Fanfic su artisti musicali > Green Day
Segui la storia  |       
Autore: innerain    01/01/2014    0 recensioni
".. Hey, Platypus, indovina un po' chi ti ha portato il Frappucc-"
Si bloccò di colpo.
Sul suo viso, incredulità.
L'incomprensione della realtà, la confusione, il terrore, lo stupore; il caos.
Dipinto su quegl'occhi color ambra, grandi e spalancati.
Seduti davanti a lei, i Green Day.
Uno davanti all'altro; Tré più verso di lei, che copriva parzialmente Mike, seduto al centro, e in fondo, quasi sul lato opposto della stanza, Billie. La mente si rifiutava di capire, il cuore di battere; erano Loro. Non una foto, non un video clandestino su YouTube, non un poster, non il booklet di un CD. Non un sogno.
Erano Loro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Author's note: Non so bene come giustificare un aggiornamento dopo più di un anno di attesa. So che potrà sembrare che io abbia smesso del tutto di interessarmi a questa storia - ma ad essere sinceri è vero esattamente il contrario. Per quanto ci siano stati mesi in cui non ho scritto nulla (quelli tra marzo/aprile e luglio), causa maturità e conseguente studio, l'affetto e l'amore che provo per questa storia non mi ha mai permesso di "dimenticarmela". Ora che la vita universitaria mi sta riservando un anno di grandi difficoltà e di scelte - ma anche di tanti momenti morti - con l'aiuto di due persone meravigliose e meravigliosamente disponibili e generose, sto riprendendo le fila di tutto con quella che spero sarà rinnovata ispirazione e voglia di scrivere.
Se vorrete essere con me in questo "viaggio", vi prometto che potrò riprendere ad essere consistente - e, chissà, magari anche a divertirvi un po'.

Per farmi "perdonare" di questa attesa vi lascio un capitolo particolarmente lungo. Voi, però, fatevi perdonare lasciandomi almeno qualche commento. Sappiate che fanno tutta la differenza - davvero.

Rage & love,

M






Title: Cigarette-stained moments
Soundtrack: Maria, Green Day; Resolve, Foo Fighters





 
John: Because I had a row in the shop with a chip and PIN machine.
Sherlock: You had a row with a machine?
John: Sort of. It sat there and I shouted abuse.

["The Blind Banker", Sherlock ]
 
 
 




Prendere le carote, passare le carote sulla macchina. Mettere le carote nella busta.

Erin non era più neanche tanto sicura che quella voce nella sua testa fosse la propria, quanto più probabilmente quella della noiosissima voce automatica del chip and pin machine, che approvava ogni prodotto passato sulla lastra a raggi infrarossi ripetendo con mono-tono il nome ed il prezzo del prodotto – come a voler aiutare con caustica ironia la semi-dormiente e da giorni insonne Erin, facendole notare di quando in quando qualche confezione di caffé di troppo, o un prezzo troppo alto per il suo budget troppo ridotto.

Beeep.

Ed eccola di nuovo, la voce. Mai colorata da intonazione, così odiosa. Erin prese alla cieca il successivo alimento.

Prendere il latte (1% fat milk, two-dollars and seventy-nine cents, le ricordava la macchina), passare il latte (1% fat milk, two-dollars and seventy-nine cents) sulla macchina. Mettere il latte (1% fat milk, two-dollars and seventy-nine cents) nella busta.

Beeep.

Erin provò a lanciare un'occhiataccia alla macchina, tanto per ricordarle il suo posto nella scala gerarchica della loro società tecnologizzata, ma la stanchezza fece risultare la silenziosa minaccia come semplice esasperazione, come se non desiderasse altro che quella donna irritante nascosta dietro allo schermo luminoso se ne stesse zitta per qualche minuto.

Prendere il burro d'arachidi (piccolo e lussurioso piacere - Jif Creamy Peanut Butter, three dollars and eighteen cents, sentì blaterare), passare il burro d'arachidi (Jif Creamy Peanut Butter, three dollars and eighteen cents) sulla macchina. Mettere il-

“Unexpected item in bagging area.”
Rimproverò con voce melliflua la donna/macchina. “Please try again”.

Erin si risvegliò improvvisamente dal suo stato di trance, tirandosi su con uno scatto e guardando la macchina come se avesse detto la più incomprensibile delle frasi.
Riprovò a passare il burro d'arachidi sulla lastra.

“Unexpected item in bagging area.” Ripeté la macchina. “Please try again”.

Respirando profondamente, l'irlandese provò a passare nuovamente il piccolo barattolo sui raggi infrarossi, facendo particolare attenzione ad accompagnare lentamente il codice a barre precisamente sul punto di lettura.

“Unexpected item in bagging area.” Ribadì la voce. “Please try-”.

"Va bene, ho capito! Grazie!” Esclamò la ragazza, poggiando rabbiosamente il burro d'arachidi in un apposito ripiano per i prodotti indesiderati. “Tienitelo, non lo prendo più. Contenta?”

Con un sospiro esasperato, tentò con il successivo alimento, tentando di calmarsi. Ci mancava solo che me la prendessi con una macchina..
Con i chocolate chip cookies fu il momento del “Item not scanned”, che si ripeté anche con i bagels, ai quali però Erin non volle rinunciare, quando improvvisamente arrivò fulmineo un aiutante della catena di supermercati che inserì il codice, passò la confezione sul punto di lettura e scomparve, il tutto nel giro di qualche secondo.
Quando infine la donna elettronica osò sfidarla con un “Card not authorized. Please use an alternative method of payment.”, Erin alzò gli occhi al soffitto, trovando la frase del 7/11 a graziarle ulteriormente la vista.

Home is where your heart is - we are your heart and your home. Oh, Thank Heaven for 7-11!”

Erin soppresse un urlo esasperato, mentre con la coda dell'occhio notava che tutte le persone in fila dietro di lei si spostavano verso altre macchine.
But what a shame, 'cause everyone's heart doesn't beat the same, le venne da pensare, con un arreso mezzo sorriso che le increspava inconsciamente le labbra.
Mentre tentava di appoggiare le buste di plastica a terra, le squillò il cellulare. Cercando di equilibrare il peso di due buste e mezza - un manico aveva deciso che l'integrità era roba da pivelli, da buste conformiste e troppo obbedienti - in una sola mano, si appoggiò il telefonino tra la spalla e l'orecchio, recuperando le ultime buste rimaste a terra.
 
“Pronto?”

Non fece neanche a tempo a sentire la risposta, che il cellulare scelse esattamente quel momento per tentare un'ultima fuga per la libertà, scivolandole via dalla spalla per poi rimbalzare più e più volte sul pavimento. Come se non bastasse, la donna nascosta nell'apparecchio tecnologico decise che era assolutamente necessario che Erin ritirasse il suo scontrino, rendendole noto il fatto con una voce che ad Erin parve più che mai stizzita e velenosa – fu allora che le sue origini campagnole irlandesi non tardarono a farsi sentire in una colorita espressione di rabbia ed esasperazione.

Una volta recuperato il telefono e trovato un tavolino appartato nel coffee shop alla fine delle casse, Erin osò rispondere.
 “Era un momento decisivo nella mia personalissima lotta contro la tecnologia. Chiedo scusa per aver importunato eventuali ascoltatori.” Annunciò, con finto tono gioviale.

Fu nel momento in cui sentì una mezza risata dall'altra parte della linea, che le venne da chiudere gli occhi e pregare un dio nel quale neanche credeva di farla risvegliare da quello che le sembrava fosse un sogno di pessimo gusto.
 “Da ora in poi allora ti invierò un piccione viaggiatore, considerando anche quanto ami rispondere al telefono..” La voce, quella voce, inconfondibile - la sua.

Tentando per l'ennesima volta di ingoiare l'imbarazzo quanto i suoi istinti di rabbiosa distruzione dell'intera stirpe dei dispositivi elettronici, Erin sospirò.
 “Dimmi che hai un qualche radar che ti permette di sapere quali sono i momenti peggiori per chiamare, perché sembra quasi che ti piaccia mettermi in imbarazzo in questo modo..” Erin rispose, stanca ed innervosita. Era tutto così assurdo..

Accidenti, Erin. Veramente meravigliosa come frase – più un insulto di così non ti poteva uscire.

Il breve silenzio che seguì non fece altro che aggravare il desiderio della ragazza di scomparire dalla faccia della terra.

 “Sei al 7/11?” domandò Billie, con voce quasi perplessa.

La semplice pronuncia del nome del supermercato, di quel semplice nome bastò a far stringere il cuore ad Erin, che per un attimo chiuse gli occhi, la sua mente ancora una volta richiamata alle parole di quella canzone. Sospirò.

“Come fai a saperlo?”

Billie rise appena. “Solo lì hanno i chip and pin machine così odiosi. Lascia perdere la battaglia contro la tecnologia, Erin.. E' una causa persa.” Leggermente amareggiato, forse, nelle ultime parole? “Dimmi almeno che non hai preso uno di quei penosi caffè con il bicchiere di Obama o di Romney..” Aggiunse, tentando forse di alleggerire quanto avesse detto subito prima.

Erin rise appena. “No, per quanto la politica sia il mio pane quotidiano non mi abbasso a tanto..” Concesse, sorridendo ancora. Da quando le conversazioni con il signor Billie Joe Armstrong sono diventate così.. Rilassate? Naturali?

Da quando sto al telefono con il signor Billie Joe Armstrong?


“A proposito di politica.. Avrei una cosa da proporti. Un possibile lavoro.” La voce di Billie interruppe lo scomodo flusso di pensieri. Il frontman si concesse una breve pausa, come se stesse considerando accuratamente le parole che stava per pronunciare. “Però.. E' una cosa importante, un po' delicata. Se fossi interessata, vorrei parlartene di persona.”

Considerando brevemente quanto avesse desiderio di lavorare lontano dalla redazione – lontano da Alice, le ricordò un'indesiderata voce di coscienza – Erin pensò che forse avrebbe potuto ignorare l'immenso imbarazzo che l'aveva trattenuta dal voler contattare Billie durante la settimana che era trascorsa da quella sera. Aveva fatto di tutto per pensarci il meno possibile, anche se con scarsi risultati.
Rivederlo adesso sarebbe stato ricordare immediatamente tutto l'accaduto; lo stato in cui l'aveva trovato, le parole che aveva sentito pronunciate da quella stessa persona, la persona, che ora la stava invitando-

A vedersi per una questione di lavoro. Niente di più. Perché mai dovrebbe volerti vedere? Perché dovrebbe volere la tua compagnia? E' lavoro, è politica, è un incontro di lavoro. Falla finita, Erin.

“Si, direi che si può fare. Dimmi tu dove possiamo incontrarci, e quando..”


                                                                                                                                                                                                                                   

 
Nonostante le temperature si aggirassero intorno ai 10 gradi, il piccolo Awaken Café si era comunque dimostrato un accogliente e tiepido riparo dalla fitta e violenta pioggia invernale che scuriva i palazzi della grigia Broadway, i cui lattiginosi palazzi e piccoli grattiacieli si interrompevano improvvisamente per aprirsi all'intersezione tra la 15esima Avenue e l'inizio della Telegraph. Appena affacciato all'angolo della lunga strada si apriva un angolo di colore e musica, il brusio di rilassate conversazioni che si amalgamavano con il brontolio sommesso delle macchine per il caffé, il trillo dei boccali, dei bicchieri e dei piatti, prefigurazione delle serate musicali in programma e ricordo di quelle già passate, delle quali le più salienti venivano orgogliosamente rappresentate con fotografie e manifesti incorniciati ed affissi al muro, donando al locale quello stile tipico della Bay Area, vissuto e familiare.

Facendo tamburellare le dita sul tavolo davanti a sé, Erin guardava distrattamente fuori dalla vetrata, cercando con qualche parte remota della sua mente di determinare dove sarebbe caduta la successiva goccia sull'asfalto. Un brivido rapido le percorse la schiena quando la porta alle sue fu aperta brevemente, ricordandole sulla sua pelle con una fulminea folata di vento il fantasma dell'umidità che ancora non si era asciugata. Cercò di non farci caso – la pioggia era diventata una sua familiare inquilina, ultimamente.

Il bar si presentava come una piccola isola felice di artisti, impiegati fuggiti dalle bigie giornate lavorative d'inizio inverno, studenti universitari della vicina California University e qualche hippie sotto mentite spoglie della California League of Conservation Voters, una di quelle organizzazioni politicizzanti non-partisan che non si sapeva bene come andassero avanti, dato che militavano in favore di un'interesse verso l'ambiente che tutti volevano ma per il quale nessuno era pronto a fare veri e propri sacrifici – non in America. Erin guardò quegli uomini in curiosi completi verdolini o di tweed scolorito sorseggiare il caffé della casa o una birra artigianale, come se il mondo, fuori da quelle vetrate rigate dalla fitta pioggia, non stesse andando a rotoli.

Sul lungo bancone in legno chiaro e levigato venivano offerti boccali, calici e scuri piatti in ceramica pieni di tiepidi dolci e ricchi aromi che riempivano il piccolo locale con aromatiche volute di mille diversi profumi invitanti. Svettavano ai lati del bancone stesso delle lavagne riempite con i colorati elenchi dei piatti e delle bevande della casa, degli eventi della serata o in programma, o venivano semplicemente usate per scrivere una comunicazione o un benvenuto rivolto ai clienti. Giovani camerieri impegnati nelle ordinazioni erano guidati ed alternati nelle loro mansioni da un trio di baristi dall'aria rilassata e gioviale, che frequentemente si perdevano in chiacchiere con clienti evidentemente abituali. Un barista in particolare, probabilmente il proprietario, le ricordò Aemonn: avevano lo stesso modo di gesticolare animatamente, la stessa corporatura e quel modo di muoversi dietro al bancone che emanava anni di esperienza, totale controllo della situazione, tranquillità e familiarità – come se non fossero nati per fare altro. Il solo pensiero le strappò un sorriso inconscio, mentre con la mente ripercorreva le circostanze del loro primo incontro, anni addietro.

“Gloria, where are you Gloria?”

Erin alzò improvvisamente gli occhi, riconoscendo istintivamente la voce che l'aveva tirata così repentinamente fuori dai propri pensieri. Quella melodia, quella canzone, quella voce...

Lo sguardo stupito si alzò rapidamente verso l'origine della voce, tuttavia quell'espressione durò poco di fronte a ciò che le si presentava davanti: Billie, fradicio, con la bocca torta in una smorfia a metà tra lo scherzoso e il colpevole, mentre letteralmente ogni singola fibra dei suoi vestiti appariva grondante d'acqua. Di certo non sembrava aiutare il fatto che avesse scelto di indossare ovviamente il solito giubbotto di pelle sopra una leggera maglietta a maniche corte. Sembrava sul punto di congelarsi – la poggia era diventata particolarmente impietosa nell'arco delle sole ultime tre ore.

Erin non poté che sorridere.

“Maybe you should learn to weather an actual storm with an umbrella before asking me to do anything..”

Billie ridacchiò appena, la bocca tirata in un mezzo sorriso che tuttavia non gli illuminava gli occhi, che si persero a fissare un punto impreciso oltre la spalla di Erin.
La ragazza invece si morse prontamente la lingua – Bene, davvero. Brava, Erin, accidenti. Ti invita per parlare di lavoro e tutto ciò che sai fare è rispondere a tono. Sei qui per un motivo, fammi la cortesia di tenerlo a mente.

Concedendosi un respiro profondo, la mano destra che andava a premere sugli occhi per qualche secondo da sotto gli occhiali, Erin alzò poi di nuovo lo sguardo verso Billie, che, come se fosse tornato in sé al solo sguardo dell'irlandese, fece scattare lo sguardo verso di lei, accennando un sorriso e inclinando appena la testa da un lato, facendo battere insieme le mani.

“.. Shall we?”

Zack Mitchell, giornalista e critico musicale per l'East Bay Express, politicamente impegnato quanto lo erano gli album, le band e gli eventi che recensiva, era un amico di Billie dai tempi dell'uscita di Warning, quando ancora Zack lavorava come freelancer, occasionalmente per il Kerrang!, come volle quel giorno in cui si incontrarono per i Kerrang Awards che nell'Agosto del 2001 si tennero a Londra.

Si erano incontrati qualche giorno prima in occasione di un'intervista che Billie aveva deciso di concedere all'East Bay Express, uno di quei nominativi sulla lista che aveva richiesto un colloquio con la band. Con l'occasione, i due avevano deciso di incontrarsi prima della data prefissata per discutere insieme i dettagli di quella che sarebbe risultata essere quasi soltanto una chiacchierata tra amici di lunga data.

In quell'occasione, Zack aveva accennato appena ad un problema sorto nella redazione – gli eventi dell'elezione del governatore Gary Bakers erano velocemente decaduti in un intrigo complesso e pericoloso di eventi, una ragnatela di conoscenze e voci di corridoio che puntavano il dito in direzione di uno scandalo che tentava di uscire allo scoperto, ma che nessuno ancora aveva affrontato a mani nude tanto da renderlo finalmente noto al pubblico.

La sfortuna aveva voluto che il notista politico più acuto e sagace dell'Express fosse andato in pensione appena qualche mese prima e nel frattempo la direzione non era stata capace di rimpiazzarlo con qualcuno che fosse all'altezza di un simile scoop – che era, a tutti gli effetti, potenzialmente capace di sovvertire la già instabile co-esistenza delle delicate relazioni politiche e ideologiche della fitta rete giornalistica e attivista dell'East Bay.

“.. E' per questo che ho voluto parlartene. Mi è sembrata una buona proposta, conoscendo il genere di giornalismo verso cui sei orientata e dal momento che ormai..” La frase, dapprima enfaticamente pronunciata, morì sulle labbra del frontman, che abbassò lo sguardo, sentendo le proprie mani ritrarsi debolmente verso di sé. Provò ad alzare lo sguardo verso Erin – la trovò con un sorriso accennato, negli occhi, fissi su un punto lontano, distante, un'ombra che aveva già visto nei propri, innumerevoli volte.

Billie chiuse gli occhi con un sospiro, per poi riaprirli guardando di lato, in basso. Sentiva ogni secondo di quel silenzio pizzicargli la pelle, facendogli formicolare la nuca in una sensazione di sgradevole impaccio e di cose non dette, di cose che non volevano essere ricordate.

“Senti, per l'altra sera, volevo scus-”

“No, sono io che mi devo scusare.” Erin lo interruppe, la voce tirata, faticosamente mitigata, alzando una mano per far segno al frontman di non proseguire nel suo discorso. Lo guardò negli occhi, sulle labbra un sorriso tirato e mal riuscito che non rasserenava quell'espressione di colpevolezza e dispiacere che le aleggiava negli occhi. “Non avrei mai dovuto coinvolgerti. La chiamata di quella sera – è stato un errore. Non si ripeterà.” Aggiunse, cercando di non rendere troppo seria la propria espressione, il proprio tono, come se tentasse di non far pesare le proprie parole, soprattutto a se stessa.

Non avrei mai dovuto pensarti vicino a me.
I should've known there was a distance.

In quel momento, i powerchord iniziali, potenti e rabbiosi e poco dopo la voce altrettanto secca ed energica di She's a Rebel riempirono improvvisamente l'aria, quasi in ribellione all'atmosfera creatasi.

Le mani di Erin corsero subito, impacciate, a recuperare il vecchio cellulare dalla tasca dei pantaloni, mentre la ragazza sentiva le proprie guance andare in fiamme. Si ripromise brevemente di cambiare suoneria alla prima occasione – al costo di avere quell'orrenda melodia che il telefonino offriva per default, e che si imparava a detestare dopo appena un paio di chiamate.

La chiamata fu breve – Billie la vide annuire, dare risposte secche, brevi, mentre una consapevolezza crescente si faceva strada sul suo viso, togliendole anche l'ultimo accenno di vitalità da quegli occhi color ambra che l'avevano così entusiasticamente seguito durante la loro conversazione riguardante la proposta di lavoro.

Dopo appena qualche decina di secondi, Erin chiuse la chiamata, nascondendo velocemente l'odiato cellulare nella tasca dei pantaloni, per poi concedersi un breve respiro.

“Billie, scusami – devo andare. Ti ringrazio davvero tanto per l'opportunità che mi stai offrendo.. Come ti ho già detto ne parlerò sicuramente di persona con il tuo amico ed eventualmente con il direttore. Mi potresti inviare i contatti come mi hai detto?” Domandò rapidamente, mentre si alzava dal tavolo, e il frontman con lei.

“Certo.. Ti farò avere notizie più precise appena avrò parlato con Zack..” Aggiunse Billie, annuendo.

Ci rivedremo ancora? Questa sarà una scusa – sarà la mia scusa?

Perché dovrei averne una?

Erin annuì di rimando, improvvisando un sorriso che sentì fin troppo di circostanza. “Allora grazie.”
Billie tentò un sorriso, guardando la ragazza che frettolosamente infilava la tracolla della propria borsa e lanciava un'occhiata di sfuggita alla pioggia che sferzava ancora rabbiosamente sul vetro del piccolo locale. Erin si avviò quindi verso la porta d'ingresso, poco distante, poi incontrò il suo sguardo, e gli concesse per un attimo un sorriso sereno, seppur appena accennato.

“Ti devo un'altro caffé, allora.” Aggiunse, per poi salutarlo con un cenno, chiudendosi alle spalle quella piccola crisalide di familiarità, calore e buoni odori e preparandosi ad affrontare la pioggia impietosa del pomeriggio che l'aspettava.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Green Day / Vai alla pagina dell'autore: innerain