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Autore: Selfdestruction    03/01/2014    1 recensioni
"Con la pioggia che lavava via la mia vecchia vita e mi inumidiva le ossa con questa nuova morte, mi trascinavo, come il più classico dei fantasmi che si porta ancora dietro le catene dei rancori e dei rimpianti. Ero morto, ma dovevo avere ancora un cuore, perché avevo iniziato a seguirlo".
Frank si sveglia, ritrovandosi su un marciapiede di chissà quale città. Non ricorda nulla, non sa neppure il suo nome, sa solo di essere morto, morto la notte di Halloween. Quando si accorge dell'unica casa in fondo alla strada che ha ancora una luce accesa nel cuore della notte vi si avvicina. In quella stanza al primo piano troverà l'unica cosa che cambierà per sempre la sua sua vi... morte. Ma cosa c'è realmente dietro tutto questo? Perché nessuno sembra accorgersi della sua assenza? Qual è il mistero che nascondono i flash continui che gli annebbiano la mente quando meno se lo aspetta? Frank è mai stato vivo sul serio?
ps. ho cambiato il nome della storia, di solito li metto alla fine i titoli, ma questa volta sono stata costretta.
Era ASLEEP OR DEAD, ora è THIS MUST BE AN EMPTY DREAM.
Genere: Malinconico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Voglio davvero scusarmi per aver aggiornato dopo secoli, 
ma l'ultimo anno di scuola mi sta facendo diventare più
pazza di Gerard.
Spero non sia così orribile questo capitolo e che compatiate
una povera cerebrolesa come me. 
peace, love, empathy, 
SD. 

7

I held you close as we both shook

You said you read me like a book,
but the pages are all torn and frayed


I'm okay.
I'm okay!
I'm okay, now
(I'm okay, now)

But you really need to listen to me,
because I'm telling you the truth
I mean this, I'm okay!
(Trust Me)

I'm not okay
I'm not okay
Well, I'm not okay
I'm not o-fucking-kay
I'm not okay
I'm not okay
(Okay)


Michael mi aveva lasciato solo, era sparito nello stesso modo in cui era apparso e non sapevo più se esserne felice o triste. 
Un minuto prima avrei voluto prenderlo a schiaffi, buttarlo a terra e fargli capire cosa si prova ad avere male ad un anima che non esiste, ad avere male allo stomaco pur non essendo vivi. Poi però, qualche strano tipo di malinconia, quella stessa che porta milioni di visi a fissare le finestre o punti vuoti con occhi pallidi e bianchi, mi ha riempito e ha scosso i miei nervi, sebbene fossi morto, morto stecchito, non erano più tesi. Ero solo triste. Era solo che…
In quel momento, avrei voluto morire. 
Qualcosa nel petto mi si era mosso di nuovo, uno strano calore lasciava formicolii sulle mie dita. 
Cosa mi stava succedendo?
Cos’ero realmente io? Chi era Frank? 
Ho ascoltato i piccoli lamenti che uscivano dalle labbra di Gerard mentre passava dal sonno alla realtà e volevo solo sprofondare di più. Come potevo aiutarlo a vivere se ero il primo ad essere morto? Come ci si può far sentire dalla persona che si ama se si è invisibili? Come potevo urlare e riuscire a farmi sentire? 
Gerard aveva aperto gli occhi. 
Io li avevo chiusi. 
Mi spiegate come cazzo fate a guardare la persona che amate negli occhi, voialtri? È così… fottutamente doloroso! Davvero, guardare in quegli occhi era lacerante. Quegli occhi dello stesso colore delle foglie che perdono colore in autunno facevano più male delle lame con cui facevo salire su il mio dolore attraverso la pelle. Gli occhi di Gerard riaffioravano il dolore. Mi sanavano e formavano nuove ferite. Ed io sarei dovuto andare via, ma sentivo di dover rimanere. Perché non appartenevo a nessun altro posto al mondo se non a quella piccola stanza fatta di sofferenze. Sapevo di appartenere ad un paio di occhi verdi. Questo corpo senz’anima apparteneva ad un’anima in fiamme. 
Gerard si è svegliato con il mio nome sulle labbra. 
Un ’Fran..’ sottile è rimasto fermo tra la lingua e il palato. La kappa era rimasta intrappolata tra i denti, aveva cercato di uscire, ma non ce l’aveva fatta ed era tornata indietro. E Gerard non l’aveva ingoiata. Aveva lasciato che il mio nome gli rimanesse in bocca, così da non dimenticarlo al risveglio. 
Sono rimasto inchiodato vicino alla finestra, cosa avrei dovuto fare? La verità fa così paura, gente. 
Il mio ragazzo dagli occhi tristi è rimasto dieci lunghi minuti a fissare il soffitto, con ancora il braccio penzoloni fuori dal materasso e l’altro abbandonato sullo stomaco. Avrei dato un’altra anima per sentire almeno uno dei suoi pensieri se solo l’avessi avuta. 
Con i minuti che passavano sono riuscito a prendere il mio coraggio e ho fatto qualche passo nella stanza, avvicinandomi al letto. 
Mi sono inginocchiato accanto a lui e ho iniziato a sfiorargli il braccio, di nuovo, con la punta delle dita. Tracciavo disegni, ghirigori invisibili sulla sua pelle, sulla scritta che avevo lasciato quella notte. 
Gerard stava sorridendo. Non chiedetemi il perché lo stesse facendo. Si dice che i vivi possano sentire i morti in qualche modo, ma non sapevo se valeva lo stesso per me, ‘Frankie, lo sfigato morto di quartiere’. 
All’improvviso, preso dalla consapevolezza che lui non si sarebbe mai accorto di me mi sono alzato in piedi. Il mio sguardo ha percorso tutto il suo corpo e si è soffermato a lungo sulla sua bocca, dove dormiva serenamente ancora il mio nome. 
Mi sono sentito sorridere e mi sono sdraiato sul letto, accanto a lui, dalla parte del muro. Con delicatezza, come se, se avessi fatto qualche piccolo rumore avrebbe potuto scoprirmi, mi sono accoccolato vicino al suo piccolo corpo stanco, appoggiando lentamente la testa sul suo braccio e stringendomi sempre di più accanto alla sua pelle. Ero morto, ero freddo, ma sentivo il calore di Gerard, potevo sentirlo uscire dal suo corpo e posizionarsi sul mio, potevo sentirlo entrare attraverso i pori della mia pelle e mi faceva sentire bene. Potevo sentirmi umano. Per quegli attimi vicino a lui, mi sono sentivo umano. Ero vivo anche io. 
Mentre lui era immobile, a malapena respirava.
- Buongiorno, Gerard - ho sussurrato sul suo braccio, chiudendo gli occhi. 
Ho creduto per un attimo di essere in grado di sognare, quando un altro flashback mi ha sbiancato la mente e mi ha portato di nuovo indietro nel tempo. 
La scena era la stessa. Ero accoccolato sul corpo di Gerard, solo che le mie mani gli stringevano i fianchi, la mia gamba sinistra lo abbracciava e la mia testa era serenamente appoggiata sul suo petto. Il suo braccio che stringeva le mie piccole spalle. 
- Credo di aver paura - la mia voce era bassa e usciva lenta, mentre i miei occhi fissavano il vuoto dritto di fronte a me. 
- Credo di averne anche io. 
Era buffo. Era quasi buffo. Mi sarei aspettato, da qualunque altra persona del mondo una domanda in risposta alla mia affermazione. La domanda che fanno sempre tutti: ‘paura di cosa?’
Gerard non aveva bisogno di chiedermi di cosa avessi paura, perché le nostre, di paure, erano esattamente le stesse e lui le conosceva come se fossero suoi vecchi compagni di liceo. Le paure ci rendevano ancora più simili, ci sentivamo spaventati insieme ed era magnifico. Non sentirsi spaventati. Era magnifico essere insieme anche in una situazione del genere. Ci stringevamo mentre entrambi tramavamo e non avevamo bisogno di nessun altro. Ci bastavamo a vicenda. Ci saremmo bastati. Ce l’avremmo fatta da soli, con i nostri tremori, con le nostre paure. Tremavamo l’uno nelle braccia dell’altro ed avevamo paura insieme. E ci guarivamo insieme. 
Le sue mani hanno iniziato a sfiorarmi i capelli, Gerard stava cercando di contarmi i pensieri con le mie ciocche che sistemava dove voleva. I miei pensieri erano tutti suoi.
Con le dita sono andato ad accarezzare il suo braccio, tempestato da profonde cicatrici. 
 - Forse quel giorno non avresti dovuto salvarmi. - la mia voce era distante, lenta, carica di tormenti. - Sai… credo sia più facile dire addio ad una persona che non hai mai conosciuto, no? So che dovremo salutarci un giorno e io non sono pronto per quel giorno, non lo sarò oggi, non lo ero ieri e non lo sarò né domani né mai. Non sarò mai pronto a dirti addio, Gerard. E più passano i giorni e più sento che sarà peggio. A volte è come se sentissi già la tua mancanza. 
Gerard ha abbassato la testa, voleva guardarmi negli occhi, ma io non volevo guardare nei suoi. Lo sentivo sorridere, come se le mie parole invece di fargli del male, lo avessero confortato. 
- Ma lo sai che sei un metro e sessanta di paranoie? E problemi. E ansia. Tanta ansia. 
- Sessantadue. 
- Che?
- Sono alto un metro e sessantadue, Mr. Altezza. 
- Ah, scusa. Hai due centimetri in più di paranoie, allora. 
- Ero serio. 
- Lo so - si è girato sul fianco, mettendo un braccio sulla mia vita, per guardarmi negli occhi. Delicatamente ha appoggiato la fronte sulla mia, iniziato a fare su e giù con le dita sulla mia pelle chiara. La mia testa appoggiata sul suo braccio libero. - Non possiamo stringere qualcosa tra le braccia per sempre. Nessuna cosa dura davvero per l’eternità, lo sai. Anche questo momento giungerà al termine, non potrò restare qui a stringerti, entrambi ne siamo consapevoli, ma entrambi non ci fermiamo. La consapevolezza di morire non ci impedisce di vivere, Frank. Se un giorno dovremo dirci addio, beh, quel giorno saremo pronti, ma per adesso, - la sua carezza era diventata una vera e propria stretta sul mio fianco e con un gesto soltanto ha avvicinato i nostri corpi ancora di più. - per adesso vieni qui, gigante. 
Ma la mia mente del presente sapeva che non saremmo mai stati pronti per quel momento che in realtà si era concluso con Gerard chiuso in una stanza a sbattere i pugni contro una porta chiusa a chiave, lasciato solo, con una lettera a dirgli che la sua vita era più importante di quella di un maledetto come me. Una lettera che lo supplicava di lasciarmi andare, lasciarmi sprofondare in un angolo della sua mente. Che lo supplicava di dimenticarmi, mentre ora supplicavo il contrario. Avrei dato un’altra vita pur di fargli ricordare il mio volto. 
- Perché devo essere sempre io quello preso in giro? - ho sussurrato in un sorriso sulle sue labbra. 
- Perché sei il più bello. - E poi mi sono ritrovato a baciare l’impulsività di Gerard, le sue labbra pesanti e la sua lingua veloce, all’improvviso. Come se nell’amore lui avesse trovato un modo per scaricare le sue paure e la sua rabbia. Il suo carattere era così dolce al contrario, era docile, le sue parole erano sempre dette con voce sottile, quasi come se avesse continuamente avuto accanto qualcuno da non svegliare. Come se parlare a voce alta significasse risvegliare qualche mostro che lui era riuscito a nascondere. 
Mentre mi baciava e spostava il suo corpo sul mio, invece, il Gerard pieno di paure sembrava sparire, nascondersi. Le sue mani erano rapide, accarezzavano la pelle fredda sotto la mia camicia nera, le sue dita calde correvano, si spostavano da una parte all’altra. 
Il suo corpo, coinvolto nella sua fretta, andava su e giù sul mio, in maniera frenetica, ma al tempo stesso leggera e non solo il me di allora, ma anche il me del presente, amava le sue mani tra i miei capelli. 
I nostri respiri, sempre più pesanti andavano pian piano fondendosi, perché è questo che fa di te l’amore. Una metà pronta ad accoglierne un’altra e noi eravamo due metà distrutte, pronte ad accoglierci a vicenda. A curarci e, non lo sapevamo ancora, ma pronte anche a ferirci. 
Continuando a baciarmi, si è tolto la maglietta, con gli occhi ben chiusi sembrava avere la mente altrove. 
- Tua mamma. Non. Dovrebbe… tornare? - ho sussurrato tra un bacio e l’altro. Gerard era il tipo di amante che non ti permetteva di respirare un attimo, non che mi dispiacesse. 
Appoggiando la fronte sulla mia, mi ha sfiorato i capelli, ancora ad occhi chiusi. - Ha detto che faceva tardi. Abbiamo tutto il tempo del mondo… se vuoi. 
- Che domande - ho preso il suo volto con entrambe le mani e ho spinto le nostre labbra ad unirsi ancora. Gerard sorrideva contro le mie. 
- Non era una domanda. Ti dispiace togliermi i pantaloni? 
- Togli prima i miei. 
Con mani lente, questa volta, Gerard ha sfiorato l’apertura dei miei jeans, giocherellando con la cerniera e soffermandosi sulla mia pelle. - Stai dimangrendo. 
Ho stretto i suoi capelli tra le dita con dolcezza. - Sto bene. 
- Voglio che tu stia davvero bene. 
Affondando la testa nell’incavo del suo collo, ho fatto mio il suo profumo fresco. Era delicato, distante. Gerard odorava di cose passate, di foto scattate da polaroid comprate al mercato dell’usato. Odorava di ricordi e di mandorle. Sigarette spente a metà. Ho baciato la sua pelle, mentre lui si sfilava i pantaloni e subito dopo i boxer, lasciando me ancora in mutande e maglietta. 
- È con te che sto davvero bene. Pensare di perderti, questo non mi fa stare bene. - Ho preso il suo mento con una mano, per fare in modo che mi guardasse negli occhi. - Non ho mai avuto niente nella mia vita, non ho mai vissuto, ho sempre cercato di sopravvivere e ora che il destino mi ha portato te…non permetterò a nessuno di portarti via da me. 
Però hai permesso che portassero via te, davvero bravo, Frankie.  
- Nessuno mi porterà via. Io… sono nato per incontrarti. 
E per l’ennesima volta sentivo la rabbia in un suo bacio, la sua lingua cercava frenetica la mia, le sue mani sui miei fianchi bassi, sotto i miei boxer. Piano le sue dita si sono mosse verso il centro e ho morso le sue labbra. Mi ha stretto con una mano e ho sentito la mia mente del presente quasi svanire. Era come se stessi sempre di più immergendomi nella scena, fondendomi con il me del passato. Piano, vedevo i suoi ricordi, mi riprendevo i miei ricordi. Sentivo la vita, sentivo di aver avuto una vita vera. E in un solo momento quel flash è andato avanti veloce, sapevo quello che sarebbe successo dopo, lo ricordavo, avevo ricordato tutta quella giornata. Avevamo fatto l’amore. Aveva stretto le mie gambe sulla sua vita ed era entrato in me con delicatezza, soltanto dopo tutte le accortezze che il mio corpo richiedeva. Non mi avrebbe mai fatto del male, neanche in un momento del genere. Avevamo respirato insieme, ci eravamo consumati quella sera e i nostri corpi credevo non avrebbero più potuto scindersi. Lo amavo, mi amava, ma nessuno di noi due aveva il coraggio di dirlo all’altro, di dirlo ad alta voce, di dirlo a qualcun altro al di fuori di se stesso. 
Avevamo finito a baciarci e a strusciarci sul tappetto della sua stanza, avvolti dalle lenzuola calde che avevano accolto i nostri affanni. La scena andava sempre più veloce, ricordavo tutto, anche quando in un sorriso Gerard aveva detto sulle mie labbra “Sai? Credo di essere addirittura felice Non credevo di poterlo meritare” e io avevo risposto, scostandogli il ciuffo scuro dagli occhi “Io non credevo di poter meritare te.”
Eravamo rimasti abbracciati a lungo, per ore, fino a quando la madre di Gerard non aveva bussato alla porta, con dolcezza. - Gerard, tesoro? Dormi? 
- Merda! - avevamo esclamato in un sussurro, nel medesimo momento, cercando di alzarci, ma inciampando tra le lenzuola e cadendo uno addosso all’altro. 
- Merdamerdamerda - mi ero infilato in fretta i pantaloni, dimenticando i boxer, mentre afferravo la camicia, finita sulla scrivania. - Proprio ora che stavo per assicurarmi la simpatia di tua madre! - ho sussurato, mettendo la camicia. 
- Hai la camicia al contrario, idiota! 
- Gerard, tutto bene? - bussava ancora. - Posso? Ti ho portato la pizza. 
- Mamma! S-sì, tutto bene, è che… mi sono appena svegliato. Scusa, devo vestirmi. 
- Non c’è Frank con te, vero? 
Gerard si infilava in fretta i vestiti, mentre mi lasciava altri baci veloci sulle labbra. 
- Pff, perché dovrebbe? 
- Non lo so, ultimamente è sempre con te quel ragazzino. Ti lascio la pizza qui o vieni giù dopo?
- Vengo giù dopo! 
- Va bene. 
- E frank ha la mia stessa età, mamma. 
- Sembra più piccolo! Fa’ in fretta che si raffredda tutto!
Ricordavo anche le nostre risate soffocate, i nostri corpi si erano di nuovo avvicinati e tra un sorriso e l’altro continuavamo a baciarci. 
Mi ero rivestito, avevo raccolto le mie cose e stavo per andare via, scappando dalla finestra come un ladro. Poi, mi sono fermato a guardare Gerard. Non un capello era in ordine, i suoi occhi erano grandi, accesi, pieni di vita, più di quanta avessi creduto di poter vedere. I suoi pantaloni erano ancora sbottonati e per la fretta avevamo confuso i calzini. Lui ne aveva infilato uno mio, io uno suo. Il suo petto era ancora nudo e scorgevo i primi brividi sulla sua pelle causati dall’aria gelida che entrava dalla finestra aperta. 
- Sei bellissimo dopo aver fatto l’amore - ho detto con un sorriso sghembo sul volto e poi sono sgattaiolato via, come un vecchio amante quasi scoperto a nascondersi in un armadio. 
Mentre scivolavo giù dalle mura di casa sua, la scena è diventata scura e lentamente è svanita, facendomi tornare per l’ennesima volta alla realtà. 
Mi sono ritrovato a fissare il soffitto, sdraiato sul letto della camera di Gerard e faceva freddo, la finestra era aperta. 
- Ho appena guardato un porno - mi sono detto, accigliandomi. - Gerard…? - mi sono seduto, ispezionando la stanza, alla ricerca della figura scura del ragazzo dagli occhi tristi. Gerard era di spalle, appoggiava una mano aperta sulla sua scrivania, nell’altra stringeva una tazza di caffè e guardava in basso. Doveva stare fissando un punto, con occhi vuoti, assenti, perché nulla nel suo corpo dava segno di vita. Questo Gerard era così diverso dal Gerard che vedevo nei miei sogni, nelle miei ricordi. Era senza alcuna ragione, nelle sue vene il sangue scorreva lento e il suo cuore pulsava solo perché doveva, non perché voleva. Era immobile, lì, perso tra le parole che la sua testa lasciava fluire, alzava soltanto ogni tanto il braccio per fare un sorso di caffè. 
L’ho osservato mentre batteva il piede in maniera sempre più pesante sul pavimento, il nervosismo in lui cresceva respiro dopo respiro, le parole nella sua testa stavano diventando urla, potevo vederle, potevo veder correre davanti ai suoi occhi tutti quei Dove sei?, Chi sei?, Perché?
Ha battuto un pugno sulla scrivania e poi, dopo un urlo staziante, ha lanciato contro la parete la tazza di caffè, andata in frantumi. La tinta marrone si spargeva sul muro, avrebbe potuto esserci anche il cervello di Gerard spappolato lì sopra. 
- Me lo sono scritto da solo. L’ho scritto da solo l’ho scritto da solo l’ho scritto da solo l’ho scritto da solo l’ho scritto da solo l’ho scritto da solo l’ho scritto da solo l’ho scritto da solo l’ho scritto da solo - parlava velocemente, andava avanti e indietro per la stanza, gli occhi fissi in basso, vuoti come la mia anima. 
Si è poi appoggiato al muro, sbattendovi forte la schiena, lasciando il suo sguardo prima andare verso l’altro, colmo di lacrime, poi al suo braccio, dove io vi avevo lasciato quella scritta. Forse non era stata una così buona idea. Stupido, stupido, stupido fantasma che non ero altro. Avrei dovuto rimanere al mio posto, lasciare a Gerard il tempo di guarire. Con i mesi la ferita che aveva lasciato la mia assenza sarebbe scomparsa, si sarebbe rimarginata, non sarebbe rimasto altro che una vecchia cicatrice. Avevo solo complicato tutto, lo avevo solo fatto stare male. 
In quel momento avrei voluto morire un’altra volta. 
Mi sono alzato di fretta dal letto, per raggiungerlo. - Gera-Gerard, perdonami, non avrei… non avrei… - mi sono morso le labbra, cercando di trattenere le lacrime. Con le mani ho tentato di prendere il suo volto, ma lui era così distante. Ci divideva una linea troppo spessa, un universo troppo grande. Ho sfiorato la sua guancia, osservando, con un sorriso amaro, le sue lacrime scendere, insieme alle mie. Le nostre anime vivevano in simbiosi, anche ora, anche ora che forse entrambe erano morte. 
Gerard ha abbassato lo sguardo sul suo braccio, analizzandolo. - Io… non è la mia scrittura. Pensa pensa pensa. Chi è entrato nella mia camera stanotte? Pensa, Gerard, che sta succendo? - si è preso la testa fra le mani. - Che mi sta succedendo? - In lacrime si è lasciato strisciare contro la parete, fino a sedersi sul pavimento. Quando ha alzato la testa, per un solo attimo ho creduto stesse guardando dritto nei miei occhi e invece mi passava attraverso.
Mi amava. Ricordava di amare qualcuno, sentiva di amare qualcuno, ma non si ricordava il mio volto. 
Provateci voi a non sentirvi una merda nelle miei condizioni. Morto, dannato, maledetto, abbandonato, drogato, autolesionista, basso, terribilmente pasticcione. Non c’era una cosa, una sola, che mi andasse bene. Ero un disastro, anche da morto. Anche senza un’anima a cui dare la colpa. 
Gerard ha allungato una mano verso la mia scritta. Qualcosa, dentro di me, forse lo stomaco, si è annodato. Le sue dita sottili si muovevano piano verso il suo braccio destro e non sapevo dove guardare, se nei suoi occhi curiosi o se verso il suo braccio. 
Le sue dita hanno sfiorato appena la scritta e in quello stesso attimo, nell’esatto momento in cui Gerard aveva toccato il suo braccio, ci siamo ritrovati. Per mezzo secondo la mia mente si era di nuovo annebbiata, ho rivisto i due anni che avevamo passato insieme, ma era tutto troppo veloce per poterlo ricordare e il mio corpo, così come la sua anima, avevano vibrato, scossi come da elettricità. Qualcosa, per un attimo, ci aveva unito, per poi dividerci ancora. 
L’impatto mi aveva fatto cadere a terra violentemente, mentre Gerard era rimasto immobile contro la parete. Il suo sguardo aveva qualcosa di diverso, ci si poteva vedere una piccola luce in quegli vuoti.
Era… sorpreso.  
Mentre lo guardavo negli occhi, sorridendo, qualcosa, nel mio corpo, aveva iniziato a far rumore, soltanto per qualche istante. Il mio cuore aveva vissuto per un altro paio di battiti e nel contempo tra le labbra di Gerard sfuggiva il mio nome. 
- Frank…
  
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