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Autore: Lukk    02/01/2014    1 recensioni
Storie oscure, pensieri indecenti, segreti inconfessabili.
Una raccolta di flashfic ispirata alle splendide poesie di Charles Baudelaire, de "I Fiori del Male".
Aggiornerò i personaggi presenti man mano che la raccolta andrà avanti.
1. Al Lettore - Voldemort
2. Elevazione - Severus/Lily
3. La Musa Malata - Bellatrix
4. L'Uomo e il Mare - Sirius
5. La Bellezza - Narcissa
6. Inno alla Bellezza - Lucius/Narcissa
7. T'Amo Come L'Immagine - Lucius/Hermione
8. Impura, Stiperesti - Bellatrix
9. Il Serpente che Danza - Draco/Pansy
10. De Profundis Clamavi - Severus
11. Il Vampiro - Lucius/Hermione
12. Duellum - Albus/Gellert
13. Reversibilità - Lucius
14. Il Tossico - Rodolphus/Bellatrix
15. L'Irreparabile - Severus/Helena
16 - 17. Canto d'Autunno - Tom Riddle e Lucius/Narcissa
18. Canzone Pomeridiana - Rodolphus/Bellatrix
19. Franciscae Meae Laudes - Draco/Hermione
20. Moesta et Errabunda - Lucius/Severus
21. Lo Spettro - Voldemort/Bellatrix
22. Tristezze della luna - Luna/Severus
Genere: Erotico, Introspettivo, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Draco Malfoy, Lucius Malfoy, Severus Piton, Sirius Black, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Lucius/Narcissa, Lucius/Severus, Rodolphus/Bellatrix
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Più contesti
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LXII

MOESTA ET ERRABUNDA

LUCIUS/SEVERUS

 

Dimmi, Agata, a volte non pensi di migrare

Lungi dal nero mare dell’immonda città,

laggiù, dove risplende un ceruleo alto mare,

terso e profondo come una verginitò?

Dimmi, Agata, a volte non pensi di migrare?

 

L’onda, l’onda infinita culla i nostri tormenti!

Onde, da qual mai demone aveste il rauco canto,

cui s’accompagna l’organo vasto e sordo dei venti,

con la missione augusta d’addormentare il pianto?

L’onda, l’onda infinita culla i nostri tormenti!

 

Portami via, vagone! Rapiscimi, vascello!

Qui è intriso di lacrime il fango della via!

Non suona, triste Agata, nel tuo cuore l’appello:

“Dai rimorsi, dai crimini, dalle gravezze, via,

portami via vagone, rapiscimi, vascello?”

 

Come lontano sei, paradiso balsamico,

dove sotto l’azzurro regna amore e letizia,

dove quello che s’ama è ben degno che s’ami,

e in flutti puri d’estasi il cuore si delizia!

Come lontano sei, paradiso balsamico!

 

Ma il verde paradiso dei fanciulleschi amori,

le corse, i canti, i baci, il vibrar degli archetti

a ridosso dei poggi, i mazzetti di fiori,

e gli orcioli di vino, la sera, nei boschetti,

-         ma il verde paradiso dei fanciulleschi amori,

 

il casto paradiso delle gioie furtive,

è di già più lontano dell’India e della Cina?

Potrebbe un grido, un gemito farlo ancora rivivere,

ridestarlo col palpito d’una voce argentina,

il casto paradiso delle gioie furtive?[1]

 

Lucius lo guarda immobile, non si muove neanche un muscolo del suo pallido volto. Severus ricambia lo sguardo inespressivo, gettandogliene uno altrettanto inespressivo. C’è da chiedersi cosa possono capire l’uno dell’altro, se non si sforzano di esprimere nulla. Lo sguardo di Lucius si sposta da Severus ad un punto situato sul muro, da qualche parte dietro di lui.

“E’ andata così, dunque.”

“E’ andata così.”

“Sei una spia da tutto questo tempo Severus?”

“Sì, Lucius.”

Un lampo di rabbia attraversa le iridi argentee del mago biondo, mentre stringe il bicchiere di vino con forza, finché le nocche non gli diventano bianche.

“Perché me lo stai raccontando, Severus? Potrei andare in questo stesso momento dal Signore Oscuro. Potrei venderti come la più inutile delle chincaglierie. Potrei guadagnarmi i suoi favori in un battibaleno, se gli svelassi quel che tu hai svelato a me ora. Perché me lo stai raccontando?”

“Perché so che non vuoi farlo, Lucius.”

Severus si alza di scatto, si avvicina ad una finestra del maniero e guarda fuori,  incrociando le braccia dietro la schiena e dando le spalle all’amico.

“So che sei stanco. So che non hai digerito il fatto di essere trattato alla stregua di un mezzosangue, privato della bacchetta, per un errore commesso – errore che nemmeno il Signore Oscuro ha potuto evitare. So che non hai tollerato che tuo figlio venisse messo in pericolo. So che non puoi più vedere tua moglie soffrire nel modo terribile in cui una madre soffre. So che non è questo il mondo che desideri, Lucius.”

“Ti sbagli” ringhia lui, in risposta. “Ti sbagli Severus. Io posso tollerare tutto questo, se può servire a…”

“A cosa, Lucius!” Severus si gira nuovamente verso di lui, quasi gridando. Lucius può vedere forse per la prima volta uno sguardo quasi disperato sul volto del maestro di pozioni. “A cosa può servire tutto questo? Stiamo decimando la comunità magica! Tutto cade in un baratro di terrore, Lucius! Tuo figlio non sorride più, tua moglie non sorride più, Tu, Lucius, non sorridi più, da quanto? Non sogni ogni notte i volti di coloro che sono morti straziati dalle tue mani e dagli ordini del tuo padrone? Quanti ragazzini dovrai ancora veder morire per capire che tutti, tutti loro potrebbero essere Draco?”

Con tre grandi passi Severus si avvicina alla poltrona dove Lucius è seduto, vi posa le mani stringendo i braccioli con un gesto convulso e gli parla, a pochi centimetri dal volto, riversando ogni paura, ogni pentimento su quel volto statuario, che pare non ascoltarlo ma che Severus sa, lo sa, lo ascolta eccome.

“E cosa dovrei fare, ora, secondo te?” Gli sibila in risposta, quasi senza muovere le labbra “Mandare definitivamente mia moglie e mio figlio al macello ribellandomi al mago più potente che abbia mai camminato su questo pianeta? Non c’è più scampo, Severus, io non sono un abile occlumante come te e – a dirla tutta – non ho il tuo incredibile coraggio.”

Si guardano per un tempo che sembra infinito, i volti poco distanti, le menti ancor meno distanti. Severus sorride di un ghigno amaro.

“Lo prendo come un complimento. Ma il coraggio non è una dote innata amico mio. Si apprende, spesso per necessità.”

“Lo è. Vorrei davvero ascoltarti Severus. Vorrei avere il coraggio di fare quel che tu fai. Ma non nutro alcuna fiducia in Potter e i suoi amici. Non voglio mettermi ancora più in pericolo di quanto io non sia e…”

Quanto gli appaiono vuoti i suoi discorsi mentre li pronuncia! Mai, mai in tutta la sua vita si è sentito così piccolo, così vigliacco. Si interrompe, fissando quegli occhi neri che lo fissano a loro volta e, riflettendo davvero per la prima volta su quel che Severus gli ha rivelato, l’orrore gli cade addosso come un macigno. Sente sulla sua pelle, in uno slancio empatico che non gli è proprio, tutto ciò che l’amico ha sopportato in nome di un amore che l’ha consumato fino a togliergli tutto e a regalargli tutto. Legge, nel suo sguardo nero come l’ebano, il dolore provocato da ogni vita che ha tolto contro la sua volontà più profonda, contro la sua stessa anima…

“Severus…”

Allunga una mano a toccare quel viso irrigidito dall’angoscia, sfiora il suo collo, sentendo il cuore battere calmo, quasi fosse allenato ad un battito costante, sfiora il colletto della sua veste da mago e in un gesto convulso, pieno di dolore e bisogno lo stringe, lo tira, lo strattona, attirando Severus stesso verso di lui, verso le sue labbra, verso il suo bisogno d’aria pulita e Lucius lo bacia, e quel bacio quasi casto, se ne accorge, è la cosa più pulita e vera e bella che abbia provato negli ultimi anni e allora cede, si arrende e capisce.

“Portaci via, Severus, amico mio. Andiamocene via da quest’orrore. Insegnami come si fa.”

Mentre spariscono, Lucius pensa che il bello della smaterializzazione, è che non è un viaggio che permetta ripensamenti. A guardarsi indietro non si vede che il presente.

 

------Note

[1] Moesta et Errabunda, LXII, Spleen e Ideale, I Fiori del Male, C. Baudelaire, Trad: Bufalino.

No, non mi sfugge che siano passati praticamente quattro anni da quando ho pubblicato l’ultima flashfic di questa raccolta. Non ho mai pensato di lasciarla incompleta eppure non ho mai avuto voglia di scrivere ancora. Sono successe molte cose in questi anni e la mia vita è cambiata drasticamente, tuttavia mi rende felice sapere che questo è ancora un piccolo rifugio quasi immobile.

Immagino non ci sarà più nessuno dei vecchi lettori, e mi dispiace assai, ma spero che questa raccolta possa ancora dare qualcosa di nuovo a chi non l’ha mai letta.

  
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