Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: CHAOSevangeline    30/12/2013    3 recensioni
La Perseus è un’organizzazione che si occupa di mantenere l’ordine in una società provata da una misteriosa malattia, il Morbo di Dipsa.
Non si sa né quale sia la sua origine, né quale sia l’esatto modo di curarlo, ma nonostante questo, agenti come Jean Kirschtein sono incaricati di tenere duro, di proteggere e di aiutare la Perseus nel suo compito.
Questo compito per Jean non sarebbe affatto facile, se al suo fianco non fosse stato assegnato Marco Bodt.
Genere: Azione, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Colui che salvò l'Eroe.

 
 
 
Prologo

 
 
 
Jean odiava qualsiasi tipo di clima potesse definirsi umido e bagnato, per questo quel giorno stava maledicendo tutto e tutti. Fra l’altro il fango provocato dal recente temporale – solo migliorato in pioggia, senza sparire – si era divertito in modo malsano a sporcare i suoi stivali appena tirati a lucido e aveva come la vaga sensazione che non avrebbe avuto occasione di darsi una ripulita prima di raggiungere l’imponente palazzo dove lavorava.
Il suo umore già duramente provato dalle condizioni atmosferiche peggiorò ulteriormente quando ricordò ciò a cui era stato preparato il giorno prima: l’assegnamento di un compagno di squadra.
Imprecò sottovoce, senza prestare troppa attenzione allo sguardo di un anonimo passante voltatosi con stupore per la fantasia dell’insulto da lui appena inventato.
Jean avrebbe veramente voluto capire quale parte della frase “Mi piace lavorare da solo” non fosse chiara ai suoi superiori, ma dubitava che anche sapendolo sarebbe stato in grado di fare qualcosa per infilare il concetto nelle loro zucche vuote: se avevano deciso di farlo lavorare con qualcuno poteva stare pur certo che in un modo o nell’altro si sarebbe ritrovato a condividere per lo meno dodici ore ogni giorno con la persona prescelta.
Sperava solo gli capitasse qualcuno di poche parole, mentre entrava all’interno dell’edificio dopo aver atteso che le porte scorrevoli gli lasciassero libero il cammino e sognava che, sempre lo stesso soggetto, si scoprisse ammalato, o forse ancor meglio licenziato di punto in bianco.
No, no, purtroppo quell’ultimo pensiero sarebbe rimasto un sogno irrealizzabile: in fin dei conti abbandonare la Perseus non era esattamente facile, come del resto non lo era entrarvi.
Trattava materie fin troppo delicate per permettere un andirivieni infinito di “dipendenti”, Jean lo sapeva fin troppo bene.
Quando aveva compilato il primo modulo per entrare a far parte di quella sorta di organizzazione segreta che si muoveva alla luce del sole, si era reso conto che assumersi la responsabilità di un giuramento solenne sarebbe stato meno seccante di dover compilare tutte quelle scartoffie che comprendevano questionari, test e in generale domande su domande per valutare l’idoneità della persona.
Considerando l’obbiettivo che muoveva quell’enorme meccanismo, però, doveva ammettere che se si fosse trovato lui a dover dirigere il tutto sarebbe stato il primo a rendere l’accettazione di nuove reclute minuziosa e selettiva: la Perseus si proponeva, in quei tempi alquanto difficili, di proteggere la popolazione e di risollevarla estirpando il Morbo di Dipsa, quella malattia tanto misteriosa quanto letale diffusasi dagli ultimi trent’anni a quella parte.
Jean non ricordava precisamente l’anno in cui erano cominciate le ricerche per l’ottenimento di una cura, ma aveva qualche certezza in merito agli scarsi progressi nel periodo in cui era nato, esattamente ventidue anni prima.
Non che in quel momento le incognite riguardanti il morbo fossero diminuite: la si contraeva dalla nascita, ma non si sapeva ancora secondo quali parametri ciò accadesse.
Non vi era modo di diagnosticarla tramite esami e l’unica metodologia conosciuta per riconoscerla era l’osservazione del corpo del paziente; sulla sua pelle, infatti, era riscontrabile un caratteristico “simbolo” – la cui posizione era variabile a seconda del soggetto – di colore diverso, quasi fosse una voglia. Normalmente sembravano dei fori provocati dal morso di un serpente, lievemente incavati nel corpo del malato.
L’unico sintomo di tale malattia era la pazzia a cui veniva guidato il paziente al termine del decorso della Dipsa.
Il campanello dell’ascensore di vetro trillò, portando il suo unico passeggero al quinto piano: quello delle riunioni.
Cercò di cancellare un po’ di quel malumore convincendosi che sarebbe dovuto essere felice, avendo la sala principale dei convegni solo per sé, il comandante Smith e quell’incomodo – perenne – che avrebbe preferito non incontrare.
Quel pensiero poco efficacie scemò mentre camminava.
Lanciando un’occhiata rapida e distratta all’orologio sopra la scrivania dove lavorava la segretaria di quel piano realizzò di essere in ritardo; la lancetta si era appena fermata sulle nove e tre minuti, ma questa consapevolezza non gli impedì certamente di salutare con calma la donna seduta al banco poco prima di superarla.
Il suo ritardo rientrava ancora nel margine di cortesia, ma conosceva chi si sarebbe messo a correre pur di risparmiare una manciata di secondi che certamente non avrebbe cambiato in modo radicale la situazione.
Certe volte sembrava di essere nell’esercito lavorando alla Perseus, però di questo Jean pareva proprio infischiarsene: orari? Ordini? E che cos’erano? Di certo non riguardavano lui.
Nonostante le numerose lavate di capo ricevute, era certo che il miglior metodo per farsi rispettare anche dai superiori, fosse ragionare di testa propria e non sottomettersi. Errore madornale, considerando che gli era costato un paio di antipatie scomode ai piani più alti.
Se non fosse stata per la sua validità di agente e per la protezione dello stesso uomo che aveva preso la decisione di assegnargli un compagno, molto probabilmente si sarebbe già ritrovato cacciato via a calci.
Sfilate le mani dalle tasche del giubbotto di pelle nera che fasciava il suo busto allenato, Jean spinse entrambe le porte d’ingresso di vetro nero e opaco.
Entrò nella stanza, illuminata solo dall’abbagliante neon sul soffitto.
« Avere un ritardo a precedere una presentazione al proprio nuovo compagno ti fa onore, Kirschtein. »
Jean si trattenne dallo schioccare in modo poco educato la lingua nel sentire il proprio cognome – cosa che accadeva normalmente quando veniva rimproverato – e dall’imitare l’uomo in piedi vicino alla sedia a capotavola, con le mani unite dietro la schiena.
Il sarcasmo del capitano Smith lo rendeva veramente irritato ogni qualvolta lo sentiva, figurarsi se poi ciò accadeva di prima mattina. O forse gli dava sempre fastidio come se l’avesse utilizzato di prima mattina?
« Non se n’è andato, no? Allora vuol dire che non sono poi così tanto in ritardo. »
Subito lo sguardo di Jean scorse nella direzione del suo nuovo compagno, sperando che gli stesse ancora dando le spalle.
Aveva parlato di lui come se non ci fosse, eppure la cosa sembrava solo aver incuriosito maggiormente il ragazzo seduto compostamente su una delle poltrone girevoli schierate intorno alla tavola di cristallo.
Improvvisamente, Jean si trovò faccia a faccia con dei corti capelli di colore nero, un paio di occhi castani che avevano tutta l’aria di appartenere a un bambino e un viso costellato di lentiggini.
Davvero quel ragazzo lavorava nella sezione di difesa della Perseus?
Davvero Marco Bodt era lì di fronte a lui?
« Come ti accennavo, Marco, sei il più idoneo a fare coppia con Kirschtein. Mi dispiace solo dover sfidare la tua pazienza facendoti lavorare con lui. »
« Non si preoccupi Capitano, sono certo che riusciremo a lavorare insieme e ad ottenere degli ottimi risultati! »
Mentre Jean questionava ancora con sé stesso in merito alla decisione presa dal Capitano di assegnargli proprio lui come compagno, fu costretto a domandarsi anche se Marco stesse ostentando un finto ottimismo, o se fosse realmente convinto di quanto diceva.
Anzi, forse avrebbe dovuto elaborare già un’ipotesi: lui e Marco erano diventati dei cadetti lo stesso anno e per giunta nello stesso gruppo, ma non si erano mai parlati più di tanto perché, a dire il vero, si conoscevano da ancora prima di quel momento; frequentare le superiori nella stessa classe era servito ad entrambi per capire abbastanza chiaramente quanto nessuno dei due fosse adatto a frequentare l’altro, o meglio, questa era la visione dei fatti dal punto di vista di Jean.
Aveva sempre faticato a sopportare l’inguaribile ottimismo di Marco, perciò era del tutto certo che in quel momento fosse del tutto sincero con il superiore.
Stava iniziando a pensare che il destino avesse per qualche ragione intenzione di tenerli più uniti del dovuto quando il capitano Smith gli si avvicinò con la solita espressione ligia al dovere, mescolata insolitamente ad una punta di stupore.
« E’ strano che tu non abbia obbiettato in nessun modo, Kirschtein. »
Quella frase fece capire a Jean quanto l’uomo, adesso seguito anche da Marco, stesse sperando in una sua reazione. Forse fu proprio il desiderio di non compiacerlo a farlo rimanere calmo.
« Credo che se scomodando mezzo piano con le mie urla, ieri, non l’ho portata a cancellare la sua proposta, oggi non cambierà assolutamente nulla qualsiasi cosa io faccia. »
La volontà di rimanere calmo di Jean veniva sempre tradita da quella punta aspra e arrogante nel suo tono di voce che fece sorridere il Capitano, ma contribuì a far incupire leggermente il volto del ragazzo alle sue spalle.
« Ora ho delle faccende da sbrigare. Verrete avvisati non appena vi saranno delle istruzioni per voi. »
Marco fu l’unico a scomodarsi mettendosi sull’attenti poco prima che Smith uscisse, nonostante il Capitano non si fosse nemmeno voltato a controllare il comportamento dei due.
Jean attese qualche attimo, poi sbottò in una colorita serie di insulti indubbiamente non volti a manifestare apprezzamento per la situazione a Marco che, dal canto suo, stava cercando invano di trovare un modo per calmarlo.
Aveva sempre saputo quanto Jean potesse risultare una testa calda, ma aveva vivamente sperato, sapendo che sarebbe stato lui il suo compagno, in un qualche miglioramento.
« Avanti Jean, non sarà poi così tanto terribile. » cercò di rassicurarlo.
Dovette ritirare la mano sospesa a mezz’aria con l’intenzione di dargli una pacca sulla spalla vedendo l’altro voltarsi con fare furente verso di lui.
« Non parlarmi come se ci conoscessimo da una vita! » sbottò con il suo solito tono di voce fin troppo alto e riconoscibile, mentre usciva dalla stanza.
Marco lo guardò smarrito, chiedendosi il perché un po’ di confidenza gli avesse dato tanto fastidio. Che a scuola non si fossero mai parlati più di tanto era vero, ma non pensava che Jean l’avesse sempre evitato perché lo odiava al punto di fare una scenata smile.
« Ma siamo stati in classe insieme per cinque anni! » ribatté, infilandosi nell’ascensore giusto in tempo per non essere lasciato indietro.
Dopo quel momento il silenzio.
Jean stava riflettendo su alcune discussioni sentite nel corso della sua carriera dalle persone che avevano avuto ben più occasioni di aver a che fare con Marco: l’avevano sempre definito un debole che con quel luogo non c’entrava nulla, ma Jean non aveva mai dato troppo peso alle loro parole convinto che potessero essere mosse dall’invidia.
Pensò subito che forse sarebbe stato meglio mettere in chiaro, che Marco sapesse delle voci correnti sul suo conto o meno, quanto la sua reazione di poco prima non fosse dovuta a tali pettegolezzi. Molto semplicemente gli dava fastidio respirare la sua stessa aria come gli avrebbe dato fastidio respirare quella di chiunque altro.
Mancavano circa un paio di piani alla loro meta quando Marco iniziò a parlare.
« Non volevo che le cose iniziassero tanto male. »
Era forse un tono di sincero dispiacere, quello?
“Non avrei proprio voluto che le cose iniziassero.”
Jean tenne per sé quella frase e Marco ottenne in risposta solamente un mugugno, che sembrò tuttavia abbastanza per spingerlo a continuare il discorso.
« Ti crea tanti problemi lavorare con me? »
« Mi crea tanti problemi lavorare con chiunque. » lanciò un rapido sguardo verso i numeri posti sopra la porta di metallo dell’ascensore. « E poi non siamo mai andati d’accordo. »
« In verità io cercavo di parlarti, eri tu che te ne stavi sempre sulle tue. » si giustificò Marco, attirando su di sé lo sguardo di un Jean visibilmente punto nel vivo.
« Mi stai dando la colpa? » domandò, uscendo dall’abitacolo appena apertosi sul corridoio.
« Sei troppo permaloso, Jean! »
Jean fece per ribattere ancora, sia per la constatazione – perché alla fine altro non era se non la verità – che per il modo con cui aveva rimarcato il suo nome, ma sentì una voce fin troppo familiare interromperlo.
C’erano tante persone che per Jean erano preoccupanti, all’interno di quella struttura, ma una di quelle tra le cui grinfie non sarebbe mai voluto cadere era indubbiamente Hanji, la direttrice degli studi sulla Dipsa.
Senza dubbio una mente, ma come quasi tutti gli uomini dalle facoltà intellettive fin troppo sviluppate era un tantino eccentrica, se la si voleva descrivere blandamente.
« Ehi, voi due! State già lavorando insieme, eh? »
Jean avrebbe tanto voluto dire di no, ma rispose con un’alzata di spalle in grado di zittire Marco; non si era nemmeno voltato, ma era quasi del tutto certo che il ragazzo stesse per dire qualcosa rispondendo al superiore.
Comunque, non era il comportamento dell’altro ciò che più lo preoccupava in quel momento, quanto piuttosto il fascicolo tra le mani della donna.
« Ho un compito per voi. »





Angolo ~
E’ da diversi giorni che mi ritrovo a dire tra me e me “posto, oppure no?”
Alla fine ho ceduto, come un po’ tutte le volte in cui non so cosa fare.
Prima AU di SnK con un po’ di azione, altra long da portare avanti e una nuova JeanMarco a cui dedicarmi. Sono felice per tutte le caratteristiche di questa storia, anche se come al solito ho paura di poter essere banale e guidare i personaggi lontano dalla retta via (leggere: l’OOC mi terrorizza).
Ora come ora mi sono limitata a impostare il raiting arancione, ma ho come la sensazione che lo cambierò nel corso della storia con relativi avvertimenti connessi!
Cosa che credo non cambierò è il titolo; sfortunatamente sono negata a sceglierli, ma questo mi sembrava il più azzeccato e-... no ok basta, potrei perdere una vita a parlare unicamente di questo ;_;
Faccio un piccolo appuntino riguardante il nome della malattia nella fanfiction: l’ho chiamata Dipsa prendendo spunto dalla lista di creature mitologiche gentilmente offerta da Wikipedia. Come viene spiegato lì, la Dipsa è un piccolo serpente nominato in numerosi bestiari medievali il cui morso pare abbia la proprietà di uccidere le persone ancor prima che possano rendersi conto di essere state punte dai denti di questo simpatico animaletto.
Chiusa questa piccola parentesi, ringrazio chiunque abbia letto la storia, la recensirà – ve ne sarei grata, al solito mi piacerebbe sapere cosa posso migliorare! – o farà qualsiasi altra cosa (?)
Al prossimo capitolo!
 
CHAOSevangeline
   
 
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