Niko Robin stava cercando in ogni modo di non pensare a quello che era ormai passato, ma temeva di non riuscirci. In fondo lei era un’archeologa, il passato era ciò di cui si doveva occupare. Ma perché avrebbe dovuto necessariamente essere il suo passato? Scosse la testa.
“L’entrata dovrebbe
essere in questa zona” La voce di Ace le risvegliò altre sensazioni, ma la
riportò alla realtà.
“Già” assentì. “E
dev’essere quella!” Indicò sull’orlo del promontorio roccioso sul quale stavano
camminando un piccolo buco, talmente stretto che avrebbero dovuto camminare
carponi per entrarci. “Ma è strano che sia così visibile…”
“Ma no! In fondo,
quelli che non lo sanno possono benissimo scambiarla per la tana di qualche
animale… Nessuno lo può immagin- zzz”
“Si è addormentato di
nuovo” esclamò Robin sorridendo. Decise di lasciare perdere. A ben pensarci
loro due erano rivali in questa ricerca, quindi per lei era un vantaggio. Si
chinò, avvicinandosi al buco ed entrò. Era veramente molto stretto e basso,
tanto che doveva procedere strusciando sul terreno e aiutandosi coi gomiti.
Sperò che la strada si allargasse più avanti o non ne sarebbe uscita.
Quando Ace si
risvegliò, lei era già sparita dentro la grotta. “Maledizione!” esclamò
inseguendola, non solo perché sarebbe potuta arrivare prima di lui, ma anche
perché non la voleva perdere di nuovo. Ma per lui la strada era ancora più
faticosa perché non aveva il corpo snello e flessuoso di Robin. Quando
finalmente la raggiunse, desiderò di non averlo fatto. Quella posizione era già
abbastanza scomoda senza essere costretto a vedere le sue gambe sinuose e le
sue perfette forme esattamente davanti a lui. L’unica fortuna era che portasse
un paio di jeans e non la solita minigonna con cui l’aveva vista spesso.
Lei si era fermata perché
a quel punto la strada si interrompeva in un largo fiume sotterraneo. Il
soffitto era troppo basso per saltare e allargarlo era troppo rischioso perché
avrebbe potuto crollare tutto.
“E ora che si fa?”
commentò Ace.
“E ora che fai” lo
corresse Robin, la quale aveva ripreso il suo solito comportamento. Numerose
braccia cominciarono a comparire su ambo le sponde del fiume. Dai palmi delle
mani spuntavano altre braccia e così via finché, congiungendosi al centro, non
formarono un solido ponte sospeso sull’acqua.
“Ovvio” commentò un
po’ amareggiato lui.
Lei si incamminò
lentamente e in pochi istanti fu dall’altra parte. Ace si avvicinò, ma non
appena mise una mano sul ponte, tutte le braccia sparirono. “Ehi!”
La ragazza dai capelli
pece non si girò neanche, ma lo apostrofò semplicemente così “io sto cercando
la mappa per Rufy, tu per Barbabianca, quindi siamo rivali. Credevi che ti
avrei aiutato?”
Decisamente questo era il suo comportamento normale, ma non ciò che pensava. Sempre lei gli aveva detto che non lo avremmo mai aiutato, se si cacciava nei guai, ma poi lo faceva sempre. Era nella sua natura. Ma non questa volta. Lui aveva sottovalutato l’effetto che l’incontro con suo fratello e la sua ciurma aveva avuto su di lei. Aspettò, ma Robin proseguì sicura il suo cammino, senza voltarsi indietro, finché lui, quando la vide sparire in lontananza, non si dovette rassegnare e tornare indietro. Fu molto faticoso, più che all’andata. Quando finalmente uscì, pensò che la cosa migliore fosse procurarsi una corda o qualcosa di simile per guadare il fiume, dato che contro di lei non avrebbe combattuto. Non ce l’avrebbe fatta, perché in fondo il fuoco non si era ancora spento, anzi, era semmai aumentato in questo periodo di lontananza.
* * *
La piccola
pecora di neve brucava tranquillamente l’erba, incurante dei cadaveri dei
marine che giacevano lì accanto e che era stata lei stessa ad uccidere. Usop e
Chopper erano ancora a distanza, finché il secondo, prendendo il ‘Walk Point’,
non si avvicinò titubante. Lui poteva capire il linguaggio degli animali, per
cui le chiese chi fosse e perché li avesse aiutati.
“Beee beee Beee bee”
rispose.
“Che ha detto?” chiese Usop, nascosto dietro l’albero.
“Che non le piacciono i Marine. E’ una pecora pirata e si chiama Yuki”
Usop uscì da dietro l’albero, sempre molto cauto. “Una pecora pirata?”
“Così pare”
“Chissà di che ciurma fa parte…Oh no, magari fa parte di una terribile
ciurma di mostri! Scappiamo!”
“Ora provo a chiederglielo” Si rivolse nuovamente a lei. “Senti-”
“Yuki, dove sei?” disse una voce femminile ma un poco infantile in
lontananza.
La pecora belò per richiamare la sua
presenza alla voce, che si materializzò in una piccola figura incappucciata.
Yuki le andò incontro festosa, saltellandogli attorno.
Anche questa sarà una pirata, si domandò
Usop. Ormai non aveva più paura, perciò si avvicinò. Ma quella, dopo aver preso
in braccio la pecorella color latte, si girò e corse via, mentre l’oscuro
mantello le si agitava intorno.
“Ehi, aspetta!”
Chopper, ancora con le sembianze di un vero
alce, provò a rincorrerla, ma scivolò lungo il fianco della collina. Quando
riuscì a fermarsi, quella figura era già sparita, assieme al suo mantello e
alla pecora. Usop lo raggiunse di corsa, inciampando e finendo lungo disteso a
pochi passi dal suo compagno.
“Ma come hai fatto a cadere?”
Entrambi si guardarono i piedi. Macchie di
verde. In effetti, dov’erano inciampati c’era una grossa pozza di quel colore.
“Ma cos’è?” chiese il dottore.
“Vernice”
* * *
Ace stava ritornando indietro, al punto di partenza
dove ave lasciato il suo surf. “Da non credere!” si lamentò. “Come ha potuto
lasciarmi indietro?” Ancora non riusciva a credere che fossero diventati
davvero rivali. O, meglio, non riusciva ad accettare il fatto che lei fosse
riuscita a dimenticarlo. Non ci voleva credere, perché non poteva essere. Ma se
fosse stato davvero come diceva, allora l’avrebbe invidiata. Invidiata perché
era riuscita a spegnere quella passione, cosa che lui, in quattro anni, non
aveva ancora fatto.
Finalmente arrivò alla gola nascosta,
tirando uno sguardo storto alla nave che era ancorata poco lontano dalla sua.
“E quella sarebbe una nave pirata?” commentò disgustato. La flotta dei sette
non era mai andata a genio né a lui né a Barbabianca, perché erano dei pirati
che si erano fatti comprare della marina. Dei cani del governo. E d’altronde il
proprietario di quella barca era uno dei peggiori. Secondo molti, portava il
nome di pirata solo per gioco. “E se gliela incendiassi…?” disse ad alta voce,
pensando di essere da solo.
“Allora credo che morirai prima di farlo”
Una voce gelida e tagliente come una doccia fredda. E Ace si trovò di fronte al
proprietario, al membro della flotta dei sette la cui taglia era di 230 milioni
di Berry. Inferiore alla sua, comunque, e questo lo rendeva sicuro di sé. Ma la
realtà era che quasi nessuno l’aveva mai visto combattere. Forse i pochi che
l’avevano fatto non erano sopravissuti, oppure non lo aveva mai fatto.
“Vuoi uccidermi?” rispose sorridendo.
“Piuttosto, che cosa ci fai qua? A te non interessa lo One Piece, perciò vedi
di tenere giù le mani da quella mappa!”
“Ma come siamo scontrosi…” Si avvicinò
ancora. “A me interessa la mappa.” Fece un altro passo. “A te interessa.” Un
altro passo ancora. “Ma sarò io ad averla. Rassegnati e cerca lo One Piece
senza di lei. In fondo, non è Barbabianca l’uomo più vicino al grande tesoro
del re dei pirati? Cosa se ne fa di una mappa?” Un altro passo ancora. Ormai
era di fronte a lui. “Temi forse che qualcuno sia più vicino di lui?” Dicendo
questo, sapeva bene di chi parlava. E inconsciamente lo sapeva anche Ace,
altrimenti non si sarebbe mai fermato lì durante la sua ricerca. Nonostante
volesse che il suo fratellino diventasse molto famoso, non gli avrebbe permesso
di diventare il re dei pirati, perché doveva fedeltà al sua capitano. Era
tutto.
“Pugno di fuoco… E così la tua è sul serio
preoccupazione…” Glielo aveva letto negli occhi. Sorrise. “Ma non potresti
farci niente, anche se avessi quella mappa… E’ il destino…”
“Al diavolo il destino!” gridò lui.
“Allora vuoi combattere? Perché sarò io a
prenderla, non quell’imbecille che hai il coraggio di chiamare capitano!” Di
certo il disprezzo che provava Barbabianca era perfettamente ricambiato.
“Non perderò mai contro uno che si è venduto
alla marina!”
Il suo corpo brillò dell’energia rossa del
fuoco, mentre pensava a come sarebbe stato meglio attaccare. Ma il suo
avversario era esattamente di fronte a lui, per niente scosso. Fece un altro
passo. Ora lo toccava quasi. Un altro ancora. Ace si sentì come congelare,
mentre tutte le sue fiamme si spegnevano, spandendo vapore intorno a lui.
Percepì il freddo che ne derivava e le forze cominciarono a venirgli meno. Si
sentiva sempre più indebolito e, cosa ancora peggiore, non riusciva più a
respirare. Era costretto a trattenere il fiato, ma non avrebbe resistito così a
lungo. Per quando cercasse di agitarsi, percepiva qualcosa di invisibile e
impalpabile che lo circondava interamente. Ma cosa poteva essere? Che potere
del frutto del diavolo aveva? Sentiva il freddo aumentare sempre di più ed
entrargli nelle ossa, mentre la vista si appannava. Gli occhi già gli
bruciavano da un po’, così fu costretto a chiuderli, dato che non riusciva
nemmeno a farli lacrimare. Ben presto il suo pur robusto fisico non resse e i
sensi lo abbandonarono. E finalmente anche quella patina che lo aveva ricoperto
per tutto quel tempo scomparve, mentre cadeva a terra con un rumore sordo.
“Sei forte…” commentò il suo avversario, ma
era serio quando lo diceva. Poi, guardando il corpo svenuto, notò il tatuaggio
che aveva sulla schiena e fu assalito da un moto di disgusto. “E’ solo merito
della tua ‘d’ se non ti ho ancora ucciso, non certo per quel tatuaggio che
porti con tanto onore!” Poi, dopo essersi allontanato, si voltò e gli gridò,
cosciente del fatto che non potesse sentire, “e comunque nessuno minaccia di
danneggiare la mia bellissima nave e la passa liscia!”
* * *
Quando Nara era tornata sulla nave, non
aveva trovato più Rufy. Era sceso perché, avendola incontrata, si era
dimenticato il suo scopo principale, ossia visitare quella città dove
sicuramente era passato Gold Roger.
I due fratelli stavano ancora preparando la
cena, perciò decise di non entrare in cucina. Si sedette per terra,
appoggiandosi alla ringhiera dietro e, preso un taccuino, si mise a scrivere
tutto ciò che aveva scoperto oggi.
Nami uscì sul ponte e la vide. Eppure non si
avvicinò, ma la scrutò a distanza. Era decisamente molto bella, tanto che
arrivò a dubitare della sua stessa bellezza, della quale era stata sempre
sicurissima, al punto da dirselo da sola. E poi, nonostante quella ragazza non
le piacesse, per motivi che a un esterno potrebbero sembrare ovvi, ma che non
lo erano, c’era qualcosa in lei che la attraeva, in un certo senso… Era il
mare…
Nara alzò lo sguardo. Sorrise. “Ti piace il
mare, Nami?”
“Si, tanto” rispose immediatamente, perché
era vero. Come quella ragazza avesse capito cosa stava pensando era un mistero.
“Anche a me” Sorrise ancora. “Un mio amico
vorrebbe trovare l’antidoto per i frutti del diavolo… Lo vorrei anch’io, ma in
modo diverso… Basterebbe annullare l’effetto dell’acqua… Pensa come sarebbe
bello anche per chi ha il potere del diavolo tuffarsi nelle onde spumeggianti
del mare…” Era qualcosa di personale, capì Nami, anche se cercava di mantenere
un tono distaccato.
“Anche tu hai mangiato uno di quei frutti?”
“Questo mio amico si. Così non ha potuto
salvare la sua sorellina quando è caduta in acqua… Triste, vero?”
“Già…”
Oh, se lo era. La navigatrice dai capelli
tramonto cominciò a credere che forse Nara non era poi così odiosa… Ma si
contraddì ben presto, non appena la vide gettarsi al collo di Rufy, tornato a
bordo. Sentì di nuovo quella fitta allo stomaco che aveva sentito prima, ma la
ignorò, facendo buon viso a cattivo gioco.
Con Rufy c’erano anche Usop e Chopper, cosa
che fu molto grata a Nami dato che l’attenzione di Nara fu tutta presa da
piccolo alce e dal suo incredibile frutto.
Usop, notò lei, aveva le scarpe sporche di
verde, lo stesso colore che c’era sotto gli zoccoli del dottore.
“Cos’è?” chiese indicandoglielo.
“Vernice…” rispose Usop. “Sai, abbiamo
incontrato una pecora pirata che ci ha salvato dai marine poi una figura
misteriosa che se l’è portata via, mentre noi siamo scivolati in un lago di
vernice…”
“Davvero molto interessante…” rispose
asciutta Nami credendo che si trattasse di una delle sue solute bugie.
“E’ pronto!” Al che, il capitano non se lo
fece dire due volte e corse immediatamente in cucina, seguito da Usop e Chopper
che, conoscendolo bene, sapevano che se non si sbrigavano non gli avrebbe
lasciato niente nel piatto. Nara superò Nami, lanciandole uno sguardo di sfida
mentre passava. E pensare che fino a un momento prima avevano chiacchierato
come due amiche… In quella ragazza c’era qualcosa che le sfuggiva… Ma una cosa
era certa, se sperava di farla ingelosire, si sbagliava di grosso. In fondo lui
era solo il suo capitano, mica chissà che…
“Rufy caro, posso sedermi vicino a te?” le
sentì dire con quella sua voce che risuonava fredda, certe volte.
Nami si sbagliava. Se la vera intenzione di
Nara era quella di farla ingelosire, bè, ci stava riuscendo benissimo!
* * *
Ormai si stava facendo buio e le nuvole lasciavano il posto alle
numerose stelle della notte. La chiara luna era piena e illuminava ancora il
cammino, mentre i lontananza i colori caldi del sole si stavano spegnendo sotto
al mare. Zoro e Tashigi avevano camminato sempre, senza mai fermarsi e senza
dire una parola. Ma ora era tardi.
“Senti, ma questa è la direzione giusta,
vero? Cioè, tu hai una chiara idea di dove stiamo andando, no?”
“No…”
“Ma come sarebbe a dire no???” Tashigi si
fermò, appoggiandosi ad un albero. “E’ tutto il giorno che camminiamo e adesso
mi vieni a dire che non sai dove stiamo andando?”
“Te lo avevo detto che avremmo dovuto
procedere a tentativi! E poi potevi sceglierla tu la direzione, invece che
seguire me!”
“Ora sarebbe colpa mia? Tu vai, dici che
dobbiamo collaborare e cosa dovrei pensare? Che sai la strada o almeno hai una
vaga idea della direzione! Accidenti a te!”
Lui decise di lasciare perdere. “Guarda che
ti lascio indietro…”
“Ehi, aspet-” Inciampò nella radice
dell’albero al quale si era appoggiata. Nell’urto i suoi occhiali caddero e
Zoro, tornando indietro, li calpestò, sentendo nitidamente il ‘crack’ sotto ai
suoi piedi. Naturalmente lo sentì anche lei. “Fantastico, ci mancava solo
questa! Basta, sono stanca e non farò un passo di più!”
“Ma non è prudente dormire all’aperto…” Poi
si rese conto che altrimenti avrebbero dovuto dormire vicini e decise che era
meglio così. “Oh, fa’ come vuoi” Quindi si allontanò e si sistemò sotto una
sporgenza rocciosa poco più in là. Durante il tragitto avevano raccolto dei
frutti che avevano trovato sugli alberi. Non era molto, ma sempre meglio che
niente. Mangiò tutto avidamente, lasciando solo il nocciolo che sputò via. Però
ora aveva sete.
“Trovalo, un fiume in questo buio!” esclamò
arrabbiato.
Poco dopo, un leggero rumore. Afferrò le sue
spade, ma prima che potesse sguainarle la luce della luna illumino l’esile
figura di Tashigi, che si stava avvicinando cautamente.
“Sei tu…” Fece il suo solito ghigno ironico.
“Paura?”
Lei si risentì. “Affatto! Ero solo venuta a
portarti un po’ d’acqua!” Notò la borraccia che aveva in mano. Doveva averla
nello zainetto che le aveva visto indossare durante il viaggio. Ma non si
sarebbe mai abbassato ad accettarla e comunque lei non sembrava più
intenzionata a dargliela. Si sedette comunque davanti a lui, appoggiandosi ad
un tronco d’albero. La luce della luna la illuminava totalmente, permettendo a
Zoro di osservarla bene. Non poteva non venirgli in mente Kuina. Erano
praticamente identiche. Si domandò se il destino le avesse fatte così uguali
perché lui la ritrovasse. Si pentì subito di ciò che aveva pensato. Ritrovarla
come, poi? Come avversario? No, l’aveva battuta fin troppo facilmente… Con
Kuina aveva sempre perso, invece… Allora, ritrovarla in che senso? Non ce ne
potevano essere altri.
Lei invece osservava le sue spade, mentre
teneva la sua Shigure stretta in mano. Si rammaricava di essere stata lei a
consegnare nelle mani di un simile individuo due spade così belle, perché in
fondo era merito suo…
“Quella WadoIchimoji è veramente sprecata in
mano ad un pirata…” commentò asciutta.
“Come ti ho già detto” rispose lui
indifferente, risvegliandosi dai suoi pensieri, “ognuno ha il suo scopo. Come
puoi giudicare?”
Stavolta aveva ragione. In fondo aveva
davanti uno dei pirati che avevano salvato Alabasta… Pirati si, ma poi non così
cattivi… Quella storia le aveva fatto decisamente male. Eppure, ciò che pensava
sui pirati era forse sbagliato? Il suo sogno era sbagliato? Non ci poteva
credere… No, non ci avrebbe mai creduto!
Zoro sembrò capire il suo stato d’animo.
“Non posso permetterti di prenderla perché è il ricordo di una promessa…” La
sfoderò, alzandola davanti a sé. La luce della luna si rifletteva sulla lucida
lama. “Mi ricordo che tu hai giurato sulla tua Shigure di prendere tutte le
spade del mondo. Io invece ho giurato, assieme alla proprietaria di questa
spada, che o io o lei saremmo diventati gli spadaccini più forti del mondo…”
Perché non mi
uccidi? E’ perché sono una donna? Io sarei voluta nascere uomo, ma tu non
potrai mai capirlo…
Tu mi ricordi tantissimo una mia amica che è morta
tempo fa. Ma non devi dire le stesse cose di quella stupida. Non
imitarla!
“Questa tua amica… E’ la stessa che mi somiglia? Quella di cui mi hai detto… quando mi hai sconfitto?” pronunciò le ultime parole quasi con ribrezzo.
Se lo ricordava… “Si… Lei è morta qualche
giorno dopo, così io ho preso la sua spada in nome della nostra promessa… Se
non fosse possibile, direi che tu sei Kuina. Siete identiche…Ma sfortunatamente
avete anche le stesse idee malsane!” aggiunse sbuffando.
“Ma quale idee malsane!” esclamò rizzandosi
in piedi.
“L’idea che per il fatto che siete donne non
potete combattere” Tashigi rimase interdetta. “Lei mi ha sempre battuto”
Rinfoderò la spada con molta cura. “L’ultima volta che abbiamo combattuto, lo
ha fatto con questa spada. Ha vinto, naturalmente, per la 2001° volta. Alla
fine dello scontro, mi ha detto che mi invidiava perché ero un uomo. Perché io
sarei potuto diventare il migliore e lei no… Perché era una donna…” Fece un
risolino stanco. “Tutte cavolate! L’ho convinta e ci siamo fatti quella
promessa, ma poi… Il resto lo sai…”
Tashigi si risedette. “Non dovevi parlarne
se non volevi…”
“Volevo”
“Tu vuoi diventare lo spadaccino migliore
del mondo… Ma eri un cacciatore di taglie e ora sei un pirata! La realtà è che
le tue spade stanno piangendo… Non ce la farai mai…”
“Chissà…” disse sorridendo. “Comunque era un
cacciatore solo per sopravvivere… Poi Rufy mi ha salvato la vita… Sono entrato
nella sua ciurma per riconoscenza…” In un certo senso era vero, ma poi tra loro
si era consolidato quel legame di amicizia che non li avrebbe più separati. “E
lui non ha mai insultato il mio sogno, anzi” Sorrise maggiormente. “Credo che
mi ammazzerebbe se non lo realizzassi!”
Anche questa volta lui era riuscito a
spiazzarla. “E va bene!” disse. “Ma resta un altro punto. Perché non mi hai
ucciso?”
“Avresti preferito che lo facessi?” chiese
Zoro. Non riusciva a capirla.
Lei abbassò lo sguardo. “Non dico questo…
Ora so che non l’hai fatto per l’unico motivo che ti ricordo questa tua amica…
Kuina… E’ anche peggio di quello che pensassi… E’ peggio della semplice pietà…”
“Non l’ho fatto perché hai un sogno… Un
obbiettivo…” Era anche per quello, ma sicuramente, anche a livello inconscio,
lo aveva fatto per via di quella straordinaria somiglianza. Non avrebbe potuto
dirglielo, comunque. “Lo devi realizzare, anche se, per farlo, dovrai battere me.
E non è facile!” aggiunse riprendendo la solita aria spavalda. Si ricordava le
parole di Mihawk, che con lui aveva usato la stessa attenzione. In realtà non
aveva capito bene la ragione del comportamento che lui aveva nei confronti di
lei, ma non riusciva a comportarsi diversamente. Era così, e basta.
Tashigi rimase un po’ lì senza parlare.
Tutto quello che aveva scoperto l’aveva chiaramente sconvolta. Forse si era
sempre sbagliata. Non tutte le spade piangevano, evidentemente. In effetti, la
WadoIchimoji aveva brillato così intensamente alla luna, che pareva che stesse
ridendo. No, non poteva più rubargliela. Ma come avrebbe fatto? Lei era pur
sempre un Marine.
Provò la fortissima tentazione di posare le
labbra sulle sue… Si spinse in avanti, annullando la distanza che c’era fra di
loro e lo baciò a occhi chiusi e lui, che invece li aveva ben aperti, non si
mosse minimamente. Non ci riusciva e non capiva il perché. Come se si fossero
mosse da sole, le sua braccia si alzarono e strinsero ancora più a sé quel
corpo esule, mentre le loro lingue si incontravano. Lei spinse le mani sul suo
petto muscoloso, senza staccare le labbra, mentre lui le sfilava la giacca da
Marine. Quando finalmente staccarono le loro bocche per prender fiato, lei si
era già tolta la camicetta, in modo che lui potesse ammirare la forma perfetta
del suo seno. La riavvicinò a sé e la baciò nuovamente, con ancor più passione.
Benché per entrambi fosse la prima volta, i loro corpi si muovevano da soli,
suggerendo loro come comportarsi. Nessuno dei due sapeva bene cosa stava
facendo, perché entrambi, in quella notte stellata, dove i segreti del passato
erano stati svelati, si erano fatti prendere dalla forza della passione, una
forza incontrollabile, specialmente da due ragazzi di ventun anni. Mentre lo
facevano, si davano degli stupidi. Ma molti dicono che l’amore, realmente, sia
la saggezza degli stolti.
* * *
Una nave silenziosa e alquanto sinistra si
stava avvicinando all’isola. Era passato da poco il tramonto. Scivolava
silenziosamente e aveva un’aria quasi furtiva. Ma era ancora lontana.
Probabilmente sarebbe giunta all’aurora.
“Capitano, siamo quasi arrivati”
“Bene” L’uomo si avvicinò al ponte,
osservando l’isola circondata dal buio della notte, mentre il raggio della luna
si rispecchiava nel mare. “Finalmente potrò compiere un’impresa che mi renderà
famoso”