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Autore: Lady_Cassandra    27/12/2013    5 recensioni
Spencer viene costretto ad uscire una domenica sera, nonostante la sua mancanza di desiderio di divertirsi, ha ancora bisogno di riprendersi dopo la morte di Maeve, ma Derek Morgan non può accettare l'ennesimo rifiuto, perciò mette da parte i suoi pensieri per una sera ed esce. Inconsapevole che quella sera farà una nuova conoscenza che si rivelerà preziosa.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“3 a.m.”

                                        
 
“Se non ti spaventerai con le mie paure,
un giorno che mi dirai le tue, troveremo il modo di rimuoverle.
In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore,
e su di me puoi contare per una rivoluzione.
Tu hai l’anima che io vorrei avere.”
 
En e Xanax- Samuele Bersani.
 
 
Spencer ciondolava per casa senza un’apparente motivazione, fissava ogni tre secondi l’orologio che segnalava lo stesso orario e sbuffava. Era annoiato, tremendamente annoiato.
La cosa lo colse di sorpresa, d’altra parte nel corso della sua vita si era abituato a trascorrere molto tempo da solo, tuttavia negli ultimi mesi la presenza invasiva di Madison che piombava all’improvviso in casa sua, senza chiedere permesso dal primo giorno in cui si erano conosciuti, facendogli le proposte su proposte per portarlo fuori, lo avevano abituato al contrario.
Controllò il cellulare di nuovo per vedere se avesse ricevuto nuovi messaggi, ma nulla. L’ultimo messaggio risaliva alle sette di sera e tre minuti del giorno precedente: ‘Tutto ok in quel di New York, mio fratello è ormai fuori dall’università a tutti gli effetti. A proposito, Providence è bellissima! Mia madre ha organizzato una mega festa di laurea a casa stasera, è un vero peccato che tu non ci sei L  comunque torno domani pomeriggio, un bacino”
Spencer maledisse il suo lavoro che lo aveva bloccato a Washington anche quel fine settimana nonostante avesse in programma di andare a New York dalla famiglia Thompson per festeggiare la laurea in Architettura di Brian.
Tuttavia si rincuorò pensando che sicuramente la sua fidanzata sarebbe arrivata a momenti; non finì nemmeno di formulare quel pensiero quando sentì il campanello suonare.
Si precipitò alla porta, certo che si trattasse di Madison, con un sorriso a trentadue denti che si spense subito quando aprendo la porta vide la giovane dottoressa in lacrime.
“Pillola, cosa è successo?” le domandò abbracciandola mentre lei si abbandonò ad un pianto agitato bagnando la camicia del dottor Reid che provava a consolarla.
Aspettò che i suoi singhiozzi  si calmassero, sollevò con due dita il mento della sua fidanzata e le domandò di nuovo cosa fosse successo.
Madison affondò di nuovo il viso nel magro petto del dottor Reid che le diede un bacio sulla testa, cominciava seriamente ad agitarsi. “Ho visto Mason al Central Park” gli raccontò con la voce roca per via del pianto.
“Ti ha fatto del male?” si preoccupò Spencer, provò un impulso di rabbia nei confronti di quell’uomo, nonostante non sapesse nemmeno che aspetto avesse, avrebbe volentieri voluto fargli del male.
Madison si staccò dal giovane profiler e scosse la testa. “Non mi ha nemmeno vista”, poi si lasciò cadere sul divano del dottor Reid, che al sentire quelle parole si sentì sollevato.
“Giocava con un bambino. Era suo figlio” disse scoppiando di nuovo in lacrime, Spencer provò a parlare ma si bloccò; sapeva che in quel momento tutta la psicologia del mondo non sarebbe bastata per consolarla, perciò evitò di abbandonarsi ad un ingorgo di parole e si sedette vicino a lei stringendola a sé.
“Perché quel bambino sì e la mia bambina no? Cosa gli ho fatto io di male?” urlò fra le lacrime, Spencer le prese il viso fra le mani e asciugò le lacrime che bagnavano le sue guancie.
“Amore, tu non hai colpe. Non hai fatto nulla” la confortò e l’abbracciò di nuovo dandole un altro bacio sulla fronte.
“Vuoi una tazza di the?” le domandò, pensò che una bevanda calda l’avrebbe aiutata a calmarsi un po’, la giovane annuì e Spencer andò in cucina a mettere il bollitore sul fuoco.
 
“Ho avuto due attacchi di panico prima” confessò quando il suo fidanzato fu di ritorno con la tazza di the fumante.
La notizia non allarmò il dottor Reid, sapeva che Madison ne aveva sofferto subito dopo la scomparsa di Rachel e che aveva fatto anche una cura a base di ansiolitici, nonostante fossero diversi mesi che non ne aveva uno, vedere Mason dopo molto tempo e per giunta con un bambino aveva causato brutti ricordi nella giovane che scatenarono come reazione gli attacchi di panico.
“Hai preso lo xanax?” le domandò, ricordava anche che l’ansiolitico prescrittole era appunto lo xanax.
La dottoressa fece una smorfia e scosse la testa. “No e non ho intenzione di prenderlo” dichiarò fredda.
“Maddie, lo devi prendere. Sai che non c’è nulla di male” ribadì provando a farle un sorriso.
Madison si alzò e iniziò ad urlargli contro diventando sempre più rabbiosa ad ogni rimprovero di Spencer che non riusciva a concepire quale fosse il suo problema.
Il giovane profiler chiuse gli occhi, gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo quando sua madre si rifiutava di seguire la cura e lui la doveva imboccare, fece un respiro profondo e si sedette sulla poltrona. “Madison, calmati. Si può sapere perché non li vuoi prendere?”
“Perché mi ero ripromessa che non li avrei più presi e invece sono sempre al punto di partenza” spiegò fra le lacrime. La scena che seguì dopo fu qualcosa che Spencer non pensava che avrebbe mai visto: il respiro di Thompson si fece sempre più affannoso, il battito cardiaco accelerò improvvisamente, il suo corpo tremava.
La tazza di the cadde frantumandosi a terra, Spencer scattò in avanti e afferrò la sua fidanzata che s’irrigidì. “Maddie guarda verso l’alto” le consigliò mentre lei tentava di fare ampi respiri, le sembrava che la gola si stesse chiudendo in una morsa.
Ansimava, non riuscì a trattenere le lacrime, la sua mente si affollava di ricordi che le sembrava di aver rimosso, ma invece erano sempre lì, lei era sempre lì e quei maledetti attacchi di panico non sarebbero mai finiti.
Spencer la tenne stretta accarezzandole i capelli finché la crisi non fu del tutto passata. “Non ce la faccio più” gli disse battendo i pugni contro il petto del dottor Reid.
“Stai tranquilla, è tutto passato” la confortò poi la condusse in camera da letto perché si riposasse. “Ti farà bene dormire un po’ ”
Si sdraiarono sul letto, Madison si stese su un fianco e fu abbracciata da Spencer che le sussurrava parole dolci perché si calmasse. “Rimani con me?” gli domandò lei con un filo di voce.
“Non vado da nessuna parte, amore” le promise, avvicinandosi di più a lei perché sentisse il suo calore e le rimase accanto finché non si addormentò, dopodiché si alzò e andò in bagno.
Fissò il suo riflesso allo specchio del lavabo, era ancora troppo scosso, appoggiò entrambe le mani sulla ceramica fredda del suo lavandino e fece un lungo sospiro, infine  aprì il rubinetto e si lavò il viso.
Prima di ritornare in salotto, diede un’occhiata a Madison che continuava a dormire, si chinò su di lei e le diede un bacio sulla testa.
 
 
 “I came in like a wrecking ball,
I never hit so hard in love.
All I wanted was to break your walls…
 
…I never meant to start a war,
I just wanted you to let me in.”
 
Wrecking ball- Miley Cyrus
 
 
Quando fu in salotto raccolse i vari pezzi in cui si era rotta la tazza e spazzò via i restanti residui, poi si lasciò cadere sulla poltrona e chiuse gli occhi massaggiando le palpebre per diversi minuti.
Sentì il rumore dell’acqua del rubinetto del bagno scorrere e si alzò per raggiungere Madison che se ne stava appoggiata contro il lavandino. “Pillola, tutto ok?” le domandò entrando nel bagno.
“Ti ho sporcato l’asciugamano con il trucco” rispose, Spencer fece spallucce dicendole che non era un problema.
Si avvicinò a lei e l’abbracciò di nuovo, voleva farle capire che era lì solo per lei, non gli importava nulla del resto, contava solo che lei stesse bene; le baciò anche le guancie, il naso ed infine la bocca, e la riportò in salotto.
Si sedettero sul divano, Madison appoggiò la testa sulla spalla del giovane genio che cinse le sue con il braccio.
“E’ stato per colpa degli attacchi di panico che ho iniziato a bere. Non li sopportavo più, non riuscivo a fermarli” iniziò a sfogarsi la dottoressa.
“Gli ansiolitici non mi aiutavano, gli antidepressivi nemmeno. L’alcool invece rendeva tutto più facile, entravo in quello stato ovattato dove nulla poteva raggiungermi e stavo meglio, nessun attacco di panico, nessun pensiero.
Sai quante volte Wayne mi ha portato a casa perché io non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi?” gli raccontò, Spencer deglutì, non riusciva nemmeno ad immaginarla una scena del genere.
“Mi diceva sempre che dovevo reagire, che io ero meglio di così. Sapevo che aveva ragione, ma non ce la facevo. Quando sono entrata in clinica, mi è sembrato che il mondo mi fosse crollato addosso, gli attacchi di panico erano sempre più frequenti e io non sapevo come fare. Non potevo bere, ero in trappola, capisci? Ero costretta a pensare” fece una pausa per prendere fiato, si voltò verso Spencer che si era rabbuiato, quelle parole anche in lui avevano risvegliato diversi ricordi, destato le ombre assopite della sua mente.  
“L’anoressia fu solo l’unica mia consolazione a quel punto” continuò e sospirò, ripensando a quel periodo che sembrava lontano anni luce ormai, ma forse non lo era poi tanto, realizzò quanto fosse stata stupida a permettere a quel bastardo di rovinarle la vita.
“Era il mio rifugio, mi aiutava a concentrarmi su altro e mi dava la possibilità di evadere. Io non volevo sentire più, volevo il vuoto e lei me lo dava. Passavo intere giornate a fissarmi allo specchio contemplando il degrado del mio corpo e mi sentivo felice” gli confessò. “Pensavo che rifiutando  il cibo, avrei dimostrato a me stessa di essere una persona forte e perciò continuavo a buttare le porzioni che mi portavano. Ovviamente i medici m’imposero il sondino naso gastrico per alimentarmi. Non so quante volte avrei voluto strozzarmi con quel maledetto sondino”
“Capii presto che dovevo uscire da quella clinica perciò m’imposi di mangiare e recuperai peso. Sembrava che stessi meglio, ma in realtà fingevo soltanto. Quando uscii, ripresi con l’alcool, di nuovo al punto di partenza. Il fondo l’ho toccato una sera, ero così ubriaca al punto da non rendermi nemmeno conto di essere caduta, avevo sbattuto la testa talmente forte da perdere completamente conoscenza. Quando mi svegliai la mattina dopo, ero già in clinica”
“Ripresi con l’anoressia, era come una dolce punizione. Il dottor Rhodes non sapeva più come riprendermi, io non volevo ascoltare. Io volevo semplicemente morire”
Al suono di quelle parole, Spencer sentì le lacrime pungergli gli occhi ma s’impose di non scomporsi, non voleva che Madison si preoccupasse.
“Un giorno il dottor Rhodes portò sua figlia Quinn. Voleva che io la conoscessi, mi portò fuori nel giardino e giocammo a nascondino tutta la mattina, poi Ewan la fece portare via da un’infermiera e mi portò di nuovo nella mia stanza, prima di andarsene mi disse che sarei stata una brava mamma se solo mi fossi data un’altra possibilità e mi lasciò una barretta di cioccolato” riprese il raccontò Thompson.
“La mangiai tutta nonostante la sensazione di nausea, ad ogni morso mi sembrava di avere mille spilli che mi si conficcavano in gola ma non mi fermai. Quella è stata la cioccolata più buona della mia vita perché avevo vinto, perché avevo deciso di darmi una possibilità, di vivere di nuovo.. e ora eccomi qui” concluse Madison facendo spallucce, si sentiva molto meglio dopo aver parlato con Spencer, sapeva che lui l’avrebbe capita senza sorprendersi o giudicarla per quanto aveva sentito.
Spencer rimase in silenzio dopo quel lungo racconto, meditando sulla sua storia, sentiva le parole che cercavano di uscire copiose dalla sua bocca e questa volta non volle fermarle. Si portò i capelli dietro l’orecchio, era teso come una corda di violino.
Doveva parlarne, perciò si umettò le labbra e iniziò a raccontarle di Tobias Hankel e del suo sequestro, della sua tossicodipendenza dal Dilaudid, di quanto fosse stato difficile uscirne, dei suoi continui incubi in cui scavava la sua stessa tomba, di tutte le volte che anche lui aveva semplicemente desiderato di morire. Le parlò anche di Gideon e di quanto si fosse sentito solo e perso dopo il suo allontanamento, ma soprattutto abbandonato per la seconda volta da una persona che aveva considerato quasi come un padre.
Madison sbatté le ciglia incredula, ora riusciva a dare una spiegazione ai suoi sogni agitati, a tutte le volte che lo aveva sentito alzarsi la notte e piangere in bagno; improvvisamente si sentì tradita, non si capacitava del perché avesse aspettato così tanto per raccontarle qualcosa di così importante. “Perché non me lo hai raccontato prima?” gli domandò con tono serio.
Spencer abbassò lo sguardo. “Non me la sentivo di dirtelo”
In quel momento Madison si alzò di scatto. “Che cazzo significa che non te la sentivi di dirmelo? Tu pensi che io non ti abbia mai sentito piangere la notte?” gridò. “Ogni volta ho aspettato che tu mi svegliassi per parlare perché è quello che io avrei fatto”
“E sai perché? Perché io ne sento il bisogno. Io voglio raccontarti tutto e renderti partecipe di ogni mia paura, di tutto quello che provo. È evidente però che questo bisogno lo avverto solo io, a te non fotte proprio nulla di rendermi partecipe della tua vita” lo accusò.
Spencer rimase paralizzato di fronte a quella reazione, non sapeva come gestirla. “Non è vero, non è questo il problema” si giustificò.
Quella semplice giustificazione non fece altro che incrementare la rabbia della giovane dottoressa. “E qual è? Dimmelo perché io voglio saperlo”
Nessuna risposta giunse. “Tu non ti fidi di me, questo è il problema” affermò, dal tono di voce amareggiato il dottor Reid realizzò quanto fosse delusa dal suo comportamento.
“Pillola, io mi fido di te” ribadì Reid, provò ad avvicinarsi a lei per rassicurarla ma fu respinto.
Quella mancanza di fiducia l’aveva ferita profondamente, pensava che il loro rapporto fosse solido e invece anche questa volta a darsi completamente era stata solo lei. “Non mi toccare. Sei solo un bugiardo!” urlò contro il giovane profiler. “Ho solo una cosa da chiederti. A lei lo avevi raccontato?”
Spencer sospirò, sapeva che per evitare il disastro avrebbe dovuto mentire, ma gli sembrava ingiusto nei confronti di Madison perciò ammise che a Maeve aveva raccontato tutto.
“Io non ci credo. Come fai? Io e te dormiamo insieme ogni sera e non mi merito di saperlo? Cosa cazzo avrei dovuto fare perché tu ti fidassi di me?”chiese urlando. Era furiosa, sentiva il sangue pulsarle alle tempie, la testa stava per scoppiarle, non riusciva a credere che anche Spencer fosse riuscito a ferirla.
In quel momento si sentì una semplice sostituta di una persona che con cui non avrebbe mai potuto avere un confronto, e si sentì tradita anche da Maeve nonostante non avesse nulla a che fare con la loro storia, semplicemente la detestava perché aveva rovinato tutto.  “Cosa aveva quella stronza in più rispetto a me per guadagnarsi la tua fiducia?”
Quando la sentì chiamare Maeve stronza, anche Spencer s’infuriò. “Non ti azzardare più a dire che è una stronza” urlò freddo.
Vedere Spencer così arrabbiato fece capire a Madison che per lui quella donna significava ancora troppo, era più importante di quanto lei sarebbe mai potuta essere e scoppiò a piangere. “Tu non mi vuoi veramente nella tua vita, per questo non ti confidi con me. Non ami e non mi amerai mai perché io per te non sono nient’altro che la seconda scelta”
Si girò dando le spalle al giovane genio, intenzionata ad uscire immediatamente da quella casa; Spencer provò a bloccarla ma lei lo strattonò. “Lasciami in pace” urlò, prese la borsa e uscì dall’appartamento sbattendo la porta.
Il dottor Reid rimase fermo davanti alla porta senza riuscire a muoversi, sentì anche il portone del palazzo chiudersi e si precipitò alla finestra.
Vide la vettura della dottoressa Thompson sfrecciare nel traffico. “Dove sta andando?” si domandò, sapeva che Paget era andata da sua sorella a Memphis perciò dedusse che sicuramente sarebbe andata da Penelope e le telefonò.
“Garcia, scusami se ti disturbo, ma devo chiederti un favore..” esordì quando la collega ebbe risposto.
La bionda si allarmò, dal tono di voce comprese che era successo qualcosa. “Dimmi, Reid”
“Io e Madison abbiamo litigato a morte, lei è uscita e penso che verrà da te. Mi avvisi quando arriva?” le chiese, voleva rassicurarsi che stesse bene.
Penelope gli disse di non preoccuparsi e che lo avrebbe avvisato subito, il giovane genio le chiese anche di convincerla a prendere il suo ansiolitico e infine riattaccò dopo averla ringraziata.
 
Come aveva dedotto il dottor Reid, Madison andò a casa dell’analista informatica della B.A.U.,  aveva bisogno di parlare e Penelope era un’ottima ascoltatrice.
Ovviamente la bionda non si sorprese quando sentì bussare il campanello, mandò subito un messaggio al dottor Reid e aprì la porta allargando le braccia per accogliere la dottoressa Thompson che si fece abbracciare senza esitazioni.
“Cucciola, cosa è successo?” le domandò Penelope mentre richiudeva la porta. “Perché non mi ama?” domandò a sua volta Madison mentre due lacrime le bagnavano il viso.
“Perché dici così? Io sono sicura che lui ti ama” la consolò e ne era davvero convinta. In quei mesi aveva visto Reid sempre più sorridente, più sereno; la presenza di Madison nella sua vita aveva un impatto straordinariamente positivo e faceva bene al giovane profiler che ogni volta che riceveva un messaggio da parte della rossa s’illuminava.
“E allora perché non riesce a dirmelo? Perché lei continua ad essere la persona più importante della sua vita?” domandò  ancora mentre tirava su con il naso.
Garcia le diede un fazzoletto e si offrì di prepararle una tazza di the che Madison accettò.
“Cucciola, Maeve sarà sempre nei suoi pensieri, ma questo non fa di lei la persona più importante della sua vita. Non potrai mai cancellare il suo ricordo, devi farci la pace con questo fatto e provare a superarlo” tentò di farla ragionare la bionda mentre le faceva scegliere il gusto del the dalla sua collezione.
Madison le passò una bustina di the ai frutti rossi e le rispose. “Hai idea di quanto sia difficile far innamorare di te una persona soltanto con delle telefonate? Spencer non sapeva nemmeno che aspetto avesse e avrebbe dato persino la vita per lei”
Penelope fece un respiro, anche lei avrebbe reagito esattamente come Madison al suo posto. “Darebbe la vita anche per te”
“Anche io, ma non posso fare a meno di pensare che lui in realtà non sia felice” si sfogò. “Io so qual è la differenza fra Spencer e tutti gli altri perché l’ho potuta constatare. So che non potrei mai essere più felice di così, lui invece no. Non sa cosa significhi svegliarsi, dormire accanto a lei, non sa come sarebbe stato un bacio. Non l’ha potuta nemmeno tenere per mano”
Mentre parlava, pensava a quanto fosse assurda quella conversazione, mai avrebbe pensato che qualcuno potesse vivere una storia simile. “Io ho paura che un giorno si svegli e si renda conto che io non sono sufficiente per lui e vada via” confessò.
Penelope annuì e le posò una mano sulla spalla per confortarla. “Quel giorno non arriverà mai, Mads. Credimi, lui è felice e ti ama, a prescindere da Maeve e da tutto il resto”
Madison abbozzò un sorriso e bevve il contenuto dalla sua tazza. “Posso restare qui stanotte?”le chiese.
Garcia sorrise e annuì. “Cucciola, mi casa es tu casa” disse e insieme andarono a preparare il letto nella stanza degli ospiti.
 
 
 
Reid non riusciva a darsi pace dopo quel litigio, si maledisse per la sua totale incapacità di mantenere una normale relazione con una persona, per non essere riuscito ancora una volta a dirle che l’amava.
Perché era vero, lui amava quella piccola, pazza e lunatica ragazza che era entrata nella sua vita come un uragano stravolgendo ogni cosa.
L’amava perché in pochissimo tempo era riuscita a farlo sentire amato e al sicuro, perché lei non era soltanto la sua fidanzata, ma era soprattutto la sua migliore amica, perché grazie a lei aveva iniziato a vivere davvero, perché lei lo faceva ridere a crepapelle come mai nessuno ci era riuscito prima.
Perché gli aveva restituito l’infanzia che nella sua vita gli era mancata, con lei poteva fare tutte quelle cose stupide che non aveva mai fatto, come lanciarsi in una battaglia di cuscini o andare sull’altalena.
Semplicemente l’amava perché con lei poteva smettere di essere Spencer Reid, il plurilaureato ragazzo prodigio del F.B.I. con un Q.I. di 187 ed essere semplicemente Spencer.
Non glielo aveva mai confessato, ma era quello che il giovane genio pensava di lei e ora mentre le mandava numerosi messaggi per farsi perdonare, non poteva fare altro che pensare che ancora una volta era riuscito a rovinare tutto.
“Ti prego, parliamone” le scrisse nell’ennesimo messaggio, voleva che ritornasse da lui perché aveva bisogno di lei.
Perché si era reso conto che era pronto a svegliarla ogni notte con i suoi incubi, ad annoiarla a morte con le sue paranoie, a raccontarle tutto senza esclusioni.
Non aveva più paura, ora era pronto a darsi completamente. Non ricevette alcun messaggio di risposta, come nemmeno nessuna risposta alle sue chiamate.
Buttò il cellulare sul divano e tornò in camera sua. Quando si sdraiò sul letto appoggiando la testa sul cuscino, sentì il profumo di Madison e si ritrovò a piangere abbracciato al cuscino.
Gli sembrò di sentire la voce di Morgan dirgli che era patetico e per qualche minuto lo pensò veramente, ma non riusciva a trattenere le lacrime.
Quando si calmò, si distese a pancia in su a fissare il soffitto per ore senza muoversi mentre pian piano il sole calava lasciando spazio al buio, dalla finestra della sua stanza filtrava soltanto la luce del lampione della strada che illuminava scarsamente l’abitazione.
Nel buio distinse la sua amata tracolla, diventata quasi una compagna di avventure ormai, e ripensò al giorno in cui l’aveva comprata. Quante cose erano cambiate da allora? Quanto era cambiato lui da allora?
L’ultima volta che si erano visti, suo padre gli aveva detto che era maturato molto,  ‘hai fatto un ottimo lavoro con te stesso, migliore di quello che avrei fatto io’ aveva ammesso ridendo. Vedendolo ridere si rese conto che in realtà si somigliavano, sorridevano allo stesso modo e anche suo padre aveva lo stesso suo vizio di toccarsi i capelli quando doveva raccontare qualcosa.
Ci erano voluti ben quattro incontri prima che l’imbarazzo sparisse e riuscissero finalmente ad abbracciarsi, ma ricevere quell’abbraccio fu vitale per entrambi perché li fece sentire di nuovo padre e figlio nonostante i litigi e i diversi anni di assenza.
I suoi pensieri iniziarono a confondersi l’uno con l’altro ed infine vinto dalla stanchezza emotiva si addormentò.
 
Spencer sentiva qualcuno che lo strattonava chiamandolo per nome e aprì gli occhi. “Certo che per svegliarti ci vuole un esercito” esclamò la giovane accanto a lui seduta a gambe incrociate.
“Maeve? Sto sognando?” si chiese sedendosi a sua volta, la genetista annuì. “Purtroppo sì” si rammaricò.
“Ma si può sapere che hai combinato? Insomma io iniziavo ad affezionarmi a lei” lo rimproverò, il dottor Reid sgranò gli occhi, la sua mente era decisamente troppo fantasiosa.
“Spencer, devi riprendertela perché -fece una pausa per avvicinarsi a lui- i boss di lassù non ti concederanno un’altra possibilità” gli sussurrò all’orecchio.
“I boss di lassù avrebbero dovuto pensarci meglio prima. Non ci sarebbe stato bisogno di alcuna altra possibilità se tu fossi qui” affermò lui e si sdraiò di nuovo.
Maeve sollevò un sopracciglio. “E non saresti dispiaciuto di non aver incontrato la tua pillola?”
Il dottor Reid fece un sorriso nel sentire quel soprannome. “Non so, il me di allora avrebbe semplicemente voluto che tu uscissi da quella casa con me” confessò.
“E il te di adesso? Non sarebbe dispiaciuto?” lo incalzò, Spencer annuì. “Sì, sarei dispiaciuto” riconobbe.
Maeve si abbassò e appoggiò la testa sul petto del dottor Reid, che esitò un attimo prima di stringerla. “Spencer, noi avremo sempre Thomas Merton, ma avremo solo quello. Tu con lei puoi avere tutto il resto: una vera famiglia, dei bambini e una persona con cui poter invecchiare. Vuoi davvero rinunciare a tutto questo?” affermò lei sotto voce.
Non aspettò che rispondesse, si sollevò sui gomiti puntando i suoi occhi blu nei suoi. “Io non tornerò più. Ricordati che  ti amerò per sempre” mormorò, infine si chinò su di lui e posò un bacio sulle labbra, per poi sparire per sempre.
Spencer aprì gli occhi e deglutì, guardò verso l’orologio della sua sveglia che segnalava  le tre del mattino e si alzò.
Andò in cucina e si versò un bicchiere d’acqua, sapeva che non sarebbe riuscito a dormire quella notte, perciò rimase a contemplare la finestra sdraiato in pigiama sul divano del suo salotto.
Su quello stesso divano che avrebbe potuto raccontare tante storie se solo avesse avuto il dono della parola;  era il divano su cui aveva letto mille libri, immaginato e sognato per mesi quel tanto atteso incontro che mai giunse, e pianto la morte di Maeve. Era anche il divano su cui aveva guardato dozzine di film con Madison, dormito assieme a lei la domenica pomeriggio, sul quale l’aveva baciata infinite volte e non solo.
Maeve aveva ragione, non poteva rinunciare ad una vita felice, alla possibilità di costruirsi una famiglia. Non poteva rinunciare a Madison.
Si alzò di nuovo e andò verso la sua libreria, prese la cornice con la fotografia che aveva scattato con la sua pillola il giorno del suo compleanno e accarezzò il vetro.
Ritornò a sdraiarsi sul  divano  con la cornice in mano e rimase abbracciato alla fotografia aspettando che il sole sorgesse su Washington.
 
 
Quella mattina non appena mise piede nell’open space, si precipitò nell’ufficio della loro analista informatica che però trovò vuoto. “Cosa volevi dalla mia bambolina?” domandò Morgan alle sue spalle.
Spencer si voltò verso di lui mostrando gli occhi leggermente arrossati e le occhiaie marcate per la notte insonne e Morgan aggrottò la fronte. “Ragazzino, tutto bene? Sembra che ti abbia investito un treno”
Spencer abbassò lo sguardo e si scricchiolò le dita. “Madison ed io abbiamo litigato e lei è andata da Garcia, volevo accertarmi che stesse bene”
Morgan annuì. “Come mai avete litigato?”domandò con tono serio, era chiaro che si fosse trattato di una brutta litigata.
“Quale parte vuoi sapere? Quella dell’attacco di panico? Quella in cui ha dato matto quando ha saputo della mia ex tossicodipendenza? O quella in cui ha detto che io non l’ho mai amata?” si sfogò il giovane genio, poi si passò una mano fra i capelli abbandonandosi ad un lungo sospiro.
Derek stava per rispondergli quando apparve Garcia. “Penelope, come sta Madison?” le chiese il dottor Reid.
“Ha avuto giorni migliori. Comunque stai tranquillo, si è calmata e l’ho anche convinta a prendere il suo ansiolitico” rispose mentre lo guardava da sopra i suoi occhiali sorridendogli.
Spencer annuì, era una buona notizia che avesse deciso di prendere lo xanax. “Credi che riuscirò a parlarci oggi?” chiese, aveva un’aria così triste che a Penelope le si spezzò il cuore.
“Non lo so, però secondo me hai buone possibilità” rispose sorridendogli, anche Spencer sorrise e si sentì subito meglio.
Quel giorno non furono interpellati per alcun caso e trascorsero una normale giornata d’ufficio, Spencer ringraziò il cielo, non sarebbe riuscito a concentrarsi su un eventuale caso considerato il suo stato d’animo.
Passò il resto della giornata a bere caffè e pensare alle parole che avrebbe rivolto a Madison se fosse riuscito a parlarle, più volte s’incantò fissando il vuoto facendosi richiamare dai suoi colleghi che ogni tanto gli gettavano qualche occhiata preoccupata, infine alle cinque era talmente tanto ansioso di ritornare a casa che chiese all’agente supervisore Hotchner se poteva uscire prima, l’uomo non ebbe nulla da obiettare e Spencer ritornò a casa.
Prima di entrare nel palazzo, controllò se l’automobile di Thompson fosse parcheggiata in strada e si precipitò subito al secondo piano quando la vide.
Sentì la sua fidanzata suonare la chitarra confermando la sua presenza in casa e bussò alla porta della rossa che però non gli aprì. Lo aveva visto dallo spioncino e non voleva parlargli, non ancora.
“Maddie, so che sei in casa. Per favore, aprimi, parliamone” la implorò. “Io non me ne vado finché non mi apri” dichiarò con fermezza.
Si sedette sul pavimento appoggiando le spalle contro la porta dell’appartamento di Madison e ricominciò a parlare.
“Maddie, mi dispiace davvero. Ho sbagliato e tu hai ragione, io non ti ho reso completamente partecipe della mia vita, ma era solo perché avevo paura” riconobbe.
“Avevo paura perché ogni volta che mi sono affezionato a qualcuno, svelandogli tutto di me, l’ho perso. Ho creato così tanti muri attorno a me per proteggermi e farli cadere non sarà facile, ma so che io e te insieme ci riusciremo perché tu non sei solo la mia fidanzata, sei soprattutto la mia migliore amica” le confidò sorridendo, anche la rossa sorrise al sentire quelle parole.
“Sei la mia pazza amica. Sai di essere pazza, vero? Ricordi quando hai fatto le marionette con dei calzini attaccandoci due bottoni per gli occhi e lo spago per i capelli? Volevi  interpretare la tua personalissima scena della finestra di ‘Romeo e Giulietta’ ” la prese in giro e scoppiò a ridere pensando a quel pomeriggio, non aveva mai riso così tanto.
“Ho capito però che tu eri la mia migliore amica il giorno che mi hai costruito la scatola dei ricordi. Io mi stavo scervellando per riuscire ad aggiustare quello stupido walkman che mi aveva regalato mia mamma in uno dei suoi scarsi momenti di lucidità nonostante sapessi che fosse una causa persa, tu hai capito che quello era molto più di semplice walkman per me e mi hai suggerito la scatola dei ricordi dove avrei potuto conservare tutto ciò da cui non mi volevo separare. Abbiamo usato la scatola delle mie vecchie converse e l’abbiamo rivestita con della carta regalo che avevo in casa, poi abbiamo parlato tutta la notte mangiando i cereali, che ti eri portata da casa, dalla scatola. Quello è uno dei più bei ricordi che ho di te” le raccontò.
“Sai invece quando ho capito di essermi innamorato di te? È stato il giorno che siamo andati a pattinare, io non facevo altro che scivolare e tu ridevi a più non posso, ti ho detestata in quell’occasione, insomma mica era colpa mia se non avevo mai pattinato prima! Tu eri avvantaggiata, andavi da quando eri piccola al Rockefeller center! Poi mi hai preso entrambe le mani e mi hai guidato piano piano al centro della pista cercando di non farmi perdere l’equilibro. È stata la prima volta che ti ho guardata davvero e mi sono innamorato” le confessò. “Pillola, io non so bene cosa sia la felicità, ma se esiste, sono sicuro che ti somiglia perché..” riprese, ma si  bloccò subito, aveva sentito dei passi dietro la porta e si alzò.
“Anche io ti chiedo scusa per quello che ho detto. Il problema è che io non voglio che tu sia felice a metà” affermò la dottoressa Thompson aprendo la porta.
“Ma che dici? Io non sono affatto felice a metà, non potrei essere più felice di così” ribadì divertito, poi la prese per mano.
“So che è difficile per te superare la storia di Maeve, ma la verità è che se qualcuno oggi mi dicesse che, rinunciando a te, potrei riaverla indietro, io semplicemente non accetterei perché non ci può essere nulla dopo di te, nemmeno lei” le confidò, Madison sorrise.
“E perché io ti amo” aggiunse, la rossa gli saltò addosso e Spencer la strinse a sé. “Davvero mi ami?” gli domandò.
Il dottor Reid le scoccò un bacio sulle labbra. “Sì, ti amo” rispose e si baciarono di nuovo.
Sentì il sapore amaro delle medicine mentre accarezzava la lingua della rossa con la sua. “Sai di medicina, però profumi sempre di pesca e miele” le disse ridendo senza smettere di baciarla.  “E tu di caffè e di acqua di colonia francese” disse lei e si staccò un secondo dalla bocca del dottor Reid per scostargli le ciocche di capelli ribelli dagli occhi e lui la posò per terra.
“Ma io non uso acqua di colonia” rispose lui divertito. Madison fece spallucce. “Boh, allora sarà l’odore della genialità!” esclamò. “Dici che la genialità ha a che vedere con la Francia?” si chiese con espressione seria posandosi con una mano sul mento. “Farò una ricerca” disse annuendo.
Spencer rise e la baciò di nuovo, poi la prese in braccio e la sdraiò sul divano, si distese su di lei che cominciò a fargli i grattini sulla schiena e sul collo che tanto adorava, il suono delle loro scarpe cadute per terra ruppe il silenzio.
 Lui  le sollevò la maglietta baciandole la pancia, il contatto con la morbida pelle della dottoressa Thompson gli provocò un brivido.
 Alzò lo sguardo verso di lei che sorrideva e le tolse la maglietta, con la punta delle dita percorse il suo addome mentre lei gli sbottonava la camicia che andò a fare compagnia alla sua maglietta sul pavimento.
Si sollevò sulla schiena per consentire a Spencer di slacciare il suo reggiseno di cui il giovane si liberò piuttosto in fretta.
Lui con le labbra accarezzò i suoi seni, sentì lei che si lasciò sfuggire un gemito e continuò quel giochino usando la lingua mentre lei slacciava la cintura dei suoi pantaloni.
Anche Spencer con una mano le sbottò i jeans diventati decisamente troppo ingombranti, si alzò e si tolse i pantaloni, anche lei fece lo stesso lasciandosi addosso lo slip perché lui lo togliesse, sapeva quanto gli piaceva farlo.
Spencer ormai completamente nudo ritornò ad occupare la sua posizione sul divano, si liberò dello slip della rossa e scivolò lentamente in lei, che avvolse i suoi fianchi con le sue gambe per tenerlo più stretto.
L’eccitazione era palpabile nell’aria, Madison gli mordicchiò le orecchie intanto che con una mano gli accarezzava i capelli, i movimenti di Spencer dentro di lei si fecero sempre più frenetici mentre lei gemeva di piacere aggrappandosi alla sua schiena.
I loro corpi erano sempre più sudati, la loro eccitazione era ormai al culmine, gli affondi sempre più forti e veloci.
 Anche lui ansimava mentre le mani della rossa lo palpavano ovunque, le loro bocche si unirono soffocando i gemiti.
L’orgasmo era sempre più vicino, i loro gemiti sempre più intensi mentre i loro corpi ondeggiavano all’unisono; Spencer diede una spinta più forte delle altre e l’orgasmo li colse avvinghiati lasciandoli senza fiato.
Le loro bocche si cercarono di nuovo incontrandosi in un altro bacio più tenero e lento. I loro respiri si fecero più regolari mentre i muscoli si rilassavano.
Madison increspò le labbra e ridacchiò. “Cosa c’è?” le domandò Spencer curioso.
“E’ già finito” disse mordicchiandosi le labbra, il giovane profiler si avvicinò di più a lei. “Possiamo rifarlo” sussurrò al suo orecchio.
Madison sollevò un sopracciglio. “Wow, mi sorprendi sempre” lo prese in giro, Spencer sospirò e si accoccolò. “Sai cosa penso?”
La rossa scosse la testa, non aveva idea di cosa stesse passando per la testa del dottor Reid. “Dovremmo vivere insieme” esclamò dandole un buffetto sulla guancia.
“Dici davvero? Vuoi che mi trasferisca da te?” si sorprese la rossa, ma l’idea la faceva impazzire. Il giovane genio annuì sorridente, voleva che si trasferisse da lui.
“Possiamo comunque tenere il mio appartamento?” gli domandò, Spencer aggrottò la fronte. “Perché?”
“Per i miei vestiti, altrimenti, considerando tutti i tuoi libri, non ci entreremo mai tutti e due nel tuo appartamento” scherzò ridendo, anche lui scoppiò a ridere e la baciò di nuovo.
Passare da una litigata furibonda ad una convivenza era una pazzia che solo loro avrebbero potuto fare, ma sicuramente una pazzia di cui non si sarebbero pentiti mai perché loro erano migliori amici, fidanzati, confidenti, amanti. E presto sarebbero diventati anche marito e moglie, oltre che genitori.
Semplicemente non si sarebbero pentiti perché loro erano Spencer e Madison ed insieme avevano capito che nella vita tutto passa, basta solo sorridere.
 
 
 
 
“Baby, please don’t break my heart,
‘cause you’re the only one I love.
And I’ll be by your side till the very end,
‘cause you’re my only friend.”
 
Kiss the grrl- Kate Nash.
 
 
 
 

 Fine.

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Epilogo

Spencer e Madison si sposarono a fine settembre di quello stesso anno, scegliendo come data per le loro nozze: il ventidue settembre, ovvero il giorno in cui si sono incontrati per la prima volta, e come destinazione del loro viaggio di nozze scelsero Parigi.
Al loro matrimonio non mancò nessuno.
Tutti i loro amici furono lì per festeggiare la giovane coppia in quello che Madison definì il primo dei quattro giorni più felici della sua vita, gli altri tre sono quelli delle nascite dei suoi figli: Elizabeth, Jules e Thomas.
Il testimone di nozze di Spencer fu Derek, a cui sfuggì qualche lacrima quando il 'ragazzino' pronunciò le parole: "Sì, lo voglio", la damigella d'onore fu la cugina di Madison, l'attrice Mary Jane, che durante la festa recitò un suo monologo, poco apprezzato dagli invitati.
Le altre tre damigelle della sposa furono: Paget, Hannah e Penelope, tutte e tre vestite con un abito corto a mono spalla verde acqua e con un enorme fiore bianco fra i capelli.
Penelope si commosse più volte, costringendo Paget a rifarle il trucco tre volte, e Hannah suonò il violino che fece da sottofondo alla camminata di Madison verso l'altare.
Al loro matrimonio fu presente anche Emily Prentiss, venuta da Londra per l'occasione, non poteva perdersi un evento, che considerava fra i più improbabili della sua agenda, e lei lavorava all'Interpol.
Anche Derrick scese a patti con la sua ritrosia e andò al matrimonio di Pel di Carota, offrendosi, durante il brindisi, come possibile sostituto di Spencer in caso di una sua prematura dipartita; in fin dei conti, come sottolineò anche lui, la promessa recita: "finché morte non ci separi"
Il brindisi di Spencer lo avrebbe dovuto fare Garcia che però non riuscì a concluderlo per via della commozione e alla fine toccò a Derek. La parte del brindisi di Derek più bella fu questa:
"Spencer, penso di parlare a nome di tutti i presenti quando dico che se esiste una persona che merita questo giorno sei tu, perché nonostante la vita con te non sia stata affatto facile, tu non ti sei mai arreso dimostrando a tutti quanto sei coraggioso e determinato. Sei più forte di quello che pensi, ragazzino.
In questi anni sei maturato tanto, ma soprattutto ci hai insegnato tanto e noi siamo orgogliosi di te, per questo oggi ti auguriamo tutta la felicità di questo mondo assieme a quella donna, che è riuscita a farti ballare fin dal primo giorno. Congratulazioni, dottor Reid"
C'erano ovviamente i genitori di Madison, James e Natalie, che regalarono le chiavi della loro casa a Santa Barbara ai neo sposini, ma anche i genitori di Spencer, William e Diana, che per la prima volta dopo tanti anni si sedetterono allo stesso tavolo e mangiarono insieme.
William, dopo aver violato il segreto professionale consegnando le prove incriminanti per l'arresto di Paul Stewart al F.B.I., fu licenziato, si trasferì a New York e divenne socio di James.
Diana invece si fermò per qualche settimana a casa dei coniugi Reid dopo la nascita dalla sua prima nipotina. Durante le quali, svelò la sua anima punk confessando di essere stata a Woodstock durante la sua giovinezza e insegnò a Madison a ballare il charleston.
Anche Brian, il fratello minore di Madison, si trasferì nella dimora Reid per ristrutturare la casa che Spencer aveva acquistato nonostante stesse cadendo a pezzi. "E' uguale alla casa dei miei sogni" disse al cognato quando lui, leggendo la valutazione del perito, dichiarò che era la
peggiore catapecchia di tutta Washington D.C.
Alla fine, Brian si affezionò cosi tanto a quella casa che ci visse per oltre due anni, con enorme piacere di Spencer che sosteneva che così la sua pillola sarebbe stata meno sola.
Madison fu licenziata dal suo impiego presso il Georgetown University Hospital  poco dopo il suo matrimonio e aprì, su consiglio del marito, uno studio medico, frequentato da molti dei pazienti conosciuti durante le ore di ambulatorio.
Dopo la nascita di Elizabeth, i nostri due sposini persero più di nove settimane di sonno, che sarebbero state molte di più se non fosse stato per Brian, che trovava ispirazione per i suoi progetti solo di notte, il momento della giornata che la piccolina preferiva di più.
Il loro raggio di sole nacque il ventuno Giugno del 2015, il giorno del solstizio d'estate, che è anche il giorno con più ore di luce dell'anno.
I suoi padrini furono Paget e Derek che il giorno della sua nascita litigarono nella stanza d'ospedale per chi la prendeva in braccio per primo. Penelope ci rimase molto male per non essere stata scelta, ma fu la madrina di Jules mentre Ethan, il nostro musicista di New Orleans, il padrino.
Elizabeth inizialmente non fu molto contenta dell'arrivo della sua sorellina che, a suo avviso, le aveva rubato i suoi genitori, ma alla fine divennero ottime amiche, proprio come voleva la loro mamma.
Thomas, l'ultimo dei loro figli, nacque al settimo mese di una gravidanza molto complicata e rimase in incubatrice per quasi otto settimane, durante le quali, i coniugi Reid si trasferirono in ospedale per badare al loro piccolo ometto.
La madrina di Thomas fu Blake, che trasmise la sua passione per i cruciverba
al suo figlioccio, il cui nome completo era Thomas Wayne Reid, in ricordo del detective Derrick, amico della rossa, morto qualche anno prima della sua nascita in una sparatoria.
I figli di Spencer e Madison erano pazzi e curiosi, esattamente come i loro genitori. Thomas ebbe un periodo di fissazione con Indiana Jones e per un mese girò con un cappello, uguale a quello del suo eroe che non toglieva nemmeno per dormire, andando alla scoperta del suo giardino e si ruppe un dente cadendo da un albero dopo aver tentato di aggrapparsi a quella che lui definì una liana.
Elizabeth si appassionò al "piccolo chimico" e all'età di otto anni regalò a sua madre per il compleanno l'arcobaleno in bottiglia, esperimento realizzato grazie a suo padre, che adorava la chimica quanto la sua bambina.
Jules invece conobbe il primo amore all'età di cinque anni, ovvero la danza classica, grazie sua zia Hannah, direttrice d'orchestra, che la portò alla prima del "Lago dei Cigni" al Kennedy Center di Washington D.C.

La vita di Spencer fu tanto felice e piena di sorprese, il  giorno che il nostro caro piccolo genio preferiva di più era la domenica, perché poteva stare a casa e dormire fino a tardi, o almeno fino a quando i suoi bambini non sarebbero saltati sul letto per svegliarlo.
Casa sua non fu mai vuota, ad ogni festa comandata si riempiva con i suoi pazzi parenti, ovvero la famiglia della sua pillola e anche i suoi genitori che non mancarono a nessun Natale, Ringraziamento, o Capodanno della vita del loro figlio.

Aveva finalmente una famiglia, quella che aveva tanto desiderato, magari un po' stramba e decisamente imprevedibile, rumorosa e del tutto irrazionale, ma era la sua famiglia e lui non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Durante la sua vecchiaia si trasferì a Parigi, in un appartamento a Montmatre con vista sul Moulin de la Galette, fonte d'ispirazione per gli Impressionisti, dove visse con la sua pillola suonando insieme il loro pianoforte a coda, mangiando cheesecake, e leggendo libri fino all'ultimo dei suoi giorni.







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Rieccomi, come avete potuto leggere voi stesse, la mia storia è finita; non so quanti di voi avevano fatto caso alla segnalazione che era completa, normalmente io avverto sempre quando la mia storia si sta per concludere, ma la verità è che questa volta non lo sapevo nemmeno io, perciò vi ho lasciato leggere senza esserne consapevoli, esattamente, come lo ero io, quando scrivevo quest'ultimo capitolo.
Avrei voluto, infatti, raccontarvi di più, ovvero del matrimonio e della nascita di Elizabeth, ma quando sono arrivata alle ultime righe, mi sono accorta che era già sufficiente tutto quello che vi avevo raccontato.
Tuttavia vi ho voluto lasciare un piccolo assaggio e così mi sono messa d'impegno e vi ho scritto l'epilogo, che, spero, voi abbiate gradito. 

Dedico questo capitolo finale a chi ha sempre avuto belle parole per la storia, ovvero Estelle Holly, Zavarix e ovviamente anche JJK che tramite la messaggistica privata mi ha sempre sostenuta, mi auguro che questo finale piaccia a voi quanto piace a me.

Ringrazio ovviamente anche i restanti di voi, che mi leggete e avete messo la mia storia fra le seguite, e vi dico che non vi siete liberati di me, perchè io tornerò con altre storie. Non so quando, ma tornerò e mi auguro di avervi sempre come i miei lettori.

Detto questo, vi auguro un felice anno nuovo e ogni bene per quest'anno che inizia. Grazie mille per avemi seguita!

Con affetto,
Anto.  
  
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