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Autore: xCyanide    01/01/2014    5 recensioni
La prima volta che l’avevo visto, però, la ricordavo.
Ve l’ho detto, era semplicemente apparso, non lo conoscevo. Non lo avevo mai visto prima di allora.
E quindi come ha fatto uno sconosciuto a sembrarmi così familiare, proprio come se fosse casa mia? [dal primo capitolo]
-Ti stai innamorando di me, Frank? – chiese, con così tanta tranquillità e naturalezza che mi sembrò quasi strano sentir uscire quelle parole dalla sua bocca. [dal sesto capitolo]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 9 - Di ragazzi e problemi.

Il giorno del mio compleanno non andavo mai a scuola. Soprattutto se mamma e papà decidevano di organizzare cene per festeggiare che sfioravano la mezzanotte. E perché comunque si trattava di una festa nazionale. Io avrei potuto alzarmi tranquillamente dal letto, ma senza il bonus “Geràrd”.
Dopo che gli avevo praticamente sputato in faccia che lo amavo con tutto il cuore, lui non aveva risposto alla mia frase così veritiera e pura. Aveva semplicemente stretto la presa su di me e si era lasciato scappare una lacrima perché, sue testuali parole, “quando ci sei tu, anche io mi sento libero da tutto”.
Andava bene, non pretendevo una sua risposta subito, non volevo che lui mi dicesse un forzato “ti amo” quando invece avevo avuto la conferma che stavo svolgendo un buon lavoro come suo “salvatore”. Volevo in qualche modo ricambiare il favore.
Mi sentivo bene comunque, anche se mio padre continuava a chiedermi di Angela da due ore a quella parte. Tornato da lavoro prima si era seduto sul letto della mia camera e aveva dondolato le gambe guardandomi come una ragazzina in cerca di scoop. E poi mi aveva seguito a pranzo, si era sistemato di fronte a me e aveva continuato a farmi domande su domande che mi mettevano sempre di più in imbarazzo.
La testa mi girava vorticosamente e quella voglia matta di vomitare si stava riproponendo sempre più prepotente. Anche se Geezie –aveva detto che non avrebbe accettato soprannomi, ma non aveva protestato quando mi ero fatto scappare dalle labbra questo nomignolo- mi aveva detto che non dovevo preoccuparmi, non riuscivo a stare tranquillo.
Lui avrebbe accennato di me ai suoi genitori, sosteneva che possedendo una famiglia di artisti, avessero tutti la mente e il cuore aperti e che mi avrebbero accettato senza problemi. Suo padre era avvocato, si, ma lo era diventato perché il nonno di Geràrd aveva fatto di tutto purché lo diventasse. La vera passione di Donald, così mi era stato detto si chiamasse, era la scultura. E Donna, sua moglie, adorava fare veri e propri murales con i gessetti sui muri della sua “stanza del disegno”. Michael, suo fratello invece, stava imparando a suonare il basso e aveva pressappoco la mia età, saremmo andati sicuramente d’accordo.
Mi piaceva il fatto che lui comunque potesse contare sulla sua famiglia, anche se da quello che mi aveva detto i genitori avevano avuto un momento di crisi. Ora andava tutto bene e il cuore mi perdeva un battito nel pensare che lui probabilmente in quel momento stesse parlando di me ai suoi parenti. Magari gli stava dicendo di tutto quello che avevamo condiviso, quello che avevamo detto.
Io avrei tanto voluto dire a mio padre di lui, avrei voluto farmi sorridere e farmi dire “Bravo Frankie, sono felice per te”.
Ma probabilmente questo non sarebbe mai accaduto, dato il livello intellettivo che aleggiava in casa mia. Credo che fosse proprio un argomento tabù l’amore verso il proprio sesso.
E avrei voluto anche io con tutto il cuore contare su di loro davvero, e non lasciare che amassero un me che non era reale.
-Allora Franklin – continuò mio padre distogliendomi completamente dai miei pensieri senza speranza. Da una parte lo ringraziavo. Dall’altra, beh, avevo una voglia matta di legarlo alla sedia con delle funi robuste e chiudergli quella fogna che aveva al posto della bocca con un bel po’ di nastro adesivo isolante. Comunque gli sorrisi cordiale, nonostante avesse usato il mio nome intero, e lo osservai con occhi fintamente curiosi come ad incoraggiarlo a continuare. –Che ne dici di farmi vedere una foto di Angela?
Angela. Angela. Angela.
Basta, non ce la facevo più. Mi sentivo come se fossi in un’ampolla quasi piena d’acqua, in procinto di morire annegato. Il liquido trasparente cresceva e cresceva e cresceva di misura e piano piano i miei polmoni si riempivano sempre di più, sempre più in modo fitto. Provavo a respirare ma niente, la mia parte razionale diceva di arrendermi. Effettivamente, in quella conversazione, io ero già morto.
Presi un respiro profondo cercando di trovare una scusa plausibile all’assenza di foto di Angela, dato che Angela non esisteva, ma la mia mente si era completamente svuotata.
Sembrava che tutto stesse remando contro di me. E pensavo che il momento della verità stesse arrivando davvero troppo presto.
-Sai papà… - presi tempo respirando sempre più in modo affannato, strizzando davvero forte gli occhi come se mi facesse malissimo la testa. –A lei non piace essere fotografata, davvero.
-Non ci credo, Frank! – esclamò divertito e scosse pianissimo il viso, continuando a fissarmi come se fossi protagonista di un interrogatorio infinito. –Con tutti i social network a cui siete iscritti, non credo che lei non abbia mai messo una sua foto – affermò davvero convinto. –E poi da come me l’hai descritta sembra davvero carina, e di solito le ragazze carine mettono tante foto.
-A lei non piace la tecnologia, non ha nemmeno un computer a casa, solo un vecchio modello di cellulare che ogni tanto va talmente tanto male che si spegne per giorni. E no, non le piace farsi fotografare quindi il discorso è chiuso – sussurrai quasi l’ultima frase, come se fosse la mia ultima ancora di salvezza ma mio padre parve crederci, quindi assentì con il capo in modo autorevole prima di tornare comodo sulla sedia della cucina.
Proprio in quel momento, la porta di casa si aprì e in un lampo sperai che quel gesto portasse salvezza. Mia mamma, indaffarata e piena di buste della spesa, entrò in cucina e con un grande sorriso sornione poggiò tutto sulla credenza. Soddisfatta poi, e senza fermare nemmeno per un attimo i piedi che “riposavano” in tacchi dodici davvero vertiginosi, si avvicinò a quelli che lei chiamava gli uomini di casa e ci poggiò le mani sulle spalle.
-Allora, come stanno i miei due ometti? – domandò felice e poi si chinò a darmi un grande bacio appiccicoso sulla guancia come per rimarcare il fatto che si, era il mio compleanno e quindi doveva darmi più affetto del solito.
Papà le cinse i fianchi con braccio e la guardò dal basso sorridendo furbo, come se stessero comunicando silenziosamente.
-Franklin si vergogna di farmi vedere delle foto di Angela – cominciò ridendo divertito e mamma spalancò gli occhi prendendo un sedia per sistemarsi tra di noi, come se stesse per presidiare a un processo.
-Che c’è amore, hai paura del giudizio di tuo padre? Lo sai che non si farebbe problemi se lei avesse… che ne so, un po’ di strabismo o le doppie punte – mi incitò, cercando di rendere la situazione più leggera per me. Con scarsissimi, quasi nulli, risultati.
-In effetti… io ho paura del vostro giudizio – confessai, non avrebbero capito niente comunque. –Ma il suo difetto non è solo… un occhio storto o qualsiasi altra cosa, cioè, credo che per voi sia peggio.
Mamma aggrottò la fronte e si affrettò ad abbracciarmi davvero stretto nelle sue braccia fasciate da un maglioncino di lana, come a proteggermi, e sospirò. –Quante volte devo dirti che a noi puoi dire tutto? Se a lei mancasse una gamba, o un braccio, o la voce non ci sarebbero problemi per noi. Lo sai bene, Franklin.
-Non è questo… - sussurrai staccandomi da lei che inizialmente ci rimase di stucco ma poi lasciò correre. Mio padre stava ascoltando la conversazione in silenzio religioso, come per capire dove sarebbe andata a parare. –Davvero, è solo che io…
-Ti vergogni perché è la tua prima fidanzatina, ho capito – annuì interrompendomi e io presi un lungo respiro per rimanere calmo e non vomitare lì, sul tavolo. Quella nausea non passava da giorni probabilmente.
-No io… - provai a dire con voce flebile.
-No? Allora che hai tesoro? Se ci dicessi che problemi ha lei, noi potremmo aiutarti. Cos’è? Non ha una buona famiglia? – mi osservò con fare sospetto. –Non importa se non ha molti soldi, a me e tuo padre non importa davvero.
-No, se tu…
-Ho capito, è atea. No problem, Frankie, l’importante è che non dica qualcosa, qualsiasi cosa, contro la chiesa in tua presenza. Potrebbe portarti sulla cattiva strada, capisci? – mi chiese carezzandomi lentamente la guancia, con il suo solito fare dolce ma iperattivo. –Non voglio che tu smetta di credere perché qualcuno ti ha portato a farlo.
-Mamma… - provai ad interromperla. Questo mi faceva capire che la mia opinione probabilmente contava meno di zero.
-Cosa? Hai smesso di credere? Lo sai che non va bene amore, questa domenica verrai in chiesa con noi e ti confesserai. Qualsiasi cosa, comunque, stai tranquillo che il Signore non ti abbandonerà mai – affermò convinta, davvero con occhi quasi persi in quello che stava dicendo. Era affascinante vedere come le persone credessero in qualcosa che non era davvero palpabile. Io ancora non avevo capito bene da che parte schierarmi, perché di certo essere atei è triste. Semplicemente non mi piaceva, mi disgustava, la visione di Dio che avevano i cattolici.
-Io non ho…
-Oh meno male! – esclamò più tranquilla. –Questo mi rincuora. Ma se lei non crede possiamo invitarla a cena e parlarne, cercare di capire perché. Chissà da che famiglia viene, povera cucciola. Non capisco davvero come..
-Amo un ragazzo – dissi tutto d’un fiato, interrompendola, quasi sull’orlo delle lacrime per averlo finalmente ammesso anche a loro. Ora mi conoscevano. Era come una presentazione nuova di zecca del mio essere me.
Passai gli occhi dai loro volti quasi vuoti, che lentamente perdevano la concezione del mondo circostante per concentrarsi in una sola cosa: il loro unico figlio maschio era frocio. Incomprensibile.
Mi lasciai scappare una lacrima leggera che percorse lentamente la mia guancia, e tirai su col naso. Mi sentivo davvero in colpa ad aver detto loro di quel mio lato così intimo, come se fossi io quello in torto e non loro che la stavano prendendo così male.
Se avessero solo saputo di quello che Geràrd stava facendo per me, anche loro lo avrebbero amato. Chi non lo avrebbe amato?
-A-Angela non esiste – mi strinsi nella felpa cercando di proteggermi da loro, dai loro sguardi affilati come tagliole appuntite. Mi sentivo aperto in due, sentivo lentamente i miei organi che scivolavano via, il mio cuore che cessava di battere. –Smettetela di guardarmi come se fossi malato – dissi in un soffio, con la voce che tremava dalla paura di una loro reazione violenta. Mi portai le mani, quasi completamente coperte dalle maniche color petrolio della felpa, agli occhi per asciugarli nonostante il continuo tremolio.
I miei rimanevano comunque in silenzio, e credo che avrei preferito una miriade di insulti a quello.
-Io avevo… avevo bisogno di tempo per dirvelo ma… – distolsi lo sguardo per non affrontare i loro occhi giudiziosi. So cosa stavano facendo. Stavano cercando di farmi sentire sbagliato.
E quello sguardo mi stava facendo sanguinare, mi avrebbe portato lentamente alla morte. Perché non potevano essere felici per me?
-Ma sono sicuro di quello che provo ora, e i-io… credo che anche lui mi ami – un singhiozzo si fece spazio nella mia gola ma mi costrinsi ad alzare di nuovo gli occhi verso di loro, come se mi aspettassi di trovare accettazione e incoraggiamento.
Ma non trovai niente di quello.
I loro volti erano vitrei, niente che non fosse odio o pregiudizio si vedeva in quelle iride smunte.
Lo sguardo mi cadde, poi, sulla mano di mio padre che lentamente stava stringendo tra le dita uno dei coltelli che erano sulla tavola apparecchiata. Il mio cuore perse un battito. Gli facevo così schifo da volermi uccidere? O era solo rabbia la sua?
Piano e con movimenti calcolati, mi alza dalla sedia, le gambe che a mala pena rimanevano ferme dal terrore e indietreggiai verso la porta.
-Frank – disse soltanto mettendosi in piedi a sua volta, i suoi occhi iniettati di sangue. –Spero per te che la tua camera sia davvero confortevole. Dovrai passarci molto tempo.
-Mi dispiace – sussurrai tra i singhiozzi prendendomi il viso tra le mani. –Mi dispiace di avervi deluso per l’ennesima volta, di essere per l’ennesima volta un rifiuto. Mi dispiace di essere così sbagliato, di essere me. Ma.. ma metti giù il coltello, ti prego.
-Vai in camera tua finché te lo permetto – sibilò appena, osservandomi con lo sguardo assassino. Non l’avevo mai visto così incazzato. Passai appena gli occhi lucidi su mia mamma, che non aveva nemmeno mosso un muscolo, ma non stava nemmeno cercando di difendermi. Ebbi l’ennesimo colpo al cuore.
In un lampo, scattai all’indietro e attraversai tutto il corridoio. Arrivato alle scale, nonostante le mie gambe corte, salii i gradini due a due, con la sola voglia di scomparire. Di nuovo mi avevano portato a voler morire, tutto il lavoro di Geràrd era andato completamente in fumo.
Probabilmente, piansi ancora più forte.
 
Quella notte, con il mio sangue, riuscii a scrivere solo due parole sul muro prima di svenire per il dolore interno che provavo.
“Fottutamente sbagliato”

E lo sottolineai tre volte.


xCyanide's Corner
Okay, la mia idea iniziale era di fermarmi per le vacanzema poi ho capito che è inutile perchè tanto sto qui a fare niente e boh, pubblico.
Spero come sempre che questo capitolo vi piaccia, nonostante sia molto triste, e spero che abbiate ancora voglia di recensire. Anche se so che mi odiate lol
Alla prossima, vi amo,
xCyanide

 
  
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