Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Checie    25/05/2008    2 recensioni
Questa è la mia vita, in pochi capitoli. Tutti i fatti e le persone citate sono realmente esistenti o esistiti. Tutti i riferimenti sono puramente voluti. Spero vi piaccia!!!!!!!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pasta3 E così, senza nemmeno accorgermene, giunse la prima media. Ero eccitatissima. Corso musicale, una sezione con pochi iscritti (tutti geni della musica, pensavo io), avrei imparato a suonare il flauto traverso. Il flauto traverso! Voglio dire, che cos’era ai miei occhi il patetico Yamaha 100% plastica color nocciola con cui ci facevano suonare alle elementari, in confronto ad un tubo di puro argento lungo mezzo metro? Non vedevo l’ora di confrontarmi con i miei compagni di corso sui problemi tecnici dell’esecuzione flautistica, salvo poi scoprire che ero l’unica della classe ad aver scelto quello strumento. Otto persone molto più sagge di me si erano piegate al fascino del piano (che avevo già in casa, ma che mi sembrava scioccamente banale), cinque erano i virtuosi aspiranti chitarristi, due gli alternativi violinisti e poi c’ero io. La quasi flautista.
Un po’ allo sbando, un po’ fiera di essere l’unica, mi chiedevo segretamente se non avrei potuto dare una piega migliore comprando “Poli il polipo” e dandomi da fare sui tasti bianchi e neri. Ogni dubbio venne poi spazzato via con la prima lezione di strumento: il mio insegnante mi aspettava in aula con dei pantaloni a quadretti, delle Prada nere, un panciotto acquamarina di Ralph Lauren ed un sorrisino a dir poco inquietante. Avrei imparato ad odiare quell’uomo. Ed infatti lo odiai profondamente: mi parlava della sua dissenteria, della colonscopia di sua madre, del vivere solo in una casa piena di mobili d’epoca di valore inestimabile e del suo coniglio che aveva (e tuttora ha) una stanza tutta per sé grande tre volte la mia camera da letto. Ho pianto prima di andare a lezione per un sacco di interminabili mercoledì, ma poi, non appena ha smesso di essere il mio insegnante, ho capito il suo valore. Dietro l’ipocondria e la mania per gli abiti costosissimi, c’era davvero un bravissimo insegnante, ma io, coi miei occhi di dodicenne rimbecillita per i troppi “Top Girl” letti, non me n’ero accorta, e mi ero limitata ad odiarlo come una smagliatura sui collant o il vomito sui sedili di una classe S.
Ma a funestare le mie giornate non c’era solo un bizzarro professore di flauto, convivevano anche compagne abbastanza rivoltanti, però devo ammettere che alle medie siamo tutti un po’ rivoltanti, la frustrazione per aver avuto le mestruazioni un anno dopo le altre e il sapere di essere grassa. Il grasso non era un’ossessione, ma ci eravamo quasi. Unico problema: non riuscivo a mettermi a dieta. Era impossibile, era il mio Himalaya da scalare lungo la via della Felicità Eterna, ma non ci riuscivo. Il fascino di una vaschetta di gelato e di due etti di tiramisù casalingo (opera della nonna, e di chi sennò?) era di molto superiore a quello di un addome scolpito o di una minigonna. E così si erano anche abbassate le mie pretese in fatto di ragazzi. In quel periodo avevo un’inspiegabile cotta per un tipo piuttosto bruttino, che era un grazioso incrocio fra ET ed un manzo anoressico, la cui intelligenza e simpatia, però, erano veramente lodevoli. Questa beltà, purtroppo, non mi si filava nemmeno un po’, concentrandosi su una delle ragazze più sgradevolmente piene di sé che abbia mai conosciuto, una bionda col sedere in fuori (la sua scusa era la lordosi, ma credo che ci abbia sempre ricamato su un po’ troppo), un genietto del piano, da sempre asso nelle materie scientifiche e, più recentemente, ladra della mia migliore amica, rea di avermi messo contro tutta la classe e di aver riso abbondantemente della mia sfigataggine che, devo ammettere, doveva essere di dimensioni a dir poco esponenziali. Il fatto che fossi cicciotta, fuori moda, con una sola amica e una specie di invasata dello studio, comunque, non la autorizzava a prendermi in giro e a raccontarmi bugie di una follia esasperante. Questo, devo ammettere, mi ha aiutata non poco a svegliarmi fuori e ad essere parte di quello che sono adesso (e non crediate che sia necessariamente un buon affare).
Quello era, inoltre, il periodo d’esordio di “Tre metri sopra il cielo”. Stava acquistando lentamente un successo strepitoso (anche se per fortuna siamo ben lontani dal potere devastante che ha oggi) e anch’io come tutte le altre mie coetanee mi sono bevuta tutte le sciocche, inutili e dannose parole di Federico Moccia, sognando uno Step tutto per me, delle pericolosissime corse in moto, fughe dalla mia famiglia, ma soprattutto il Vero Amore (che in quel libro, credetemi, non compare proprio mai). Ero tale e quale le mie compagne, superficiale uguale, con gli stessi sogni da manicomio, ma per una qualche ragione non andavo bene. Forse era la scarsa cura di me, o la mancanza di interesse per i pantaloni di pelle colorata e le canzoni di Britney Spears, fatto sta che con le mie “colleghe” ci sono sempre stata poco e molto, molto male. Ma mi sono ribellata, ribellata a tutto quello che facevano e dicevano e potevano anche solo pensare di me (e tuttora lo faccio, ma con più moderazione) anche grazie ad una persona in particolare: Giulia.


Com’è usanza, in seconda media si affronta la famigerata Cresima, o Confermazione che dir si voglia. Io non ho mai brillato per cristianità o eccessiva spiritualità, ma tutti si sorbivano quelle inutili lezioni di catechismo e, per non essere proprio un pesce fuor d’acqua, le frequentai anch’io. Non essendo un ottimo periodo con le mie compagne di classe (per colpa della bionda sopra citata) mi ritrovai di fianco ad una ragazzina che non frequentava la mia stessa classe, di cui non sapevo nulla, bionda (anche lei!), ma dall’aspetto decisamente più simpatico. Sul suo banco c’era un pacchetto di fazzoletti blu con sopra scritto: Toffly. Non potei fare a meno di ridere, era un delle cose più assurde che avessi mai visto e fu l’inizio dell’amicizia. Giulia aveva una comicità un po’ assurda, diceva cose del tipo: “Cederei volentieri la mia ciotola di miglio quotidiana per un po’ di copechi di ricarica telefonica” oppure “La Fla’ (la nonna) sta berciando in dialetto dell’Illinois perché non trova i pinoli” con un’espressione serissima e non sembravano interessarle cose come i jeans a zampa e le maglie dell’Onyx. Vestiva abiti costosi, ma di classe e sembrava venire da un posto qualunque dell’Universo, tranne che dalla Terra. Il tasso di divertimento del catechismo si impennò visibilmente, anche se non posso affermare di ricordare a che serva il “Timor di Dio” o la “fortezza”, spiacente. Tutto ciò che mi è rimasto di quelle lezioni è un quadernetto con degli appunti fuori da ogni logica e disegnini di animali dallo sguardo leggermente drogato sul bordo di ogni pagina, realizzati, indovina un po’, proprio da Giulia. La nostra amicizia si basava su scambi di lettere da far accapponare la pelle. “Da Gina Lollobrigida per topo Gigio”, “Da Diddl a Corrado della Corrida”, dimostrando una vasta conoscenza non solo del mondo dello spettacolo anni ‘60, ma anche di quello dei roditori. E avevamo solo 12 anni. Devo ammettere che non ci vedevamo poi molto, anche se la corrispondenza era fitta (e abitiamo a meno di un chilometro l’una dall’altra). Solitamente, quando ci incontravamo sembravamo l’Orchessa Vanessa e la Principessa Ossessa: io ero la mega orchessa buona e in una tremenda fase grunge (leggi: maglioni tricot taglia conformata e Levi’s da uomo col cavallo ad altezza ginocchio), mentre lei una tenera principessa patologicamente in ritardo, reincarnazione di un’icona fashion degli anni ’50. Il massimo era girovagare senza meta per la piazza, fare un salto dal Dress (il droghiere in cui lei ha conto aperto) e prendere un gelato dal Gabibbo. Era vita, signori miei, e a noi piaceva.
Poi, il resto della nostra esistenza lo passavamo dentro l’Istituto Chinaglia, io nella mia bella classetta e lei in un covo di ricettatori, insieme a personaggi del calibro del vecchio Uba (ricordate il simpatico adone delle elementari? Beh, era diventato una specie di giovane Pete Doherty, solo senza Borsalino in testa), il mio dolce tesoro delle elementari (puah!) e la reincarnazione di Courtney Love che dicevamo prima. Insomma, un pezzo della mia vita era in classe con lei, e la cosa, credetemi, era abbastanza terrorizzante. La nostra vita sembrava dunque allegra e spensierata, al massimo da documentario National Geographic sulle piaghe della società occidentale, almeno fino alle superiori. Alle superiori, il mitico liceo Classico Europeo, lo spauracchio del padovano, niente più di una scuola piuttosto impegnativa, ci ritrovammo insieme, un po’ per scelta, un po’ per caso, un po’ per disperazione (suppongo). La nostra classe non sembrava male, un po’ troppo piena di soggetti del San Benedetto, contro cui noi del Chinaglia eravamo piuttosto prevenuti, tanta gente da fuori, e un paio di vecchie conoscenze. Tutto sommato non male.
L’unico problema, in definitiva, ero io. Spasmodicamente possessiva nei confronti di Giulia, tremavo di rabbia ogni volta che le mie neo-compagne le parlavano, affascinate da quella strana personcina, sempre cordiale e apparentemente semplice e amica di tutti. Io intanto borbottavo come un ribollita toscana, con lo sguardo killer e la capacità di risolvere i problemi di Tremonti. La rabbia e l’astio per un problema inesistente si accumulavano giorno dopo giorno, spinti da una sottospecie di migliore amica che era, forse, ancor più gelosa di me. Tutta questa amalgama di nobili sentimenti e di perdono cristiano portarono me e Giulia alla lite. Tutto sembrava irrecuperabile, la vita come un cartone semivuoto di latte scaduto e la felicità più lontana della pace fra i popoli. Ci imbarcammo così, alla fine della prima liceo, come due profughe astiose, una colpevole e l’altra innocente, sulla nave del non-ritorno, per poi scoprire, che per tornare indietro, dopotutto, bastava cambiare. E così, prima una, e poi l’altra, siamo cambiate, arrivando fino ad adesso.






SPAZIUCCIO CAROMIO:

Eccomi col secondo capitolo, il periodo delle medie…ricordo ancora che sono tutti eventi reali, persone reali ecc ecc ecc….grazie ai tutti quelli che hanno letto, a maryt2803, queen of night, Urdi e Zerby che mi hanno aggiunta fra i  preferiti e, soprattutto, coloro che hanno recensito (e che
ora vado a ringraziare singolarmente):

ZERBY: grazie mille per tutti i complimenti!!!! Come vedi ho aggiornato, anche se con parecchio ritardo!

URDI: grazie infinite (Mi fai arrossire! ^___^)!!!!!! Sì, i fatti sono tutti verissimi, mi fa piacere scoprire che non sono stata l’unica a vivere certe esperienze o ad avere avuto un’infanzia così atipica! Mi tiri su di morale…E sono perfettamente d’accordo sul fatto che le original sono sottovalutate…sono quelle in assoluto più difficili, perché non vivi a spese di personaggi creati precedentemente o di situazioni già costruite…devi partire da zero, e non è molto semplice! Grazie ancora per tutte le belle parole…
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Checie