Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Moiraine    29/12/2013    1 recensioni
Salve a tutti :)
La protagonista, Estel, è una ragazza dal passato oscuro e misterioso del quale apparentemente non ricorda nulla. Vive una vita difficile o, almeno, vive una vita difficile fino all'incontro con un ragazzo speciale.
Questa è la prima storia che pubblico; quindi non fatevi scrupoli e commentatemi o criticatemi.
Buona lettura :) Spera che la storia vi piaccia :)
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Melyanna
 
Estel rimase come pietrificata da quelle parole. Tutto nel suo corpo  si bloccò, perfino il suo cuore sembrò smettere di battere. I suoi occhi erano spalancati e fissi su quelli del rosso, che continuava a guardarla con un’espressione addolorata, ma non pentita.
Ainur.. come poteva lei essere Ainur? Non aveva senso, era davvero la cosa più lontana dalla verità che avesse mai sentito.
Lentamente scosse la testa, mantenendo sempre lo sguardo negli occhi di Mahtar. L’uomo strinse le labbra e le si avvicinò. Lei indietreggiò istintivamente, un gesto tanto innocuo, ma abbastanza potente da lasciare un segno violento nel morale del rosso.
«Non può essere..» sussurrò Estel, deglutendo a fatica. L’uomo si immobilizzò e prese un profondo respiro.
«Estel, è così fidati» le disse lentamente, continuando a guardarla. Lei scosse la testa.
«Non può essere, Vortha continua a cercarla, se fossi stata io se ne sarebbe accorto..» sussurrò, spostando lo sguardo e allontanandosi sempre più dall’uomo che non avrebbe mai esitato a chiamare padre.
«È così, tu sei lei» le disse sforzandosi di restare calmo. Lei scosse la testa. Non capiva perché Mahtar si ostinava a dire che lei fosse Ainur. Non poteva essere così.
«No..» sussurrò.
«Credi che non riconoscerei mia figlia?!» le urlò all’improvviso, stringendo i pugni. Il tono impetuoso e violento come una tempesta. Aveva gli occhi lucidi di collera e disperazione allo stesso tempo. Estel lo guardò, immobile. Poi gli voltò le spalle. Non riusciva più a stare in sua presenza. Mahtar, l’uomo che aveva sempre considerato un padre, che l’aveva sempre protetta e aiutata, era anche lo stesso uomo che le aveva nascosto la verità più importante di tutta la sua vita.
«Estel» la chiamò lui, con un tono di voce più delicato. Lei scosse la testa. Sentiva che stava per esplodere e non voleva piangere proprio di fronte alla causa del suo dolore. Prese un profondo respiro e iniziò a correre e istintivamente aprì la porta che l’avrebbe portata in soffitta, l’unico posto della casa in cui Mahtar non l’avrebbe mai seguita.
 
Estel percorse il piccolo corridoio e in breve si trovò davanti la scala a chiocciola. La salì e spinse verso l’alto la botola che però era chiusa a chiave. Sbuffò e si asciugò le lacrime che già avevano iniziato a rigarle le guance. Si guardò intorno.
Ricordava che il rosso teneva la chiave della soffitta appesa a un gancio accanto alla scala. Così, tirò su col naso e riscese la scala, controllando attentamente le pareti per riuscire a trovarla.
Una volta giunta alla fine vide qualcosa che non si aspettava, e si affrettò ad asciugarsi occhi e guance.
«Cercavi questa?» le chiese dolcemente Anar, porgendole la chiave della soffitta. Lei spostò lo sguardo verso il basso cercando di non piangere, ma la presenza del rosato le diceva di lasciarsi andare e di farsi consolare. «Mahtar l’aveva ancora con sé dalla nostra ultima punizione e pensava ti sarebbe potuta servire» continuò. Estel strinse i pugni e si morse le labbra. Non voleva piangere, assolutamente. Poi però, sentì la mano si Anar toccarle il mento, in modo da poterle girare il capo e guardarla negli occhi.
In quel momento l’effetto delle parole di Mahtar si fece sentire in tutta la sua violenza. Se era vero che lei era Ainur, allora, era stata lei ad uccidere sua madre e Gilraen; era stata lei ad uccidere l’uomo nel parco. E ad eliminare i genitori di Anar…
Spalancò gli occhi e indietreggiò velocemente, cercando di allontanarsi il più possibile dal rosato. Scosse la testa e iniziò a piangere forte, infischiandosene del fatto che Anar fosse di fronte a lei. Non poteva essere vero. Non poteva aver ucciso i suoi genitori. Non poteva essere stata lei.
«Estel» la chiamò dolcemente lui, avvicinandosi lentamente. Lei scosse la testa, e nuove lacrime le bagnarono il viso. Anar continuò a camminare, spingendola ad arretrare sempre di più, su per le scale, fin quando non si trovò con le spalle al muro.
«Ti prego, Anar» sussurrò tra i singhiozzi. Il rosato deglutì, ma non la ascoltò. Le si avvicinò tanto fin quando non poté afferrarla e stringerla forte contro il proprio petto.
Estel si sentì un egoista, ma non poté fare a meno di stringersi a lui e lasciarsi confortare. L’abbraccio del rosato era un rifugio sicuro, l’unico posto in cui si sentiva sicura. Però lei non meritava quella sicurezza; non meritava la sua protezione. Aveva ucciso la sua famiglia.
«Lasciami» gli sussurrò, cercando di divincolarsi con poca convinzione. Voleva lasciarlo; voleva che se ne andasse e la lasciasse da sola. Sapeva che era quello che meritava, ma non riusciva a staccarsi dal suo petto. Era egoista e cattiva.
«No, Estel» le rispose in un sussurro. Lei continuò a piangere.
«Io.. io ho..» cercò di parlare, ma le parole non volevano uscire. Anar sapeva chi avesse ucciso i suoi genitori eppure era lì che l’abbracciava.
«Lo so» le rispose, e per qualche secondo, sembrò che il suo abbraccio si fosse fatto più freddo. Fu un istante, ma bastò ad Estel per farle capire quanto bisogno avesse effettivamente di lui. Poi tornò tutto come prima. «Ma non posso farne a meno» le disse in un sussurro. Lei spalancò gli occhi, confusa. Che cosa voleva dire con quelle parole? Cercò di allontanarsi dal suo petto, ma la presa del ragazzo era ferrea. Poi però lentamente si allentò.
Lei lo guardò dritto negli occhi, per cerare di capire cosa stesse pensando, ma il suo sguardo era impenetrabile. Le porse nuovamente la chiave della soffitta, che stavolta lei prese. Dopodichè le sorrise dolcemente e lentamente se ne andò.
 
Estel rimase immobile ad osservare la schiena di Anar fin quando questa non scomparve oltre la porta. Era confusa, frastornata, ferita, spaventata, arrabbiata. Voleva a tutti i costi riuscire a trovare un qualcosa che le facesse capire che Mahtar si sbagliava. Una chiave, una risposta. Ma più pensava a tutto quello che le era successo, più i pensieri si confondevano tra di loro e lei non riusciva a capire nulla.
Si accorse pian, piano che stava continuando a piangere e che sperava davvero tanto nell’abbraccio di Anar; ma non lo meritava. Se davvero lei era Ainur, non meritava la compagnia del rosato; non meritava niente di lui.
Si asciugò le lacrime e lentamente si diresse verso la soffitta. Questa volta, grazie alla chiave, riuscì ad aprire la botola e ad intrufolarsi nel buio locale. L’unica luce proveniva dal corridoio; così decise di lasciare la botola aperta. Si sedette sul pavimento, si strinse le ginocchia al petto e si lasciò andare a tutte quelle lacrime che da tanto combattevano per uscire.
 
Non sapeva da quanto tempo piangeva lì rannicchiata per terra. Erano tanti i pensieri che le vorticavano in testa e ogni nuova consapevolezza era come una pugnalata.
Alzò il viso, per asciugarsi le guance e rimase pietrificata per qualche secondo. Davanti a lei, seduta su una cassa di legno, c’era la donna fantasma, che la guardava con uno sguardo preoccupo e dispiaciuto. Da come la guardava, probabilmente, voleva chiederle perché stesse piangendo in quel modo; ma Estel non aveva nessuna voglia di ripetere nuovamente quelle immagini che aveva rivisto centinaia di volte da quando si era seduta lì in soffitta. Così, anche per lasciarsi un po’ distrarre, indusse il fantasma a farla parlare un po’ di sé stessa.
«Perché ce l’hai con me?» le chiese in un sussurro. La donna la guardò stupita. Evidentemente, non si aspettava che il discorso finisse proprio su di lei. Poi però, si lasciò sfuggire un sorriso.
«Io non ce l’ho con te, cara Estel» le disse dolcemente, con un sorriso. La ragazza la guardò incredula.
«Allora perché ogni volta che ci vediamo cerchi di farmi del male?» le chiese, asciugandosi definitivamente gli occhi. La donna la guardò e, a poco, a poco, il suo sorriso si spense. Portò lo sguardo sulle proprie mani e ve lo lasciò per tanto tempo.
«Vedi..» iniziò a dirle, mantenendo immobile lo sguardo; «Avevo due figlie una volta. Due bellissime gemelle. Le amavo moltissimo con tutto il mio cuore» sussurrò con un tono dolce e con un sorriso intenerito; poi però, lo sguardo amorevole scomparve per lasciar posto ad uno più addolorato; «Purtroppo una di loro uccise l’altra» disse, stringendo forte tra di loro le labbra. Aveva il viso deformato dal dolore; sembrava quasi sul punto di piangere ed Estel si chiese se effettivamente i fantasmi potessero farlo. Ma sembrava proprio di no. Il viso di quella donna era la maschera della sofferenza, e sicuramente, se fosse stato possibile, in quel momento sarebbe stato rigato dalle lacrime.
«Ma.. io che c’entro?» le chiese in un sussurro, confusa. Il fantasma sollevò lo sguardo e la guardò attentamente per qualche secondo.
«Vedi.. tu me le ricordi entrambe» le disse in un sussurro, con un sorriso amaro. Estel spalancò gli occhi incredula. In poco tempo le ritornò in mente il sogno su Gilraen. Le due bambine erano identiche e alla fine Gilraen veniva uccisa. Possibile che fossero loro le bambine di cui parlava? Possibile che lei fosse sua madre? Allora Mahtar aveva avuto due figlie.. e si sarebbe spiegato perché quella volta aveva detto che Ainur gli aveva portato via la moglie e una figlia.. Poteva davvero essere quella la verità della sua vita? Lei aveva ucciso sua madre e la sua unica sorella?
Deglutì e cercò di restare calma. La donna poteva essere davvero la madre di quelle bambine, ma non era detto che lei fosse davvero Ainur.
«Come si chiamavano le tue figlie?» le chiese in un sussurro, deglutendo. Aveva paura, una paura incredibile della risposta che la donna avrebbe potuto dare. Quasi, aveva l’impulso di scappare lontano da quella soffitta, ma evidentemente, anche quella donna poteva darle molte risposte.
Il fantasma la guardò attentamente e in silenzio per qualche secondo. Poi sospirò e prese un profondo respiro.
«Ainur e Gilraen» le sussurrò.
Il cuore di Estel si bloccò per qualche secondo. Sembrava quasi che un pugnale l’avesse colpito in pieno impedendogli di pompare la vita nel suo corpo. Sentì nuove lacrime pronte a bagnarle il viso, ma non voleva piangere più. Voleva soltanto delle risposte. Se quella era sua madre, voleva sapere almeno il suo nome.
«Come ti chiami?» le chiese in un sussurro, deglutendo per evitare che le lacrime iniziassero a scendere.
«Melyanna» le disse con un sorriso.
«E sei la donna di cui Mahtar era innamorato vero?» le chiese lentamente. Melyanna rimase in silenzio per qualche secondo, dopodichè annuì.
«Eravamo innamorati e le due gemelle furono il frutto del nostro amore» le disse dolcemente con un sorriso. Estel annuì e rimase in silenzio.
Aveva mille domande da porre a quella donna. Per esempio, perché Ainur era cattiva? Perché le era stato dato quel coniglio? E perché Gilraen invece sembrava completamente diversa?
Respirò a fondo e si preparò alle parole che avrebbe voluto rivolgerle; però prima c’era un altro enigma che doveva risolverle. Avrebbe dovuto dirle o meno, che il suo amato credeva che lei fosse Ainur?
Ci pensò per qualche secondo, dopodichè concluse che era meglio nasconderglielo per il momento. Doveva avere le sue risposte e forse Melyanna, dopo aver saputo che lei poteva essere la sua bellissima figlia assassina, l’avrebbe cacciata per mai più rivolgerle la parola. 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Moiraine