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Autore: MeiyoMakoto    27/12/2013    0 recensioni
Emarginati? Certo.
Sradicati dalla società, anzi.
Gareth Laurel, espatriato ancora bambino, che insieme alla madre ha seppellito parecchie risposte mai ottenute. Adesso, dopo trent'anni, tocca andarsele a cercare da solo.
Orion e Judith Vicar, bollati come poco di buono senza battere ciglio, lei con un finto Marchio Nero tatuato provocatoriamente sul braccio sinistro e lui girando per strada a pugni stretti.
E tutto senza una spiegazione. Finora.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Teddy Lupin, Victorie Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Nala Parker spirò il 4 maggio 2016.
Suo fratello Edmund Parker l’aveva preceduta di qualche anno, e i coinquilini si erano piano piano trovati un’altra casa e un’altra famiglia.
‘È una miseria.’, m’informò il mio agente immobiliare dopo aver dato un’occhiata al prezzo che offrivo per la casa. ‘Il mercato newyorkese è alle stelle, e c’è gente che ammazzerebbe per un appartamento a Soho. Stai buttando via un’occasione, Gareth.’
‘Non importa.’, ribattei.
Me ne volevo liberare al più presto. E comunque, il denaro non era un gran problema per un mago. Ma non mi limitai a sbarazzarmi della mia eredità: vendetti anche il mio monolocale a Nashville per una cifra leggermente più ragionevole. Dopotutto, ero affezionato a quell’appartamento. Con parte del ricavato comprai un biglietto per Londra. Avrei potuto Smaterializzarmi, naturalmente, ma ero sempre stato curioso di sapere com’era viaggiare in prima classe.

 

Ci misi una decina di minuti per trovare il Paiolo Magico: dopo aver fatto avanti e indietro per Charing Cross Road quattro o cinque volte, notai finalmente un negozietto stretto tra gli imponenti H&M e McDonald’s. I manichini  mutilati e spogli accatastati in vetrina davanti a teli bianchi non lasciavano dubbi sul fatto che fosse chiuso per fallimento, ma quando provai a girare il pomello della porta questa si aprì senza difficoltà.
Il pub, che mi ricordava una locanda in stile settecentesco di Boston, solo molto più trasandato e infinitamente più genuino, era deserto.
‘Serve aiuto?’, bofonchiò il proprietario da dietro il bancone del bar.
‘Cerco Diagon Alley.’, risposi.
‘Hmph.’, commentò lui.
Fece cenno di seguirlo, conducendomi al retro del pub. Spostò un paio di bidoni, trafficò con qualche mattone e qualche istante dopo il muretto rosso si aprì in uno squarcio di strada trafficata. Il barista mi lanciò un’occhiata di sottecchi, probabilmente per vedere se ero impressionato, ma io rimasi impassibile.
‘Ha già trovato una sistemazione?’, domandò speranzoso. ‘Non è di queste parti, vero?’
‘A dire il vero speravo di trovare una casa qui vicino.’
‘Nel frattempo, se vuole, ho qualche stanza libera.’
‘Magnifico.’, risposi distrattamente.
‘Posso portare su i suoi bagagli?’
‘Non ho bagagli.’
Ero partito dall’Inghilterra senza valigia, e senza valigia ero tornato. La brava gente dell’aeroporto di Nashville mi aveva scoccato qualche occhiata confusa, ma non aveva commentato. Il barista fece lo stesso.
‘Le auguro una buona permanenza.’, disse a mo’ di saluto mentre il muretto si richiudeva dietro di me.


     

‘Duecentosettanta Galeoni?!’, esclamai a voce un po’ troppo alta mentre mezza Gringott’s si girava verso di me. ‘Le ho dato quasi duemila dollari!’
‘Millenovecentottantasette dollari e cinquanta, per esattezza.’, replicò il folletto con una smorfia acida. ‘E mi dica, signore, visto che certamente lei la sa più lunga di me: qual è l’esatta percentuale di oro contenuta nel suddetto importo?’
Afferrai con un grugnito sconfitto la borsa di cuoio che l’impiegato mi tendeva.
‘È stato un piacere fare affari con lei.’, sorrise ironico quest’ultimo. ‘Torni presto a trovarci!’
Mi congedai con un gesto della mano.
Oltre a quella borsa, avevo duecento Galeoni e settemila dollari nella camera blindata 2086 alla Gringott’s, qualche altro migliaio nel mio vecchio conto a Nashville e altri settanta Galeoni in tasca. Non era affatto poco, ma sapevo che quel denaro non era eterno, specialmente visto il cambio a dir poco svantaggioso.
Toccava trovarmi un lavoro.


     

Non ero mai entrato nel Ghirigoro, ma sapevo che mio padre ci aveva lavorato per parecchi anni prima che io nascessi e lui e la mamma fossero costretti a lasciare Londra. Costretti da chi o da cosa, non l’avevo mai saputo.
I miei genitori si erano conosciuti in quel negozio, e magari c’era perfino qualcuno che si ricordava ancora di mio padre dai tempi in cui era un ragazzino occhialuto con la passione per i libri.
E forse…
No.
Mi proibii di sperare di trovare un vecchio occhialuto con la passione per i libri dietro al bancone.
Non era realistico nemmeno sperare che qualche vecchio amico di Elliott Laurel potesse offrirmi un posto di lavoro in nome dei bei tempi andati: sarebbe stato difficile da credere che io e lui fossimo lontani parenti, figurarsi padre e figlio.
Se avevo ereditato gli occhi chiari e i lineamenti di mia madre, non potevo aver preso i capelli neri, la corporatura ben fatta e sì, il bell’aspetto, dal vecchio Elliott. Non lo faccio per vantarmi quando dico che a quasi quarant’anni ne dimostravo molti di meno, mentre nel mio ultimo ricordo, ancora vivido dopo tutto quel tempo, di mio padre trentenne lui aveva già la schiena curva di un vecchio e cerchi scuri sotto agli occhi.
Col tempo avevo associato il mio aspetto con quello di Evan Rosier, anche se mamma continuava a mostrarmi con insistenza una fotografia ingiallita di una bellissima ragazza dai capelli corvini che un giorno sarebbe diventata mia nonna.
Francamente, non sapevo cosa pensare.
‘Posso aiutarla?’, domandò gentilmente il libraio quando sgusciai attraverso la porta del Ghirigoro, annunciato da un campanellino sopra lo stipite.
Esitai.
‘A dire il vero, sì. Sto cercando un lavoro.’
Lui alzò le sopracciglia, sorpreso.
‘Con quell’accento esotico non farà fatica a trovarlo.’, scherzò. ‘Sembra uno yankee londinese.’
Sorrisi alla pessima battuta.
‘Lo sono.’, spiegai. ‘La mia famiglia è andata a vivere negli Stati Uniti quand’ero molto piccolo.’
Lui inforcò gli occhiali e strizzò gli occhi come per osservarmi meglio.
‘Ci siamo già incontrati, giovanotto?’
‘È possibile che lei conoscesse mio padre. Mi chiamo Gareth Laurel.’
Lui ci pensò un attimo, poi eruppe in una risata.
‘Sicuro! Il piccolo Elliott! Quanto tempo… C’era qualcosa di familiare in te, ne ero certo. Anche se sei tutto tua madre nell’aspetto, grazie al cielo.’
Il mio sorriso si allargò: era la prima volta che qualcuno mi diceva che assomigliavo a mio padre, e la cosa mi fece sentire una vaga sensazione di orgoglio. D’altra parte, era la prima volta che parlavo con qualcuno che avesse incontrato mio padre, con l’ovvia eccezione di mamma.
‘Come sta quel topo di biblioteca?’, continuò il libraio. ‘E Nala? Sempre incantevole?’
‘I miei genitori ci hanno lasciato da poco.’
Non avevo nessuna voglia di precisare che non avevo idea di che fine avesse fatto mio padre, quindi avevo optato per una mezza verità.
‘Oh. Mi dispiace.’
‘La ringrazio.’
Ebbi la freddezza di sperare che il mio recente lutto lo commuovesse a tal punto da concedermi il posto. Mi sentii in colpa un istante dopo, ma non fui deluso.
‘Sei fortunato, giovane Laurel: stavo giusto cercando un commesso.’

 


La Londra magica può diventare un labirinto per uno yankee in preda alla curiosità.
Girovagando per le strade, attirato da vetrine una più stravagante dell’altra, mi ci vollero poche ore per perdere completamente l’orientamento. Capii di essere capitato in un quartiere malfamato quando con la coda dell’occhio vidi un ragazzino far sgusciare una lametta dalla manica e squarciare con una rapidità impressionante la tasca di un passante, appropriandosi del sacchetto di Galeoni al suo interno. Mi tastai il mantello, sentendo il peso rassicurante della mia bisaccia nell’ampia tasca. Il mio istinto di newyorkese mi indusse a cercare un poliziotto e chiedere indicazioni per il Paiolo Magico (mai fidarsi delle indicazioni del primo che passa: si rischia di beccare un malintenzionato o, peggio, un turista. Un poliziotto sarebbe stato più affidabile).
Mi misi quindi alla ricerca di un sbirro, o almeno della versione magica di uno sbirro; il neoeletto Ministro della Magia, Nato Babbano, aveva istituito una branca degli Auror che svolgessero funzioni simili. Li chiamavano i Vigilanti. La loro uniforme, un mantello verde con strisce argento e porpora lungo le maniche, mi era abbastanza familiare da permettermi di riconoscerne uno chino al bancone di un negozio dall’aria tetra. Preferii non soffermare lo sguardo sugli scheletri ingioiellati in vetrina.
‘Buongiorno.’, esordii entrando.
La commessa alzò lo sguardo verso di me: era una ragazza di non più di diciott’anni, dai capelli lisci e scuri tagliati a spalla e con due ciocche viola che le contornavano il viso pallido, spruzzato di lentiggini. Mi rivolse un sorriso scaltro, quasi complice.
‘Benvenuto da Magie Sinister.’, cinguettò. ‘Posso aiutarla?’
Il Vigilante mi lanciò un’occhiata in cagnesco.
‘Se ne vada.’, abbaiò senza mezzi termini. ‘Non vede che sono nel bel mezzo di un’indagine?’
‘Veramente mi pare che il suo collega avesse già perquisito il negozio ieri.’, obiettò lei. ‘Nel caso si fosse lasciato sfuggire qualcosa tre settimane fa, e due settimane prima. E dato che non ha trovato niente, non vedo il motivo di quest’interrogatorio.’
‘Preferisce continuare questa conversazione al Ministero?’
‘Non ce n’è bisogno, c’è già mio fratello che è stato convocato stamattina. Può controllare la sua deposizione, le assicuro che non troverebbe niente di diverso nella mia.’
Il Vigilante si arrese: uscì borbottando qualcosa che poteva essere un saluto come un’imprecazione. Non mi azzardai a rivolgergli la parola per chiedergli indicazioni; ripiegai sulla giovane commessa, che quantomeno sembrava sveglia. Mi spiegò come arrivare a casa in modo chiaro e conciso (per fortuna Diagon Alley era poco lontano), e la cosa sarebbe potuta finire lì.
Ma quando allungò il braccio per indicarmi la via che dovevo prendere vidi il tatuaggio sul suo polso. Mi sentii accapponare la pelle: ricordavo com’era impallidita mia madre quando quel Marchio era apparso sul suo braccio. La ragazza notò cosa stavo fissando  e sorrise.
‘È finto.’, spiegò. ‘Non sono malvagia come pensa quel Vigilante.’
‘E allora a che servono tutti quei controlli?’, mi lasciai sfuggire.
Ebbi l’accortezza di non aggiungere: e che razza di persona normale si farebbe tatuare il Marchio Nero sul braccio sinistro?
‘Non è colpa mia.’, si difese lei. ‘È solo che la gente che gestiva il negozio prima di me e mio fratello non era esattamente trasparente nei suoi commerci. Adesso siamo a posto, però: se trafficassimo anche un grammo di pozione urticante ci sbatterebbero ad Azkaban per compravendita di oggetti oscuri. Ci stanno col fiato sul collo, come hai visto.’
Notai che non aveva difficoltà a darmi del tu, anche se avevo il doppio dei suoi anni.
‘Quindi adesso cosa vendete?’
‘Antiquariato. O almeno così sostiene Orion… Io la chiamo paccottiglia. Tiriamo avanti, comunque. Orion è il mio gemello. Orion Vicar. Io sono Judith Vicar. Piacere.’
Incrociò il mio sguardo, aspettando.
‘Gareth Laurel.’, risposi dopo un istante di esitazione.
‘Sei nuovo di qui, Gareth Laurel?’
‘Già.’
‘Si nota.’
‘L’accento?’
‘Sì. Ma non è solo quello: quando vivi a Knockturn Alley impari a riconoscere a colpo d’occhio un pollo, e tu non sei un pollo. Se non sei un pollo e ti trovi da queste parti, puoi essere solo un turista.’
‘Sono contento di non essere un pollo.’
‘Fai bene.’
A quel punto sentii la porta cigolare alle mie spalle, rivelando un giovane che non poteva essere che Orion. Era ancora più alto di me, snello, con lo stesso colorito chiaro e gli occhi neri della sorella. Le somiglianze finivano lì, però: i capelli erano color rame, mossi e disordinati, e il viso aguzzo non aveva nulla dei lineamenti morbidi di Judith.
‘Com’è andata?’, domandò subito la ragazza.
Lui si strinse nelle spalle, ma la sua espressione tradiva la rabbia che non osava mostrare davanti a uno sconosciuto.
‘Come al solito.’, borbottò.
‘Questo è Gareth.’, cambiò discorso Judith. ‘Gareth Laurel. Lui è Orion.’
‘Piacere.’, feci io.
Lui mi fissò: evidentemente mi aveva scambiato per un anonimo cliente.
‘Piacere.’, rispose, interrogando la sorella con lo sguardo.
‘Gareth si era perso.’, spiegò quest’ultima.
Il ragazzo sorrise.
‘E tu hai attaccato bottone.’, dedusse. ‘Le mie scuse, signor Laurel: mia sorella si metterebbe a chiacchierare anche con le rocce.’
‘E le rocce risponderebbero.’, sorrisi a mia volta, rendendomi conto troppo tardi del tono galante che avevo usato. ‘Grazie per le indicazioni, Judith. È stato un piacere.’
Feci per andarmene.
‘A presto.’, replicò lei.
La squadrai, confuso.
‘So dove abiti.’, mi ricordò con un ghigno felino.

  
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