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Autore: Nuel    27/12/2013    2 recensioni
Appena giunta nella città santa, Elmara Kestal viene coinvolta negli intrighi della sua nuova Casata di appartenenza. Personaggi potenti e misteriosi si muovono attorno a lei che, come un abile ragno, dovrà riuscire a sopravvivere tra le insidie del palazzo. Forse, come dice sempre sua madre, il Buio è vivo, e ha fame...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Guallidurth'
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Cap IV

I bassifondi puzzavano. Era un odore acre che faceva a gara col dolore pulsante del suo avambraccio sinistro nel contendersi l'attenzione di Elmara Kestal. La jalil sbuffò.
    Gulvelven si voltò appena a guardarla da sopra la spalla. Non la prendeva in giro come al solito: per una volta la jalil aveva combattuto in maniera quasi sufficiente. Quasi, questo era stato il problema: con l'ultimo colpo le aveva quasi spezzato il braccio, ma lei non aveva urlato. 
Aveva aperto la bocca e l'aveva richiusa senza emettere suono e, nei suoi occhi, aveva visto passare per un istante quell'estasi indotta dal dolore che conosceva molto bene anche lui.
    « Ricordi dove mi hai visto l'altro ciclo? » le chiese con voce bassa e monocorde. « Dobbiamo incontrare lo shebali con cui stavo parlando quella volta ».
    Elmara Kestan annuì. « È al tuo servizio? »
    « Serve la casata ».
    La giovane sapeva che esistevano puri privi di parentela con le casate nobiliari che le servivano come informatori, ma non ne aveva mai incontrati: la maggior parte di loro non era ammessa al castello, se non in via del tutto eccezionale.
    La vita dei senza casata era, per lo più, povera: la razza li poneva al di sopra dei popolani ibilth, ma spesso erano costretti a condividere le stesse misere condizioni di vita, per questo osservava con curiosità e timore l'esterno delle abitazioni fatiscenti, costruite con pietrisco e fango appoggiate alle stalagmiti, molte delle quali spezzate, in cui abitavano i miserabili che non trovavano riparo nelle più solide concrezioni rocciose che erano state fortificate, modificate, incantate fino a diventare enormi castelli inespugnabili. 
    Quelle casupole rischiavano di venire distrutte molto più facilmente delle stalagmiti, ma l'alternativa era di non avere alcun tipo di riparo durante le ore della reverie o del sonno, per le razze che avevano la necessità di dormire.
    « Eccoci » la voce del maschio la distolse dai suoi pensieri, riportandola allo scopo della loro passeggiata in quel luogo.
    Con naturalezza, Gulvelven si avvicinò alla casupola proprio quando la figura dello shebali comparve sull'uscio, spostando la pesante tenda che fungeva da porta alla sua abitazione.
    Era più alto di Gulvelven, meno aggraziato nei movimenti ed i suoi abiti avevano un colore uniforme di polvere e fango. Anche la sua pelle pareva del colore del fango ed i suoi capelli, tagliati corti, al modo dei plebei, sembravano coperti da uno strato di polvere grigia.
Il nuovo arrivato li vide e subito avanzò nella loro direzione, aprendo le mani a mostrare i palmi, come a segnalare che era disarmato e non aveva intenzioni pericolose. I suoi occhi color giallo spento scattarono verso la jalil e, per un attimo, parve esitare. 
    Fu allora che la voce di Gulvelven riportò la sua attenzione su di sé: « Lei è con me! »
    Per qualche motivo, Elmara Kestal rimase colpita dal tono in cui aveva pronunciato quella breve frase, ma non vi diede troppo peso, avvicinandosi allo shebali ed a Gulvelven.
    « Siete arrivato appena in tempo, malla jaluk! » a capo chino, si guardava ai lati con ansia. « Ho saputo che un carro lascerà la Santissima proprio oggi. Dovete andare alla piazza dei cavvekan. È da lì che partiranno ».
    Elmara Kestal guardò nella direzione del parente adottivo per accertarsi che lui sapesse di cosa l'altro stesse parlando: non aveva mai sentito il nome di quella piazza.
    Gulvelven, senza badare al suo sguardo e del tutto a proprio agio, tagliò corto con l'altro: gli passò due connar in modo defilato e le fece segno di sbrigarsi.
    « La piazza dei cavvekan non è molto lontano da qui. Sbrighiamoci! »
    Camminando speditamente dietro di lui, la jalil trovò il tempo di commentare: « Non ho mai sentito il nome di questa piazza. Sei sicuro di dove stiamo andando? »
    Il maschio annuì. « È un piccolo spiazzo da cui si raggiunge uno dei cunicoli secondari che escono dalla città. Abbastanza piccolo ed impervio da non essere sorvegliato come le vie carovaniere ed i tunnel che usiamo di solito per lasciare la caverna. Quando il vento che arriva dal cunicolo è abbastanza forte le rocce fischiano come un branco di cavvekan » Gulvelven era serio e questa volta non c'era ombra di irrisione nella sua voce, mentre dava quelle spiegazioni alla figlia adottiva della sua casata.
    Da parte sua, Elmara Kestal lo seguiva con andatura uguale alla sua, un passo in dietro ed uno di lato, verso sinistra, il lato dello scudo, per quei guerrieri che lo usavano o comunque il lato della difesa, quello che una sacerdotessa doveva tenere per restare protetta dai colpi avversari mentre invocava il potere divino. 
    Assumere quelle posizioni era stato automatico per entrambi, senza che dovessero minimamente pensarci ed era la prova evidente che erano soggetti addestrati e non comuni cittadini.
    Impiegarono poco più di un giro di clessidra a raggiungere il luogo indicato e trovare il carro coperto pronto alla partenza; savanti a loro, due giovani maschi armati di tutto punto avevano appena fissato gli ultimi finimenti alla lucertola che trainava il carro, ormai pronto a partire e, a Gulvelven fu subito chiaro che non avrebbero fatto in tempo a fermarlo.
    « Un momento! » allungò il passo e richiamò l'attenzione dei due che subito misero mano alle spade.
    Elmara Kestal sgranò gli occhi, armando la piccola balestra che portava fissata all'avambraccio sinistro; non aveva idea delle intenzioni del maschio e si limitò a seguirlo nella sua improvvisazione.
    « State lasciando la città? Portateci con voi! »
    I due si scambiarono uno sguardo dubbioso, frapponendosi tra i Mizz'rinturl ed il carro che, lentamente iniziava a percorrere la via.
    « Non fate un altro passo! » intimò uno dei due, per tutta risposta.
    « Stiamo fuggendo dalla nostra casata! Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a lasciare la città! »
    Gulvelven insisteva, ma Elmara Kestal si rese subito conto che il maschio non era molto credibile: non avevano l'aria di due fuggiaschi e capì che i due sconosciuti non avrebbero mai creduto a quella storia nell'istante esatto in cui i loro sguardi si posarono sulle effigi del primo casato sulla corazza del maschio.
    « Sta' attento! » fece in tempo a gridare, rendendosi conto dello scatto improvviso di uno dei due che balzava contro Gulvelven. 
Con dita frenetiche ed esperte, armò la balestra, la puntò, ma non fece in tempo a scoccare perché già Gulvelven stava estraendo le sue fidate lame a quella velocità straordinaria che gli aveva fruttato il nome con cui lo conosceva.
    L’attacco venne bloccato dall'incrocio delle armi del Mizz'rinturl ed Elmara Kestal cercò rapidamente la posizione del secondo avversario, che si stava avvicinando, approfittando della sua distrazione. Fortunatamente, la balestra era già pronta e la jalil non dovette nemmeno mirare con precisione per colpirlo.
    Era troppo vicino. Se ne accorse nell’attimo in cui il dardo si conficcò nella corazza dell’avversario, ma lui non vi badò. Rapidamente si concentrò e spiccò un saltò, mentre la magia innata privava il suo corpo del peso e lei saliva, sottraendosi per un soffio al colpo dell’avversario che sogghignò e guardò in alto, mentre lasciava la spada per armare a sua volta la balestra.
    « Gulvelven! » la voce di Elmara Kestal aveva una nota di agitazione, tanto da far voltare rapidamente il maschio, che stava affrontando il proprio avversario, che rispondeva colpo su colpo ai suoi rapidi attacchi.
    « Scendi! » Gulvelven arretrò verso la parente acquisita, imprecando per la sua stupidità, ma prima che la raggiungesse o che lei scendesse, il maschio armato di balestra aveva già scoccato il primo dardo.
    Elmara Kestal si bloccò a mezz’aria e obbedì istantaneamente, lasciandosi cadere proprio quando il dardo avversario fendette l’aria, volando radente alla sua testa. Il sibilo del dardo le fece sgranare gli occhi, ma l’attimo dopo venne avvolta del buio. Toccò il suolo e trattenne il fiato, immersa in un silenzio innaturale fino a quando non sentì la voce del suo compagno sussurrarle: « Ora non fare rumore ed esci da qui velocemente! » 
    La jalil annuì, anche se il combattente non poteva vederla, intuendo che doveva essere stato lui a generare il globo di tenebra e scattò nella direzione opposta alla sua voce, così da allontanarsi dalla sorgente del globo.
    Non vedendo nulla, si affidò unicamente al proprio udito esattamente come stavano facendo gli altri: i passi veloci e leggeri le facevano appena toccare il terreno mentre pregava di non incontrare alcun ostacolo sul proprio cammino.
    Dopo pochi istanti sentì un verso, una sorta di richiamo. Era plausibile che i due sconosciuti stessero cercando di comunicare tra loro senza far capire quale fosse la loro posizione, ma, quando fu fuori dal globo, Elmara Kestal poté vedere solamente una sorta di buco nero, una sfera di luce buia che fagocitava tutto quello che vi entrava e da cui provenivano i richiami.
    Esattamente al centro del globo, si doveva trovare Gulvelven: il globo si spostava avanti, indietro, di lato, seguendo i movimenti del maschio impegnato nel combattimento con uno dei due: non aveva avuto il tempo di lanciare il globo di tenebra su qualcosa che poteva abbandonare, quindi doveva averlo su di sé e, pertanto, non avrebbe potuto uscirne fino a quando il suo potere non si fosse esaurito.
    Per alcuni attimi, Elmara Kestal rimase a fissare la sfera buia in movimento, incerta su cosa fare, poi si rese conto che, se Gulvelven avesse avuto la peggio, si sarebbe trovata da sola contro i due avversari.
    Armò rapidamente la balestra e scelse un punto da cui poter colpire chiunque fosse uscito dal globo, senza diventare un bersaglio facile: alcune rocce poco lontane costituivano una protezione adeguata e si spicciò a raggiungerle.
    Nel frattempo, all'interno del globo, Gulvelven pregava l'Unica Dea che quello scambio di richiami gli indicasse la posizione dei due; ricordava dove li aveva lasciati e sperava che non fossero addestrati a combattere alla cieca come lui.
Nel buio pesto, si mosse continuando a tendere gli orecchi, consapevole di avere un vantaggio rispetto agli altri: chiunque avesse colpito, lui avrebbe ferito un avversario, mentre loro rischiavano di uccidersi a vicenda.
    Lloth doveva essergli benevola perché non impiegò molto a rintracciare il suo avversario precedente, riuscendo a colpirlo e quello gemette come un rothé squartato.
    Elmara Kestal e l'altro nel globo tesero gli orecchi per cercare di capire chi fosse stato.
    La jalil si rese conto che il cuore le batteva troppo forte. “Non è Gulvelven” si ritrovò a pensare con tanta forza da mordersi la lingua per timore di averlo detto a voce alta.
    L'avversario nel globo si fece più cauto. Ripeté il richiamo ancora una volta, ma l’unica risposta che ricevette fu il sibilo di una lama e uno spostamento d’aria troppo vicino.
Arretrò.
Consapevole di essere rimasto solo, cercò di allontanarsi dal Mizz'rinturl, uscendo dal globo per darsi alla fuga, ma, non appena emerse dall'oscurità, un dardo gli sibilò pericolosamente vicino all'orecchio: Elmara Kestal l'aveva visto e l'aveva attaccato all'istante. 
    « È uscito! » gridò la jalil per avvisare il proprio compagno. 
    Il maschio non perse tempo: si allontanò dal globo ed armò la balestra che teneva ancora in pugno, puntando contro la femmina nascosta dietro le rocce.
    In pochi attimi il globo di tenebra scomparve, lasciando riemergere un Gulvelven ringhiante, indaffarato a coprire l'impugnatura di una delle sue spade per imprigionare l'oscurità residua, mentre già individuava l’avversario fuggiasco e, mentre questi cercava di colpire Elmara Kestal, gli fu subito addosso, colpendolo alle spalle, senza esitazione.
    « Ora ci dirai quello che vogliamo! » gli sibilò all'orecchio prima di estrarre l'arma dal sul fianco.
    Un fiotto di sangue schizzò dalla ferita ed il maschio cadde in ginocchio.
    « Disarmalo! »
    Elmara Kestal saltò fuori dal suo riparo improvvisato, raggiungendoli e strappando di mano al ferito la balestra e togliendogli dal fodero la spada, mentre Gulvelven si guardava attorno in cerca di testimoni poiché nel Buio Profondo c'erano sempre occhi ed orecchi pronti a vedere ed a sentire, ma non sempre avevano bocche per parlare ed una scaramuccia con due vittime nei bassifondi non valeva più di un po' di carne fresca ed un po' di metallo.
    « Trasciniamolo al riparo e sentiamo cos'ha da dirci » ordinò Gulvelven sollevando la vittima per le ascelle, trasportandolo rapidamente e senza troppa gentilezza verso le rocce da cui era sbucata Elmara Kestal.
    Il prigioniero gemette ed imprecò, cercando di divincolarsi, ma la presa del Mizz’rinturl era ben salda su di lui.
    « A chi appartieni? » gli abbaio Gulvelven e la jalil dovette ammettere che incuteva timore: era autoritario e minaccioso e senza perdere tempo aveva estratto un pugnale dalla cintura d'armi. Le sue intenzioni erano chiare.
    « Torturami, se vuoi, ma non ti dirò chi servo! » Non mostrava paura. « E per quando avrai finito con me, il carro sarà già lontano e non lo ritroverete mai! » sogghignò.
    Quel modo di fare era familiare al maschio. Anche nel globo di tenebra aveva avuto la sensazione che i due fossero addestrati al combattimento alla cieca ed ora quella sicurezza nell'affrontare la tortura... Non erano shebali. Gulvelven ne era sicuro.
    Studiò l'armatura dell'altro, che non mostrava alcuna effige, ma era di ottima fattura. Chiunque li avesse armati, non aveva badato a spese e doveva esercitare tanto potere su quel maschio da tenergli la bocca cucita nonostante il pericolo.
    Gulvelven conosceva una solo categoria di individui capace di annichilire la propensione al tradimento degli Ilythiiri fino a quel punto.
Non ci pensò su un momento di più: senza alcuna esitazione, gli tagliò la gola, condannandolo a tacere per sempre. « Non ci avrebbe detto nulla comunque » disse con Elmara Kestal. « Hai visto dove è andato il carro? »
    Elmara Kestal boccheggiò. Non aveva più pensato al carro dall'inizio dello scontro. « No ».
    Gulvelven la guardò bieco. « Sei uscita subito dal globo di tenebra, perché non hai guardato in che direzione andava il carro?! »
    La jalil non voleva rispondergli che non ci aveva più pensato. « Ho tenuto sotto tiro il globo, nel caso ne uscissero questi due! »  
    « Hm! Sai che roba! Mi pare di essermela cavata da solo con questi qui! »
    « Ora dovremmo andare a riferire... »
    « Quanto sei incapace? O che ci siamo lasciati sfuggire il carro? Cosa dovremmo riferire, esattamente? »
   « Non sono un'incapace! » protestò subito la jalil. « E se non gli avessi tagliato la gola avremmo potuto interrogare il cadavere! »
    « Oh, certo! Non eri tu quella che si è messa a levitare davanti ad un nemico con un'arma da tiro! E non sei nemmeno tu quella che suggerisce di andarcene con un cadavere in spalla fino al castello! O forse sei già in grado di parlare coi morti? »
    Di nuovo, Elmara Kestal boccheggiò: ovviamente, tutte le cose dette dal maschio erano vere. Era stato stupido, da parte sua, levitare senza considerare che anche l'altro aveva una balestra: aveva pensato di poterlo colpire più facilmente dall'alto, senza tenere conto che, una volta in levitazione, lei sarebbe diventata un bersaglio facile, non potendosi spostare dalla linea di tiro avversaria, mentre l'altro avrebbe potuto muoversi agevolmente sul terreno.
    Era rischioso, poi, pensare di portare via il cadavere per farlo interrogare ad una sacerdotessa, specie considerando che il maestro aveva richiesto loro totale discrezione, quindi nessuno avrebbe potuto interrogarlo.
    « Frughiamogli nelle tasche e poi andiamo » Gulvelven aveva cambiato tono. L'arrabbiatura pareva passata, ma Elmara Kestal sapeva benissimo che il maschio avrebbe riferito allo jabbuk il modo in cui si era comportata.
    Nelle tasche della loro vittima non trovarono nulla che potesse essere utile per identificarlo o per scoprire per chi lavorasse, quindi, sbuffando, Gulvelven si rialzò. 
    « Se c'è qualcosa che ti interessa prendilo, ma che non sia ingombrante. Le armi prendiamole tutte. Io vado a prendere quelle dell'altro ».
    « Lasciamo le armature? Sono di buona fattura ».
    « Daremmo nell'occhio! » 
    « Non dovremmo almeno nasconderli? »
    « No, ci penseranno quelli del ghetto: non capita spesso di mangiare carne fresca gratis, da queste parti ».
    Ovviamente aveva ragione.
    La jalil si mise di nuovo in coda al maschio, che però non prese la direzione del ritorno, ma quella della parete della caverna.
    « Se il carro era diretto verso l'esterno, deve essere per forza andato di qua ».
    « Ma non possiamo lasciare la città! Siamo solo in due e non siamo equipaggiati per uscire nel Dominio! »
    Il Dominio Oscuro, la cintura di tunnel e cunicoli regolarmente pattugliati dai casati, era un labirinto che faceva da intercapedine tra la città e le zone selvagge del Buio Profondo; era difficile incontrarvi predatori, ma c'erano diverse creature pericolose che vi si accampavano: goblin, singolarmente ignorabili, ma che usavano muoversi sempre in branco, grimlock e svirfneblin, ma poteva capitare di incontrare anche delle belve distorcenti. 
    Le pattuglie si assicuravano che tutte queste creature non si avvicinassero troppo alla città: erano guerrieri abili, che cavalcavano lucertole da guerra ed erano armati in maniera adeguata; loro, invece, erano a piedi, con armi sicuramente di buona fattura, ma nulla di straordinario, senza contare che erano ancora cadetti ed i cadetti uscivano sempre accompagnati quando dovevano esplorare l'area esterna della città.
    « Arriveremo solo all'imboccatura del tunnel. Verificheremo che non sia custodita e, se troveremo delle tracce, cercheremo di capire in che direzione vanno. Nulla di più. Poi andremo a fare rapporto ».
    Elmara Kestal si limitò ad annuire: forse, portare qualche informazione utile avrebbe distolto l'attenzione dagli errori che aveva commesso durante lo scontro e che le sarebbero costati la vita, se non ci fosse stato quel maschio odioso a proteggerla.
   
 
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