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Autore: Magica Emy    02/01/2014    1 recensioni
Già, il mio Cri Cri adorato odia i cambiamenti, lo hanno sempre spaventato un po’, e poi…si, devo ammetterlo, adoro quella sua aria da cucciolo smarrito mentre si aggira per casa chiedendosi cosa abbia fatto di male per meritarsi tutto questo…il solito esagerato. Ma che posso farci? È fatto così, ed è anche per questo che sono pazza di lui...
Seguito di "Une nouvelle vie"
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Finiamo di sbrigare le ultime formalità e dopo un tempo che mi sembra interminabile mi consegnano le chiavi della stanza che mi hanno assegnato, al secondo piano. Bene, finalmente potrò mettermi a letto e riposare un po’ ma, non so perché, mentre mi avvio verso l’ascensore insieme a Nicolas quell’idea non mi sembra più così allettante. Una camera tutta nuova, con un letto che non è il mio e in un luogo così lontano da casa. Lontano da Johanna e i bambini, lontano dalla mia famiglia. Da tutti i miei affetti più cari. Il solo pensiero mi mette addosso un’orribile senso di perdita e inquietudine tali che sento le ginocchia cedermi improvvisamente, rischiando quasi di farmi perdere l’equilibrio. E probabilmente sarebbe successo se vicino a me non ci fosse stato Nicolas che adesso, mi accorgo, mi sta studiando con aria concentrata, preoccupata forse, anche se la mia vista è talmente sfocata da non permettermi di metterlo a fuoco come vorrei.

- Christian, tutto bene?

Le sue mani mi stringono il braccio, così forte da farmi trasalire mentre mi accorgo che sto sudando freddo e la sua voce sembra arrivarmi da molto lontano, come un’eco indistinta che faccio fatica a comprendere appieno. Scuoto lentamente la testa, passandomi stancamente una mano sugli occhi e sussultando quando l’ascensore si arresta bruscamente e le porte si riaprono davanti a noi, mostrando solo una piccola parte del corridoio che dovrò percorrere per giungere a destinazione.

- Non ce la faccio, Nicolas – gemo con un filo di voce, voltandomi a guardarlo – io…io non voglio stare qui, voglio solo tornare a casa. Per favore, riportami a casa.

E faccio per rientrare in ascensore ma il mio amico, pronto mi afferra per le spalle, bloccando così la mia corsa verso l’uscita e costringendomi a rimanere dove sono.

- È tutto a posto Christian, non aver paura. Qui sei al sicuro e ti riprenderai presto, solo allora potrai finalmente tornare a casa. Su, andiamo adesso.

Mi lascio trascinare verso la camera assegnatami, deciso più che mai a smettere di opporre resistenza. So che sarebbe inutile a questo punto e io non ne avrei la forza, non più ormai. Voglio solo…dormire, dimenticare tutto questo e sprofondare in un lungo sonno ristoratore per togliermi di dosso tutta questa incredibile tensione, ma il bisogno di farmi è così forte e prepotente che non mi permette quasi di ragionare, e io non so più che fare. Conosco bene questo posto e so che mi aiuteranno a uscirne, ma so anche che il cammino verso la ripresa sarà lungo e doloroso, e io…non sono sicuro di riuscire a sopportarlo. Non sono sicuro di voler rimanere lontano da Johanna così a lungo, non di nuovo, non adesso che siamo finalmente una famiglia. E i miei bambini…Grace…cosa penserà di me adesso? Non ha nemmeno voluto salutarmi prima che partissi, preferendo invece scappare via da me come se mi fossi improvvisamente trasformato in un mostro. Si, un orribile mostro da cui tenersi a debita distanza perché, forse, è proprio quello che sono diventato. Dio, che cosa ho fatto? Come ho potuto far del male a mia moglie, come ho potuto minacciarla a quel modo…e Laly, come starà Laly? Perché nessuno me lo dice, perché nessuno mi fa sapere niente? Traffico nella tasca dei pantaloni alla ricerca frenetica del mio telefono cellulare, ma le mie mani tremano talmente tanto che non riesco a reggerlo a lungo e all’improvviso, prima ancora che me ne renda conto sguscia via dalle mie dita, procurando un sordo tonfo sul pavimento e lasciandomi lì, sgomento, senza avere il coraggio di raccoglierlo. La mia mente è un turbinio di pensieri confusi che si agitano come uno sciame d’api impazzite, prendendo ben presto il sopravvento su di me e costringendomi ad accasciarmi a terra mentre mi prendo la testa fra le mani e urlo, urlo fino a lacerarmi i polmoni, e a quel punto è tutto un susseguirsi di rumori e voci intorno a me. Voci che non riconosco, braccia che mi sorreggono, trascinandomi di peso mentre mi dimeno come impazzito, pregando chiunque voglia starmi a sentire di lasciarmi andare, di riportarmi a casa mia perché quello, quello è l’unico posto dove voglio davvero stare. Ma nessuno sembra ascoltarmi adesso e l’unica cosa che sanno fare è continuare a pronunciare il mio nome, più volte, come una fastidiosa e crescente litanìa alla quale non ho il coraggio di sottrarmi finchè qualcosa, forse una puntura mi pizzica dolorosamente il braccio e tutto intorno a me comincia a girare vorticosamente, facendosi via via più confuso mentre sento che i miei occhi si chiudono di colpo…

Quando mi risveglio lo scenario è completamente cambiato. Sono disteso su un letto e la stanza è immersa nella penombra, con pesanti tende rosso porpora a ricoprire le finestre chiuse. C’è silenzio intorno a me, a parte il respiro lento e regolare di Nicolas che seduto vicino a me mi osserva con aria curiosa.

- Ehy, ti sei svegliato finalmente.

Lo sento dire, e i suoi lineamenti si distendono in un sorriso rassicurante.

- Dove…dove mi trovo, e cosa è successo?

È tutto ciò che riesco a dirgli, guardandolo interrogativamente.

- Sei nella tua stanza, e hai dormito per quasi tutto il giorno grazie al calmante che ti hanno somministrato.

Risponde.

- Calmante?

- Hai avuto una crisi – spiega pazientemente – ma ora è passata, non preoccuparti. È tutto sotto controllo, presto starai bene.

Mi tiro su a sedere, sbattendo le palpebre un paio di volte e cercando così di mettere a fuoco l’ambiente che mi circonda, che sembra caldo e confortevole al punto giusto. Mi prendo la testa fra le mani, liberandomi la fronte dai capelli e scoprendola madida di sudore mentre mi accorgo solo vagamente che Nicolas riprende a parlare, spiegandomi che tra poco dovrà lasciarmi da solo per andare a dormire alla pensione proprio qui accanto, ma che domani tornerà a farmi compagnia. Vorrei dirgli di lasciar perdere, di non preoccuparsi così tanto per me perché non me lo merito e che se fossi in lui mi affretterei a salire sul primo aereo per tornare subito dalla mia famiglia, ma, non so perché, mi ritrovo a non riuscire a pronunciare una sola parola. Le mie labbra restano chiuse, e l’unica cosa che so fare è provare a incrociare il suo sguardo serio, fin troppo serio un attimo prima che lui abbassi gli occhi, l’espressione improvvisamente addolorata. So di aver ferito anche lui col mio comportamento sconsiderato e senza regole, e ancora una volta non posso fare a meno di sentirmi tremendamente in colpa.

- Mi dispiace…

Continuo stupidamente a ripetere, come se questo potesse riuscire a cancellare in un colpo solo tutto il dolore causato, tutte le sofferenze provocate a chi invece ha solo cercato di aiutarmi. Nicolas sospira, poi mi batte affettuosamente una mano sulla spalla, come per confortarmi.

- Giuro che se te lo sento dire un’altra volta ti prendo a calci nel sedere, perciò ti conviene smetterla!

Esclama, facendomi sorridere divertito. Mi informa poi di aver parlato con Johanna e di averla rasicurata su tutto, compreso il mio stato di salute, e sentir pronunciare il suo nome mi provoca una violenta scossa al petto che sembra irradiarsi lentamente lungo tutto il mio corpo.

- Lei e i bambini stanno bene? E laly, ti ha detto qualcosa di Laly?

Le mie domande agitate sembrano coglierlo alla sprovvista mentre mi invita a distendermi e provare di nuovo a dormire e, non so perché, ma ora ho come l’impressione che stia cercando di cambiare discorso.

- Che cosa c’è Nicolas, è per caso successo qualcosa? Fammi parlare con Johanna!

- Va tutto benissimo – dice con fermezza -  smettila di preoccuparti, e poi è meglio di no per adesso. Sei ancora molto scosso e le infermiere di là vogliono solo che ti rilassi e pensi a riposarti, ragion per cui – fa una piccola pausa, strizzandomi l’occhio con fare giocoso – mi hanno dato ordine di “sequestrarti” il telefono. Da questo momento in poi infatti ti sarà concessa una sola telefonata al giorno, massimo due, perciò visto come sono andate le cose potrai parlare con Johanna domani. Mi spiace, ma a quanto pare sono le nuove regole.

- Che cosa – replico, sgranando gli occhi per la sorpresa – ma è assurdo! Che cos’è questa, una specie di prigione?

Per la miseria, non ho mai sentito una regola più stupida di questa! Credono sul serio che dovrei aspettare fino a domani per parlare con mia moglie? No, non possono farmi questo! Cerco di oppormi come meglio posso, ma mi accorgo ben presto di non esserne capace. Non ne ho la forza e la stanchezza comincia già a farsi sentire, così torno a distendermi e non mi accorgo quasi che Nicolas mi sta salutando, lasciandomi solo appena qualche minuto dopo e poco prima che i miei occhi decidano di richiudersi lentamente, facendomi sprofondare in poco tempo in un sonno pesante e senza sogni. Non so dire con certezza quanto tempo passi prima che la porta della mia camera si apra di nuovo, rivelando una figura alta e slanciata che però, nel mio stato di dormiveglia non riesco proprio a identificare. L’unica cosa che so è che non assomiglia nemmeno lontanamente a un’infermiera, e che quando rientro finalmente nel suo campo visivo ha un’espressione persino più sbalordita e confusa della mia.

- Oh che cazzo, ci mancava solo questa oggi! Non sapevo che questa stanza fosse occupata!

Esclama facendosi finalmente più vicina e permettendomi così di notare i primi particolari. È alta e ossuta e a occhio e croce dovrebbe avere circa vent’anni, di carnagione olivastra e con lunghi capelli scuri raccolti in una disordinata coda di cavallo. Mi accorgo che a dispetto del suo tono di voce tutt’altro che amichevole sembra avere un aspetto simpatico, così provo a sorriderle, cercando di capirne di più sulla sua improvvisa intrusione.

- Veramente sono arrivato solo questa mattina. Posso fare qualcosa per te?

Chiedo, cauto, e lei mi squadra accigliata per un lungo momento prima di decidersi a rispondere.

- Bella stanza amico, davvero notevole, non c’è che dire. In fondo l’ho sempre pensato. Se avesse saputo della sua esistenza mia madre non avrebbe badato a spese per farmi finire in un posto del genere, invece mi hanno confinata in fondo al corridoio, con le finestre piccole e la carta da parati verde vomito. Ma non è poi così male, sai? In fondo mi ci sto abituando. È mia madre il problema, lei trova sempre da ridire su tutto e non c’è cosa che non sia disposta a comprare con il suo sporco denaro, compresa me. Oh accidenti mi dispiace, sto divagando come al solito. Bè, che dire? Mi chiamo Sophie, ho diciannove anni e…muoio dalla voglia di farmi!

La fisso esterrefatto, fortemente colpito dalla sua ultima affermazione.

- Pensavo che ci trovassimo qui per smettere!

Replico, fissandola contrariato ma lei scoppia a ridere all’improvviso, lasciandomi completamente spiazzato prima di mostrarmi le mani che fino a quel momento aveva accuratamente tenuto dietro la schiena e, non posso crederci, sono piene di barrette al cioccolato.

- Ma che cosa hai capito – risponde divertita, e i suoi occhi scuri sembrano illuminarsi – in questo posto l’unica cosa di cui puoi farti fino a svenire è la cioccolata! È l’unica che mi permette di andare avanti e ce n’è in quantità industriali, ma solo negli armadietti del personale. Sono furbi quelli, credono di fottermi ma non sanno che io conosco tutti i loro insulsi nascondigli, così ogni volta che scende la sera esco per rubarla e vengo a rifugiarmi qui. Le finestre sono grandi e luminose e se fai attenzione puoi anche uscire e sederti sul tetto, così mentre mi rimpinzo di dolci posso ammirare il cielo stellato. È una bella sensazione, ti fa sentire libero. Dovresti provarla.

Si avvicina alla finestra, aprendola con decisione e lasciando entrare una folata d’aria gelida che mi fa rabbrividire poco prima che una voce sconosciuta ma attutita dalla porta chiusa catturi la nostra attenzione, pronunciando il suo nome a voce alta e più volte.

- Maledizione, mi stanno cercando! Mi raccomando, non dire a nessuno che sono qui o saranno guai!Questo posto è una vera palla, sai? Bisogna pur trovarsi qualcosa da fare!

E così dicendo si affretta a scavalcare la finestra, facendo bene attenzione a dove mette i piedi prima di sedersi sul tetto, stringendosi nelle spalle e offrendo il viso alla luce della luna mentre mi scopro a guardarla scuotendo lentamente la testa, divertito da questa bizzarra situazione che per un attimo mi ha fatto dimenticare tutti i  miei problemi. Si, qualcosa mi dice che la mia permanenza qui non sarà poi così terribile come pensavo…

   
 
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