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Autore: funklou    29/12/2013    32 recensioni
Al Norwest Christian College le cose vanno così: o sei popolare, o non sei nessuno.
Ma c'è anche chi, oltre ad essere popolare, è anche misterioso, quasi pericoloso. E nessuno sta vicino al pericolo.
Tutti sapevano quello che Luke Hemmings e i suoi amici avevano fatto.
Ricordatevi solo una cosa: le scommesse e i segreti hanno conseguenze.
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Dal secondo capitolo:
"A me, invece, non sembri un tipo così pericoloso. Forse strano" affermò Avril, senza distogliere l'attenzione dal suo libro.
"Due." Si guardò intorno, in cerca di un banco libero.
"Due?"
"Due."
"Cosa significa?" Alzò lo sguardo e lo guardò confusa.
"Sinceramente? Nulla. Quando non so cosa rispondere, o quando non voglio rispondere, dico due." Scrollò le spalle, come se fosse la cosa più ovvia e si allontanò.
"Questo conferma la mia teoria, Hemmings."
Doped!Luke
Scene di droga esplicite. Se ne siete sensibili, non aprite.
Il trailer di Two: http://www.youtube.com/watch?v=NE35nheHyZY
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Wherever you are.

C'è chi copre la tristezza improvvisando sorrisi cuciti e chi se ne frega e resta fermo senza prendersi la briga di fingere. Sta zitto e osserva la gente che gli sta attorno, guardando quante persone sarebbe potuto essere, e invece si ritrova ad essere solo se stesso.
E Luke faceva parte di quest'ultimo gruppo.
Quella sera, Avril lo aveva capito bene. Perché, una volta smesso di parlare, entrambi si ritrovarono abbracciati, lasciando che le lacrime solcassero le loro guance. Se li sarebbe presi lei tutti i ricordi e tutto il dolore, pur di metter fine alla sofferenza di Luke. Solo ora capiva quanto potesse pesare per lui quella morte, perché Ashton c'era ancora. Ashton era nella testa di Luke, nella sua coscienza, nei suoi ricordi, nelle sue lacrime.
Luke viveva di Ashton, nonostante non ci fosse più.
"Fa male." continuava a dire, avvolto dalle braccia di Avril. "Fa male perché lui stava affogando e non ha nemmeno avuto il tempo di chiedermi aiuto. E io non sono arrivato in tempo, Avril. Non mi ha lasciato, sono io che ho lasciato lui. Sono io." e un singhiozzo più prepotente irruppe in quella stanza. 
Avril gli prese il viso ormai completamente bagnato tra le mani e "Guardami." gli ordinò.
Luke aprì quel cielo tempestoso e fece incrociare le loro iridi. E ad Avril morirono le parole in bocca a quella vista, ché tanta disperazione concentrata in soli due occhi non l'aveva mai vista. Respirò profondamente e "Non è colpa tua, okay? Doveva andare così." gli disse.
Tirò su col naso, cercando di controllare le lacrime, perché non potevano salvarsi se uno dei due non avesse tenuto duro. 
Luke tacque, mantenendo lo sguardo fisso su di lei. Fu a quel punto che Avril lo baciò, senza pensarci nemmeno. Voleva dimostrargli che lei era davvero lì per lui, pronta a sorreggere entrambi. Era lì e non se ne sarebbe andata. E Luke probabilmente avrebbe accettato questa promessa, perché il bacio venne ricambiato. E nessuno, tranne lei, Calum e Michael, avrebbe mai saputo quanto questa cosa fosse importante: non capitava tutti i giorni che Luke Hemmings si fidasse di una persona, che accettasse di essere salvato.
Ai macchinari non funzionanti non interessa di essere riparati. Al grigio non importa di diventare bianco. Stanno lì inermi e basta, avvolti dall'apatia che non sembra nemmeno muoverli un po'. Accettano le cose così come vengono e, se le cose vanno per il verso sbagliato, non importa del male che dovranno subire. Lo subiranno in silenzio, perché l'energia e l'interesse di salvarsi non sanno neanche cosa siano.
Avril sorrise nel bacio, per poi staccarsi.
"Mi fa strano quel coso." affermò, riferendosi al piercing.
Luke trovò la forza di ridere e "Però ti piace." la rimbeccò. 
Lei alzò le spalle, cercando di nascondere tutta la serenità che quella risata le aveva messo. Non poteva ammettere a se stessa di dipendere così tanto da una persona.
Sciolsero quell'abbraccio troppo contaminato di sofferenze e Luke tornò a guardare il soffitto, con ancora tracce di lacrime sul viso.
Ed Avril, a guardarlo così, in quella stanza, in quel letto, avvolta dal silenzio, aveva solo una domanda che le impossessava la testa.
"Cosa siamo io e te, Luke?" 
Luke sembrò rifletterci. "Non mi va di definirci. Qualunque cosa siamo, a me sta bene così. Non mi va di etichettarci, perché sembrerebbe come sminuirci. Mi piace pensare di essere qualcosa di indefinibile." 
E, proprio mentre Avril stava per ribattere, la porta si aprì, rivelando Michael con ancora in mano un panino. Aggrottò le sopracciglia alla vista di Avril e Luke nello stesso letto e i due ragazzi lo guardarono, aspettando che dicesse qualcosa.
"Ahm..." guardò il panino che teneva in mano "Volevo chiedervi di venire a mangiare qualcosa, ma okay, torno giù."
Chiuse la porta ancora imbarazzato e Luke scoppiò a ridere.
"Non ridere, chissà cosa stava pensando!" gli diede un leggero schiaffo sulla spalla e lui la guardò con un mezzo sorriso.  
Avril era così abituata a scannerizzare ogni suo sorriso che se ne rendeva conto quando il ragazzo aveva qualcosa che non andava. Lo capiva anche affogando in quei suoi pozzi d'acqua, lo capiva dai suoi movimenti più veloci. E lo sapeva, sapeva che stesse per avere un'altra crisi. E infatti, dopo cinque minuti trascorsi in silenzio, sentì Luke muoversi e sedersi di scatto nel letto. Si portò una mano al polpaccio e iniziò ad imprecare.
"Calum, Michael!" gridò lei col cuore in gola mentre si alzava dal letto.
I due furono subito in camera. Calum gli mise in mano alcune pillole, che prontamente Luke mandò giù. Michael gli passò un bicchiere d'acqua, che bevve in un solo sorso.
Avril se ne stava appoggiata al muro, perché lei, queste cose, aveva paura di gestirle. Aveva le palpitazioni solo guardando Luke contorcersi sul letto.
"Cazzo, i muscoli!" 
"Adesso passa, Luke, adesso passa." Calum lo affiancò, si sedette vicino e aspettò che si calmasse. 
Ma il biondo, di calmarsi, proprio non ne voleva sapere. Si mise le mani intorno alle ginocchia e iniziò a dondolarsi su stesso. Era grondante di sudore e probabilmente Avril non si sarebbe più scordata la sua espressione segnata dal dolore. Iniziò anche a respirare affannosamente e lei desiderò vivamente di non essere lì. Stava morendo insieme a lui, sentiva ciò che provava sulla sua pelle. Si accovacciò anche lei a terra, e Michael parve accorgersene. 
"Stai bene?" le chiese, abbassandosi pure lui. 
Ma Avril sentiva solo quel respiro affannoso che faceva eco per tutta la stanza. Voleva che Luke smettesse di respirare così. Voleva che smettesse perché faceva male, le mandava a puttane la testa. Si portò le mani alle orecchie, Michael le strinse il braccio e "Ora si calma, va bene?" cercò di rassicurarla. 
Poi Avril si alzò, lasciando Michael perplesso, e fece il giro della stanza, per poi andarsi a sedere dall'altra parte del letto. Intrecciò la sua mano in quella di Luke, attirando la sua attenzione. Si guardarono ancora, stravolti come sempre.
"Non puoi neanche immaginare quanto male fa." proferì lui sottovoce, con il petto che si alzava ed abbassava velocemente.
"Non lo voglio sapere." 
"Chiudi la finestra, Cal." ordinò Luke, ma continuando a puntare le iridi in quelle della ragazza.
Calum lo fece.
"Ma tu avevi caldo." Affermò Avril.
"Ma tu stai tremando."
Ed Avril si ritrovò a sorridere, così come Calum e Michael perché, nonostante Luke stesse in quelle condizioni, si preoccupava per lei.

Due ore passarono così, ed ormai era l'una di notte.  Nessuno si azzardava ad accendere la luce di quella stanza, nemmeno la madre di Luke quando tornò dal lavoro. Avril chiese a Calum se in casa di Luke vivessero altre persone, e lui le rispose che sì, c'era un padre, che non tornava quasi mai, ed altri due fratelli, ma che entrambi alloggiavano perlopiù al college. Tutto questo glielo disse mentre il biondo dormiva, completamente risucchiato dalle coperte. 
Avril non si staccò da lui nemmeno un secondo.
"Io e Michael andiamo giù, potremmo addormentarci sul divano. Lo lascio a te, ma appena succede qualcosa, puoi chiamarci e saremo qui immediatamente. Okay?" 
Avril annuì e li vide sparire nel corridoio. Si intrufolò anche lei sotto le coperte e si accoccolò contro il petto di Luke. Aveva un respiro regolare e solo questo le bastava per stare tranquilla, riuscendo anche ad addormentarsi.

La situazione precipitò verso le 3:20 di quella stessa notte.
Avril fu svegliata da un verso quasi trattenuto da Luke, ed anche se la stanza era completamente buia, lo vide agitarsi e mordersi forte il labbro. Ciò che la spaventò fu forse il sangue che macchiava i suoi denti solitamente bianchissimi e "Che cazzo fai? Smettila, Luke!" disse sommessamente, anche se avrebbe voluto urlare.
Luke smise come gli era stato ordinato, si tolse la maglia e rimase con una semplice canottiera. Si girò su un fianco per guardarla. La abbracciò forte ed Avril incastrò una mano tra quei capelli bagnati. 
Luke tremava così insistentemente che faceva fremere anche lei.
Ed Avril aveva paura.
Luke era completamente fradicio di sudore freddo, ma non si sarebbe mai staccata da lui. E in un secondo si impossessò delle labbra di Avril, che trasalì, poiché non se lo aspettava in quel momento. Il sapore metallico del sangue si mischiava con ogni paura che li assaliva, con ogni assillo, preoccupazione, tormento. E Avril glielo voleva dire che, anche se non ce l'avessero fatta, avrebbero perso insieme.
Le labbra si dischiusero quasi spontaneamente, e il bacio divenne più coinvolgente: non volevano fuggire l'uno dall'altra, ma solo rincorrersi. Non potevano fuggire, non quando tutto ciò che c'era bisogno era che restassero e che si confermassero. Luke le sfiorò il viso, ed  Avril non pensava a quello che sarebbe successo dopo, si isolò completamente. Pensò a quelle labbra morbide, a quel piercing che si scontrava contro la sua pelle, a quella lingua calda che cercava continuamente la sua. 
E, in qualche modo, Luke parve calmarsi.
I loro corpi sembravano formarne uno solo, e Avril penso che, se quello fosse stato il modo per calmarlo, lo avrebbe fatto ogni volta e con piacere.

La notte continuò più o meno così. Provarono a dormire ancora un po', ma Luke si agitava all'improvviso, iniziava a respirare a fatica e a grattarsi furiosamente le caviglie. Le caviglie, cazzo. E quelle se le scorticava quasi. E Avril allora lo baciava e stringeva quel corpo tremolante fra le sue braccia, coperto solo da una canottiera bianca e un paio di boxer. 
Ma non avrebbe mai chiamato Calum e Michael: voleva che Luke dipendesse completamente da lei, sentiva di poterlo fare.

Al mattino, non appena Avril aprì gli occhi, trovò accanto a sé un Luke addormentato. Aveva i capelli scompigliati e la bocca socchiusa. Il suo corpo era freddo, eppure sembrava star bene. Sorrise debolmente e cercò di alzarsi cautamente per non svegliare il ragazzo che, dopo una notte insonne, era riuscito finalmente a prendere sonno. 
Luke mugugnò ed Avril scese dal letto. Attraversò il corridoio e scese al piano di sotto, trovando Calum seduto sul bancone della cucina con in mano una tazza di latte, e non molto più in là Michael disteso sul divano che "Non c'è niente alle sette del mattino in tv." si lamentò sbuffando.
"Buongiorno." salutò lei non appena fu sulla soglia della porta.
Calum le dedicò un sorriso raggiante e "Buongiorno a te, Avril." disse.
"Ciao bionda!" sentì dire dall'altra parte della stanza. 
Storse il muso per quel nomignolo, ma non ci diede molto peso.
"Dormito bene?" domandò il moro, sorseggiando dalla tazza.
Avril lo guardò accigliata, facendogli capire che sarebbe stato meglio non parlarne nemmeno. 
"Ti avevo detto di chiamarmi."
"Fa niente, ora sta dormendo." 
Calum sbuffò.
"Io vado a scuola, provo a non addormentarmi sul banco. Tu ci vieni?" continuò lei.
Il moro esitò per alcuni istanti, alzò le spalle e "Non lo so." le rispose.
Avril annuì. "Okay, allora ci si vede oggi, forse. Vai a controllare Luke, mh? Ciao Cal." gli si avvicinò, gli lasciò un bacio sulla guancia e si avviò verso la porta.
"Ciao Michael!" parlò più ad alta voce per farsi sentire e, non appena le venne ricambiato il saluto, si chiuse alle spalle la porta.
Avril si strinse nella sua felpa: il vento al mattino ti colpisce così forte da farti irrigidire il corpo ed è fastidioso, perché non è mite, è totalmente ghiacciato e ti si insinua quasi sotto pelle. 
Con le gote rosse si diresse verso casa sua, consapevole che quella mattina ci sarebbe stata Vicky ad accompagnarla a scuola. Forse le avrebbe detto tutto, un giorno.
Camminò in un silenzio rilassato, interrotto solo da poche macchine che sfrecciavano, guidate da lavoratori che tentavano di arrivare in orario.
Ma ogni sua certezza, ogni sua corazza ed ogni sua previsione furono abbattute davanti ai suoi occhi quando, messo piede in casa di fronte all'entrata c'erano due valige. E ad Avril salì una voglia di urlare che le si bloccò in gola. Deglutì, strinse le mani in due pugni perché non voleva che tremassero. Si pietrificò completamente. Non le guardò più, quelle valige.
Non le guardò perché sapeva per chi fossero. Sapeva dove erano destinate e odiava quella destinazione.
La odiava perché era la stessa sua.
Sbatté la porta e corse su per le scale, ignorando le grida di sua madre che le era arrivata appresso. Corse veloce, si immaginava di scappare da quella città. Entrò in camera sua e chiuse la porta con ferocia. Si buttò sul letto, premette il viso contro il cuscino e tirò così tanti pugni da perderne il conto. Urlava e la sua voce veniva catturata dalla stoffa che subiva tutto.
Lei non voleva andarsene a Melbourne.
E' come quando senti di essere sulla strada giusta e, mentre la stai percorrendo, te la sbarrano e sei costretta a tornare indietro. Ma se te ne stai andando vuol dire che non vuoi stare lì, non vuoi tornare indietro, non vuoi mettere i piedi in un qualcosa che odi proprio perché sei stata costretta a lasciare con forza in passato. 
Ti abitui involontariamente a quello che la gente ti piazza davanti e hanno anche il coraggio di distruggere quell'abitudine.
"Non starai là tutta la vita, Avril." udì sua madre dire da dietro la porta.
"Perché mi fai questo?" biascicò tra i singhiozzi.
La sentì prendere un lungo respiro e "Dove sei stata stanotte?" le domandò, affievolendo la voce.
Avril non le rispose. Si limitò a un "Vai via." e si girò su un fianco. 
Non seppe quanto tempo sua madre restò lì, dietro la porta. Ma da quella stanza non ci uscì per tutto il giorno. Si addormentò piangendo e si risvegliò col cuore a mille per almeno quattro volte.
E forse non piangeva per il fatto che dovesse tornare a Melbourne, ma perché dovesse lasciare Sydney.
Lasciare le vie del centro, quelle in cui nessuno la conosceva. Lasciare la sensazione di poter fare quello che si vuole, di essere se stessa. Lasciare Calum. Lasciare Michael.
Lasciare Luke.

Non andò a scuola, non mangiò a pranzo, non mangiò a cena. Verso sera sua madre si ripresentò fuori dalla sua stanza, Avril sbuffò. 
"Se mi apri possiamo parlarne civilmente."
E la figlia stava combattendo con se stessa, perché la voce della donna era stanca e preoccupata. Si morse il labbro, quasi forte come Luke aveva fatto la notte. Scese piano dal letto, sentendosi le gambe quasi cederle. Fece girare le chiavi nella serratura e nell'esatto momento sua madre l'abbracciò.
Sapeva che, finendo tra quella braccia, sarebbe finita anche a Melbourne.
"Lo sai che vorrei che tu restassi con me, ma so quello che faccio e so che ti farebbe bene." 
Avril osservava il corridoio che aveva davanti a sé, con il viso nell'incavo del collo della madre. 
"Non voglio rivedere papà, non voglio lasciare ciò che ho qua." 
Staccò l'abbraccio e "L'ho chiamato." annunciò. "Ha detto che è felice di averti lì per un po' e che ti darà i tuoi spazi." 
"Non hai idea di..."
"Sì che ne ho idea, Avril. Ho idea di quello che ti sto facendo fare, ma so che, andando là, ritroverai te stessa." 
Avril scosse la testa, perché era consapevole che sua madre stesse dicendo frasi caso. Non sapeva proprio niente, lei. Non sapeva cosa realmente stesse lasciando a Sydney. Ma quegli occhi lucidi e quelle braccia materne le avrebbero sempre fatto dire di sì, contro ogni sua volontà.
"Per quanto tempo... Per quanto tempo dovrò stare lì?"
"Non lo so, per ora." 
Abbassò la testa e "Ci penserò." affermò.
"Non puoi pensarci, stanotte parti." 
Alzò lo sguardo, esaminò il suo viso per confermare se ciò che aveva sentito fosse vero. E quando vide la donna in preda all'ansia per ciò che Avril avrebbe detto di lì a poco, capì che no, non era uno scherzo. 
"L'indirizzo, i biglietti e tutto te li ho già preparati. Vieni qui, dai, mi dispiace." e l'abbracciò ancora, l'abbracciò come se se ne dovesse andare per tutta una vita. E questo faceva paura da morire ad Avril.
Doveva andare contro se stessa solo per sua madre. Doveva farlo, non era un prendere o lasciare, era un prendere e basta.
Quando il contatto finì, prima che Avril se ne tornasse in camera, la donna la richiamò e "Mi piacciono." disse indicando i capelli.
E due sorrisi amari spuntarono sulle loro labbra.

Partì alla mezzanotte dello stesso giorno. Partì senza pensare a quello che avrebbe lasciato dietro di sé, altrimenti sarebbe tornata subito indietro. Guardava le case che si sfumavano dai finestrini e si immaginò che tutto potesse fermarsi, che quel treno potesse bloccarsi, in modo che potesse uscire e tornare a casa. 
"Questo non è quello che voglio." disse a se stessa. 
Non avvisò nemmeno Calum, Luke o Michael prima di partire. Le avrebbe fatto troppo male. 
E l'ansia di condividere la stessa casa di coloro che più odiava stava iniziando a farsi sentire. Sai che ti stai imbattendo in qualcosa che non vuoi e non puoi ripensarci. Sai che stai mettendo il piede in campo nemico e sei spacciata.
Chiuse gli occhi, cercò di non pensarci. 
Ma non riusciva. Non poteva non pensare al fatto che avrebbe rivisto Jason, o chiunque altro conoscesse a Melbourne. Sapeva che avrebbe avuto in casa un ragazzo sconosciuto, un padre che detestava e una donna che, anche se non aveva mai visto, sapeva di odiare. 

Le ore di viaggio, alla fine, furono circa 8. Arrivò alla stazione centrale di Melbourne che era ormai mattina, e una fila di taxi era già pronta davanti ad Avril. 
Diede il foglietto con su l'indirizzo al tassista non appena salì sulla macchina e, dopo aver sistemato le valigie, partì.
Avril aveva un peso nel petto. Avril stava andando controcorrente.
Guardava la sua Melbourne come si guardano gli oggetti vecchi: con un po' di malinconia e tristezza, con fretta e paura perché hai timore che essi portino ricordi che bruciano. 
Aveva le mani congelate e non riusciva a tenerle ferme. 
Pensava a Luke. Lo stava lasciando e senza preavviso, esattamente come Ashton.
Osservò quelle vie che conosceva a memoria, quei grattacieli abnormi, quelle infinite case attaccate. Passò vicino anche alla strada di casa sua, e a quel punto dovette proprio abbasare lo sguardo.
Poi la macchina si fermò. Parcheggiò in un viale isolato, silenzioso: le ricordò quello suo di Sydney. Scese dall'auto, pagò l'uomo e questi l'aiutò con le valige. 
"Buona giornata!" la congedò.
"Anche a lei."
Si trascinò fino alla staccionata della casa che aveva davanti, che era piuttosto ampia. Anzi, era davvero bella.
Premette il campanello, quello con su il cognome Mitchell. Storse il muso, aspettando che qualcuno venisse ad aprirle. Qualcuno che avrebbe odiato indipendentemente da chi fosse stato.
La porta si aprì dopo alcuni minuti, e davanti a sé trovò un ragazzo abbastanza alto, dai capelli biondo scuro, mossi nel ciuffo e tenuti fermi da una bandana arrotolata.
"Tu devi essere Avril!" trillò il ragazzo.
"Già, però possiamo anche fare così: io non ti parlo, tu non mi parli. Okay?" 
Forse questo le era uscito davvero acido. Forse non voleva nemmeno, eppure quello era sicuramente il 'nuovo figlio' che l'aveva sostituita. Il figlio modello, quello che suo padre lodava tanto.
Lui si intristì un po' e "Ma io sono Ashton." le provò a dire.
Quel nome la fece un po' trasalire.
"Ma a me non frega. Davvero, Ashton, non vorrei essere nemmeno qui. Fammi entrare, va." 
Ashton scoppiò a ridere, ma si spostò dall'entrata. Avril entrò in quello che doveva essere il salotto e "Le lasci fuori, quelle lì?" le chiese, sempre con un fare divertito.
"Non mi importa." decretò lei, sedendosi a peso morto sul divano.
"Stanca?"
"Molto." 
"Avrei dovuto mostrarti la tua stanza, però." 
"E' uguale, non fa niente. Ce l'hai un bicchiere d'acqua?"
"No, qui si muore disidratati." 
Avril lo guardò, alzando un sopracciglio. Lui, prima serio, scoppiò di nuovo a ridere. 
"Ovvio che ce l'ho!" disse poi, versandoglielo.
Quel tizio, Avril lo trovava tra il fastidioso e il ridicolo. Però almeno non era uno con il muso. Le porse il bicchiere e finalmente bevve. Poi le si sedette di fronte e la fissò.
Avril se ne fregò.
"Non c'è nessuno in casa?" gli domandò.
"No, sono tutti al lavoro."
"E tu non sei a scuola?" 
"Ci posso andare quando voglio." 
Okay, questo ragazzo era seriamente strano. Aveva anche una voce strana, un atteggiamento strano, una risata strana e degli occhi verde strano. 
"Va bene, ora lasciami un po' da sola." lo liquidò così, chiudendo gli occhi e riposandosi un po'.
E lui rise ancora, come se davanti a lui avesse avuto il film più divertente di sempre. Non era dispiacevole la sua risata, eppure Avril era così nervosa che non l'avrebbe mai ammesso.
Ashton finalmente si alzò e se ne andò in qualche parte della casa che ad Avril non importava minimamente. 

Si svegliò solo quando sentì vibrare il cellulare nella sua tasca. Mugugnò e imprecò appena percepì una fitta al collo, che fino a quel momento aveva tenuto in una posizione sicuramente scomoda.
Socchiuse gli occhi e prese in mano il cellulare, per poi rispondere alla chiamata.
"Tu! Dove sei?" 
La voce di Calum le arrivò quasi accusatoria, come un pugno nello stomaco.
"Se te lo dicessi non ci crederesti nemmeno."
"Dimmelo." 
Schietto, incazzato, pretendente.
"A Melborune." si morse un'unghia, respirò a fondo.
Silenzio.
"Stai scherzando, stai scherzando."  
E lei voleva davvero che fosse così, che fosse uno scherzo. Ma il divano su cui era seduta di certo non era il suo; quelle pareti non erano le sue, nemmeno quel profumo che invadeva la stanza non era quello di casa sua.
"No." 
"Che cazzo ci fai lì, allora?"
"Mi ha costretta mia mamma, ma io non-" si fermò, poiché sentì delle voci provenire dall'altra stanza.
"Non?" 
"Ascoltami, ti richiamo dopo e ti spiego tutto. Dimmi solo che sta bene." 
E Calum non rispondeva, e il suo cuore ora sì, che ce lo aveva a mille. 
"Dimmelo, Cal." lo spronò con gli occhi lucidi. C'era un qualcosa che le stava divorando lo stomaco, lo sentiva.
"Non posso." affermò dopo tutti quei secondi colmi d'ansia. 
Lo sentì sospirare e proprio non ce la fece. Chiuse la chiamata e si alzò dal divano. Raggiunse la stanza dalla quale provenivano le voci e, non appena varcò la soglia, una donna la salutò calorosamente.
"Ciao Avril, finalmente ti sei svegliata!" 
Avril avrebbe voluto risponderle: "Ma chi ti conosce?", eppure si limitò a sorriderle imbarazzata. Aveva questa cosa nello stomaco che non le faceva avere la forza per risponderle a tono. Ashton era seduto a tavola che mangiava un piatto di pasta e le sorrideva divertito. Lo guardò perplesso e "Vado in camera, comunque." disse.
La donna fece un verso di delusione, proprio come i bambini piccoli.
"Non puoi saltare la cena!"
"Non ho fame, davvero." 
E a quel punto Ashton si alzò, le passò di fianco e uscì dalla cucina.
"Ti mostro la stanza." le comunicò, sotto lo sguardo truce della madre.
Avril non disse niente, lo seguì e basta. Salirono le scale, arrivando ad un corridoio lunghissimo, sul quale si affacciavano almeno dieci camere. Ashton la portò nella penultima, le aprì la porta e "Eccola qui." annunciò. Avril ci entrò lentamente, stupendosi quando all'interno ci trovò le sue valige.
"Ma..."
Lui si strinse nelle spalle. "Altrimenti le avresti lasciate lì fuori per tutta la notte." 
La ragazza si sedette sul letto, guardandosi intorno.
"Allora io vado, e non ti dico di chiamarmi per qualunque cosa vuoi perché sono davvero uno sfaticato." rise ancora, ed Avril ne fu contagiata.
Non era mica a posto quel ragazzo.
Poi chiuse la porta e se ne andò, lasciandola sola tra le sue malinconie. Si sdraiò su quel letto che sapeva di nuovo, un profumo che non si avvicinava neanche lontanamente a quello vissuto di Luke. 
Luke.
Luke che probabilmente ora si stava contorcendo per un crampo ad una gamba, e stava urlando, e si stava chiedendo dove diavole lei fosse. 
Prese il cellulare, per poi trovare sullo schermo una quindicina di chiamate senza risposta: metà appartenevano a sua madre, e l'altra a Calum. Decise di chiamare quest'ultimo, almeno avrebbe placato il senso di vuoto che le si stava irradiando dentro.
"Pronto?" rispose subito.
"Calum."
"Dio, finalmente..."
"Lo so, mi dispiace, davvero."
"Allora? Che ci fai lì?"
"Mia mamma crede che io abbia bisogno di rimettermi in riga, così mi ha spedita a Melbourne, a casa di mio padre, che ha un figlio che a quanto pare eccelle in tutto. Ma a me sembra solo un tizio sbadato che ride sempre." gli spiegò. 
"Oh..." fu tutto quello che a Calum uscì di bocca.
Forse era proprio così. Forse quella situazione, da quanto era drastica, non si poteva nemmeno descrivere.
"Senti, Luke sta tanto male?" cambiò discorso, perché era proprio questo il problema principale.
"Vomita da questo pomeriggio, io non lo so. Ma non mangia, quindi che cazzo butta fuori?" chiese retoricamente esasperato.
Quella sembrava una tortura, ad Avril. Voleva essere lì, voleva tenergli la testa mentre vomitava l'anima, voleva stringerlo la notte mentre si svegliava dal dolore, voleva baciarlo e staccarlo dal mondo. E non poteva. 
900km la stavano uccidendo.
Le stavano chiaramente dicendo che non poteva salvarlo, in quel momento.
"Quando torni?" le domandò, siccome non ricevette alcuna risposta dalla ragazza.
"Non tra molto." rispose decisa. Era una totale follia e lo sapeva. Ma, per Luke, avrebbe fatto anche altro. 
"Uhm, okay. Lo spero. Luke ha chiesto di te, appena si è svegliato. Anche Michael, pensa un po'. E poi lo sa, manchi anche a me." concluse più insicuro.
Avril sorrise a quella dichiarazione, anche se lui non l'avrebbe mai vista.
"Anche tu, Cal." 
"Bene, vado a tenere d'occhio Luke. Torna presto, eh." 
E detto questo la chiamata terminò. 
Terminò come ogni pensiero di Avril, che si rannicchiò sotto le coperte e chiuse gli occhi, cercando di addormentarsi il prima possibile. 

Si svegliò una decina di volte, quella notte. Ed ogni volta l'incubo peggiore era quello di ritrovarsi in una stanza che non era la sua. Verso mezzanotte sentì chiaramente la voce di suo padre che era tornato a casa dal lavoro, e in quel momento cercò invano di tapparsi le orecchie col cuscino.
Quella notte era persino più brutta di quella passata insonne con Luke. 

Quando al mattino si svegliò, non gliene fregò niente che ci fosse la luce al posto del buio. Perché non sarebbe uscita da quel letto neanche morta. 
Qualcuno verso le dieci si presentò dietro la sua porta. E, non appena udì la voce, capì che quel qualcuno fosse un Ashton che voleva che assaggiasse dei cereali che lui reputava buonissimi.
"Sei pazzo, lasciami stare." biascicò Avril con la faccia spiaccicata sul cuscino e gli occhi ancora chiusi.
"Okay, però te li lascio qua fuori. Quindi, se per caso uscissi dalla stanza, magari non schiacciarmeli, così me li mangio io fingendo che mi dispiaccia il fatto che tu non li abbia mangiati." rise e se ne andò.
Forse Avril aveva capito che persona fosse, Ashton. Sperò che fosse una di quelle che sorridono per non far uscire neanche un po' di dolore che nascondono dentro di loro. Ci sperò così tanto che se ne era proprio convinta, perché una persona così solare non era umanamente possibile che esistesse. 
Luke, probabilmente, se avesse conosciuto questo tizio, gli avrebbe sputato in un occhio, perché non avrebbe mai capito il suo stato perennemente macchiato dal grigio.
Erano a due poli opposti.
Desiderò tanto che quello a camminare in quella stanza fosse Luke e non Ashton. Lo desiderò davvero.
Ma sapeva che, ovunque fosse, sarebbero stati vicini, lei e Luke. 
Se lo erano promessi involontariamente la notte prima.






Hei people!
Mi piace il fatto che iniziate a chiedermi: "Aggiorni stasera o stanotte?" lol.
Sono l'autrice di EFP più disorganizzata, e mi amate proprio per questo. No, anzi, ora avrete smesso di amarmi per questo capitolo. E a me tremano quasi le gambe, non sto scherzando, per il personaggio che ho inserito. Ho paura e non so perché.
Mi sa che soffro con Avril, o forse con Luke. 
Boh, ma questo non c'entra. C'entra che Luke ed Avril ora sono legati da questa sorta di mancanze che non si sa più come spezzare. 
Sono contaminati. 
Mi piace questa parola.
Sono contaminati nonostante 900km, perché Avril, Luke se lo sente addosso. E lui chiede di Avril. 
E poi c'è questo ragazzo: Ashton. Io... Non lo so, non ne voglio parlare. Che autrice strana che sono, lo so. Preferirei che a parlare foste voi.
Quindi ora me ne vado così, e vi ringrazio.
Ciao belle!


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