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Autore: Wolf7    29/12/2013    1 recensioni
Ed eccomi qui col mio primo racconto che pubblico in prosa. Uno si deve cimentare anche con questo, prima o poi. Racconto gli attimi prima che gli occhi si dischiudano, e rivelo quanto un risveglio possa non essere così idilliaco. Lo scopo è quello di raccontare la normalità e la banalità di questo genere di azioni, che però, volendo, possono sottendere qualcos'altro: dipende dal tipo di occhi con cui si legge! Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Risveglio Forse stringevo la mano di una ragazza prima che tutto accadesse. Ero più alto ed era più alta la gente che mi circondava. Mi trovavo in un luogo familiare, ed era lì che quella ragazza era al mio fianco. Eravamo seduti su delle classiche sedie di legno, di quelle che si usano a scuola. Io avevo la sua mano abbracciata alla mia su di un tavolo, e lei sembrava molto più che bella.
All'improvviso, però, un vortice dalla velocità impressionante seguito da salti temporali attraverso dimensioni che temporali non erano: un turbinio di viaggi nell'immenso imbuto dell'Essere. Continuò per quei due millenni che noi umani chiamiamo secondi, finché tutto ciò che ero diventato in quello spazio onirico si condensò in due unici fori. Fui risucchiato in due portali che avevano il compito di insegnarmi la verità, solo due  fessure in bilico tra il buio e la luce. Fu così che le palpebre si spalancarono e i miei occhi si aprirono.  
La stanza era buia, ma non troppo, e opaca. Avvertivo una spiacevole sensazione di disagio nel tastare le coperte in disordine e i miei capelli scompigliati. Avevo assunto una scomoda postura nel sonno, a causa della quale il pigiama mi scopriva alcuni lembi di corpo infreddoliti e in bocca avevo quel sapore acre tipico di chi si è appena destato. Palpai il comodino più volte alla ricerca del cellulare e, ua volta trovato, lo accesi per controllare che ore fossero. Non mi piaceva alzarmi troppo tardi nella mattina, ma con i ritmi vacanzieri non si può fare altrimenti. Quando lo schermo cominciò a illuminarsi e a mostrare i suoi colori, sentii in lontananza, fuori dalla mia finestra, il suono delle campane del convento che si trova alla fine del mio quartiere e, oltre il quale, c'è solo aperta e sognante campagna. I rintocchi stavano a segnare il preciso mezzogiorno, così come il numero che lessi sul display (12:00 precise), e lo sguardo accompagnò con perfetta concomitanza l'udito.
Mi alzai dal letto con gli occhi increspati, il fiato pesante, il naso chiuso e, soprattutto, la mia folta, irsuta e bionda chioma sparata verso l'alto in tornadi di sconclusionati capelli. Tentai di aggiustare la loro posa con le mani, ma emisi un sonoro sbuffo di malcontento al sol pensiero di dover impiegare parte del mio faticoso tempo per far assumere loro una sembianza quantomeno presentabile. Benedetta maledizione, quella di lasciare che i propri capelli crescano. La pigrizia è il solo e vero nemico.
Aprii la porta per accedere alle altre stanze della mia casa, cosicchè da essere investito da numerosi raggi di luce, dimenticati fino a pochi secondi prima. Così posi un'altra tessera per costruire il gracile domino della mia esistenza.
  
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