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Autore: Akemichan    25/07/2003    3 recensioni
Approdati in un'isola, i nostri vivranno le avventure più disparate. Zoro si perderà nel bosco in dolce compagnia, Rufy incontrerà una studiosa di frutti dle Diavolo, Sanji sarà alle prese con l'unica donna che non ama mentre Robin incontrerà una sua vecchia fiamma alla ricerca di un 'affare importante'...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Rufy/Nami
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Niko Robin stava cercando in ogni modo di non pensare a quello che era ormai passato, ma temeva di non riuscirci

 

 

Niko Robin stava cercando in ogni modo di non pensare a quello che era ormai passato, ma temeva di non riuscirci. In fondo lei era un’archeologa, il passato era ciò di cui si doveva occupare. Ma perché avrebbe dovuto necessariamente essere il suo passato? Scosse la testa.

“L’entrata dovrebbe essere in questa zona” La voce di Ace le risvegliò altre sensazioni, ma la riportò alla realtà.

“Già” assentì. “E dev’essere quella!” Indicò sull’orlo del promontorio roccioso sul quale stavano camminando un piccolo buco, talmente stretto che avrebbero dovuto camminare carponi per entrarci. “Ma è strano che sia così visibile…”

“Ma no! In fondo, quelli che non lo sanno possono benissimo scambiarla per la tana di qualche animale… Nessuno lo può immagin- zzz”

“Si è addormentato di nuovo” esclamò Robin sorridendo. Decise di lasciare perdere. A ben pensarci loro due erano rivali in questa ricerca, quindi per lei era un vantaggio. Si chinò, avvicinandosi al buco ed entrò. Era veramente molto stretto e basso, tanto che doveva procedere strusciando sul terreno e aiutandosi coi gomiti. Sperò che la strada si allargasse più avanti o non ne sarebbe uscita.

Quando Ace si risvegliò, lei era già sparita dentro la grotta. “Maledizione!” esclamò inseguendola, non solo perché sarebbe potuta arrivare prima di lui, ma anche perché non la voleva perdere di nuovo. Ma per lui la strada era ancora più faticosa perché non aveva il corpo snello e flessuoso di Robin. Quando finalmente la raggiunse, desiderò di non averlo fatto. Quella posizione era già abbastanza scomoda senza essere costretto a vedere le sue gambe sinuose e le sue perfette forme esattamente davanti a lui. L’unica fortuna era che portasse un paio di jeans e non la solita minigonna con cui l’aveva vista spesso.

Lei si era fermata perché a quel punto la strada si interrompeva in un largo fiume sotterraneo. Il soffitto era troppo basso per saltare e allargarlo era troppo rischioso perché avrebbe potuto crollare tutto.

“E ora che si fa?” commentò Ace.

“E ora che fai” lo corresse Robin, la quale aveva ripreso il suo solito comportamento. Numerose braccia cominciarono a comparire su ambo le sponde del fiume. Dai palmi delle mani spuntavano altre braccia e così via finché, congiungendosi al centro, non formarono un solido ponte sospeso sull’acqua.

“Ovvio” commentò un po’ amareggiato lui.

Lei si incamminò lentamente e in pochi istanti fu dall’altra parte. Ace si avvicinò, ma non appena mise una mano sul ponte, tutte le braccia sparirono. “Ehi!”

La ragazza dai capelli pece non si girò neanche, ma lo apostrofò semplicemente così “io sto cercando la mappa per Rufy, tu per Barbabianca, quindi siamo rivali. Credevi che ti avrei aiutato?”

Decisamente questo era il suo comportamento normale, ma non ciò che pensava. Sempre lei gli aveva detto che non lo avremmo mai aiutato, se si cacciava nei guai, ma poi lo faceva sempre. Era nella sua natura. Ma non questa volta. Lui aveva sottovalutato l’effetto che l’incontro con suo fratello e la sua ciurma aveva avuto su di lei. Aspettò, ma Robin proseguì sicura il suo cammino, senza voltarsi indietro, finché lui, quando la vide sparire in lontananza, non si dovette rassegnare e tornare indietro. Fu molto faticoso, più che all’andata. Quando finalmente uscì, pensò che la cosa migliore fosse procurarsi una corda o qualcosa di simile per guadare il fiume, dato che contro di lei non avrebbe combattuto. Non ce l’avrebbe fatta, perché in fondo il fuoco non si era ancora spento, anzi, era semmai aumentato in questo periodo di lontananza.

* * *

La piccola pecora di neve brucava tranquillamente l’erba, incurante dei cadaveri dei marine che giacevano lì accanto e che era stata lei stessa ad uccidere. Usop e Chopper erano ancora a distanza, finché il secondo, prendendo il ‘Walk Point’, non si avvicinò titubante. Lui poteva capire il linguaggio degli animali, per cui le chiese chi fosse e perché li avesse aiutati.

“Beee beee Beee bee” rispose.

“Che ha detto?” chiese Usop, nascosto dietro l’albero.

“Che non le piacciono i Marine. E’ una pecora pirata e si chiama Yuki”

Usop uscì da dietro l’albero, sempre molto cauto. “Una pecora pirata?”

“Così pare”

“Chissà di che ciurma fa parte…Oh no, magari fa parte di una terribile ciurma di mostri! Scappiamo!”

“Ora provo a chiederglielo” Si rivolse nuovamente a lei. “Senti-”

“Yuki, dove sei?” disse una voce femminile ma un poco infantile in lontananza.

La pecora belò per richiamare la sua presenza alla voce, che si materializzò in una piccola figura incappucciata. Yuki le andò incontro festosa, saltellandogli attorno.

Anche questa sarà una pirata, si domandò Usop. Ormai non aveva più paura, perciò si avvicinò. Ma quella, dopo aver preso in braccio la pecorella color latte, si girò e corse via, mentre l’oscuro mantello le si agitava intorno.

“Ehi, aspetta!”

Chopper, ancora con le sembianze di un vero alce, provò a rincorrerla, ma scivolò lungo il fianco della collina. Quando riuscì a fermarsi, quella figura era già sparita, assieme al suo mantello e alla pecora. Usop lo raggiunse di corsa, inciampando e finendo lungo disteso a pochi passi dal suo compagno.

“Ma come hai fatto a cadere?”

Entrambi si guardarono i piedi. Macchie di verde. In effetti, dov’erano inciampati c’era una grossa pozza di quel colore.

“Ma cos’è?” chiese il dottore.

“Vernice”

* * *

Ace stava ritornando indietro, al punto di partenza dove ave lasciato il suo surf. “Da non credere!” si lamentò. “Come ha potuto lasciarmi indietro?” Ancora non riusciva a credere che fossero diventati davvero rivali. O, meglio, non riusciva ad accettare il fatto che lei fosse riuscita a dimenticarlo. Non ci voleva credere, perché non poteva essere. Ma se fosse stato davvero come diceva, allora l’avrebbe invidiata. Invidiata perché era riuscita a spegnere quella passione, cosa che lui, in quattro anni, non aveva ancora fatto.

Finalmente arrivò alla gola nascosta, tirando uno sguardo storto alla nave che era ancorata poco lontano dalla sua. “E quella sarebbe una nave pirata?” commentò disgustato. La flotta dei sette non era mai andata a genio né a lui né a Barbabianca, perché erano dei pirati che si erano fatti comprare della marina. Dei cani del governo. E d’altronde il proprietario di quella barca era uno dei peggiori. Secondo molti, portava il nome di pirata solo per gioco. “E se gliela incendiassi…?” disse ad alta voce, pensando di essere da solo.

“Allora credo che morirai prima di farlo” Una voce gelida e tagliente come una doccia fredda. E Ace si trovò di fronte al proprietario, al membro della flotta dei sette la cui taglia era di 230 milioni di Berry. Inferiore alla sua, comunque, e questo lo rendeva sicuro di sé. Ma la realtà era che quasi nessuno l’aveva mai visto combattere. Forse i pochi che l’avevano fatto non erano sopravissuti, oppure non lo aveva mai fatto.

“Vuoi uccidermi?” rispose sorridendo. “Piuttosto, che cosa ci fai qua? A te non interessa lo One Piece, perciò vedi di tenere giù le mani da quella mappa!”

“Ma come siamo scontrosi…” Si avvicinò ancora. “A me interessa la mappa.” Fece un altro passo. “A te interessa.” Un altro passo ancora. “Ma sarò io ad averla. Rassegnati e cerca lo One Piece senza di lei. In fondo, non è Barbabianca l’uomo più vicino al grande tesoro del re dei pirati? Cosa se ne fa di una mappa?” Un altro passo ancora. Ormai era di fronte a lui. “Temi forse che qualcuno sia più vicino di lui?” Dicendo questo, sapeva bene di chi parlava. E inconsciamente lo sapeva anche Ace, altrimenti non si sarebbe mai fermato lì durante la sua ricerca. Nonostante volesse che il suo fratellino diventasse molto famoso, non gli avrebbe permesso di diventare il re dei pirati, perché doveva fedeltà al sua capitano. Era tutto.

“Pugno di fuoco… E così la tua è sul serio preoccupazione…” Glielo aveva letto negli occhi. Sorrise. “Ma non potresti farci niente, anche se avessi quella mappa… E’ il destino…”

“Al diavolo il destino!” gridò lui.

“Allora vuoi combattere? Perché sarò io a prenderla, non quell’imbecille che hai il coraggio di chiamare capitano!” Di certo il disprezzo che provava Barbabianca era perfettamente ricambiato.

“Non perderò mai contro uno che si è venduto alla marina!”

Il suo corpo brillò dell’energia rossa del fuoco, mentre pensava a come sarebbe stato meglio attaccare. Ma il suo avversario era esattamente di fronte a lui, per niente scosso. Fece un altro passo. Ora lo toccava quasi. Un altro ancora. Ace si sentì come congelare, mentre tutte le sue fiamme si spegnevano, spandendo vapore intorno a lui. Percepì il freddo che ne derivava e le forze cominciarono a venirgli meno. Si sentiva sempre più indebolito e, cosa ancora peggiore, non riusciva più a respirare. Era costretto a trattenere il fiato, ma non avrebbe resistito così a lungo. Per quando cercasse di agitarsi, percepiva qualcosa di invisibile e impalpabile che lo circondava interamente. Ma cosa poteva essere? Che potere del frutto del diavolo aveva? Sentiva il freddo aumentare sempre di più ed entrargli nelle ossa, mentre la vista si appannava. Gli occhi già gli bruciavano da un po’, così fu costretto a chiuderli, dato che non riusciva nemmeno a farli lacrimare. Ben presto il suo pur robusto fisico non resse e i sensi lo abbandonarono. E finalmente anche quella patina che lo aveva ricoperto per tutto quel tempo scomparve, mentre cadeva a terra con un rumore sordo.

“Sei forte…” commentò il suo avversario, ma era serio quando lo diceva. Poi, guardando il corpo svenuto, notò il tatuaggio che aveva sulla schiena e fu assalito da un moto di disgusto. “E’ solo merito della tua ‘d’ se non ti ho ancora ucciso, non certo per quel tatuaggio che porti con tanto onore!” Poi, dopo essersi allontanato, si voltò e gli gridò, cosciente del fatto che non potesse sentire, “e comunque nessuno minaccia di danneggiare la mia bellissima nave e la passa liscia!”

* * *

Quando Nara era tornata sulla nave, non aveva trovato più Rufy. Era sceso perché, avendola incontrata, si era dimenticato il suo scopo principale, ossia visitare quella città dove sicuramente era passato Gold Roger.

I due fratelli stavano ancora preparando la cena, perciò decise di non entrare in cucina. Si sedette per terra, appoggiandosi alla ringhiera dietro e, preso un taccuino, si mise a scrivere tutto ciò che aveva scoperto oggi.

Nami uscì sul ponte e la vide. Eppure non si avvicinò, ma la scrutò a distanza. Era decisamente molto bella, tanto che arrivò a dubitare della sua stessa bellezza, della quale era stata sempre sicurissima, al punto da dirselo da sola. E poi, nonostante quella ragazza non le piacesse, per motivi che a un esterno potrebbero sembrare ovvi, ma che non lo erano, c’era qualcosa in lei che la attraeva, in un certo senso… Era il mare…

Nara alzò lo sguardo. Sorrise. “Ti piace il mare, Nami?”

“Si, tanto” rispose immediatamente, perché era vero. Come quella ragazza avesse capito cosa stava pensando era un mistero.

“Anche a me” Sorrise ancora. “Un mio amico vorrebbe trovare l’antidoto per i frutti del diavolo… Lo vorrei anch’io, ma in modo diverso… Basterebbe annullare l’effetto dell’acqua… Pensa come sarebbe bello anche per chi ha il potere del diavolo tuffarsi nelle onde spumeggianti del mare…” Era qualcosa di personale, capì Nami, anche se cercava di mantenere un tono distaccato.

“Anche tu hai mangiato uno di quei frutti?”

“Questo mio amico si. Così non ha potuto salvare la sua sorellina quando è caduta in acqua… Triste, vero?”

“Già…”

Oh, se lo era. La navigatrice dai capelli tramonto cominciò a credere che forse Nara non era poi così odiosa… Ma si contraddì ben presto, non appena la vide gettarsi al collo di Rufy, tornato a bordo. Sentì di nuovo quella fitta allo stomaco che aveva sentito prima, ma la ignorò, facendo buon viso a cattivo gioco.

Con Rufy c’erano anche Usop e Chopper, cosa che fu molto grata a Nami dato che l’attenzione di Nara fu tutta presa da piccolo alce e dal suo incredibile frutto.

Usop, notò lei, aveva le scarpe sporche di verde, lo stesso colore che c’era sotto gli zoccoli del dottore.

“Cos’è?” chiese indicandoglielo.

“Vernice…” rispose Usop. “Sai, abbiamo incontrato una pecora pirata che ci ha salvato dai marine poi una figura misteriosa che se l’è portata via, mentre noi siamo scivolati in un lago di vernice…”

“Davvero molto interessante…” rispose asciutta Nami credendo che si trattasse di una delle sue solute bugie.

“E’ pronto!” Al che, il capitano non se lo fece dire due volte e corse immediatamente in cucina, seguito da Usop e Chopper che, conoscendolo bene, sapevano che se non si sbrigavano non gli avrebbe lasciato niente nel piatto. Nara superò Nami, lanciandole uno sguardo di sfida mentre passava. E pensare che fino a un momento prima avevano chiacchierato come due amiche… In quella ragazza c’era qualcosa che le sfuggiva… Ma una cosa era certa, se sperava di farla ingelosire, si sbagliava di grosso. In fondo lui era solo il suo capitano, mica chissà che…

“Rufy caro, posso sedermi vicino a te?” le sentì dire con quella sua voce che risuonava fredda, certe volte.

Nami si sbagliava. Se la vera intenzione di Nara era quella di farla ingelosire, bè, ci stava riuscendo benissimo!

* * *

Ormai si stava facendo buio e le nuvole lasciavano il posto alle numerose stelle della notte. La chiara luna era piena e illuminava ancora il cammino, mentre i lontananza i colori caldi del sole si stavano spegnendo sotto al mare. Zoro e Tashigi avevano camminato sempre, senza mai fermarsi e senza dire una parola. Ma ora era tardi.

“Senti, ma questa è la direzione giusta, vero? Cioè, tu hai una chiara idea di dove stiamo andando, no?”

“No…”

“Ma come sarebbe a dire no???” Tashigi si fermò, appoggiandosi ad un albero. “E’ tutto il giorno che camminiamo e adesso mi vieni a dire che non sai dove stiamo andando?”

“Te lo avevo detto che avremmo dovuto procedere a tentativi! E poi potevi sceglierla tu la direzione, invece che seguire me!”

“Ora sarebbe colpa mia? Tu vai, dici che dobbiamo collaborare e cosa dovrei pensare? Che sai la strada o almeno hai una vaga idea della direzione! Accidenti a te!”

Lui decise di lasciare perdere. “Guarda che ti lascio indietro…”

“Ehi, aspet-” Inciampò nella radice dell’albero al quale si era appoggiata. Nell’urto i suoi occhiali caddero e Zoro, tornando indietro, li calpestò, sentendo nitidamente il ‘crack’ sotto ai suoi piedi. Naturalmente lo sentì anche lei. “Fantastico, ci mancava solo questa! Basta, sono stanca e non farò un passo di più!”

“Ma non è prudente dormire all’aperto…” Poi si rese conto che altrimenti avrebbero dovuto dormire vicini e decise che era meglio così. “Oh, fa’ come vuoi” Quindi si allontanò e si sistemò sotto una sporgenza rocciosa poco più in là. Durante il tragitto avevano raccolto dei frutti che avevano trovato sugli alberi. Non era molto, ma sempre meglio che niente. Mangiò tutto avidamente, lasciando solo il nocciolo che sputò via. Però ora aveva sete.

“Trovalo, un fiume in questo buio!” esclamò arrabbiato.

Poco dopo, un leggero rumore. Afferrò le sue spade, ma prima che potesse sguainarle la luce della luna illumino l’esile figura di Tashigi, che si stava avvicinando cautamente.

“Sei tu…” Fece il suo solito ghigno ironico. “Paura?”

Lei si risentì. “Affatto! Ero solo venuta a portarti un po’ d’acqua!” Notò la borraccia che aveva in mano. Doveva averla nello zainetto che le aveva visto indossare durante il viaggio. Ma non si sarebbe mai abbassato ad accettarla e comunque lei non sembrava più intenzionata a dargliela. Si sedette comunque davanti a lui, appoggiandosi ad un tronco d’albero. La luce della luna la illuminava totalmente, permettendo a Zoro di osservarla bene. Non poteva non venirgli in mente Kuina. Erano praticamente identiche. Si domandò se il destino le avesse fatte così uguali perché lui la ritrovasse. Si pentì subito di ciò che aveva pensato. Ritrovarla come, poi? Come avversario? No, l’aveva battuta fin troppo facilmente… Con Kuina aveva sempre perso, invece… Allora, ritrovarla in che senso? Non ce ne potevano essere altri.

Lei invece osservava le sue spade, mentre teneva la sua Shigure stretta in mano. Si rammaricava di essere stata lei a consegnare nelle mani di un simile individuo due spade così belle, perché in fondo era merito suo…

“Quella WadoIchimoji è veramente sprecata in mano ad un pirata…” commentò asciutta.

“Come ti ho già detto” rispose lui indifferente, risvegliandosi dai suoi pensieri, “ognuno ha il suo scopo. Come puoi giudicare?”

Stavolta aveva ragione. In fondo aveva davanti uno dei pirati che avevano salvato Alabasta… Pirati si, ma poi non così cattivi… Quella storia le aveva fatto decisamente male. Eppure, ciò che pensava sui pirati era forse sbagliato? Il suo sogno era sbagliato? Non ci poteva credere… No, non ci avrebbe mai creduto!

Zoro sembrò capire il suo stato d’animo. “Non posso permetterti di prenderla perché è il ricordo di una promessa…” La sfoderò, alzandola davanti a sé. La luce della luna si rifletteva sulla lucida lama. “Mi ricordo che tu hai giurato sulla tua Shigure di prendere tutte le spade del mondo. Io invece ho giurato, assieme alla proprietaria di questa spada, che o io o lei saremmo diventati gli spadaccini più forti del mondo…”

 

Perché non mi uccidi? E’ perché sono una donna? Io sarei voluta nascere uomo, ma tu non potrai mai capirlo…

Tu mi ricordi tantissimo una mia amica che è morta tempo fa. Ma non devi dire le stesse cose di quella stupida. Non imitarla!

 

“Questa tua amica… E’ la stessa che mi somiglia? Quella di cui mi hai detto… quando mi hai sconfitto?” pronunciò le ultime parole quasi con ribrezzo.

Se lo ricordava… “Si… Lei è morta qualche giorno dopo, così io ho preso la sua spada in nome della nostra promessa… Se non fosse possibile, direi che tu sei Kuina. Siete identiche…Ma sfortunatamente avete anche le stesse idee malsane!” aggiunse sbuffando.

“Ma quale idee malsane!” esclamò rizzandosi in piedi.

“L’idea che per il fatto che siete donne non potete combattere” Tashigi rimase interdetta. “Lei mi ha sempre battuto” Rinfoderò la spada con molta cura. “L’ultima volta che abbiamo combattuto, lo ha fatto con questa spada. Ha vinto, naturalmente, per la 2001° volta. Alla fine dello scontro, mi ha detto che mi invidiava perché ero un uomo. Perché io sarei potuto diventare il migliore e lei no… Perché era una donna…” Fece un risolino stanco. “Tutte cavolate! L’ho convinta e ci siamo fatti quella promessa, ma poi… Il resto lo sai…”

Tashigi si risedette. “Non dovevi parlarne se non volevi…”

“Volevo”

“Tu vuoi diventare lo spadaccino migliore del mondo… Ma eri un cacciatore di taglie e ora sei un pirata! La realtà è che le tue spade stanno piangendo… Non ce la farai mai…”

“Chissà…” disse sorridendo. “Comunque era un cacciatore solo per sopravvivere… Poi Rufy mi ha salvato la vita… Sono entrato nella sua ciurma per riconoscenza…” In un certo senso era vero, ma poi tra loro si era consolidato quel legame di amicizia che non li avrebbe più separati. “E lui non ha mai insultato il mio sogno, anzi” Sorrise maggiormente. “Credo che mi ammazzerebbe se non lo realizzassi!”

Anche questa volta lui era riuscito a spiazzarla. “E va bene!” disse. “Ma resta un altro punto. Perché non mi hai ucciso?”

“Avresti preferito che lo facessi?” chiese Zoro. Non riusciva a capirla.

Lei abbassò lo sguardo. “Non dico questo… Ora so che non l’hai fatto per l’unico motivo che ti ricordo questa tua amica… Kuina… E’ anche peggio di quello che pensassi… E’ peggio della semplice pietà…”

“Non l’ho fatto perché hai un sogno… Un obbiettivo…” Era anche per quello, ma sicuramente, anche a livello inconscio, lo aveva fatto per via di quella straordinaria somiglianza. Non avrebbe potuto dirglielo, comunque. “Lo devi realizzare, anche se, per farlo, dovrai battere me. E non è facile!” aggiunse riprendendo la solita aria spavalda. Si ricordava le parole di Mihawk, che con lui aveva usato la stessa attenzione. In realtà non aveva capito bene la ragione del comportamento che lui aveva nei confronti di lei, ma non riusciva a comportarsi diversamente. Era così, e basta.

Tashigi rimase un po’ lì senza parlare. Tutto quello che aveva scoperto l’aveva chiaramente sconvolta. Forse si era sempre sbagliata. Non tutte le spade piangevano, evidentemente. In effetti, la WadoIchimoji aveva brillato così intensamente alla luna, che pareva che stesse ridendo. No, non poteva più rubargliela. Ma come avrebbe fatto? Lei era pur sempre un Marine.

Provò la fortissima tentazione di posare le labbra sulle sue… Si spinse in avanti, annullando la distanza che c’era fra di loro e lo baciò a occhi chiusi e lui, che invece li aveva ben aperti, non si mosse minimamente. Non ci riusciva e non capiva il perché. Come se si fossero mosse da sole, le sua braccia si alzarono e strinsero ancora più a sé quel corpo esule, mentre le loro lingue si incontravano. Lei spinse le mani sul suo petto muscoloso, senza staccare le labbra, mentre lui le sfilava la giacca da Marine. Quando finalmente staccarono le loro bocche per prender fiato, lei si era già tolta la camicetta, in modo che lui potesse ammirare la forma perfetta del suo seno. La riavvicinò a sé e la baciò nuovamente, con ancor più passione. Benché per entrambi fosse la prima volta, i loro corpi si muovevano da soli, suggerendo loro come comportarsi. Nessuno dei due sapeva bene cosa stava facendo, perché entrambi, in quella notte stellata, dove i segreti del passato erano stati svelati, si erano fatti prendere dalla forza della passione, una forza incontrollabile, specialmente da due ragazzi di ventun anni. Mentre lo facevano, si davano degli stupidi. Ma molti dicono che l’amore, realmente, sia la saggezza degli stolti.

* * *

Una nave silenziosa e alquanto sinistra si stava avvicinando all’isola. Era passato da poco il tramonto. Scivolava silenziosamente e aveva un’aria quasi furtiva. Ma era ancora lontana. Probabilmente sarebbe giunta all’aurora.

“Capitano, siamo quasi arrivati”

“Bene” L’uomo si avvicinò al ponte, osservando l’isola circondata dal buio della notte, mentre il raggio della luna si rispecchiava nel mare. “Finalmente potrò compiere un’impresa che mi renderà famoso”

 

   
 
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