Legge implacabile
«Come riesci a dormire con tutta questa luce?» i neon
della città sottostante, aggiunti ai fari delle overcraft, mi stavano
abbagliando da quando ero entrata nell’appartamento di Max. Aveva voluto creare
un’atmosfera romantica ma con tutto quel baccano le sue intenzioni erano state
notevolmente castrate. «Immagino di esserci abituato, avere un appartamento in
pieno centro ha di questi inconvenienti.» sento i suoi passi avvicinarsi, è
scalzo: in casa sua nessuno porta le scarpe, rigorosamente a piedi nudi.
Fanatico lo definisce Chris.
Ha un’ossessione morbosa per la pulizia e tutto ciò che lo circonda ha lo
stesso profumo: quello che i suoi domestici usano per lucidare e disinfettare.
Persino ora una vecchia donna sta pulendo a fondo il tavolo su cui abbiamo
cenato fino a pochi minuti prima. «Ma questi sono i palazzi migliori..» mi abbraccia,
appoggiando il mento ai miei capelli «..sono gli ultimi costruiti dopo il
collasso terrestre, e sono progettati con le migliori tecnologie che esistono ..».
Ed eccole, le sue mani che scivolano sul mio corpo, accarezzandone ogni
centimetro, come se io gli appartenessi.
Lascio che lui mi volti, facendomi appoggiare al suo corpo, la bocca che cala
sulla mia, senza domande. Mi bacia e io glielo permetto senza muovere un dito. Reagisco
alle sue attenzioni nel solito modo, so che gli piace sentirmi lambire la sua
lingua con la mia. Eseguo ciò che con il tempo ho imparato a fare, quasi
d’istinto, senza mai sbagliare, senza mai cambiare una virgola in quella danza
così a lungo esaminata e finalmente compresa, tanto da eseguirla senza pecche.
Il suo cuore batte contro il mio petto, le dita mi esplorano, trattandomi
esattamente come farebbe con un suo soprammobile, esamina ogni mia curva,
stringendo la presa ogni qualvolta la sua smania gli suggerisca che non deve
permettere che mi allontani da lui.
Lo sento afferrarmi il braccio, mentre mi trascina verso il divano, non oppongo
resistenza. Lascio che si sdrai e mi faccia adagiare sopra di lui, le gambe
intrecciate, la sua lingua in gola, la camicetta che, senza troppi complimenti,
viene sbottonata permettendogli di serrare la mano sul mio seno. I capelli
intrecciati con le sue dita, quasi me li strappa mentre mi manovra a suo
piacimento, sussurrando il mio nome e gli ordini che ha per me.
La stanza si è svuotata, nessuno disturberebbe mai Maximilian Raynor durante i
suoi divertimenti serali. Mentre la sua faccia affonda fra i miei seni mi
guardo attorno, notando due calici e una bottiglia d’annata lasciata in fresco
nel ghiaccio: si prevedono visite. Io non bevo alcool e lui lo sa, quindi non
staremo soli a lungo.
Senza la minima fatica mi sfila i jeans e comincia a slacciare i propri,
l’effetto che gli faccio è palese , anche se ancora nascosto dagli slip
costosi. Ha fatto in fretta questa volta, pochi minuti di preparazione e subito
al sodo; l’ospite che deve sopraggiungere deve essere qualcuno di veramente
importante.
Tutto sommato è stato impeccabile nel suo stuzzicarmi, avverto il corpo reagire
alle sue provocazioni, anche questa volta mi trova preparata ad accoglierlo e,
con la gentilezza che usa in questi casi, s’insinua in me, invadendomi con i
suoi spasmi e sussurri rochi.
Finalmente anche io posso lasciarmi andare per qualche minuto, dimenticando il
mondo attorno a me, scordando per un secondo la sporca vita che ogni giorno
conduco.
Mi sfonda con le sue spinte violente e io sento di meritare quella prepotenza,
finalmente scivolo nel mio corpo, assaggiando le sensazione che ben mi guardo
dallo sfiorare quando la contraffatta luce solare mi investe.
Il buio mi culla e solo qui posso rendermi conscia del male che diffondo, al
buio posso giudicare le mie azione e posso tormentarmi senza la pietà di
nessuno.
Sono azioni dettate dalla necessità di sopravvivere al mondo, ma questa
consapevolezza non mi basta. Non può bastarmi quando non c’è nessuno a dirti
perché lo fai, quando sei sola con i ricordi del sangue che hai versato in nome
della conservazione della tua vita.
Vivo, per quel poco tempo che mi separa dall’appagamento fisico che segnerà il
mio ritorno all’incubo della sopravvivenza. Ansimo e godo come qualsiasi altra
donna che faccia sesso con il proprio compagno.
Nemmeno i fari delle overcraft mi irritano più.
I miei pochi attimi d’indipendenza sono preziosi.
Lo schermo del televisore spento riflette le nostre figure intrecciate, e una
donna lo fissa, ansima e ondeggia al ritmo del suo amante, inappuntabile e
perfetta, conosce ogni fantasia dell’uomo che la sta scopando senza riguardi.
Sussurra le parole che lui vuole sentirsi dire. Gli offre il proprio corpo e sa
che il giorno dopo dovrà imbottirsi di quelle stupide pillole anticoncezionali.
Magiche compresse che le impediranno di gettare in questo rivoltante mondo una
nuova, minuscola creatura. Nessuno vorrebbe mai crescere un figlio intrappolato
in una città dalla quale, molto probabilmente, non potrà mai uscire.
E quella donna, sullo schermo, la fissa comprendendola. Non prova nulla, anche
se il suo compagno mette tutta la propria forza nell’impalarla. È ormai
arrivato al culmine, le stringe le braccia, una presa che le lascerà dei lividi
senza alcun dubbio, e le esplode dentro. Lei non raggiunge l’orgasmo, la tanto
agognata pace dei sensi, si limita ad accoglierlo e sentirlo mentre sussulta,
gustando il calore del suo corpo. Come
ogni volta, ha fatto il proprio dovere e lui è soddisfatto, le bacia i capelli,
il volto, le labbra secche e screpolate, non si è nemmeno accorto di essere
rimasto solo, di aver fatto sesso con una bambola priva di emozioni.
Socchiude gli occhi la bambola e l’immagine riflessa scompare: è l’ora del
notiziario e lo schermo al plasma s’illumina quando il timer scatta. Max non
perde mai un solo telegiornale, deve costantemente tenersi informato sugli
accadimenti nell’affollata cupola cittadina.
Con un sorriso mi passa i jeans, che prontamente infilo e abbottono, ho sete e,
come se mi leggesse nella mente, mi prepara il solito bicchiere di acqua
ghiacciata: «E’ stato straordinario tesoro..» si concede un altro bacio, prima
di porgermi il bicchiere «..sei sempre meravigliosamente perfetta Sarah..».
Accenno un sorriso, e butto giù l’acqua di un fiato. Mi brucia la gola da
quant’è fredda, ma va bene così.
…....la
famiglia Raynor s’aggiudica l’appalto per le nuove antenne che dovranno sorgere
ai limiti della cupola. L’intenzione è espandere l’area vivibile……
«Bene, questa è una buona notizia! Potremmo riuscire
ad ampliare il campo di forza della cupola, Sarah, entro qualche anno la città
potrà tornare a crescere!»
«La terra si sta consumando Max, non saranno un paio di antenne in più a farla
tornare coltivabile.»
«Abbiamo molti scienziati che dicono esattamente il contrario: il controllo del
tempo meteorologico permette di modellare a piacimento la composizione, anche
chimica, dell’humus. Possiamo far rinascere il paese!»
«Se lo dicono gli scienziati..» è chiara la mia perplessità al riguardo, non si
può far attecchire la vita nello stesso modo in cui è stata sradicata. La
tecnologia non potrà mai portare rinnovamento.
«Ne sono convinti solo che, tu capirai
bene, le loro scoperte non devono assolutamente uscire dalla Raynor Corporation..»
mi fissa, mentre si abbottona la camicia, sgualcita e spiegazzata dalla nostra
precedente attività.
«E’ uno di questi scienziati che stai aspettando?»
Mi rivolge un’occhiata incuriosita, poi lo sguardo va a concentrarsi sui due
calici e il vino in fresco «Non ti sfugge nulla, eh?» con passo leggero mi si
avvicina, prendendo ad abbottonarmi la blusa «No, stiamo aspettando qualcun
altro..»
«Stiamo?» sono perplessa, non credevo mi avrebbe chiesto di rimanere durante il
suo incontro.
«Si, mia cara. Tu rimarrai qui, al mio
fianco. Come ti ho già detto le informazioni non devono mai lasciare la Raynor
Corporation, e tu mi aiuterai a fare in modo che questo accada…»
Chiaro come il sole ciò che vuole da me, annuisco, accettando di rimanere ad
assistere alla discussione che intratterrà con l’ospite che sta per giungere.
Non so chi sia, ma a quanto pare ha fatto molti errori, sbagli che non gli
verranno perdonati.
Nessuno tradisce l’Organizzazione, e io sarò colei che metterà in atto la
legge.
Dopo qualche minuto la cameriera bussa alla porta
«L’ospite è arrivato, lo faccio accomodare?»
«Si, fallo pure entrare..» con un sorriso d’intesa si allontana da me,
prodigandosi nell’accogliere il nuovo arrivato. Nel vederlo entrare una lieve
tristezza mi opprime il cuore, povero vecchio, ha dedicato la vita ai Raynor, e
ora viene tacciato di tradimento.
«Ti stavo aspettando, Neal!» la voce cordiale e allegra di Max mi mette i
brividi, recita divinamente la parte del superiore affabile ed ospitale «La
nostra Sarah sta giusto per andarsene..»
Annuisco e rivolgo un lieve cenno del capo al guardiano del 15esimo piano
ricambiata calorosamente, mentre si accomoda sul divano dove, poco tempo prima ho
avuto il mio attimo di pace.
Parlano loro, mentre io apro la porta e la richiudo,
senza accennare nemmeno un passo al di là della soglia. Silenziosa me ne
rimango lì, immobile, attendendo il momento in cui dovrò agire. Quasi non
respiro, abituata ad essere invisibile in determinate situazioni.
Max parla, gesticola, finché non gli offre il
bicchiere di vino.
Dono che per me è un campanello d’allarme.
Vino troppo pregiato perché Max voglia davvero sprecarlo con un traditore.
I miei passi sono impercettibili, a piedi nudi, sul
pavimento rivestito di moquette.
Vedo le mie mani stringere la testa del vecchio guardiano.
Una secca torsione e Neal si accascia di lato, muto. Il bicchiere intonso
ancora fra le mani del mandante del suo assassinio: questa è la regola, questa
è la mia vita.
Non una goccia di sangue sul pregiata divano, un
omicidio pulito, esattamente come piace a Maximilian Raynor.
«Che aveva fatto?» chiedo, la voce impassibile, mentre
accomodo la testa sulla spalla dell’uomo. Le vertebre non impediscono più una
tale innaturale posizione.
«Molto probabilmente ha tradito…» risposta cinica e sintetica, il vino precedentemente
offerto ora scivola fra le labbra del mio Padrone.
Ed io lo osservo. Per un “molto probabilmente” un’altra
vita è stata stroncata.
Ma io non posso fare nulla, solo eseguire, perché solo
così rimarrò io stessa in vita.
Non si tradisce l’Organizzazione. Mai.