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Autore: Mary P_Stark    02/01/2014    3 recensioni
Quattro sono gli elementi. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Quattro sono i gemelli Hamilton, depositari di questi antichi poteri. Loro sono le storie che qui narrerò, intrise di amore e magia. Winter, primo tra i gemelli, è rinchiuso in un gelido dolore da cui non vuole uscire, dopo la morte della moglie. Neppure il figlio Malcolm riesce completamente a liberarlo da questa prigione volontaria. Potrà la sua antica fiamma, Kimmy, riportarlo a nuova vita? SERIE "THE POWER OF THE FOUR" - 1° RACCONTO
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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10.
 





Era sveglia, o stava sognando?

Doveva essere desta, perché difficilmente avrebbe sognato di baciare Winter nel bel mezzo di un igloo di fortuna, inseguiti da assassini armati di tutto punto e aiutati da uno spirito fatto di brina.

Eppure... le sembrava tutto così irreale. Così fuori dal mondo.

La bocca morbida e fredda di Winter solleticava la sua, dolce, carezzevole, quasi restia a impossessarsene completamente, come se temesse un suo rifiuto.

Pensò lei a chiarirgli le idee.

Avvolse le braccia attorno al collo di Winter e lo attirò a sé per approfondire il bacio. 

Quanto si era trasformato, il suo sentimento nei confronti del vecchio amico d’infanzia, in quei lunghi anni di separazione?

Quanto era cresciuto?

Le loro lingue giocarono, si inseguirono, guizzarono lievi come battiti d'ali di farfalla fin quando la passione non prese il sopravvento e Winter la spinse schiena a terra, schiacciandola sotto il suo peso ed esigendo di più, molto di più.

Kim ansimò, si aggrappò ai capelli folti di Win attirandolo ancor più a sé, sussurrò il suo nome più e più volte prima di cominciare a comprendere cosa stava succedendo tra loro e, soprattutto, dove si trovavano in quel momento.

«Win...» ansò lei, scostando la bocca un secondo per riprendere fiato.

«Kimmy...»

«Win, aspetta!»

«Cosa? Che succede?» mormorò lui, affondando il viso nel suo collo per scoccarle un bacio morbido e sensuale.

«Oh... mio … Dio...» esalò la donna, sgranando gli occhi e reclinando il capo all'indietro per facilitarlo nel suo compito esplorativo.

Un attimo dopo, tornò a risollevare il viso, ben decisa a non farsi distrarre da lui e, puntate le mani sul suo torace, mormorò quasi senza fiato: «Non possiamo! Non ora!»

«Scusa, scusa, scusa... ma è da tanto che...» ansò lui, crollando su un fianco per attirarla vicino a sé.

Kim ridacchiò, suo malgrado divertita dalla passione a stento controllata di Winter e, poggiandogli una mano sulla guancia per carezzarla, la donna gli domandò: «Da tanto che non lo fai, o da tanto che avresti voluto farlo con me?»

«Entrambe le cose» ammise lui, scoppiando a ridere e passandosi una mano tra i folti capelli neri. «Dio! Mi sono comportato davvero come un maniaco! Saltarti addosso a quel modo!»

Lei sollevò maliziosa un sopracciglio, replicando: «Non mi sembra di essermi tirata indietro... per lo meno, non finché non mi sono accorta che ci stavamo spingendo su un campo minato.»

«Non è certamente il luogo adatto per amoreggiare, questo è sicuro» ammise Winter a malincuore.«E io devo innanzitutto pensare a tenere in salute te e badare ai nostri nemici.»

«E alla tua salute chi ci pensa?» si informò preoccupata Kim, sollevandosi su un gomito per indirizzargli uno sguardo ansioso.

Non lo avrebbe visto comunque ma sperava che, per lo meno, avvertisse il suo sguardo su di sé.

«Tu.» 

Sorrise nell’oscurità e la attirò a sé per un altro bacio, stavolta più dolce, più delicato. 

«Ricordi quando ti diedi quel bacio sotto il ciliegio?»

Ridacchiando, Kim annuì e, tornando a sdraiarsi, asserì: «Avevo undici anni, e tu tredici. Era il tuo compleanno, e ti domandai che regalo desiderassi. Tu mi dicesti che avresti voluto sapere che sapore avevano le mie labbra. Fui così sciocca da accettare la tua richiesta e mi sollevai sulle punte dei piedi per stamparti un bacio con lo schiocco sulla bocca, e fui perduta.»

«Sapevano di miele e fragole, esattamente come adesso» mormorò Winter, perso nei suoi ricordi. 

«All'epoca non sapevo quanto quel bacio innocente mi avrebbe tenuto sveglio la notte, negli anni a venire. Ripensavo a te, a come stavi crescendo, a quanti ragazzi avresti baciato, a chi avresti concesso il tuo dono più prezioso... e stavo male, male da impazzire, perché io non ero con te a condividere tutto ciò.»

«Ti ritenevi, a torto, indegno di me?» gli domandò dubbiosa e sorpresa.

«Sì, perché tutto il mio tempo lo passavo a studiare, lavorare e imparare ad essere un bravo Guardiano. Non avrei potuto darti che l'ombra di me stesso, all'epoca, ed io volevo che avessi solo il meglio. Così lasciai che solo i ricordi di te riempissero i miei sogni» le spiegò con sincerità.

«Forse, è stato meglio così. Se ci fossi stata io, per te sarebbe stato ancora più difficile sposare Erin, e avreste finito con l'odiarvi. Così, invece, avete vissuto una bellissima amicizia e avete dato vita a un bimbo adorabile» rimuginò a voce alta Kim, stringendosi a Winter per dare maggiore enfasi alle sue parole.

«Non ti da noia che io abbia avuto una moglie?» le domandò allora lui, godendo della sua presenza, delle sue dita che giocherellavano con i bottoni della giacca. Di tutta quanta lei.

«Per quel poco che ho capito di Erin, è stata una persona fantastica in vita, e anche adesso ti vuole un mondo di bene. E' raro trovare amicizie simili, ed io sono felicissima che tu abbia potuto dividere una parte della tua vita con lei» gli spiegò Kimmy, non provando in alcun modo invidia per ciò che avevano condiviso.

«Sì, Erin era... è fantastica. Per questo avrei voluto che potesse amare l’uomo dei suoi sogni con tutta l'anima» sospirò lui, scuotendo afflitto il capo.

«E per questo ti sei negato la felicità, fino ad ora. Encomiabile, ma stupido. Non si può aggiustare un uovo rotto, e lei non ti fa una colpa per ciò che è successo» replicò Kim, sorridendo.

«Ora so che, da questo momento in poi, vi coalizzerete sempre contro di me.»

Winter ridacchiò lieto e sereno, attirandola in un abbraccio. 

«Tá mé chomh mór sin i ngrá leat, Kimmy...»

Quelle parole le suonarono oscure quanto dolcissime e, pur non comprendendone il senso, Kim seppe che dimostravano senza ombra di dubbio la forza dei sentimenti di Winter nei suoi confronti.

L'aveva visto allontanarsi, pensando che sarebbe stato un addio definitivo, e aveva tenuto nel suo cuore di bambina l'affetto incondizionato, l'amore ingenuo e la speranza di fanciulla intrinsecamente legati alla figura di Win.

Era diventata adulta lasciando che quei ricordi si sedimentassero dolcemente nella sua mente, come un memento di ciò che avrebbe potuto essere tra loro.

Aveva avuto le sue esperienze, si era fatta nuovi amici, aveva avuto qualche amante, ma nessuno aveva scalzato Winter dalla sua mente. 

Quando infine lo aveva incontrato nuovamente, cambiato e ferito nello spirito, tutto era tornato a galla ed i ricordi di un tempo si erano scontrati con la realtà dei fatti.

Aveva cercato di non confondere il Win bambino con il dottor Hamilton del NOAA ma, inevitabilmente, le due figure si erano fuse assieme non appena lui le aveva sorriso per la prima volta.

Sotto lo strato di ghiaccio che aveva ricoperto il suo cuore, il bambino che aveva adorato esisteva ancora.

Ed era divenuto un uomo da amare con tutta se stessa.

Sotto la scorza dura che si era creato attorno per sopravvivere, Winter era un uomo buono, pieno di passioni, innamorato del figlio e della famiglia.

Kim non aveva potuto nulla di fronte a quell’uomo così pieno di emozioni sopite e, come una calamita, era stata attirata dal suo centro di gravità. Ancora una volta.

Sorridendo nella notte, Kim mormorò: «Non so che vuol dire, ma il suono è bellissimo.»

«Ti amo tantissimo» sussurrò allora Winter. 

«Preferivo dirtelo in gaelico... mi piaceva di più.»

«Suona meglio, sì» assentì Kim sulle sue labbra. 

«Ti amo anch'io. Forse, da sempre. E' stato così difficile capire quanto c'era del passato a confondermi e quanto, del presente, mi stesse attirando a te.»

«E cosa ti ha fatta decidere?» le chiese allora lui.

«Winter bambino e Winter adulto sono la stessa persona, e le due Kimmy che sono dentro di me li amano entrambi.» 

Si sporse per baciarlo e, chiudendo gli occhi, sussurrò: «Ora riposa, mio dolce Iceman. Ne hai bisogno.»

Win ridacchiò e, nel darle un bacio sulla guancia, mugugnò: «'Notte, Kermit.»

 
≈≈≈
 
Il cielo plumbeo non prometteva nulla di buono quando, la mattina seguente, Kim e Winter ripresero il cammino verso Wales.

Le nubi ribollivano come furibondi sciami di vespe incontrollate e Win, nel lasciare la guida a Kimmy, le spiegò turbato: «I nostri inseguitori sono vicini e, se continua così, dovrò tenere a bada anche la tempesta. Dovrai guidare tu.»

La donna annuì nell'avviare la motoslitta e, scrutando l'orizzonte cupo, dichiarò: «Dovrai dirmi dove dirigermi. Io non posso percepire il ghiaccio come te.»

«Ti darò le correzioni di rotta mentre viaggiamo, non temere. Ora, però, muoviamoci.»

«Non potresti semplicemente... farli sprofondare nello Stretto come hai fatto al campo, con Tim e gli altri?» buttò lì Kim, scrollando le spalle.

Winter ridacchiò e, chinandosi a darle un bacio fuggevole sulle labbra rosee, chiosò: «Piccola distruttrice! Certo che potrei, ma in questo caso stanno procedendo in ordine troppo sparso per poter essere precisi e, se facessi saltare una porzione così grande di ghiaccio, i satelliti se ne accorgerebbero immediatamente. E come potremmo spiegare un'enorme voragine nel bel mezzo dello Stretto di Bering? Per come sono messi adesso i ghiacci, rischierei di riaprire il passaggio a Nord-Ovest, causando problemi non da poco all'ecosistema. No. Devo agire con prudenza» le spiegò con dovizia di particolari Winter, abbracciandola.

«Ma non temere. Tu sarai sempre al sicuro.»

«Veramente, starei più tranquilla se pensassi anche a te stesso, ogni tanto» precisò Kim, storcendo la bocca.

«Tenere al sicuro te è la priorità, per me.»

Sbuffando, Kim salì sulla motoslitta e ringhiò: «Erin ha ragione. Sei un testone senza speranza.»

Winter  allora scoppiò a ridere e, nel sedersi dietro di lei, le avvolse la vita con le braccia.

«Sono irlandese.»

«Oh, credimi! Ce ne siamo accorti tutti!» ridacchiò lei, prima di tornare seria. «Gli altri come stanno, adesso?»

«Stanno raggiungendo Wales,… non dovrebbe mancare molto, ormai. Questione di minuti» la informò Winter.

«Bene. Così, quando arriveranno, potranno correre in nostro aiuto» sorrise debolmente lei, cercando di confortare entrambi.

«Se tutto va come deve, sì» sospirò lui, mentre Kim iniziava ad accelerare.

«Cerca di essere ottimista, per favore. Non ho bisogno che tu faccia l’uccellaccio del malaugurio mentre abbiamo dei tipacci con i mitra dietro di noi» ci tenne a dire lei, immaginando solo a stento come potesse sentirsi.

Poteva ben immaginare che quella situazione lo stesse facendo vedere più nero del normale; aveva la sua vita da proteggere, dei nemici da controllare, un potere da tenere a bada e la sua identità da mantenere segreta.

Ne aveva a sufficienza per perdere le staffe quanto e come voleva.

«Sapere di poter fare cose incredibili e accorgersi di avere dei limiti è dura, credimi» ammise Winter, roco.

«Beh, vedrò di farti passare il senso di colpa, in qualche modo» gli promise con veemenza. «Da che parte?»

«Mantieniti sul grado e mezzo a est rispetto alla direzione indicata dal GPS. Basterà per trovare ghiaccio in abbondanza» le spiegò lui, parlandole all'orecchio.

«Signorsì, comandante.» 

Sorrise, e accelerò il passo.

Win si guardò indietro per un attimo, sapendo già che la loro velocità non sarebbe bastata a tenerli lontani dai loro inseguitori ancora per molto, ma era inutile spaventare Kimmy.

Come era inutile pensare a quanto, la tempesta sopra le loro teste, li avrebbe messi in difficoltà.

Maledizione, Autumn! Sei davvero uno stronzo!, pensò tra sé, deciso più che mai a non chiedere aiuto al gemello.

 
≈≈≈
 
Il tempo era pessimo, a Washington, D.C., e l'ansia di Malcolm era direttamente proporzionale ai fiocchi di neve che stavano cadendo sulla capitale degli Stati Uniti.

Erano giorni che non riusciva a parlare con suo padre, precisamente dal compleanno di Kimberly, che lui aveva voluto festeggiare in diretta Skype per omaggiare la sua nuova amica.

Le aveva fatto vedere con orgoglio, attraverso la webcam, il regalo che le aveva fatto – un portamatite in legno, decorato con una miriade di paillettes colorate – e, dopo averle fatto gli auguri, le aveva promesso una cioccolata al suo ritorno.

Subito dopo aveva parlato con suo padre, trovandolo più allegro e gioviale del solito e, da lui, aveva saputo del regalo che aveva fatto all'amica.

Malcolm ne era stato felicissimo, e si era complimentato con il padre per la bellissima opera.

Quelle erano state le ultime parole che si erano rivolti. 

Ogni volta che aveva tentato di mettersi in contatto con il campo base sull'Isola Piccola Diomede, dopo quel giorno meraviglioso, il segnale era risultato inesistente, come se fossero stati inghiottiti da un buco nero.

Anche quella mattina non fu diversa dalle altre e Summer, che stava preparando la colazione assieme a Spring, lo chiamò a gran voce dalla cucina esclamando: «Ehi, Mal, le cupcakes sono pronte!»

«Arrivo, zia!» replicò lui, spegnendo il computer prima di dirigersi mogio verso la cucina.

Quando vi mise piede, le due donne si volsero sorridendo verso di lui prima di perdere del tutto qualsiasi traccia di allegria, non appena si resero conto delle condizioni del nipote.

Materna e protettiva, Spring lo raggiunse in pochi, rapidi passi e, ansiosa, gli domandò: «Tesoro, che succede?»

«Papà non risponde neppure stamattina» borbottò Malcolm, accomodandosi al tavolo per poi fissare accigliato le meravigliose cupcakes preparate da Summer.

«Quell'uomo sa essere insensibile come un pezzo di legno, quando vuole» brontolò la vulcanologa, dando una pacca sulla spalla al nipote. 
«Scommetto che ti richiamerà nel pomeriggio, tutto contrito e spiacente.»

«Non so, zia... mi sembra così strano. E sento un peso qui, sul cuore» replicò tristemente Malcolm, appoggiando le mani sul torace con aria spaurita.

Accigliandosi immediatamente, Summer si piegò per incrociare lo sguardo del bambino e, fissandolo con i penetranti occhi verde e oro, gli domandò ansiosa: «Percepisci un pericolo, Mal?»

«Sai che non può ancora agire per mezzo del suo Elemento» protestò Spring, fissando malissimo la gemella.

Sbuffando, Summ scosse il capo di ribelli capelli rosso fuoco e lanciò un'occhiata venefica alla sorella.

«E' suo padre, coniglietto dei miei stivali! Il legame è forte a sufficienza perché possa ugualmente avvertire qualcosa!»

Infuriandosi immediatamente, Spring sospinse la gemella e sibilò: «Non chiamarmi coniglietto!»

«Ma lo sei, tesoruccio» ironizzò Summer, tornando a prestare la sua attenzione al nipote. «Mal, concentrati e dimmi cosa senti.»

«Se starà male, sarà solo colpa tua» si lagnò Spry, aggrappandosi alle spalle del bambino per dargli forza.

Malcolm però sorrise alla zia, replicando: «Non preoccuparti per me, zia Spry. Voglio farlo.»

«Bravo il mio campione! Tu sì che sei un Hamilton con i contro... beh, insomma, con gli attributi» balbettò Summer, scoppiando a ridere per la gaffe a stento evitata.

Malcolm ridacchiò mentre Spring sbuffava disgustata; era sempre così, quando erano insieme.

Summ era un'autentica forza della natura, a volte un po' sboccata, ma andava detto che avrebbe smosso mari e monti per il nipote, e di certo con maggiore veemenza rispetto a Spring che, di carattere, era più docile e mansueta.

Sorridendo alle due zie, Malcolm chiuse gli occhi e si concentrò su ciò che avvertiva nell'animo, ben sapendo che era lì che doveva cercare le sue risposte.

Mordendosi un labbro per il nervosismo, il bambino avvertì solo un profondo freddo nel cuore, oltra a una vaga luce calda provenire da una persona che non era il padre. Kimberly? 

Non poteva esserne sicuro, ma gli sembrava che fosse lei.

Riaperti gli occhi dopo quella che gli sembrò un'eternità, afferrò il bicchiere del latte per scolarselo tutto in un colpo solo e, con un certo impeto, esclamò: «Il papà è freddo come il ghiaccio. Non è come al solito. E con lui ci deve essere anche Kimmy. Mi è sembrato di riconoscere la sua aura, ma non posso esserne certo.»

«Sei stato bravissimo, caro. Ora mangia la tua cupcake mentre io e zia Summer vediamo di raccapezzarci.»

Senza dare il tempo a Summ di aggiungere altro, Spring trascinò la gemella nel salotto e, dopo essersi sincerata che la porta della cucina fosse ben chiusa, esalò spaventata: «Win sta combinando qualcosa che non va bene, non va affatto bene.»

La gemella annuì, turbata non meno della gemella, e asserì torva: «Sappiamo benissimo che lo spettro spirituale di Winter non è freddo, bensì caldo e pulsante, perciò ne deduco che tutto il suo potere, o quasi, lo stia usando per proteggere Kimberly da qualcosa.»

«Resta da capire cosa possa averlo costretto ad una simile contromisura. Cosa può essere successo?» mormorò dubbiosa Spring, passeggiando avanti e indietro per il salotto.

«Andrò al NOAA oggi stesso e chiederò a Big Mama se hanno ricevuto chiamate dal campo base. Tu, intanto, vedi di sentire Autumn e obbligalo ad intervenire. Non me ne frega un cazzo se quei due imbecilli hanno litigato. Lui è un Hamilton e, per Dio, deve ricordarselo ogni tanto!» 

Il tono di Summer non ammetteva repliche, ma Spring si sentì comunque in dovere di dire: «Guarda che, anche se non ti esprimi come uno scaricatore di porto, ti capisco lo stesso.»

La vulcanologa sogghignò  di fronte a quel rimbrotto e Spry, sospirando esasperata, prese il cordless per digitare il numero del fratello che, ormai da quattro anni, viveva stabilmente a Tulsa, in Oklahoma.

Dopo una serie quasi infinita di squilli, Autumn levò il ricevitore e mugugnò: «Che diavolo vuoi, Spring?»

Accigliandosi immediatamente a quel tono strafottente, la gemella assottigliò le iridi color cielo e sibilò: «Un 'ciao, sorellina, come stai?' è troppo, per te?»

«Mi stai chiamando dal telefono di casa di Winter, perciò ne deduco che lui non c'è. Quindi, ti chiedo nuovamente; cosa vuoi?» 

Il suo tono non cambiò di una virgola.

Summ sospirò esasperata di fronte all'espressione sempre più infuriata della gemella e, strappatole il telefono dalla mano, borbottò: «Sentimi bene, bello. Qui la faccenda è una sola; o ti decidi a scendere dal pero, e ti comporti da vero Hamilton, oppure resta pure lì a rassodarti le chiappe dietro ai tuoi tornado.»

«Summer! Sai che ti amo, vero?» scoppiò a ridere Autumn, graffiando l'aria con il suo tono sardonico. 

«Dimmi perché diavolo dovrei comportarmi da vero Hamilton, sentiamo...»

«Winter sta morendo.»

 
≈≈≈

Il primo colpo sibilò nell'aria quando, secondo l'orologio digitale del GPS, scoccarono le tre del pomeriggio.

Winter, parandolo con abilità grazie a uno scudo di ghiaccio, urlò a Kim: «Non rallentare per nulla al mondo e, soprattutto, tieniti a tre gradi a est rispetto al tracciato del GPS!»

«Va bene!» gridò lei di rimando, girando la manopola dell'acceleratore verso di sé mentre il suo cuore, che ormai correva a mille all'ora, balzò nel petto per la paura non appena percepì degli strani movimenti alle sue spalle. 

«Che stai facendo?!»

«Devo vederli, per proteggerti meglio!» le spiegò a gran voce, scavalcando il sellino della motoslitta per poggiarsi schiena contro schiena con Kimmy.

«Guai a te se ti fai un solo graffio! Non ho fatto la figura della donna sdolcinata solo per perderti ora!» sbottò Kim provando autentico, puro terrore all'idea che a Winter potesse anche solo scalfirsi un'unghia.

Win scoppiò a ridere, suo malgrado inorgoglito dalla preoccupazione della donna e dalla sua tempra che, nonostante il pericolo, balzò fuori come una furia.

Senza provare paura alcuna, dichiarò: «Ti rinfaccerò tutte le paroline dolci di questa mattina per il resto della tua vita!»

«Antipatico!» urlò lei, strillando subito dopo non appena un secondo colpo venne sparato nella loro direzione.

Winter parò con agilità anche quello, ma dovette fare i conti con un problema che aveva lasciato da parte fin da quando aveva iniziato a passare la sua energia a Kim.

Il suo corpo si stava prosciugando come una spugna strizzata con forza. 

Ma non poteva evitare di riscaldare il corpo di Kimmy, come non poteva esimersi dal tenere sotto controllo  lo spessore del ghiaccio sotto di loro, o la tempesta sulle loro teste. 

Se si fossero sbagliati nel transitare sulla calotta, sarebbero finiti in un crepaccio e, da lì, nell'acqua gelida che li avrebbe mandati in shock termico nel giro di pochi secondi.

Lasciare che i quintali di neve, che si stavano accumulando sulle loro teste, crollassero sullo Stretto con la virulenza di un Diluvio Universale non sarebbe stato meglio, ma contenerla era sempre più difficile.

No, il suo potere doveva essere spremuto fino all'ultima goccia per proteggerla.

Non gli importava se di lui non sarebbe rimasto che un guscio vuoto; Kim aveva toccato il suo cuore, con lei aveva assaporato il vero amore e, anche se per un attimo, si era sentito finalmente  e nuovamente completo. 

Il ghiaccio intorno a lui si era finalmente spezzato.

Perciò, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di infierire sulla creatura che, assieme a Malcolm, era per lui la più preziosa al mondo.
I colpi degli AK-47 si fecero sempre più vicini e, per Winter, divenne più complesso pararne i proiettili col ghiaccio; doveva essere rapido non solo nel creare barriere, ma anche nello stabilirne lo spessore.

Non si poteva permettere di sprecare neppure una stilla di energia, e creare scudi troppo spessi sarebbe stato inutile quanto controproducente.

Muoverli in sincronia con i colpi inferti era già abbastanza complesso, destreggiarsi con scudi di ghiaccio troppo grandi sarebbe perciò stato sciocco.

E lui non lo era di sicuro.

Quando, però, uno dei proiettili perforò la crosta trasparente dell'ultimo scudo, che aveva letteralmente trascinato fuori dalla calotta di ghiaccio su cui stavano viaggiando, Winter comprese di essere al limite.

Non era più in grado di controllare adeguatamente i suoi poteri.

Lentamente, la neve iniziò a cadere in fiocchi sempre più grandi, sempre più fitti, non più tenuti a bada dalla gabbia di energia che Winter aveva espanso attorno a tutta l'enorme nube temporalesca.

Kim se ne accorse immediatamente e, urlando per farsi sentire da Winter, esclamò: «Tutto bene, lì dietro? La visibilità si sta facendo pessima!»

«Tutto a posto! Preparati a ballare, perché farò un po' di danni!» le rispose a gran voce lui, volgendo poi lo sguardo accigliato in direzione dei loro nemici che, ormai, si trovavano a poco meno di un quarto di miglio da loro.

Ligia all'avvertimento lanciatole da Win, Kimmy strinse con maggiore forza le manopole del manubrio della motoslitta mentre, tutt'intorno a lei, il ghiaccio iniziò a tremare.

Come preda di un terremoto dalla magnitudo sempre più forte, la calotta di ghiaccio che ricopriva lo Stretto iniziò a incrinarsi in corrispondenza delle motoslitte dei loro nemici.

Limitarsi a far tremare il ghiaccio senza spezzarlo era un autentico inferno, ma non poteva far esplodere metà calotta dello Stretto solo per salvarsi.

Sarebbe stato un autentico disastro.

«Che succede, Win!? Riesco a malapena a tenere la motoslitta diritta!» urlò spaventata la donna, tentando senza grosso successo di frenare il tremore folle che faceva ballonzolare la motoslitta.

Lui non rispose, troppo preso a respirare per non perdere conoscenza. 

Dopo aver controllato con lo sguardo ed i suoi sensi amplificati che gli inseguitori fossero caduti nei seracchi formatisi nel ghiaccio, gracchiò: «Prosegui... il tremore dovrebbe smettere tra...»

Le palpebre calarono senza che lui lo avesse ordinato, le ultime forze scivolarono via dal suo corpo senza che la sua mente potesse far nulla per fermarle. 

Come una marionetta senza più fili a trattenerla, si afflosciò su se stesso, urtando la spalla di Kim prima di rovinare a terra, ruzzolando più e più volte sulla neve ghiacciata.

Kimberly non fece in tempo a rendersi conto dell'improvviso cedimento di Winter, se non quando non percepì più il suo corpo accanto al proprio.

Spaventata, fermò di colpo la motoslitta, facendola sbandare sul ghiaccio prima di spegnerla e discenderne di corsa.

Urlando più e più volte il nome di Win, mentre il ghiaccio sotto di lei pareva sbatacchiato dai colpi di un martello infernale, Kimberly scivolò, cadde e si rialzò più volte prima di raggiungere il corpo immobile dell’uomo.

In lontananza, creste di ghiaccio spuntavano dalla calotta come i denti di uno squalo, bloccando di fatto qualsiasi avanzata nemica. 

Nel mezzo di quell’inferno di avvallamenti, guglie e seracchi, le motoslitte dei loro inseguitori non avrebbero più potuto uscirne intere, e questo li avrebbe rallentati a sufficienza… forse.

Senza badare minimamente a quello spettacolo della natura, Kim crollò in ginocchio al fianco di Winter e, terrorizzata, ne tastò il collo per controllare le sue pulsazioni.  

Lacrime calde le pungevano gli occhi nel tentativo di debordare, ma lei non vi badò. 

Con efficienza, iniziò a slacciargli la giacca per sincerarsi che non vi fossero ferite all'addome.

Ben decisa a non crollare di fronte alla paura che la stava divorando come una fiera assetata di sangue, Kim continuò nel suo esame preliminare prima di sollevargli la testa in grembo e mormorare tremante: «Win, ti prego, svegliati... Win...»

L'uomo non le rispose, pallido tra le sue braccia e privo di sensi.

Mordendosi un labbro, la donna si guardò finalmente intorno, mentre la neve continuava a cadere fitta. 

Fu a quel punto che comprese ciò che aveva prosciugato le ultime energie di Winter.

Quella muraglia di ghiaccio li aveva salvati dall’attacco dei loro inseguitori, ma lo aveva debilitato a tal punto da farlo crollare.

Ora era sola, tremendamente sola in quella landa gelata, lontana dal primo barlume di civiltà, possibile preda di orsi bianchi e, Dio non volesse, di altri uomini inviati da coloro che volevano ucciderli.

Chinandosi a baciare le labbra fredde di Winter, Kim mormorò tenace: «Non ti lascerò qui... non morirai. Tu. Non. Morirai.»

Aggiustando il colletto della giacca dell’amato, si chiese come avrebbe potuto fare a caricarlo sulla motoslitta. 

Winter era ben più alto di lei, e decisamente più robusto. E, di certo, Kim non era famosa per il sollevamento pesi.

Non potendo fare altro, lo lasciò steso a terra per tornare alla motoslitta e, dopo averla avvicinata a lui fin quasi a sfiorarlo, lo afferrò sotto le ascelle e iniziò a tirare.

«Dio! Perché non ho fatto palestra più spesso!?» sbottò, ritrovandosi a tirare inutilmente quel corpo enorme e completamente a peso morto.

«Maledizione, maledizione, maledizione! Win, svegliati! Non riesco a spostarti da sola!» 

Urlò a gran voce, ben decisa a non scoppiare a piangere, nonostante ne avesse una gran voglia, ma a nulla servirono le sue preghiere.

Si ritrovò a guardarsi intorno frenetica, controllando nuovamente che non vi fossero nemici in arrivo e, nell'osservare le guglie di ghiaccio che avevano bloccato le motoslitte che li avevano inseguiti fin lì, rabbrividì.

Non aveva davvero idea di cosa sarebbe successo, se non ci fosse stato Winter a creare quella protezione di ghiaccio.

«Pensa, Kim, pensa... e soprattutto, non piangere. Ti si congelerebbe la faccia» borbottò tra sé, continuando a strattonare il corpo esanime di Winter, steso inerme sulla neve.

Il punto non era tanto avvicinarlo quanto bastava per caricarlo. Il punto era sollevarlo.

Lei era sola e...

«Aspetta un momento...» esalò, spalancando gli occhi speranzosa. «Erin! Erin, mi senti?!»

Lo sapeva, era follia chiamare una fata composta di cristalli di brina perché l'aiutasse, ma...

In uno scintillare di acqua ghiacciata e all'apparenza fragile come cristallo, Erin comparve lì accanto a lei, iridescente e simile ad un arcobaleno e, sgomenta, sussurrò: “Cos'è successo?”

«Doveva essere allo stremo. Ha creato quella specie di seracco di ghiaccio come estrema risorsa per bloccare i nostri inseguitori, poi è svenuto. E' così freddo, Erin!» le spiegò succintamente Kim, stringendosi al petto il capo bruno dell’uomo.

Annuendo pensosa, la fata si volse per controllare i danni causati da Winter e asserì ombrosa: “Deve aver faticato non poco per circoscrivere l'energia e divellere solo quel poco ghiaccio laggiù. Non mi stupisce che sia svenuto, specie considerando tutto il potere che ha usato fino a qui.”

«Che intendi dire?» gracchiò sgomenta Kimberly, impallidendo in viso.

“Non voglio mentirti, perciò sarò franca. Il solo fatto di mantenerti calda sarebbe stato un peso sufficiente, per lui, visto che era già impegnato a scandagliare col suo potere la calotta di ghiaccio dello Stretto. Ma no, lui ha voluto fare l'eroe, come suo solito, e ha deciso di strafare. Teneva bloccata la tempesta impedendo alla neve di cadere e al tempo stesso, da quel poco che ho potuto capire, ha anche usato il suo dono per farti da scudo, giusto?”

Kim mormorò ansiosa: «Non so esattamente cosa stesse facendo ma, di sicuro, i colpi rimbalzavano contro qualcosa.»

Erin annuì ancora prima di sorridere a Kim e dichiarare: “Sei una donna coraggiosa... sono felice che Winter ti abbia ritrovata, alla fine.”

«Perché... dici così?»

“So che ha tenuto un quaderno con i tuoi successi, per anni. Me lo fece vedere, una volta. Al liceo, scrivevi per il giornalino scolastico, giusto?”

Sempre più allibita, Kimberly annuì debolmente e la fata, parcellizzando la sua figura per scivolare sotto il corpo di Winter, iniziò a sollevarlo sotto lo sguardo sconvolto della donna.

“Ti ha seguita per molto tempo, collezionando tutti gli articoli che scrivevi. Una volta mi disse che, per recuperare uno dei  giornalini, aveva addirittura frugato nei cestini davanti al tuo vecchio liceo. Era così orgoglioso, quando mi raccontava queste cose su di te.”

«Ma non eri...»

“Gelosa? No. Io e Winter siamo sempre stati molto chiari sui nostri rispettivi sentimenti, e sapevamo entrambi che nessuno dei due sarebbe mai arrivato ad amare l'altro così profondamente da cancellare qualsiasi altra persona dalla propria mente. Ci volevamo bene come amici, tutto qui. Anche per questo ascoltavo volentieri ciò che aveva da dirmi su di te. Anch’io avevo un innamorato, che lasciai in Irlanda per diventare la sposa di Winter. Anche per questo, ci capimmo al volo… provavamo le stesse pene d’amore.”

«Win mi ha detto che non mi ha mai cercata perché... non si riteneva degno di me. Non capisco cosa volesse intendere» le spiegò Kim, mentre aiutava le mani di bruma di Erin a posizionare Winter sulla motoslitta.

Era tutto così assurdo, ai suoi occhi, eppure stava accadendo sul serio!

Stava parlando con un fantasma di ghiaccio – il fantasma della moglie dell'uomo che amava – , e quel fantasma la stava aiutando a salvare Winter.

“Diventare ciò che è ora è stato difficile. Non si padroneggiano i poteri degli Elementi come se nulla fosse. Il training è durato quasi un decennio e, nel frattempo, tutti i gemelli hanno dovuto convivere con il fatto di non avere più la loro casa, i loro genitori, di dover crescere in un ambiente nuovo, dove non conoscevano nessuno. Dovevano aiutare Brigidh a tirare avanti così, quando non erano impegnati a scuola o nell'addestramento, lavoravano dove e come potevano per portare a casa un po' di soldi. Non hanno avuto un'adolescenza facile. L'università se la sono pagata grazie alle borse di studio conseguite per merito delle pagelle eccelse che avevano ottenuto, ma non fu facile... per nessuno di loro.”

Kim si sedette velocemente dietro il corpo di Winter, interamente addossato contro di lei ed Erin, per darle una mano, si mise tra l’uomo ed il manubrio dicendole: “Parti pure. Sosterrò parte del peso mentre raggiungi un punto in cui posizionarti per la notte.”

La donna annuì, preferendo non badare troppo al fantasma di brina che sorreggeva l'uomo che amava e, girata la chiave di accensione, diede gas.

Niente di niente.

Il motore non ne volle sapere di partire.

Accigliata, riprovò, ma nulla successe.

Erin a quel punto si guardò intorno al pari di Kimberly e, quando entrambe puntarono lo sguardo sul serbatoio, uguali espressioni di sconcerto e rabbia si dipinsero sui loro volti.

Uno dei proiettili aveva perforato il serbatoio, finendo con l’aprire un foro nella parte più bassa della parete d’acciaio, prosciugando letteralmente qualsiasi loro tentativo di fuga da quella landa.

«E adesso?» esalò Kim, lanciando un’occhiata verso il cielo scuro e purulento.

La neve non la smetteva di cadere e, entro breve, sarebbero congelati.

Doveva assolutamente trovare un posto dove far riposare Winter e, nel frattempo, sperare che nessun altro li stesse cercando per ammazzarli.

Pregava solo che Tim e gli altri avessero già messo in moto la cavalleria.

«Aiutami a sdraiarlo, Kimberly, poi monta la tenda del tuo zaino. Per ora, la cosa più importante è tenerlo al riparo dalla tempesta. Non sarà come l’igloo fatto da Win, ma è sempre meglio di niente» mormorò Erin, pensierosa.

Kimmy annuì e, con l’aiuto della fata, sistemò l’uomo accanto alla motoslitta.

In fretta, preparò la tenda e, sempre con l’aiuto di della fata, vi infilò all’interno Winter dopodiché, chiusi i lembi, osservò la sua spirituale compagna di avventure e sospirò tremula.

Lei le concesse un cauto sorriso, cui però non riuscì ad aggiungere parola. Anche Erin non sapeva cosa fare, in quel momento.

Stringendo a sé Win, Kimberly si chiese quanto tempo avrebbero potuto resistere, a quel modo e, tra sé, iniziò a pregare un Dio a cui, solitamente, si era rivolta ben poco, negli anni.

 
≈≈≈
 
La notte doveva essere calata, o almeno così lei pensava, ma era difficile dirlo in quell’uniforme oscurità che cancellava forme, spazio e tempo.

L’unica cosa che conosceva con certezza era il freddo pungente che tentava di trapassare le pareti della tenda, oltre alla totale mancanza di interventi esterni da parte dei soccorsi.

Nessuno li aveva ancora trovati. Né tra i buoni, né tra i cattivi.

«Quindi, sapeva che avevo studiato geologia?» chiese ad un certo punto Kim, cercando di rimanere sveglia nonostante sentisse le palpebre pesanti.

Aveva sfruttato la presenza di Erin per tutto il giorno nel tentativo di non perdere conoscenza e la donna, con somma pazienza, aveva risposto a tutte le sue domande e le aveva raccontato aneddoti della sua vita con Winter.

“Quando andasti all'università perse le tue tracce e, con la faccenda del nostro fidanzamento e tutto il resto, lasciò perdere. Una volta gli chiesi come mai non ti avesse più cercata e lui, con il suo solito sorriso generoso, mi disse che io ero sua moglie e che tutte le sue attenzioni dovevano andare a me. Avrei voluto picchiarlo, ma capii il suo punto di vista. Avrebbe sofferto, non potendoti avere, perciò sarebbe stato crudele insistere perché riallacciasse i rapporti con te o, quanto meno, che si interessasse della tua carriera.” 

Sorrise imbarazzata, e aggiunse: “Forse, avrei dovuto insistere di più, ma poi mi ammalai e...”

«Deve essere stato tremendo... per voi tutti» mormorò Kim, non sapendo bene come sentirsi.

Stava discorrendo piacevolmente con la moglie – morta – di Winter e, cosa ancor più sconvolgente, ora sapeva che Win non l'aveva mai realmente abbandonata e che, addirittura, Erin era lieta di sapere che entrambi si amavano.

Doveva per forza trovarsi in un mondo parallelo.

“La parte più difficile fu far capire a Mal che non si poteva fare nulla per me. Sapeva già, per quanto può capirne un bambino così piccolo, che la nostra era una famiglia speciale, perciò accettare che non si potesse intervenire con la magia fu dura, per lui. Win fu bravissimo. Gli spiegò cosa sarei diventata e che, quando lui fosse stato in grado di padroneggiare a sua volta il suo dono, avrebbe potuto vedermi. Fu felice di saperlo, e si tranquillizzò un po'. Quando oltrepassai le Soglie, ristetti mesi interi accanto alla mia casa per capire in che condizioni avevo abbandonato mio marito e mio figlio, e fui lieta di vedere che Spring, Summer e Brigidh  erano loro vicini.”

«Non hai menzionato Autumn. So che sono parecchio in rotta» le fece notare Kim, sistemando meglio contro di sé il corpo freddo d Winter. Il suo battito cardiaco era così fievole, sotto le sue dita!

Sospirando afflitta, Erin annuì e, debolmente, ammise: “Autumn non aveva neppure accettato il matrimonio di suo fratello, figurarsi la mia morte.”

«Oh, e perché?» borbottò sorpresa Kim.

La fata esitò un attimo prima di rispondere ma, alla fine, ammise ogni cosa.

“Era innamorato di me. Odiò Winter fin dal primo istante in cui si rese conto di questo sentimento. Si trasferì a Tulsa alla mia morte per evitare di impazzire e, da quel momento, non ha più parlato con Win. Si è tenuto in contatto solo con le sorelle, per non perdere i contatti con il nipote.  Quando morii,  accusò Win di non aver fatto abbastanza per me, di non avermi amata come meritavo. Se prima avevano convissuto nella stessa città più o meno civilmente, da quel giorno non si parlarono più.”

Kim non riuscì ad aprire bocca ma capì fin troppo bene, purtroppo, che Autumn non li avrebbe mai e poi mai aiutati.

«Autumn sapeva ciò che Win provava per me, all'epoca?» si arrischiò comunque a domandare, pur immaginando la verità.

“Fui così sciocca da parlargliene, una volta, non comprendendo quanto male avrei potuto fargli... fare loro. Perciò sì, lo sa.”

Kim annuì, sospirando tremula e tra sé pensò che, sapendolo, non avrebbe mosso un dito.

Come avrebbe potuto sapendo che, lì con suo fratello, c'era lei?



  
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