Sesto
Capitolo:
Tσουνάμι
La
pioggia era grave, appesantiva le corazze dei soldati stremati dalla lunga e disastrosa
battaglia, dove un’intera falange era stata distrutta dalla forza bruta dei barbari.
I pochi superstiti di tale schieramento erano ritornati all’accampamento con
sguardo truce, non volendo parlare con nessuno ed evitando lo sguardo di tutti.
Una
bambina di otto anni, vestita con una leggera corazza di cuoio e armata con
affilate spade di ferro, osservava con i grandi occhi azzurro ghiaccio i
militi, attendendo l’arrivo di uno in particolare. Che però tardava a tornare.
Aspettò a lungo, riparata da un grande e pesante scudo tondeggiante.
Quando
però fu stanca di rimanere seduta sulla terra fangosa, a giocare con i lunghi
lombrichi striscianti, con innocenza infantile si avvicinò ad un soldato per
chiedergli informazioni.
<<
Scusa... dov’è il Comandante?>> domandò, con le grandi iridi piene di
speranza.
Lui
la osservò a lungo, senza rispondere.
<<
Di che falange sei?>> disse d’un tratto.
<<
Dovevo essere con voi, ma mio padre mi ha affidata ad Agápe. È già tornato il comandante?>>
<<
No>> rispose, chinando il capo.
<<
Va bene, allora lo aspetterò qui>> sorrise lei, scostandosi dal viso i
corti capelli castani.
L’uomo
non ebbe cuore per illudere oltre le aspettative di quella bimba, che aveva
riconosciuto come la figlia del comandante, essendo poche le donne che intraprendevano
la carriera militare.
<<
Lachesi, non aspettare oltre, è inutile>>
La
giovane per un attimo sentì le interiora chiudersi in una morsa. Non era
stupida, aveva compreso cosa significavano quelle fredde parole. Non volle
credere che il migliore Stratega e Polemarco di tutti i tempi fosse morto. Non
voleva credere. Non doveva essere vero.
Si
sentì cadere, anche se era ben salda sulla pianta dei piedi. Si sentì soffocare
in se stessa, in un misto di disperazione, nervoso e incredulità.
Con
la collera negli occhi, si gettò in una folle corsa, uscendo dal campo.
Nel
pantano, nel sangue, tra i cadaveri e armi spezzate correva, non curandosi
delle grida del soldato che la intimavano a tornare indietro. Si ferì i piedi,
le gambe, addirittura le braccia, cadendo più volte rovinosamente, ma ogni
volta si rialzava per cercare suo padre.
L’unica
persona che l’avesse mai protetta.
L’unico
pilastro che le era rimasto.
A
pieni polmoni urlava il suo nome, lo chiamava, lo pregava, lo scongiurava.
Finché non lo vide.
Si
avvicinò, con le gambe diventate improvvisamente flaccide. Osservò quel corpo
martoriato, con la giugulare tagliata, con gli arti spezzati, con la colonna
vertebrale in frantumi.
<<
Papà>> mormorò la bambina, sconvolta.
Era
veramente quella la fine di un grande comandante?
<<
Papà...>> singhiozzò, cadendo in ginocchio al suo fianco << Papà...
ti prego... svegliati...>>
Si
rannicchiò accanto a lui, poggiando la testa sulla corazza di metallo, mentre
calde lacrime le solcavano il viso, unendosi alla fredda pioggia.
<<
Papà... io rimarrò qui...>> disse in seguito, avvolgendosi con il
mantello lordo di sangue del genitore << Starò qui finché non aprirai gli
occhi...>>
Fuori
Wall Sina, novembre, 851
Lachesi rimase meravigliata
dal candore che aveva avvolto il paesaggio e che silenziosamente continuava a
scendere dal cielo. Tutto sembrava più calmo, come se non ci fosse stata alcuna
distruzione, nessuna guerra.
Non aveva mai
visto la neve, perché il luogo da cui proveniva era fin troppo caldo per
permettere all’acqua di cristallizzarsi. Quindi assistere ad un simile
spettacolo per la prima volta nella sua vita era qualcosa di unico, in grado di
farla ritornare bambina per qualche tempo.
Raccolse un po’ di
quel biancore, passandoselo velocemente da una mano all’altra. Era fredda,
tanto da farle raggrinzire e arrossare le affusolate dita, ma anche stupenda e
ipnotica.
Come
il fuoco.
Gli altri membri
della squadra non erano così entusiasti, sia per l’aria gelida, sia per l’ora
mattiniera, infatti il sole era sorto da poco tempo, coperto tra l’altro da
spesse nubi grigie. C’erano diverse vie di pensiero su come affrontare la
frigida giornata: Eren ad esempio, seguito da Mikasa, cercava quei radi posti
non ombrosi della foresta; oppure Wilde che, appoggiato alla spalla calda di
Elizabeth dormiva saporitamente, continuando però a camminare. Levi invece non
si curava delle rigide temperature, parlando con Erwin ed Hanji riguardo la
missione come se nulla fosse.
A causa dei
frequenti attacchi di un mostruoso Gigante che viveva in quella foresta,
avevano dovuto rimandare la spedizione. La dottoressa si era opposta fin
all’ultimo, perché secondo lei si doveva proseguire con il piano, ma il
comandante Smith aveva preso la sua decisione, costretto principalmente
dall’alta borghesia che si sentiva minacciata. L’abominio infatti si era
stanziato poco lontano da Wall Sina e, sul giudizio dei pochi testimoni, era
talmente grande e sanguinario da venir reputato una grave minaccia.
Newton era
completamente contraria e dimostrava tale sentimento anche in quel momento,
procedendo cupamente e sbuffando di tanto in tanto. Non aveva rivelato le cause
di tale ostilità, rimanendo in rigoroso silenzio.
<<
Lachesi>> disse Hanji, sorprendendo d’un tratto la soldatessa alle spalle
<< Dovevamo finire il nostro discorso>> il tono che Zoe aveva
utilizzato era un misto tra il comando e la supplica, come se volesse scoprire
con tutta sé stessa nuovi dettagli riguardo la specie di Lachesi e non volesse attendere oltre.
La capo squadra
era sempre felice a parlare con Thàlassa, visto che questa era una miniera
d’oro di informazioni inerenti ai Gigas.
Era diventata ormai un’abitudine che ogni momento libero l’ex comandante lo
dovesse passare a raccontare del proprio passato.
<< Quindi
non sai trasformarti?>>
<< No, o
perlomeno, non saprei. Anche ferendomi non succede nulla, non mi tramuto in
Gigante. È come se ci fosse qualcosa che mi blocca, anche riguardo la
rigenerazione. Ho visto che ultimamente le ferite si rimarginano con più
difficoltà...>>
<< I tuoi flussi
di sangue sono regolari?>>
Lachesi avvampò,
non tanto per l’inopportunità della domanda, ma perché aveva imbarazzanti e
freschi ricordi a riguardo. Un episodio che voleva con tutta se stessa
dimenticare.
Sia per Eren che
la credeva affetta di una misteriosa malattia orientale (non essendogli venuto
in mente che invece si trattava di tutt’altro argomento), sia perché, mancando
un gradino mentre ritornava furibonda alla propria stanza, si era incespicata
con il Caporal Maggiore e gli aveva sporcato accidentalmente i vestiti.
E l’inevitabile
litigio tra i due aveva attirato molti soldati, così tutti furono a conoscenza
dell’inconveniente mensile della ragazza.
<< Sì, sono
più che regolari>> sospirò, per poi fare un leggero sobbalzo vedendo il
viso della donna a pochi centimetri di distanza dal proprio, con i suoi grandi
occhi castani spalancati che la fissavano.
<< Posso
prendere un campione di sangue?>>
<<
Certo...>> disse dubbiosa Thàlassa << Perché?>>
Hanji le prese la
mano e le fece un leggero taglio con una spada, tanto da far fuoriuscire
qualche piccola goccia cremisi.
<< Perché è
tutto qui dentro>>
La ferita si
rimarginò dopo poco tempo, lasciando a Zoe solo il momento per tamponare un
poco di sangue con un fazzoletto, precedentemente preso in prestito a Levi.
Lachesi non
comprese le parole della compagna, ma non indagò oltre, perché la sua
attenzione fu colta da un gruppo poco distante di altri soldati, appartenenti
ad un’altra squadra, che osservavano un piccolo e rudimentale tempio, composto
da pietre di medie dimensioni, in modo tale da formare un semicerchio, e
un’accurata statua femminile, intagliata nel legno, che rappresentava la Dea
Madre.
Era un tipico
ornamento funebre di una religione che la ragazza aveva sentito parlare poche
volte, ovvero quella druidica. Lì sicuramente c’era sepolta qualche persona
cara a chi aveva eretto tale monumento.
Ma i militi non
riuscirono a comprenderne il significato e, ridendo tra loro, calciarono la
figura e i massi, distruggendo così l’opera primitiva. Un gesto che sarebbe
passato inosservato, se l’autore della tomba non si fosse trovato appollaiato
su un alto ramo, nascosto tra le fronde.
Fu un momento, un
attimo di completa e assoluta calma, colmo di risate e battibecchi.
Seguito poi dalla
distruzione.
Un enorme orso, di
oltre quindici metri di grandezza, frantumò gli alberi come se fossero arbusti
e caricò quei militari, schiacciandoli contro i tronchi delle alte piante con
forza brutale. Il pelo fulvo dell’animale s’imbrattò di schizzi di sangue,
mentre gli occhi dorati fissavano i cadaveri con estremo odio, digrignando le
affilate fauci luccicanti.
Emise un profondo
ringhio che fece vibrare le interiora di tutti i presenti, i quali erano
rimasti attoniti, non aspettandosi un simile nemico.
<< Waaaah!
Un Orso Gigante!>> esclamò entusiasta Hanji, rimanendo affascinata dalla
creatura << Si deve assolutamente catturare!>>
<< Se quello
non ha in mente di servirci per pranzo>> commentò Wilde, sistemando la
propria arma da fuoco a doppia impugnatura.
<< Qualsiasi
cosa succeda, stagli alla larga>> lo intimò Elizabeth, prima di spostarsi
e trascinare l’albino con sé per evitare un attacco frontale.
Gli artigli
dell’orso evitarono per poco Eren, il quale fu preso di peso da Levi per poi
essere lasciato su un albero. I congegni per la manovra tridimensionale erano
troppo lenti contro un simile nemico e per poco il ragazzo non ci lasciava la
pelle, nel tentativo di raggiungere un posto più sicuro.
Quel Gigante non
solo aveva una stazza considerevole, ma anche un’agilità impressionante. Un duo
letale, se unito anche ad una forza mostruosa.
Mikasa raggiunse
il fratello, per poi guardare cupamente il Caporal Maggiore, seppur di fatto lo
avesse salvato.
<< Mi
trasformo in Gigante. Con il vostro aiuto riusciremo sicuramente a
sconfiggerlo>>
<< Eren,
stai attento>> disse la ragazza, artigliandogli un braccio.
Il suo superiore
approvò mutamente l’idea, anche perché al momento non c’erano altre soluzioni.
I suoi occhi prima di riconcentrarsi sul nemico, si focalizzarono su Lachesi,
la quale stava studiando con sguardo cupo la situazione, evitando rapidamente
gli eventuali colpi.
E fu in quel
momento che lei reagì in modo sconsiderato.
Una seconda
squadra giunta in quel luogo, attirata dal fumogeno lanciato in precedenza dal
Comandante Erwin, si era scagliata contro il punto debole del Gigante, ovvero
la nuca, quando questo si era alzato su due zampe. Tuttavia, non essendo una
creatura stupida, l’orso per difendersi aveva rizzato il pelo, tramutandolo in
un affilatissimo acciaio. I soldati sarebbero indubbiamente morti infilzati, se
Thàlassa non fosse intervenuta, tranciando i cavi.
Salvò la vita del
gruppo, ma attirò su se stessa le ire del mostro, il quale iniziò ad
inseguirla, tentando di ucciderla in ogni modo. E invece di rimanere nella
foresta, luogo assai vantaggioso per la manovra tridimensionale, mirava ad
uscire, con l’alito del nemico che le soffiava sulla schiena.
<< Che cazzo
sta facendo? Non avremmo nessuna possibilità in pianura!>> esclamò un
milite.
<< Branco di
capre! Lei è una stratega, sicuramente saprà cosa fare! Invece di piangervi
addosso, reagite in qualche modo>> disse Elizabeth, prima di guardarsi
attorno preoccupata, poiché non riusciva più a scorgere Wilde << Eren che
cazzo aspetti a trasformarti?>> sbraitò poi, con un’espressione assai
innervosita.
Lachesi si fermò
non appena furono non molto lontani dalla boscaglia, affaticata per
l’estenuante corsa.
Qui si voltò
repentinamente, schivando gli attacchi dell’animale con estrema agilità,
spiccando poi un elevato salto. Trotterellò in aria con le lame sfoderate per
non essere colpita dagli artigli e, grazie ai cavi, fu in grado di raggiungere
il naso del nemico. Per non cadere, conficcò una spada nella carne e si tenne
ad essa prima di balzare in cima al capo, utilizzando la manovra tridimensionale
ed evitando così una mortale zampata.
La pelliccia si
tramutò in affilati aculei, ma non riuscirono a ferirla, poiché anche il corpo
della giovane per difendersi era divenuto resistente come l’acciaio. Iniziò a
scendere con cautela per ferire il mostro nel suo punto debole, ma l’intervento
di un altro Gigante quasi non la fece cadere.
Eren infatti era
riuscito a colpire l’orso, ma la caduta di quest’ultimo aveva fatto scivolare
la ragazza, la quale ora stava quasi per piombare al suolo, tenendosi a stento
al manto affilato del nemico. Rimase in quella posizione finché l’orso non
ritornò su quattro zampe e dovette lottare per non precipitare a causa dei
continui sballottamenti a destra e a sinistra.
La nuca era ormai
lontana, ma la ragazza non si demoralizzò.
Con cautela
procedette a carponi, stringendo saldamente la pelliccia metallica. Tuttavia
l’animale si rizzò in piedi per sferrare un potente attacco e lei si ritrovò
nuovamente sospesa nel vuoto, aggrappata a lamine in metallo.
Fece un profondo
respiro, continuando la sua lenta e faticosa scalata.
Ma, quando ormai riusciva
a vedere la vicinanza con il proprio obbiettivo, la pelliccia metallica divenne
incandescente a causa di una serie di proiettili sparati da Oscar. Il calore
conduttore le infiammò i muscoli e le fece lasciare involontariamente
l’appiglio, cadendo così rovinosamente al suolo e rischiando in più occasioni
di rimanere schiacciata dal plantigrade, il quale aveva emesso un lungo ringhio
per il dolore.
L’orso atterrò il
Gigante a lui ostile, per poi ferire gravemente Wilde, scagliandolo malamente
con un’unghiata contro gli alberi. Il ragazzo non fu abbastanza lesto a
muoversi, venendo così travolto dalla furia.
<<
Wilde!>> esclamò Lachesi, portandosi poi una mano sulla bocca.
Perché mai aveva
abbandonato la foresta, sparando a terra, indifeso? Solo uno stupido avrebbe
compiuto una simile azione, per nulla eroica. Delle lacrime di rabbia solcarono
le guance della fanciulla, la quale si concentrò sull’avversario con estrema
ira.
Aveva pianificato
tutto affinché non ci fossero ulteriori morti. Ma seppur avesse progettato
tutto nella sua mente, era ugualmente deceduto qualcuno. Inutilmente.
Stupidamente.
Fu allora che si
accorse che, mentre si muoveva per evitare lo scontro titanico tra i due
Giganti, dove era stato colpito l’orso, il metallo del suo pelo si era
ammorbidito, anche se in brevissimo tempo sarebbe tornato come prima.
I cavi allora
riuscirono ad impiantarsi sulla schiena dell’animale, quando questo si era
rizzato in piedi per parare un pugno di Eren, e trascinarono il corpo della
giovane. Tuttavia l’acciaio si solidificò, così l’attrezzatura rimase bloccata
al dorso dell’abominio.
Inutilmente lei si
dimenò e imprecò, venendo continuamente scossa a causa dei movimenti lesti del
plantigrade, nulla riusciva a liberare il congegno per la manovra
tridimensionale.
Allora la giovane
stava per slacciarsi la cinta che reggeva tutto il meccanismo, ma l’intervento
di un terzo Gigante la fece desistere dal suo intento.
Un calcio di fuoco
aveva colpito in pieno lo stomaco dell’animale e l’estremo calore aveva fuso
quasi completamente le difese del nemico. Un Gigante alto almeno una ventina di
metri, simile al Colossale per la struttura corporea, tranne che per la
capigliatura, visto che aveva una spettinata e lunga chioma bianca, con una
frangia che gli copriva gli occhi.
<< Un
Gigante Piromane!>> urlò Hanji, ormai prossima all’orgasmo.
<<
Eren!>> esclamò preoccupata Mikasa, ma venne frenata da Levi <<
Lasciami! Eren è in pericolo!>>
<< Che nessuno
intervenga>> ordinò repentino Erwin, frenando l’intento di alcuni
soldati.
Thàlassa avanzò
con estrema fatica, visto che le fiamme le ustionavano la pelle, priva di ogni
difesa se non i vestiti. Fu costretta pure a sganciare la propria attrezzatura,
inutile visto che si era completamente fusa.
Il fuoco era stato
da sempre il suo punto debole, in più occasioni, in diverse battaglie.
Ma non era mai stato
così ostico.
Si arrampicava sul
bollente dorso dell’Orso, riuscendo infine a raggiungere, ormai stremata, la
nuca.
Più volte rischiò
di cadere, poiché l’animale non era più in grado di parare i colpi e spesso
finiva per ruzzolare al suolo o compiere movimenti bruschi per schivare gli
attacchi. Ma lei non demordeva.
Lachesi raccolse
le ultime energie che aveva in corpo e, aumentando ella stessa la propria
temperatura corporea, fu in grado di bruciare la pelle del nemico, causando
così un profondo strappo, grazie al quale fu in grado di estirpare quello che
comandava il corpo titanico.
Non fu abbastanza
lesta ad afferrare un appoggio e quando il Gigante crollò senza vita, lei
precipitò al suolo, lorda di sangue, di sudore e con il corpo ricoperto di
gravi ustioni. L’unico suo sollievo fu quello di trovare la fresca e un tempo
candida neve, ora sporca di cremisi.
Tentò di
rialzarsi, ma le gambe non riuscivano più a reggere la fatica e la
abbandonarono, facendola cascare a terra. Ma lei imperterrita ritentò, cadendo
nuovamente.
Una mano le venne d’un
tratto in soccorso, afferrandole il polso e aiutandola ad rizzarsi in piedi.
<<
Ohi>> disse Levi << Che cazzo ti è passato per la testa?>>
<<
Nulla...>> mormorò lei, reggendosi all’uomo << Sono stanca>>
<< Puzzi da
fare schifo>>
<< E tu
profumi di pulito>> sussurrò, prima di crollare esausta.
Aveva la fronte
bollente e il respiro accelerato.
Il Caporale
Maggiore sbuffò, togliendosi la giacca e avvolgendo la ragazza con essa, prima
di sollevarla di peso e portarla dove si trovavano gli altri, i quali, dopo
aver estratto Eren e Oscar dai Giganti, si erano concentrati intorno al nemico.
Anche perché era l’unico del quartetto che riusciva a parlare non essendo
spossato.
Ma questo non
proferì parola, solo lunghi sguardi dorati rivolti alla dottoressa, la quale
era intenta a rimproverare sonoramente Wilde, arrivando persino a imbottirlo di
ceffoni, che lascarono duraturi segni rossi sulle guance dell’albino.
Il ragazzo però
non disse nulla, anche perché non ne aveva la forza.
Prigioni
sotterranee, novembre, 851
Elizabeth scese
velocemente le scale, scortata da un paio di guardie alte e nerborute. Era
pensierosa, procedeva con testa china per non mostrare la propria
preoccupazione, alquanto insolita sul suo volto.
Raramente infatti si
angosciava per qualcuno, poiché poche erano le persone a cui si era affezionata
e la spietata donna gliele aveva strappate quasi tutte, lasciandola spesso
sola.
Il rumore dei suoi
vertiginosi tacchi rimbombava nel silenzio della sua mente. Non esisteva nessun
altro suono, nemmeno il pesante passo dei soltati al suo fianco, il quale per
lei era come una muta folata di vento, tanto era concentrata nei suoi pensieri.
Camminava, immersa
nei suoi ricordi più lugubri, stringendo più volte i pugni per il nervoso, ma
che poi rilassava, facendo un sospiro di liberazione.
Quella taciturna
meditazione interiore si quietò non appena raggiunse una prigione, nella quale
riposava un uomo incappucciato, di cui si vedeva soltanto la selvaggia chioma
ramata e la lunga e scompigliata barba del medesimo colore. Indossava una larga
tunica corvina con una semplice e logora corda legata in vita a mo’ di cintura.
Era scalzo, l’unico ornamento oltre la cinta era un ampio mantello decorato con
penne avente il cappuccio.
Lui era
l’Orso-Gigante, ma per gli occhi della dottoressa non era un mostro, bensì
tutt’altro.
<< Sei
arrivata>> disse con voce cupa, come lei se fosse l’ultima persona che
avrebbe voluto vedere.
Elizabeth congedò
le guardie, le quali si allontanarono fino a tornare all’ingresso.
<< Gwydion, mi
dispiace>> mormorò lei, afferrando debolmente una sbarra con la mano
sinistra.
<< Ora ti dispiace?>>
ringhiò lui, incurvando poi le labbra screpolate in un sorriso tutt’altro che
allegro, colmo di astio << Ora ti dispiace? Tu e quei bastardi dei tuoi
colleghi mi avete tramutato in un mostro... per cosa? Per creare delle nuove
razze? Per distruggere l’umanità?>>
Lei non rispose, limitandosi a
guardare il pavimento.
<< Sono ben felice di venire
giustiziato, almeno non dovrò vedere più facce di merda simili>>
<< Mi sono opposta fino
all’ultimo, non volevo...>>
<< Ma per favore. In tutti
questi anni non mi sei mai venuta a cercare ed ora fai la farsa della madre
affranta? Nei tuoi piani non hai nemmeno risparmiato il tuo allievo, quel
ragazzino albino>>
<< Gwydion, ho chiuso con loro
da tempo e Oscar è un Gigante, ma non per causa mia>> esclamò la
dottoressa, alzando lo sguardo aureo << Io ti ho sempre cercato e ti ho
sempre protetto. Forse non sarò stata una madre modello, ma non puoi negare
tutto ciò che ho fatto. Tu sei sempre stato vicino a me, in tutti i
sensi>>
<< Se parli di quella volta
nella foresta, ero lì perché Bodbh voleva vedere>> l’uomo fece un lungo
sospiro rassegnato << Perché non riesci ad odiarmi?>>
<< Perché sei mio figlio>> rispose la donna,
abbozzando un triste sorriso << Perché tu per me sei rimasto sempre quel
bambino troppo curioso che voleva scoprire tutti i segreti di questo mondo.
Anche se mi reputi indegna, io continuerò a proteggerti>>
<< Così rendi soltanto le cose più difficili>>
ringhiò lui, facendo oscillare leggermente le catene che gli cingevano i polsi.
<< Tu non morirai >>
Seguì un muto silenzio.
La dottoressa lasciò lentamente la sbarra, allontanandosi
fino a scomparire dalla vista di Gwydion. Questo guardò le catene, poi il suo
sguardo virò su un corvo nero, il quale era appollaiato vicino alla finestra.
Ci fu uno scambio reciproco di occhiate, poi il volatile volò
via, lontano, confondendosi nel buio della notte senza luna.
Fine sesto capitolo!
Nome capitolo: Tsunami
Capitolo piuttosto difficile. Ho fatto veramente fatica a
trattenere le lacrime all’inizio ed io sono quella che ha
partorito un simile aborto. Ecco perché dovrei smetterla di far
partire canzoni deprimenti. Beh, almeno la mia depressione è
svanita con la seconda parte, dove ho ascoltato diverse canzoni che mi
hanno dato la carica (una per tutte, Hero degli Skillet che, anche dopo
millanta anni che l'ascolto, non mi stanco mai di sentirla. E questo
fatto è molto insolito, visto che io vado molto a periodi XD ).
Sì, mi faccio influenzare troppo dalla musica, lo so.
Però certe volte è l'unico appoggio sicuro che ho... e
poi non riesco a scrivere nel silenzio.
Comunque, parlando di cose più allegre, oggi volevo scrivere
per voi il background del momento al bar! Quindi, che dire? Buona lettura!
Wall
Sina, novembre, 851
Elizabeth guardò
con sguardo malizioso Levi, prima di sedersi affianco a lui, accavallando le
gambe così da mostrare gran parte delle lisce cosce. Lui la osservò con
un’occhiata cupa visto che il suo rapporto con quella donna non era dei
migliori.
<< Che cazzo
vuoi?>> domandò d’un tratto.
<< Invita
Lachesi a ballare>>
<<
No>> ripose lui, bevendo d’un sorso metà pinta di birra per poi poggiarla
davanti a sé.
La dottoressa allargò il ghigno, sottraendo la bevanda
alcolica all’uomo prima che questo potesse di nuovo prenderla.
<< Tipica reazione di Homo senza palle. Ma d’altronde è
normale, di questi tempi sono sempre più le donne a portare i pantaloni. Ed è
giusto così, perché non siamo più nella preistoria dove...>>
<< Dove vuoi arrivare?>>
<< Cosa? Stai dicendo che ho doppi fini? Io? Ma... no!
Io volevo solo tirare su di morale Lachesi, perché non si è ancora ripresa
dagli insulti dei nobili. È un’eccellente soldatessa, ma non riesce a
distaccarsi dal suo passato terribile e questo le causa dolore. Il tuo gesto
avrebbe senza dubbio tirato su il morale, ma pazienza, vorrà dire che chiederò
a Jean se è disposto...>>
<< Jean? Ma che cazzo ti sei fumata, donna?>>
<< Certo! Per voi uomini le donne devono essere tutte
drogate! Ma che grandi testa di cazzo che siete! Da un recente studio è sorto
che sono più gli uomini a drogarsi delle donne!>> vedendo che il suo
piano non stava funzionando, lei allora giocò un argomento che sicuramente
l’avrebbe portata alla vittoria << Riguardo alle droghe, ho preparato un
discorso di all’incirca due ore che devo portare alla prossima conferenza.
Visto che non hai niente da fare...>>
Levi si alzò seccato e si diresse al tavolo di Lachesi.
<< Quanto è dolce il sapore dei soldi>> sogghignò
lei, finendo di bere l’ultimo sorso di birra << La scommessa l’ho
praticamente vinta>> aggiunse poi tra sé e sé.
Erwin la raggiunse con una bottiglia di vino e si sedette in
modo composto.
<< Sei un impeccabile stratega>> disse, versando
il vino in un bicchiere.
<< Ci sono in ballo i miei soldi. Quei due non andranno
mai in sintonia, quindi intascherò la mia parte. Tutto calcolato>>
<< Come facevi a sapere che il capo della Polizia
Militare...>>
<< Conosco gli uomini morti di figa. Ad esempio so che
lei mi ha guardato le cosce almeno cinque volte da quando si è seduto>>
Elizabeth fissò il boccale vuoto, poi sospirò << Maledetto nano
ubriacone, poteva lasciarne un goccio in più>>
<< Se vuoi, ti prendo qualcosa>>
<< Non voglio essere la prima donna a cui si interessa,
Comandante. Però se vuole, prendo volentieri un po’ di vodka, birra e anche un
po’ di vino rosso, ma anche una bottiglia di quello bianco>>