Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: CHAOSevangeline    04/01/2014    1 recensioni
La Perseus è un’organizzazione che si occupa di mantenere l’ordine in una società provata da una misteriosa malattia, il Morbo di Dipsa.
Non si sa né quale sia la sua origine, né quale sia l’esatto modo di curarlo, ma nonostante questo, agenti come Jean Kirschtein sono incaricati di tenere duro, di proteggere e di aiutare la Perseus nel suo compito.
Questo compito per Jean non sarebbe affatto facile, se al suo fianco non fosse stato assegnato Marco Bodt.
Genere: Azione, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – La prima missione
 
 
 
Dire che si fosse già abituato all’idea di avere Marco al seguito, considerando che aveva ricevuto la notizia di dover lavorare con lui probabilmente in maniera permanente appena una ventina di minuti prima, sarebbe stato esagerato, ma vi era stato ugualmente un miglioramento notevole nel comportamento di Jean.
Inutile dire che la cosa avesse sorpreso parecchio Marco, il quale non aveva però intenzione di farglielo presente continuando a bearsi dell’aria entusiasta adesso assunta dal compagno.
« Sei sempre così quando ottieni delle missioni? » si limitò a chiedere, facendo scorrere attentamente lo sguardo su ogni dettaglio della strada dove la macchina nera della Perseus che stava guidando sfrecciava.
Il fascicolo dato loro da Hanji riposava, adesso chiuso per tenere raggruppate le scartoffie al suo interno, sulle gambe del ragazzo seduto al posto del passeggero. Jean l’aveva sfogliato fino a poco prima, riassumendo a bassa voce il loro obbiettivo già spiegato sommariamente dalla ricercatrice quando ancora erano al quartier generale.
« Così come? »
« Entusiasta. Ti piace davvero questo lavoro, eh? »
Jean sussultò. Si notava così tanto?
Rispose con un lieve cenno del capo che entrò comunque nel campo visivo di Marco.
« Potrei dire lo stesso di te. »
« Oh, ma io mi sono arruolato per aiutare, quindi è ovvio che sia contento di ricevere degli incarichi! »
Marco si sarebbe anche messo a chiacchierare del perché avesse aderito ai progetti della Perseus seppur non sotto obbligo, ma si rese conto che quello, come l’indagare sulle ragioni dell’euforia di Jean – non elencate dal ragazzo, alla fine – non fossero i discorsi più adatti per quel momento.
« A proposito, puoi spiegarmi bene cosa c’è scritto nel fascicolo? Ho solo visto la foto del ragazzo e dove dobbiamo andare. »
Non appena sentì quella frase, Jean aprì nuovamente la cartella contenente le informazioni come se si fosse improvvisamente scordato quanto aveva letto fino a quel momento. Scorse con gli occhi il foglio principale a cui era allegata la foto del loro bersaglio.
« L’obbiettivo, Eren Jaeger, pare vivesse fino a qualche mese fa con una ragazza di nome Mikasa Ackerman, attualmente sparita. » Jean scivolò appena sul sedile per stare più comodo. « Stando a quello che c’è scritto qui, la cosa gioca a nostro favore: sono entrambi portatori della Dipsa e la Perseus ha già cercato di catturarli, ma a quanto pare durante la scorsa missione sono riusciti a fuggire. Jaeger attaccava e Ackerman gli ha coperto le spalle impedendo che venisse ferito. »
Marco annuì appena, mentre il suo volto si faceva più serio.
« Quindi non hanno più provato a catturarlo per paura che con la presenza della ragazza vi sarebbe stato un altro fallimento? »
« Sei intelligente. » disse con fare sarcastico Jean, richiudendo il fascicolo. « Comunque ha solo ventidue anni, non credo che la malattia abbia già raggiunto un livello preoccupante nonostante il mandato di cattura dica che sta già manifestando sintomi di forte intensità. »
« Ad ogni modo vedi di non agire d’istinto. Ai tempi delle scuole superiori avevi il brutto vizio di farlo. »
La raccomandazione di Marco suonò tanto come quella di un fratello maggiore che vuole solo il bene per il più piccolo; Jean non seppe se la causa dell’imporporarsi delle sue guance fosse stato il tono o piuttosto ciò che aveva detto l’altro.
Si limitò a voltarsi verso il finestrino, borbottando qualche parola sconnessa.
 
 
La vecchia palazzina dove viveva Eren Jaeger sarebbe potuta sembrare in tutto e per tutto un covo di senzatetto alla ricerca di un riparo caldo, ma a discapito delle condizioni penose dell’esterno della costruzione le persone che vivevano all’interno erano normalissime.
Jean aveva già memorizzato quale fosse la finestra dell’appartamento di Jaeger, chiusa esattamente come quella di tutti gli altri.
« Aspettami Jean! » Marco non parlò troppo forte per evitare di attirare l’attenzione, raggiungendolo.
Il ragazzo si era accorto di quanto Jean volesse agire di testa propria quando si era ritrovato a chiudere la porta della macchina con il sedile del passeggero già vuoto e la schiena di Jean sempre più distante per le falcate compiute con il fine di raggiungere il portoncino.
E dire che aveva sperato volesse collaborare, considerando la spiegazione dettagliata fornitagli da lui stesso in auto.
« Sei lento! » sbuffò in risposta senza la stessa accortezza nel tenere basso il tono di voce, cominciando a salire le scale.
Al secondo piano regnava una calma totalmente piatta e non proveniva alcun suono dall’interno dei cinque appartamenti disposti a quel livello.
Marco si guardò intorno con circospezione, prestando l’attenzione che Jean sembrava aver consumato del tutto leggendo minuziosamente il rapporto e il fascicolo riguardante la missione.
« E’ quello. » sentenziò Marco, puntando il braccio in direzione dell’appartamento su cui spiccava il numero quattordici.
Jean verificò quanto aveva detto Marco come se non si fidasse, poi raggiunse il portoncino e senza aspettare troppo fece incontrare alla propria mano la superficie di legno, bussando.
« Eren Jaeger, è la Perseus. Apri la porta. »
Non seppe bene perché, ma non fu esageratamente sorpreso non ricevendo risposta, come del resto Marco.
C’era un’unica cosa da fare a quel punto e fu Jean a portarla a termine: colpì con un calcio il portoncino, facendolo cadere.
« Questo palazzo è fatto di cartone. » mugugnò con disappunto, entrando nell’appartamento e guardandosi intorno con circospezione. Solo a quel punto portò una mano sulla fondina interna del suo giaccone, come a volersi accertare che la sua fidata arma fosse ancora lì.
Mentre Jean si dirigeva verso la cucina dopo aver espresso quell’affermazione, Marco era già di ritorno dal controllo fatto nella camera da letto e nel bagno. L’appartamento era abbastanza piccolo e spoglio, l’unico luogo dove il loro obbiettivo si sarebbe potuto nascondere sarebbe stato l’armadio alquanto ampio nella stanza da letto, ma non trovò altro che vestiti e qualche scatolone fin troppo poco capiente.
Uscì dalla stanza mantenendo comunque la guardia e raggiungendo Jean in cucina. Fu lungo il tragitto che sentì un botto per nulla rassicurante e subito dopo un’imprecazione da parte del compagno.
« JEAN! »
Dovette ringraziare le dimensioni ridotte dell’appartamento per la velocità con cui riuscì a raggiungere la cucina; già si immaginava uno Jean ferito accasciato a terra, ma con suo sollievo lo trovò in piedi di fronte alla finestra, lo sguardo furente puntato fuori di essa.
« Lo stronzo era nascosto qui dentro ed è scappato! » salì sul davanzale, saltando sul terrazzo dell’appartamento accanto.
Marco aveva già qualche idea su come bloccare la fuga di Jaeger, ma Jean non gli diede il tempo di spiegare nulla, troppo concentrato a non perdere di vista la sua preda.
Assottigliò lo sguardo, benedicendo tutti gli allenamenti che lo stavano rendendo in grado di schizzare da un terrazzo all’altro tenendo lo stesso ritmo di Eren.
« Puoi anche smettere di correre, non te ne andrai molto lontano! » gli urlò e lo vide voltarsi con uno sguardo che di umano aveva ben poco: i denti erano digrignati come se  si trattasse di una bestia in gabbia e gli occhi erano illuminati da una luce inquietante.
Non che a Jean una simile visione facesse qualche effetto.
Si bloccò sul largo corrimano di una delle terrazze, osservando il ragazzo poco lontano da lui cominciare una discesa sulle ringhiere dei poggioli.
Era già un piano sotto di lui, non sarebbe mai riuscito a prenderlo considerando che la porzione di parete dove lui si trovava a era alquanto scarna di appigli.
Abbassò lo sguardo e si accorse in quel momento di un cassonetto pieno sotto di lui.
Marco l’avrebbe ammazzato se non si fosse spezzato l’osso del collo da solo, ma non aveva tempo da perdere.
Si lasciò cadere, atterrando nell’enorme cumulo maleodorante. Uscì in fretta dopo essersi lasciato sfuggire un gemito di dolore; era atterrato sulla propria spalla senza poterlo evitare, ma non era nulla di che: il braccio in fin dei conti si muoveva.
Puntò gli occhi nella direzione dove anche Jaeger aveva appena messo i piedi a terra e corse rapidamente verso di lui.
Si rese conto ben presto di non essere l’unico ad avere l’intenzione di braccare l’altro quando il ragazzo puntò a propria volta verso di lui.
Che preferisse lo scontro diretto alla fuga ormai pareva essere una certezza e questo non poté far altro che far comparire un sorriso tronfio sul volto di Jean, sicuro della propria imminente vittoria.
« Che diavolo volete ancora voi maledetti della Perseus?! » il ringhio che uscì dalle profondità della gola di Eren venne accompagnato da un tentato pugno, parato senza difficoltà da Jean, avventatosi su di lui come a volerlo placcare.
Ruzzolarono per terra e Jean, bloccato a terra grazie ad un’improvvisa benedizione della dea bendata nei confronti di Eren, venne colpito su uno zigomo. Sentì la bocca riempirsi del sapore metallico del sangue poco prima di reagire con una ginocchiata ben mirata allo stomaco di Eren, che finì a terra senza fiato.
Ora si sarebbe alzato e avrebbe utilizzato i sedativi con cui aveva caricato la pistola.
Perché l’aveva caricata, vero?
« Merda! » ringhiò.
Improvvisamente una stretta ferrea si attanagliò intorno alla sua caviglia, trascinandolo a terra.
Eren stava menando colpi a casaccio, Jean era riuscito a pararli tutti fortunatamente. L’unico pugno da cui dubitava di potersi salvare era un destro, caricato da Eren sopra la testa, unicamente per la sua intensità e per la pedata non indifferente ricevuta sul ventre poco prima che il ragazzo salisse su di lui per bloccarlo.
Sembrava quasi che più che volerlo atterrare, si stesse sfogando totalmente preso dall’ira.
Davvero era tanto traumatizzato dalla precedente missione ad opera della Perseus?
« Per colpa vostra Mikasa è-… » la voce gli morì in gola.
Eren si accasciò privo di sensi accanto al suo corpo e prima ancora di poterne capire la ragione, Jean vide Marco avvicinarsi a lui rinfoderando la pistola.
Per quanto l’orgoglio gli impedisse di gioire totalmente di quel salvataggio, doveva ammettere di aver appena cominciato a rivalutare Marco: forse non era una palla al piede come se l’era figurato.
« Ohi Marco, ottimo tempism-… »
Giurò che quell’occhiataccia trasportasse tutta la voglia del possessore di fulminarlo, incenerirlo, insomma, colpirlo peggio di quanto non avesse fatto Jaeger fino a poco prima.
La cosa che confuse Jean, però, fu il vedere la mano pallida di Marco sistemarsi di fronte al suo viso, invitandolo ad afferrarla.
Che l’avesse visto sul serio saltare dal terrazzo e ora avesse voglia di ucciderlo, come aveva pensato lui?
« Ti ho visto morto per un attimo. » sentenziò il moro, tirando in piedi Jean quando ebbe afferrato la sua mano.
“Per la seconda volta, a dire il vero.” aggiunse mentalmente, ricordando quando aveva sentito il colpo provenire dalla cucina.
« Sei esagerato! Serviva per catturare Jaeger! »
« Siamo in un residence Jean, sarebbe potuto uscire da una sola parte, è tutto circondato da edifici. » la voce esasperata di Marco lo raggiunse come una botta in testa.
Quindi lui aveva inseguito quel ragazzo fino allo sfinimento con la radicata credenza di poterlo lasciar sfuggire… quando invece la vittoria sarebbe quasi certamente spettata a loro?
Si sarebbe tanto voluto ributtare per terra e rimanere lì in silenzio, stremato dalla fatica.
« Comunque, ti senti bene? »
« Sei apprensivo, Marco! » sbuffò. « E comunque con il mio modo di agire abbiamo solo ottenuto una certezza in più di catturarlo! »
Non avrebbe mai accettato di avere torto.
« Ti ha tirato un pugno. » constatò Marco, osservando il viso del compagno e provando a fare una rapida stima degli altri colpi che avrebbero potuto aver ferito Jean, basandosi sull’agilità dell’avversario e ai danni creati dall’unico segno che poteva vedere.
Se c’era una cosa che Jean odiava era essere ignorato e in quel momento l’unica frase che voleva sentirsi dire era un “Sì, effettivamente avevi ragione Jean, quell’inseguimento era necessario”.
Al diavolo l’apprensione, stava bene.
« Ascoltami, maledizione! »
« L’unico che dovrebbe ascoltarmi qui sei tu! Ti avevo detto di non essere avventato e tu hai fatto l’opposto. » Marco lo superò, chinandosi accanto al corpo privo di sensi di Eren, avvolgendosi un suo braccio intorno alle spalle e sollevandolo. « Ti sei anche dimenticato i sedativi in macchina. »
Jean schioccò la lingua, pentendosene subito amaramente a causa del dolore irradiatosi dalla guancia colpita.
Afferrò l’altro braccio di Eren privo di qualsiasi delicatezza e aiutò Marco a trascinarlo fino alla macchina, nervosamente.
Le fitte allo stomaco si stavano facendo insopportabili.
Non sapeva se essere più arrabbiato per la poca fiducia che Marco aveva riposto in lui, oppure perché si sentiva umiliato avendo sbagliato nel pianificare le proprie azioni.
Normalmente non cadeva mai in errore valutando le situazioni, allora perché gli era accaduto proprio durante la sua prima missione con Marco?
« Comunque sia sto bene, ti sto anche aiutando a portarlo. » ribadì quanto potesse aver ragione con quella frase, ignorando il leggero sospiro emesso dal ragazzo accanto a lui.
Caricarono il corpo di Eren sui sedili posteriori, poi Marco mise in moto.
 
Quando avevano raggiunto la Perseus si erano accorti di un’Hanji alquanto euforica che li attendeva, appostata nel parcheggio sotterraneo dell’edificio come una vedetta.
Il laboratorio dove si svolgevano le ricerche era situato sottoterra, subito sopra il parcheggio e vi era un apposito ascensore, munito di barella, per caricare i soggetti catturati come nel caso di Eren Jaeger.
I sedativi usati nel corso delle missioni erano alquanto potenti e garantivano una durata dell’effetto pari a un minimo di due ore, per questo Eren era ancora addormentato, ma Marco non si sentiva mai del tutto tranquillo ad avere una belva in libertà sui sedili posteriori dell’auto e non aveva proprio potuto evitare di gettare qualche occhiata allo specchietto retrovisore per controllare la fonte delle sue preoccupazioni.
Non era stato necessario faticare troppo portando il corpo di Eren fino all’ascensore perché Hanji, ben più interessata al nuovo arrivato che alle loro condizioni, si era già fiondata insieme alla lettiga accanto alla loro macchina.
Non fosse stato per l’aiuto di Marco molto probabilmente il ragazzo addormentato sarebbe stato trattato poco meglio di un pacco da ritirare.
Prima di seguire Hanji, fortunatamente rallentata dal peso di Eren sul lettino, Marco lanciò una rapida occhiata a Jean, in disparte e con il volto contratto in una smorfia infastidita.
« Ti fa male? »
« Non più di quanto sono abituato a sopportare. » rispose, iniziando a camminare verso l’ascensore. « Piuttosto, vediamo di starci poco in laboratorio, mh? Odio quel posto. »
Marco dovette concordare con lui; odiava presenziare troppo tempo nel luogo dove si svolgevano le ricerche; in fin dei conti la consapevolezza di ciò che accadeva al suo interno, sebbene tutto fosse giustificato dal nobile scopo che portava avanti gli esperimenti, era la ragione per cui aveva deciso di entrare a far parte della Divisione di Difesa e non in quella di ricerca.
Il breve tragitto in ascensore non fu troppo pesante, almeno per Jean: si era estraniato appoggiandosi contro la lastra di metallo. Entrandovi in contatto fu quasi come se l’interesse delle persone nei suoi confronti fosse diventato pari a quello normalmente esercitato per le pareti dell’ascensore.
Si portò una mano sulla spalla, osservando il capo di Marco muoversi energicamente e fin troppo spesso per rispondere agli sproloqui con cui Hanji lo stava sommergendo: parlava di quanto un soggetto come Eren fosse utile e subito dopo di tutto ciò che gli avrebbero fatto.
Marco sembrò perdersi già alla seconda frase, fingendo nonostante questo di capire, Jean preferì invece concentrarsi sul volto addormentato di Eren che in qualunque modo si poteva descrivere meno che con la parola rilassato ed eventuali sinonimi.
Non era la prima volta che catturava qualcuno di riluttante all’idea di entrare a far parte del programma di ricerca della Perseus, in fin dei conti quasi mai le persone si offrivano di partecipare spontaneamente, ma mai Jean aveva provato curiosità per le ragioni che li spingevano a ribellarsi.
Secondo lui, erano tutti solamente degli idioti senza un briciolo di buon senso e quindi incapaci di suscitare in lui un qualsiasi interesse: invece di aggregarsi in gruppi e minacciare la Perseus aggiungendo solo lavoro in più ai suoi agenti, avrebbero potuto collaborare se non offrendosi come cavie – detta brutalmente –, stando senza assoggettare i propri compagni dando vita a delle vere e proprie rivolte.
Per lo meno non vi sarebbe stato il luogo comune che catalogava tutte le persone affette dalla Dipsa come pazze dal loro primo respiro fino all’ultimo.
Avrebbe pensato tutte quelle cose anche di Jaeger se solo non avesse cominciato ad accusare la Perseus, poco prima di essere sedato; se il suo naso non fosse stato in pericolo sotto l’incombente furia del pugno con cui Eren stava per colpirlo, nello spiazzo del residence malridotto dove l’avevano catturato, molto probabilmente Jean se la sarebbe presa con Marco per non aver aspettato qualche attimo in più prima di salvarlo.
Un sospiro, poi Jean si staccò a malincuore dal muro per seguire la bizzarra fila formata dalla barella, Hanji e un Marco voltatosi con fare preoccupato verso di lui dopo aver sentito un gemito provenire dalle sue labbra.
Cominciava ad accusare in modo fin troppo doloroso gli effetti della pedata ben calcolata di Eren al proprio stomaco, ma si sarebbe sforzato ugualmente di resistere: tanto cosa avrebbero dovuto fare lì se non attraversare la stanza e uscire dalla porta in grado di condurli all’infermeria?
Marco, dal canto suo, sarebbe volentieri rimasto nell’ascensore senza seguire la ricercatrice la quale, persasi nell’euforia più sfrenata per quel nuovo “giocattolino”, stava urlando ordini a destra e a manca.
Non aveva mai capito bene come funzionassero ricerche e simili come non aveva mai avuto poi così tanta premura di comprenderlo, in fin dei conti non era il suo compito ed ebbe un’ulteriore conferma di quanto non gli importasse sapere nulla quando vide l’ago di una siringa non esattamente sottile conficcarsi nel braccio di Jaeger.
Distolse lo sguardo, tornando a controllare il viso contratto di Jean.
« C’è una puzza di ospedale qui dentro che mi fa venire la nausea. Me ne vado. »
Capì nitidamente solo quella frase provenire nonostante le labbra serrate di Jean e i denti stretti probabilmente per le continue fitte che lo costringevano a piegarsi sempre di più e a stringere maggiormente le braccia intorno al proprio busto.
 
 
Tutto Marco aveva pensato di vedere quel giorno, meno che un proseguo tranquillo.
L’inguaribile ottimismo tanto odiato da Jean era scemato praticamente del tutto, lasciando spazio ad un Marco ben più realista e serio di quello conosciuto dall’infortunato.
Era buono e gentile, sì, spensierato senza dubbio, ma non stupido.
Eren aveva colpito con forza Jean come del resto aveva contraccambiato anche lui – cosa che Marco non aveva scordato di far presente ad Hanji –, perciò non se la sentiva di escludere che tutto il dolore provato dal compagno fosse dovuto a qualche danno serio.
Fortunatamente le due ore trascorse in infermeria, tra un controllo approfondito e l’altro, erano servite a far sparire dalla sua mente ogni preoccupazione e a garantirgli un tranquillo pomeriggio trascorso sì all’interno della Perseus, ma senza alcun lavoro da svolgere se non la compilazione del un rapporto riguardante la loro missione.
Si erano spostati in uno degli uffici liberi solo perché Jean non aveva proprio voluto rimanere sdraiato sul lettino dell’infermeria e si erano messi a stilare insieme quell’“odioso resoconto”, come l’aveva definito l’altro.
Era la prima volta che qualcuno lo aiutava a comporre un rapporto, cosa normalmente fatta da lui e lui soltanto, perché i compagni che partecipavano alle sue stesse missioni, troppo pigri e poco puntigliosi per farlo, lo abbandonavano preferendo lo svago al dargli una mano. E lui come sempre non diceva nulla.
Quella volta invece stava avendo la possibilità non solo di avere il lavoro alleggerito, ma anche di apprezzare una qualità che mai avrebbe potuto immaginare di dover attribuire a Jean: la diligenza.
« Non sapevo fossi tanto preciso. » constatò Marco dopo aver riletto quanto aveva scritto; Jean gli aveva fatto aggiungere tanti dettagli che secondo lui erano fondamentali, altri invece li aveva tralasciati pur ricordandoli a voce alta.
« Non ho voglia di sentirmi dire tra un mese che mancavano informazioni importanti perché non le ho scritte. » rispose semplicemente, alzandosi e stiracchiandosi appena.
Percepì un leggero bruciore all’altezza dello stomaco, ma non se ne lamentò tanto era affievolito rispetto alle fitte provate in precedenza.
Uscirono dall’ufficio mentre Jean si infilava il giubbotto di pelle borbottando qualche imprecazione per lo sporco che l’aveva rovinato; in fin dei conti si era rotolato per terra in un parcheggio e si era lanciato in un cumulo di immondizie, era già tanto se aveva avuto l’occasione di farsi una doccia e infilarsi il cambio di vestiti che gli aveva prestato Marco.
Adesso non solo gli doveva un salvataggio, ma anche un cambio di vestiti!
Se stava cominciando a fare pensieri tanto stupidi come il confrontare un salvataggio e uno sciocco cambio di abiti doveva essere indubbiamente stanco. Avrebbe avuto bisogno di staccare un po’ da qualsiasi cosa concernesse il lavoro, magari con un film o con una bevuta in un qualche bar.
« Che ne dici se andiamo a bere qualcosa? »
Il fatto che non fosse stata la propria voce a pronunciare quella frase gli fece raggelare il sangue nelle vene.
Forse aveva a che fare con un maledettissimo veggente e non se n’era reso conto.
« … Ci stavo pensando anche io. » rispose con un filo di voce, suscitando una risata da parte di Marco, intento ad infilare la busta contenente il rapporto nella casella dei messaggi per il comandante Smith – fosse lodata quella sottospecie di cassetta delle lettere. Jean la reputava la sua unica salvatrice in grado di risparmiargli corse in lungo e in largo all’interno della struttura alla ricerca dei superiori –.
Sentì il rumore della stoffa che si accostava e poi vide il doppiopetto di Marco completamente chiuso e sistemato.
« Quindi è un sì? »
Jean aveva pensato, paradossalmente considerando il suo comportamento di quella mattina, di proporlo da sé; Marco invece ci stava sperando troppo e non ne capiva nemmeno la ragione: volontà di mostrarsi simpatico e riscattarsi? Comprarlo offrendogli una birra nonostante l’avesse già salvato dalla furia omicida del loro primo bersaglio?
« Se posso offrire io, sì. »
Allora forse non lo odiava poi così tanto.
Marco gli rispose con un cenno e, dopo aver recuperato la propria macchina dal parcheggio, guidò fino al locale dove aveva pensato di portare Jean.
Dire che fosse il luogo di ritrovo per eccellenza di tutti i dipendenti della Perseus sarebbe stato forse esagerato, ma Marco era certo che i proprietari del locale conoscessero una percentuale piuttosto alta del suddetto gruppo di persone: in fin dei conti quel bar era a meno di mezzo chilometro dalla sede della Perseus.
Per questo l’avrebbero potuto raggiungere anche a piedi come effettivamente Jean gli aveva fatto notare, ma era quasi del tutto certo che quella smania di mostrarsi atletico fosse in un certo senso un riflesso incondizionato della voglia di fargli vedere quanto si fosse ripreso dalla lotta di quella mattina.
Anche se l’avesse detto chiaro e tondo comunque, Marco l’avrebbe costretto a sedersi sul sedile del passeggero della sua auto e a lasciarsi portare fino a lì.
Riuscirono ad ordinare qualcosa da bere e da mangiare alquanto in fretta – forse erano gli unici ad avere qualcosa da festeggiare? – e si ritrovarono seduti a conversare del più e del meno ad un tavolo in disparte.
Jean aveva fatto un sacco di capricci per avere quel posto, dicendo che non voleva essere troppo vicino ad altre persone. Marco gli aveva fatto notare quanto fosse sembrato un bambino bizzoso e l’aveva fatto imbronciare per circa cinque minuti, poi Jean aveva ricominciato a parlare di propria spontanea volontà.
Chiunque l’avrebbe trovato solamente una sfida per i nervi, Marco invece si rendeva conto che per i suoi canoni era insolitamente tenero, ma forse era meglio evitare di farglielo presente, almeno per il momento.
Continuò a pensare che assomigliasse tanto ad un bambino fino a quando, improvvisamente, l’espressione sul suo viso tornò ad avere diverse sfumature mature.
« Marco, ti posso chiedere una cosa riguardo a oggi? » mugugnò con fare pensieroso, il tono vagamente incupito a causa del suo aver parlato dentro al boccale di birra.
L’altro si trovò costretto a poter solo annuire, soprattutto perché il modo di parlare di Jean lo stava incuriosendo non poco.
Non gli fu possibile nemmeno cercare di immaginare cosa volesse domandargli, perché molto semplicemente Jean parlò subito: il discorso da affrontare era già ben delineato in ogni sfumatura nella sua mente.
« Non ti pare strano che la ragazza menzionata nel rapporto, quella tale Mikasa, non fosse con Eren, oggi? »
« Sappiamo che è sparita senza lasciare tracce, no? E’ ovvio che non ci fosse. »
Jean lo guardò con un’espressione accigliata. Davvero si accontentava di così poche informazioni?
« Non dirmi che non ti sei fatto delle domande anche tu, Marco! » Jean spostò appena il piatto dove poco prima giaceva il panino caldo che aveva ordinato, in modo da avere davanti a sé solo la tovaglietta verde scuro come l’insegna del locale.
Puntò due dita sul foglio di carta leggera.
« Prima Jaeger e Ackerman sono inseparabili, tanto che la Perseus fallisce la missione che si propone di catturare entrambi e non avanza ulteriori tentativi. » piegò una delle dita, in modo che rimanesse solamente l’indice a toccare il tavolo, quasi perpendicolare ad esso. « Poi improvvisamente mandano noi, per catturare uno Jaeger rimasto inspiegabilmente solo e senza la protezione della ragazza in grado di sventare la missione precedente con il suo continuo parare le spalle di Eren. » sollevò solo allora lo sguardo serio da quel teatrino improvvisato dove si erano aggiunti altri due personaggi, ovvero lui e Marco. « Non ti pare strano? Non l’ha mai lasciato solo, mai e ora se ne va all’improvviso gettandolo in balia degli eventi? Jaeger agirà anche d’impulso, ma se sono sfuggiti con l’ingegno dalla scorsa cattura significa che per lo meno quella Mikasa avrebbe dovuto avere un po’ di sale in zucca. »
Marco aveva seguito per filo e per segno il ragionamento di Jean senza perdere alcun dettaglio. Doveva ammettere di avere abbastanza chiara la situazione e prevedeva dove volesse andare a parare il compagno, ma c’era una cosa, una sola che gli mancava per renderlo in grado di trarre le stesse conclusioni di Jean: la diffidenza.
Marco prendeva per oro colato tutto ciò che gli veniva detto dalla Perseus e non avrebbe mai potuto portare avanti un ragionamento tanto sconvolgente per i suoi canoni e ovvio, invece, per Jean.
« Pensi che l’abbiano rapita? Magari i ribelli o forse qualche altra organizzazione che vuole fare concorrenza alla Perseus. » rilassò la schiena, per quanto poco gli fosse possibile a causa dell’argomento pungente, contro lo schienale del divanetto su cui era seduto. Si portò una mano sul mento.
« Esatto, ma niente ribelli o qualche concorrente: è stata proprio la Perseus. »
Per poco Marco non rischiò di sputare la birra in faccia a Jean.
Non era uno che rideva di fronte alle idee altrui, ma gli sembrava veramente che Jean stesse raccontando una barzelletta.
« La Perseus? Ma dai, Jean! » tornò a sporgersi verso di lui, più che altro per sentire quanto odore d’alcool emanasse il corpo del compagno. Poteva essersi ubriacato con due soli boccali di birra? In un certo senso ci sperava.
Jean dal canto suo sapeva che Marco non gli avrebbe creduto tanto facilmente.
« Proprio nel momento in cui l’hai sedato, Jaeger mi stava parlando di qualcosa accaduto a Mikasa per colpa della Perseus. » subito dopo ripeté la frase detta dal ragazzo.
« Jean, ci hanno mandato a prendere Jaeger perché è un soggetto in cui la Dipsa sta sortendo i propri effetti prematuramente. Probabilmente stava delirando. »
Improvvisamente nello sguardo di Jean apparve un bagliore affatto rassicurante che fece scorrere un brivido freddo come acqua gelata lungo la spina dorsale di Marco.
« So bene la differenza tra impulsività e sintomi della Dipsa, Marco. Jaeger è un ragazzo esagitato, per sua sfortuna, o altrimenti sia lui che la sorellastra avrebbero continuato a vivere tranquilli senza dover diventare cavie da laboratorio nonostante la loro malattia. » finì la birra e sbatté senza troppi complimenti il boccale sul tavolo.
« Perché sei tanto ostinato nell’accusare la Perseus? »
« Potrei chiederti perché tu invece la difendi. » Jean gettò una rapida occhiata fuori dalla vetrina, senza scorgere nulla, in realtà. « Ti farò cambiare idea. »
Da quel momento, Marco Bodt ebbe la sensazione che il suo appellativo di “cane ubbidiente” sarebbe ben presto cambiato.





Angolo ~
Devo ammettere che da un pezzo non avevo così tanta voglia di aggiornare una fanfiction. Fra l'altro, non mi sentivo nemmeno così motivata.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e messo la storia tra le seguite! **
So che non ho risposto a tutte quante le recensioni, ma ammetto che a dire il vero non sapevo cosa dire: come è difficile recensire un capitolo introduttivo è difficile anche rispondere se non ripetendo le parole "Grazie" e "Mi hai resa felice" allo sfinimento, perciò ho preferito farlo in maniera generale e collettiva qui: Grazie, mi avete resa tanto felice e sono contenta di aver iniziato questa fanfiction!
Da questo capitolo in poi cercherò di rispondere sempre – perché comunque è mia abitudine –. Vi ringrazierò allo sfinimento comunque e poi vedrò cosa dire in base alla recensione!
Ah, dico un'ultima cosa prima di lasciarvi in pace: spero davvero tanto di poter aggiornare in fretta nonostante stia per ricominciare la scuola.
Di mio sono un po' lenta, con questa storia poi sono alquanto puntigliosa e se non impiego troppo a scrivere, nonostante la lunghezza dei capitoli che normalmente oscilla intorno a quella del capitolo attuale, perdo tempo ricontrollando più e più volte per essere certa di aver reso tutto leggibile e privo di errori.
Pertanto se dovessi tardare e prendermela più comoda di quanto non abbia già fatto sappiate che non voglio tenervi sulle spine.
Perciò, sperando in un vostro commento, ci sentiamo nelle risposte alle recensioni e nel prossimo capitolo! <3

CHAOSevangeline
   
 
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