elementali hanno perso. E poi lei non conosce ancora la verità” la fronte di Hermione si corrugò.
“Che verità? Dove sono tutti”
“Voldemort” il respiro di Hermione si fermò per un attimo.
“Voldemort?” ripeté sorpresa dalle sue stesse parole.
“Sì, è vivo e riesce a possedere i corpi in cui si deposita, per quanto ne ho capito” Hermione scosse la testa confusa.
“Aspetta un momento. Voldemort aveva già un corpo che controllava benissimo. Ci ha attaccato fino a che non ha…ucciso quasi tutti, perché ora è uno spettro che possiede i corpi?”
“No” rispose a testa bassa il soldato “Quello non era Voldemort”
Non era Voldemort? La testa le faceva già un male cane per conto suo, ora stava proprio per scoppiarle.
“Come non era Voldemort? Chi era?”
Il soldato cadde in silenzio. Si alzò in piedi dalla posizione inginocchiata in cui era.
“Non credo di essere la persona più adatto per dirglielo, mi spiace” Hermione non credeva alle sue orecchie.
“Come? Prima mi metti la pulce nell’orecchio e poi ritiri tutto? Avanti parla, chi è”
“Io non cr…”
“Dimmi chi è!”
Silenzio. Attimi di silenzio.
“Potter. Harry Potter”
Il respiro quasi le si bloccò ancora. Se prima non era morta ora lo sembrava di certo. Di colpo divenne pallida, gli occhi divennero lucidi, ma non piangeva. Non poteva avere lacrime. Non poteva neanche pensare.
No, no, no, no, no, no, no, no…Non può essere così. Harry è morto. Lui non è Harry. Lui ha ucciso Ron. Ha ucciso tutti. No…Non può essere Harry. Non l’avrebbe mai fatto. E’ morto, morto, morto! Ron… ha ucciso Ron, e Piton, e ci ha attaccato tutti… Perché? Non è Harry! Ha ucciso il suo migliore amico, non è Harry! Harry…no! Ron…è morto. Il cuore…E’ stato lui, non Harry. Non è Harry! Non è possibile, non è giusto! Io l’ho odiato, l’ho attaccato…io amavo Harry, non posso averlo odiato! Ma non può essere Harry! Perché? Perché il destino si fa beffe di tutti noi? Perché non ci lascia vivere e basta? Perché non possiamo sopravvivere e basta? Basta lottare, basta tutto! Perché Harry? Perché non è andato tutto diversamente?
Hermione si alzò di
scatto e prese per il colletto il soldato davanti a se. Il suo volto era rigato
di lacrime.
“Perché? Perché Harry?
Rispondi! Perché, perché, perché!” scuoteva con forza il corpo del ragazzo che
inerme la lasciava fare. In quei momenti non c’erano parole per consolare o
spiegare certe cose. La cosa migliore era buttarle via, fuori. E se le lacrime
erano l’unica cosa che le scacciava, ben vengano. Smise di scuoterlo ed abbassò
il capo singultando lievemente.
“E’ stato Voldemort”
disse la ragazza con il volto nascosto fra i lunghi capelli.
“Come scusa?” chiese il battlemage
sorpreso di sentirla parlare dopo quello sfogo.
“E’ colpa di Voldemort.
Indipendentemente da tutto, è colpa sua. Anche se Harry è ridotto così, è colpa
sua!” gridò la ragazza “Dov’è?”
Il ragazzo stette zitto.
“Dov’è! Sei sordo o
cosa?” urlò Hermione in faccia al giovane. Si sentiva l’odio in quella voce. Un
odio profondo che usciva dal suo corpo e lo investiva in pieno volto.
“Gli altri lo stanno
inseguendo. Ha posseduto il corpo del capitano Lupin. Sono sulle sue tracce”
“Bene, mi metterò in marcia
e li seguirò”
“Ma, ma…” si lamentò il
soldato “Hogwarts è grande. Non si sa dove siano ora gli altri. E’ troppo
pericoloso, non posso mandarla. Lupin non approverebbe”
“Sentimi bello” ribatté
Hermione prendendolo ancora per il colletto “Per Lupin e tutti gli latri io
sono già bella che andata. Il peggio che mi potrà capitare sarà di morire, di
nuovo. Quindi non inventarti scuse e dimmi dove sono andati”
“Io, io… non lo so,
davvero. Utilizzavano una mappa che segnava la posizione di tutti nel castello”
Ah! Hanno trovato la mappa del Malandrino di Harry…
“Però” continuo quello
“Ora come ora, non saprei…”
Sentirono lo scalpicciare
veloce di qualcuno fuori dalla stanza. I battlemage si alzarono silenziosi e si
appiattirono al muro accanto alla porta, bacchetta in pugno. Anche Hermione e
l’altro battlemage con cui stava parlando si appiattirono contro la parete
cercando di essere più silenziosi possibile. I passi raggiunsero la porta e la
superarono. I due più vicini saltarono addosso al intruso buttandolo a terra e
bloccandolo con una presa di lotta. Quello cadde con un tonfo e si lamentò per
la botta.
“Ehi, sono io. Sono
Looren!” si lamentò l’uomo appena entrato. Gli altri battlemage si alzarono e
lo mollarono dalla stretta in cui era intrappolato. Hermione e il battlemage,
vedendo che non si trattava di visite indesiderate, si avvicinarono per
parlargli.
“Che ci fai tu qui?”
chiese poco cortesemente il soldato accanto ad Hermione.
“Abbiamo avuto dei
problemi e mi sono diviso dal resto della squadra. Alle scale mobili. Ora
stanno andando verso la torre ovest, Lupin sembra si stia dirigendo lì”
Il ragazzo appena
arrivato ebbe appena il tempo di dire quelle poche parole che Hermione lo
superò di corsa, scomparendo nel corridoio.
“No! Si fermi Granger!”
urlò alla ragazza
“Maledizione… d’accordo,
ci muoviamo. Prendete tutto quello che vi serve e raggiungiamo la torre ovest”
“E i cadaveri?”
“Lasciamoli qui, non li
prenderà nessuno…” gli altri lo guardarono ad occhi sbarrati. Lui ricambiò il
loro sguardo e sbuffò rassegnato.
“E va bene, portiamoceli
dietro per sicurezza, ma ci rallenteranno molto. Sono le…” il battlemage guardò
l’orologio al su polso “Cinque e dieci. Avete quindici minuti per prepararvi e
iniziare la marcia. Avanti, muoversi!”
*****
“Ok, con calma Draco. Con
calma… pensa a cosa fare, avanti…” disse Draco a se stesso con voce tremante.
Se ne stava disteso di schiena sul pezzo di ponte spezzato. Durante la caduta
si era incastrato fra una rampa di scale e un foro della parete da cui partiva
un lungo corridoio. Il lastrone di materiale azzurro tremava e produceva
sinistri rumori ed inquietanti scricchiolii ogni volta che Draco tentava di
muovere anche solo un dito. Anche respirare faceva vibrare tutta la struttura,
quindi respirava lentamente e il meno possibile.
Con un movimento a
rallentatore alzò la gamba destra che penzolava da un lato del ponte distrutto
e la abbassò sulla superficie ruvida del lastrone azzurro. Attese un attimo
sperando che tutto quel movimento non avesse destabilizzato il precario equilibrio
del ponte, poi piegò il ginocchio a novanta gradi, come già lo era l’altro.
Sperò con tutto il cuore che il ponte non crollasse proprio in quel momento e
continuò la sua manovra di evasione dal pericolo.
Alzò le braccia e le
stese sopra la sua testa allungandole il più possibile verso la salvezza.
Ancora poco. Solo un altro po’. Il ponte spezzato cedette per un attimo
poggiandosi per pochi centimetri ancora sul bordo delle scale. O adesso o mai
più.
Draco si spinse con le
gambe e scivolò all’indietro lungo il lastrone. Nello stesso momento quello
cedette precipitando nel vuoto. Draco allungò le mani il più possibile e
afferrò il bordo del corridoio. Si sostenne con le mani mentre il tuonare del
ponte che sbatacchiava contro le varie rampe di scale sotto di lui lo faceva
ringraziare di essere così leggero. Con un ultimo sforzo si issò nel foro e si
stese ansante sul pavimento del corridoio.
“Ora ho qualcosa da
raccontare ai miei nipotini quando sarò vecchio…” disse a se stesso per
riprendersi. Si mise in piedi e raggiunse la fine del corridoio. Sapeva che
erano diretti alla torre ovest. Li avrebbe raggiunti attraverso un’altra
strada. Si guardò un po’ in giro per ricordare la strada migliore per arrivare
alla torre, quando un rumore imponente lo avvertì dell’arrivo di qualcuno. Mise
la mano alla cintura in cerca della mappa, ma non la trovo. Probabilmente era
scivolata durante la caduta. Un vero peccato, era proprio utile.
Si appiattì nel corridoio
a lato e attese di vedere chi si avvicinava.
*****
Hermione camminava con
passo veloce verso la torre ovest. Avrebbe corso, ma le gambe gli dolevano
ancora. Erano addormentate e un lieve formicolio le percorreva a partire dalla
pianta del piede fino alla coscia. Strinse le labbra in una smorfia. Ogni tanto
le sentiva cedere per il troppo fastidio. Ma cavoli, lei era un’evocatrice! Non
poteva avere problemi di questo tipo. Fece scivolare la bacchetta nelle sue
dita sottili e la agitò con un guizzo davanti a se.
“Voco Aquila” il fumo si addensò ed un’enorme aquila gigante
comparve fra la nebbia. Con un sorriso le salì in groppa e la spronò al volo.
L’aquila emise uno stridio acuto e partì veloce volando lungo il corridoio. Le
sue enormi ali sfioravano le pareti e producevano un cupo rimbombo ad ogni
battito. Hermione prese tempo per riflettere. Perché era ancora viva?
Dopotutto l’incantesimo
aveva funzionato. Aveva evocato i signori degli elementi, un evocazione che
richiede un sacrificio immenso, non solo per attuarla quanto per farli agire
sotto la propria volontà. E lei gli aveva donato la vita. Ma loro non l’avevano
presa. Eppure lei l’aveva sentita. Aveva sentito la vita scivolare via come un
sospiro, l’ultimo, dalla sua bocca. Come aspirata da un vortice misterioso e
magico. Ma era sola in quel vortice? Cercò di ricordare gli ultimi momenti
prima della sua presunta morte.
Lei stesa accanto al
corpo morto del suo Ron. Piangeva, probabilmente. E poi aveva cominciato a
sentirsi debole sempre più debole… poi il dolore fu troppo e svenne. Svenne non
morì. Eppure non doveva provare dolore, quindi non poteva svenire. Un dolore
intenso, al ventre.
“Herm, tutto a posto? Ti vedo un po’ strana” gli disse Ron steso ancora nudo sul letto mentre lei tornava coperta solo da una vestaglia dal bagno. Aveva lo sguardo incupito, come se non avesse dormito per tutta la notte, cosa, fra l’altro, esatta.
“Sì Ron, tutto bene. Sono solo stanca…”
“A me sembri un po’ più che stanca” la abbraccio mentre si distendeva accanto a lui nel letto scompigliato “Sono questi tour de force a sfiancarti?” chiese lui malizioso mentre le baciava il collo nascosto dai capelli bruni.
“Ma smettila, stupido” rispose lei dandole un colpetto affettuoso sulla testa in segno di rimprovero.
“Senti Ron, a te non viene mai voglia di…come dire, aumentare?”
“Aumentare? In che senso?”
“Nel senso, diventare un po’ più di due. Non più solo io e te… che ne pensi?”
Ron divenne silenzioso e rifletté sulla domanda che la moglie gli aveva appena posto.
“Di più, eh? Desumo che no stiamo parlando di prendere un cane vero?” chiese lui ironicamente. Hermione si girò a fissarlo con la sua tipica espressione di quando non viene presa seriamente.
“D’accordo, d’accordo. Se stiamo parlando di un bambino, io credo… che sia un po’ presto, non trovi? Voglio dire, abbiamo tempo per pensarci e decidere di farlo quando ci sentiremo più pronti, no?”
“E tu non ti senti pronto?” Ron deglutì e fece una faccia stralunata.
“Aspetta, perché me lo chiedi?” Hermione si strinse nelle spalle e si poggiò di schiena al suo petto.
“E se poi non avessimo il tempo per scegliere quando? E se fosse già capitato?”
Ron strabuzzò gli occhi, le afferrò le spalle e la girò, faccia a faccia. Lei fu sorpresa dalla reazione del marito e ricambio lo stesso sguardo stupito.
“Che vuol dire già capitato? Cioè, noi ci stiamo attenti, no? Non può essere capitato, voglio dire…vero?” Hermione sbuffò e lo guardò con rassegnazione.
“Era un test per vedere come l’avresti presa nel caso che fossi rimasta incinta. Sappi che per ora non l’hai superato” e gli fece la linguaccia.
“Brutta monella!” disse lei sorridendo e cominciandole a farle il solletico. Hermione cominciò a ridere e a rotolarsi sul letto mentre Ron non accennava a smettere.
“No…basta, Ron… ti prego…basta basta!” gridò lei fra le risate e i lacrimoni che le salivano agli occhi. Ron smise di torturarla con le mani e cominciò a torturarla con le sue labbra. Le baciò le spalle nude, il colla e la bocca.
“No, Ron dai. Tra poco dobbiamo andare e siamo ancora ridotti così” Ron si fermò, sbuffò rassegnato e si diresse verso il bagno.
“Va bene, adesso mi preparo. Devi fare la doccia? Altrimenti la faccio io”
“Fai pure, io l’ho già fatta mentre dormivi” Ron assentì e sparì dentro il bagno. Hermione si distese sul letto. Sentì l’acqua cominciare a scrosciare nel box e la porta di quest’ultimo chiudersi. Ron non l’aveva presa un granché bene. Quello non era un test, e lei lo sapeva bene. Prima o poi glielo avrebbe dovuto dire. Ci erano stati attenti, sì, ma non troppo a quanto pare. E lei non se ne era accorta finché non aveva sentito quelle fitte e qui conati un paio di giorni fa. Eppure era già alla fine del secondo mese. Il medico aveva detto che, a causa della sua particolare struttura fisica, il cambiamento era stato pressoché impercettibile. Con l’avanzare della gravidanza si sarebbe notato forse un po’ di più, ma non di molto.
Almeno in questo modo poteva tenerlo nascosto a Ron finché non fosse stato il momento giusto.
Hermione si accarezzò il
ventre. Possibile che…non poteva pensare di aver sacrificato il suo bambino
invece che lei. Stava per cadere in uno stato di depressione, colpevole per
quello che aveva fatto, quando lo sentì. Un calcio. Nel ventre. Il piccolo
aveva scalciato. Allora stava bene! Hermione tirò un sospiro di sollievo, anche
se non capiva bene perché lei fosse ancora viva. Decise di smettere di
pensarci. La sua missione più importante ora era quella di vendicare Ron con la
morte di Voldemort.
L’aquila sbatté le ali
vigorosamente e corse verso un incrocio di corridoi.
Draco saltò fuori di
scatto pronto a colpire chiunque fosse. Non si sarebbe mai aspettato di vedere
un aquila di trecento chili piombargli addosso mentre cercava di frenare per
evitarlo. Il suo grido di sorpresa fu coperto dallo stridio dell’aquila che si
lamentava dell’ostacolo sulla sua strada. Draco finì schiantato contro la
parete e perse i sensi per la botta.
Hermione rimase un groppa
all’uccello per un pelo. Lo fece atterrare e scese dal suo dorso.
“Draco?” si avvicinò al
ragazzo e si chinò accanto a lui. Lo schiaffeggiò dolcemente.
“Ehi Draco, avanti,
riprenditi!” il biondo si lamentò un po’ poi aprì gli occhi come quella voce
gli aveva consigliato. Gridò di nuovo.
“Hermione! Dovresti
essere morta!” la ragazza prese un aria imbronciata.
“Anch’io sono felice di
vederti…” entrambi si alzarono in piedi.
“No, aspetta. Non era
quello che intendevo, ma… come…”
“Ascolta, è un po’
complicato. E non sono sicura di come sia andata veramente, quindi per ora non
ci penso, d’accordo?” disse lei seccata.
“Ok, d’accordo. Ma che ci
fai qua?”
“Stava andando alla torre
ovest. Voldemort si sta dirigendo lì” Draco parve sorpreso.
“Come… No, non importa,
non lo voglio sapere. Stavo andando la anch’io. Mi sono separato dagli altri
per un piccolo incidente” Draco pensò a Piton e la fatto che poteva strozzarlo
comodamente. Tanto non sarebbe morto.
“Allora andiamoci
assieme. E prima che me lo chiedi, sì, so tutto di Harry e di Voldemort. E
voglio raggiungerlo solo per farlo fuori, è chiaro?”
Draco non capì se parlava
di fare fuori Harry o Voldemort, ma fece cenno di sì con il capo e non disse
più una parola. Era chiaro che Hermione si stesse trattenendo e che quindi
agisse così bruscamente. Doveva cercare di non farla agitare. Non sapeva come
avrebbe reagito una volta davanti al nemico.
Montò sul aquila assieme
a lei e partirono in volo verso ovest.
*****
In quella che sembrava un
orribile vasca di pietra galleggiava, in un liquido verde come la melma delle
più putridi delle paludi, un essere di forma vagamente umana. Due gambe, due
braccia e la testa. Queste erano le caratteristiche che facevano sospettare che
in realtà, quella cosa, fosse un uomo vero e proprio. Gli occhi di Lupin lo
guardarono ammirato.
“Sarà perfetto…” parlò la
sua voce. Senza troppe cerimonie Lupin raggiunse una specie di piattaforma costruita
sopra la vasca. Sbarrò gli occhi ai piedi della polla e un allegro fuoco
bluastro scoppiettò tutto intorno ad essa. Presto il liquido verde cominciò a
sobbollire e a ricoprire l’essere antropomorfo che vi galleggiava sopra.
Con un colpo di bacchetta
circolare Lupin indicò le due porte e le finestre nella stanza che in un attimo
si chiusero con un colpo secco e si illuminarono, ricoperte da una patina blu.
“Nessuno mi disturberà
nel momento del trionfo…” parlò ancora la voce di Lupin. L’uomo prese la piuma
di fenice da una delle innumerevoli tasche del suo abito e la osservò con un
sorriso. Una cosa così semplice capace di scatenare grandi poteri magici.
Incredibile.
I suoi pensieri furono
interrotti da un violento percuotere contro la porta da cui era entrato anche
lui poco prima. Sentì delle voci.
“E’ sigillata. Provate a
sciogliere l’incantesimo, anche se dubito… Severus, tu vieni con me” la voce di
Sirius arrivò forte e chiara alle orecchie di Lupin.
“Devo sbrigarmi…” parlò
la sua voce. Chiuse gli occhi e si concentrò. La piuma sembrò diventare più
brillante di quanto già non fosse. La lasciò e quella, placidamente, scese
verso il liquido della vasca. Al contatto con la melma verde si udì un forte
sfrigolio, simile a quello di un fiammifero che si accende.
Il liquido cominciò ad
aumentare la sua ebollizione fino a diventare frenetica. Poi, il fuoco. Fiamme,
spire infuocate. La polla di liquido divenne un immenso braciere da cui
spuntava un falò alto più di tre metri. Le fiamme gialle erano sfumate in più
punti di arancio e rosso, richiamo alla piuma che aveva provocato
quell’esplosione di fuoco.
Dalla piattaforma
sopraelevata Lupin poteva sentire il calore di quel fuoco rinnovatore
scaldargli la pelle e il corpo. Alzò la bacchetta e cominciò a cantilenare
un’antica formula, compiendo gesti arcani e tenendo gli occhi chiusi per
aumentare la concentrazione. Più la cantilena proseguiva, più le fiamme
sembravano mutare di colore e diventare di un rosso vivo, più che gialle. Ad un
tratto la cantilena terminò.
“E’ tempo di tornare…”
sussurrò a se stesso. Lupin si irrigidì e dalla sua bocca uscì lo spettro che
per ore lo aveva posseduto. Il corpo dell’uomo si accasciò su se stesso mentre
un braccio gli penzolava fuori dalla piattaforma, verso le fiamme purpuree. La
bacchetta era accanto al corpo di Remus. Lo spettro di Voldemort la guardò e
quella volò, a fatica, fin dentro le fiamme rosse. Voldemort ridacchiò
compiaciuto. Ormai era fatta.
Volò con orbite circolari
attorno alle fiamme e scendendo lentamente al fulcro di quell’enorme braciere.
“Alohan Hakete Namusho!” la porta alla sua destra esplose in migliaia di
schegge, distrutta da una forte scarica elettrica che proseguì la sua corsa
fino contro alla parete. Sirius e Piton entrarono di corsa appena in tempo per
vedere lo spettro di Voldemort scendere fra le fiamme e scomparire alla loro
vista. Contemporaneamente la stanza tremò come colpita da un forte terremoto.
La piattaforma vacillò. Lupin inizio a scivolare lentamente verso le fiamme.
“No! Remus!” gridò Sirius
e spiccò un balzo verso le scale della piattaforma che si piegava lentamente
fino ad immergersi nella punta delle fiamme.
Piton si fece avanti e un
ombra lo investì. Un ombra? Dalla finestra il sole basso mostrava un ampia
ombra che si avvicinava pericolosamente alla finestra. Il rumore di vetri
infranti accolse l’arrivo di un immenso uccello. Un aquila gigante.
Dall’immenso volatile si staccò un'altra ombra che con una capriola atterrò fra
Piton e Sirius, entrambi voltati verso il nuovo arrivato.
“Malfoy, hai più vite di
un gatto” sibilò Piton fra le labbra secche.
“Detto da lei,
professore, lo considero un complimento” il biondino fece un mezzo inchino
sorridendo.
L’aquila si fiondò su
Lupin e lo acchiappò al volo fra le sue zampe muscolose, poi, con una virata,
atterrò posando a terra l’uomo svenuto. Subito tutti gli furono attorno. Solo
dopo un attimo Sirius e Severus capirono chi cavalcava l’aquila.
“Hermione?!” Sirius gli
cacciò le braccia attorno al corpo magro sollevandola da terra “Oh mio Dio, ma
come è possibile?” Hermione sorrise.
“E’ una storia lunga che
racconterò se riusciamo ad uscire di qui tutti interi. E soprattutto se
riusciremo a fare fuori Voldemort!” la sua espressione divenne più seria che
mai.
La torre tremò ancora
mentre le fiamme rosse aumentarono di intensità fino a raggiungere il soffitto.
Come un eruzione, le fiamme lo squarciarono e fecero piovere grossi cocci sopra
i quattro attorno a Lupin.
“Murus Arcano!” recitò Draco, e vennero coperti da una cupola di
colore giallo intenso. Sentirono parecchi pezzi cadere sopra di loro con rumori
sordi e tonfi prepotenti. Quando sembrarono terminare, Draco sospese
l’incantesimo.
Le pareti e il tetto
della torre erano completamente crollati, lasciando all’aria aperta il braciere
che proiettava lunghe ombre assieme al sole in procinto a scomparire dietro le
montagne. Le fiamme calarono di intensità fino a diventare alte poco meno di
due metri. Un oscura figura si sporse da quel braciere. Un uomo, nudo. Mise un
piede sul bordo della polla e, facendo leva, ne uscì completamente. Aveva un
aspetto anziano, ma per niente malandato. Capelli leggermente lunghi, castani,
tirati indietro come se bagnati. Era Voldemort. Ed era tornato. Sorrise
malvagio e con un guizzo della bacchetta si fece comparire addosso degli ampi
abiti neri, una tunica ed un fastoso mantello.
“E’ bello tornare a
respirare con la propria bocca. Anche la mia voce mi pare strana tanto è il
tempo che non la sentivo” li guardò come si può guardare un cane inzuppato
durante un temporale “E voi mi sembrate tanto patetici” Voldemort spostò il
lungo mantello dietro le spalle con un movimento della mano. La cupa luce del
sole che nascondeva con il suo corpo illuminò per un attimo il volto di Draco e
gli altri.
Sirius digrignò i denti e
si preparò ad attaccarlo. Draco gli prese una spalla. Incrociò lo sguardo con
lui.
“Sirius, no. Non è questo
il modo”
“E’ meglio dare ragione a
Malfoy, sai Black?” si girò verso l’altra porta, ormai crollata, dove Peter era
circondato da tutti i battlemage rimasti, pronti al combattimento. Vi erano
anche quelli rimasti con i cadaveri. Erano arrivati da poco.
“Ed è meglio che state
buoni anche voi. Oggi sono di cattivo umore” sorrise senza mostrare i denti. I
battlemage si paralizzarono intimoriti. Voldemort si rivolse ancora ai quattro
in piedi vicino a lui. La sua lunga ombra sembrava minacciarli, pur non essendo
realmente pericolosa.
In quel momento Lupin si
alzò, sostenuto da Hermione. Si era ripreso, almeno in parte.
“Oh, vedo che sei ancora
vivo. Perdonami, non capiterà di nuovo” Voldemort sollevò la bacchetta accanto
alla testa.
“Il momento della verità
ragazzi” disse Lupin a voce non troppo alta, così che lo sentisse solo chi gli
era accanto.
“In posizione!” gridò.
Tutti contemporaneamente estrassero la bacchetta, battlemage compresi, e se la
misero davanti al volto. Solo Sirius si mise in posizione di attacco. Lui non
aveva bisogno della bacchetta.
“Signori, è stato un
onore avervi come compagni. Buona fortuna a tutti” disse mentre si concentrava
per richiamare a se tutto il potere che Quetzalcoatl poteva concedergli.
“Siete l’apoteosi del
patetismo” sillabò malvagio Voldemort. Con un movimento veloce abbassò la
bacchetta davanti a se, imitato dal sole all’orizzonte.
Non riuscì più a muovere la
mano. Una forza misteriosa la teneva ferma a metà della sua corsa. Non capiva
cosa fosse, sapeva solo di essere paralizzato. Fissò con disappunto la sua
bacchetta, poi capì. Un'altra mano tratteneva la bacchetta. Una mano giovane,
sporca, ma con una forza incredibile. Attaccato a quella mano c’era Harry
Potter. Ricambiò il suo sguardo di disappunto e strattonò la bacchetta.
“Ehi vecchio, non lo sai
che è la bacchetta a scegliere il mago. Questa ha scelto me!” con uno strattone
Harry portò via la bacchetta dalle dita di Voldemort, ma, incredibilmente, la
bacchetta si era sdoppiata. Ora entrambi ne impugnavano una identica in tutto e
per tutto all’altra.
*****
Ginny raggiunse con un
ingente truppa di soldati il confine di Hogwarts. Non poteva credere di essere
venuta fin lì legata al solo filo della speranza. Lei ci sperava. Ci credeva.
Voleva che Draco tornasse. Voleva che Ron tornasse. Voleva che tornassero
tutti. Ma maledizione, no. No. Perché? Perché l’avevano abbandonata tutti? Era
sempre così, quando la piccola Ginny diventava troppo pesante da sopportare,
tutti se ne andavano. Vi odio, vi odio, vi odio!
“Avevi promesso che
saresti tornato!” gridò Ginny verso Hogwarts “Lo avevi promesso!” cominciò a
piangere come una ragazzina che non ha il vestito che il padre gli aveva
promesso di comprare.
Un soldato si avvicinò
per tranquillizzarla. La invitò a sedersi su una roccia piatta lì accanto.
“Lo aveva promesso di
tornare…” sospirò ancora quando si sentì più calma.
Il sole era quasi al
tramonto, quando un forte rombo fece voltare tutti verso il castello. La cima
di una torre stava crollando, e dal tetto crollato ora saliva furiosamente una
grande fiaccola rossa.
“Draco…” sussurrò Ginny.
Corse verso uno dei soldati.
“Sono loro! Devono essere
per forza loro! Forse è un segnale, oppure, non so! Avanti facciamo qualcosa”
Il soldato la guardò
esitante.
“Non…d’accordo, adesso
chiedo il da farsi, ma lei non si muova da qui” e corse verso una jeep
parcheggiata lì vicino.
*****
“Harry Potter. Sono anni
che ti cerco” sibilò Voldemort al ragazzo che si era schierato davanti a quelli
che fino a un giorno prima erano stati i suoi nemici. Harry si girò verso
Draco.
“Ehi biondino, il nostro
duello è solo rimandato. Tienilo bene a mente”
Draco annuì ancora basito
per quanto successo. Hermione, pur sapendo che Harry fosse ancora vivo, non
poteva credere di averlo proprio davanti agli occhi in quel momento. Era come
comparso dal nulla.
“Ma da dove è arrivato?
Io neanche l’ho visto” chiese.
“Non è arrivato da
nessuna parte. La bacchetta è il suo collegamento con questo mondo. Ed è
rispuntato dove si trovava la sua bacchetta, fra le dita di Voldemort” spiegò
Piton esaurientemente “Comincio a vederci più chiaro, ora. E’ una specie di
trappola in cui sono caduti entrambi”
“Entrambi? Spiegati”
disse Lupin ancora appoggiato ad Hermione.
“Sì, qualcosa che ha
iniziato lo scontro quattro anni fa, e che ora hanno modo di portarlo a
termine… ci sono! Prior Incantatio!”
“Che cosa?” chiese ancora
Lupin pieno di dubbi.
“Ma certo” disse un raggiante
Piton “Deve essere stato il contatto fra le due bacchette. Un altro Prior
Incantatio, come la prima volta che si sono scontrati. Ecco che cosa è successo
ad Hogwarts. Un Prior Incantatio. Uno che dura da quasi quattro anni”
“Vuoi dire che non sono
mai riusciti a scioglierlo?” chiese Sirius mentre squadrava i due contendenti
intenti a analizzarsi a vicenda.
“Esattamente, perché non
si incontravano mai. Harry di giorno e Voldemort di notte. Solo i pochi minuti
del tramonto e dell’alba fanno in modo che ci siano entrambi. Questo è un vero
colpo di fortuna!” terminò Piton.
“Ma che bella
spiegazione” disse Harry che aveva ascoltato tutto “Questo vuol dire che se
siamo tutti qui è colpa mia e sua” e fece un cenno verso Voldemort. Piton annuì
solennemente.
“Bene, tu sei Voldemort,
vero? Sappi che non mi piace il fatto che tu abbia ucciso i miei genitori.
Nessuno ti aveva autorizzato. Quindi considerala una piccola vendetta” strizzò
l’occhio al signore oscuro che sembrò atterrito da quell’atteggiamento tanto
spavaldo da parte del ragazzo.
“Sembri molto sicuro di
te, Potter. Cosa ti fa credere di essere il più forte” ghigno Voldemort che si
preparò alla sfida agitando la bacchetta.
“Io non credo di essere
il più forte” disse a testa china Harry “Io sono il più forte” alzò la testa e sorrise malignamente mentre il volto di
Voldemort divenne una maschera di sorpresa.
Con uno scatto Harry
arrivò davanti a Voldemort. Gli pianto un pungo ben assestato far le costole.
Questo grugni di dolore e si piegò in due. Harry continuò la sua opera con una
ginocchiata che raggiunse il volto del signore oscuro, facendolo vacillare
all’indietro. In equilibrio precario Voldemort si tastò la mascella e si
asciugò il labbro insanguinato. Fissò Harry con occhi sbarrati, mentre il ragazzo
già lo puntava con la bacchetta.
“Ignis Flatus!” la palla di fuoco schizzò in direzione di Voldemort
che la evitò all’ultimo istante buttandosi di lato. Il proiettile di fuoco
continuò la sua corsa fino a schiantarsi sulla superficie del lago con un boato
assordante e una marea di schizzi in tutte le direzioni.
“Non dovevano essere un
granché bravi i miei vecchi a combattere. Non vali quasi nulla” sentenziò Harry
mentre si avvicinava a passo spedito all’avversario ancora a terra. Voldemort
si rialzò e lo puntò con la bacchetta.
“Stupido Potter! Come
puoi solo sperare di contrastare il mio potere! Io sono Lord Voldemort! Nessuno
mi può fermare!” Harry sorrise.
“Le convinzioni sono
importanti nella vita. Avanti continua a parlare. Sei divertente quando fai il
grand’uomo. Non volevi uccidermi? Avanti, sono qui per te” allargò le braccia
invitandolo a colpire. Voldemort grugnì di rabbia. Come osava quello stupido
ragazzino prendersi gioco di lui!
“Avada…”
“Ci sarà da divertirsi”
rise Harry.
Perché non tremava?
Perché non provava paura? Voldemort non capiva il perché quel ragazzo non
reagisse davanti alla sua maledizione senza perdono. Era incomprensibile una
reazione del genere. Decise che gli avrebbe fatto solo molto male e riformulò
l’incantesimo.
“Crucio!” l’aria si
increspò ed Harry si fece schermo con
una mano. L’incantesimo colpì il suo palmo senza danni, poi si dissolse.
“Non…non può essere. Era
una maledizione senza perdono… non puoi pararla con una mano…” Voldemort ora
era veramente impaurito. Non aveva provato spesso quella strana sensazione.
Paura. L’amava molto. Amava vedere gli altri crollare davanti a se per la
paura. Amava spargere il seme del terrore nei suoi nemici, ma anche nei suoi
alleati. Ma non voleva diventare lui vittima dai quell’orrenda emozione. Non
voleva essere lui il bersaglio di quel puro terrore che tanto ammirava e
utilizzava quando era al potere. Non lo voleva. E quello che non voleva lui era
legge. Nessuno poteva impedirglielo. Nessuno. Neanche Potter. Come poteva essere
così forte. Era poco più di un ragazzino quando lo aveva affrontato e non aveva
sputo tenergli testa. Solo il Prior Incantatio lo aveva salvato. E ora era lì.
Lo minacciava di morte. Era assurdo. Ora lui era il portatore di paura. Il
nobile Potter. Il beniamino, l’amico di tutti era lì per ucciderlo. Non per
dovere, non pere vendetta, quello che aveva detto prima era solo una menzogna,
lo aveva capito benissimo. Lo uccideva solo per piacere. Per il gusto di
vincere, di essere il più forte di tutti. Nemmeno si accorse che si stava
avvicinando minaccioso con una spada in mano.
“Salutami i tuoi amici
all’inferno Voldemort” sentenziò Harry. Alzò la spada e con movimento veloce la
piantò nel petto del signore oscuro. Voldemort aprì gli occhi e spalancò la
bocca per il dolore e la sorpresa della sconfitta. Era giunta la fine quindi?
Il suo tempo era venuto? Sembrava proprio di sì. Cadde in ginocchio mentre
Harry estraeva la spada dal petto per alzarla di nuovo. L’ultimo raggio di luce
del sole stava illuminando l’atto finale di una lotta che durava ormai da
troppo tempo. Con un movimento circolare la spada colpì in pieno il collo di
Voldemort e tranciò di netto la sua testa. Il sole scomparve dietro le montagne
all’orizzonte e con lui il corpo di Voldemort che si accasciò al suolo e
divenne polvere nera. In cumulo di polvere nera in cui brillava solo una piuma
di fenice.
In quel preciso istante
il cielo attorno ad Hogwarts sembro incresparsi. Si sentirono inquietanti
scricchiolii vitrei, poi tutto crollò. Come un immensa cupola di vetro la
barriera attorno ad Hogwarts crollò liberando per sempre dalla maledizione il
castello.
Harry vacillò. Si tenne
la testa con una mano mentre l’altra perdeva sensibilità e faceva cadere la
bacchetta a terra. Cadde sulla ginocchia tenendosi la testa con entrambe le
mani. Svenne e rimase a terra immobile.
“Presto legatelo e
disarmatelo. Non ci deve scappare” ordinò Draco zittendo con una mano le
proteste dei suoi compagni “Credetemi non c’è altro modo. Credo che Azkaban sia
il meglio per lui”
Piton sorrise
soddisfatto. Fissò il braciere. Possibile che… si rivolse a Sirius.
“Sirius, prendi il sacco
pieno di cadaveri e gettalo nel braciere prima che si spenga”
“Come prego?” chiese
Sirius stralunato.
“Fallo e basta!” gridò
Piton. Sirius afferrò il sacco pieno di cadaveri e con fatica lo lanciò fra le
fiamme rosse del braciere. Hermione gridò indignata.
“Che diavolo fai!”
sbraitò Hermione. La ragazza corse verso Piton che se ne stava appoggiato di
schiena a braccia incrociate contro il braciere. Lo afferrò per il colletto e
lo scosse violentemente.
“Brutto idiota, ti sembra
sensato bruciare i cadaveri? Perché l’hai fatto? Perché l’ha…”
“Granger, per piacere. I
morti sono morti! O solo avuto un intuizione che spero per te si riveli…”
“Herm?” la chiamò una
voce. Non poteva essere quella voce. Non poteva essere davvero lui. Come era
possibile.
“…esatta. Ecco, appunto”
terminò Piton.
Ron Weasley spuntò dalle
fiamme del braciere e con lui anche gli altri battlemage rimasti uccisi.
“Herm, che succede?
Perché urli tanto?” gli chiese Ron fra le fiamme. All’improvviso Ron si accorse
dov’era e spalancò gli occhi.
“Al fuoco!” gridò
“Brucia! Ma siete matti! Mi volete ammazzare!” e saltò fuori dal braciere in un
attimo controllandosi per bene che non avesse ustioni di nessun tipo e che
fosse tutto intero. La casacca, adire il vero, era squarciata sul petto, ma non
si ricordava minimamente il perché.
Hermione
gli buttò le braccia al collo e lo riempì di baci mentre piangeva dalla gioia.
Mamma
mia che lavoraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaccio!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Sono
in terribile ritardo, lo so, ma ho avuto molto da fare. Cmq siamo alla fine,
Epilogo+ mega sorpresa (non è nulla di straordinario, una roba così….).
Dovreri
ringrazire, ma ho pensato che lo faccio nell’epilogo così mi viene meglio.
Quindi, visto che ormai la storia è finita, spera che vi sia piaciuta(sai la
storia che la fine) e che esprimiate i vostri commenti. ^ ^
Ore
3:13 (che lavoraccio quello del Fanwriter…..° °)
See you again!!!!