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Autore: Hariberu    05/01/2014    5 recensioni
Doveva essere uno scherzo.
Oppure un incubo, meglio un incubo perché uno scherzo non avrebbe potuto essere tanto crudele.
Marzo 1848?
Come poteva essere nel diciannovesimo secolo? Lei...lei apparteneva ad un’altra epoca, com’era possibile?
Eppure – la mente acuta di Rein Moon lavorava contro lo strazio del suo cuore – quella data rendeva plausibile ogni particolare: l’abbigliamento, l’aspetto degli edifici, le tracce di fumi di carbone nel cielo, persino la lingua parlata.
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Estratto capitolo 5:
La ragazza si immobilizzò iniziando ad indietreggiare, per poi voltarsi e provare a correre. Ma con sua grande sorpresa si ritrovò a terra, la bambina l’aveva spinta facendole sbattere la fronte.
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°BlueMoon°
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Rein, Shade, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nd: Ho tramutato i capitoli in terza persona sotto consiglio di Fear, spero vada meglio. Buona lettura.
 
 
Si era dissolta, nell’oscurità priva di appigli, priva di coscienza, nell’oscurità indifferente. Ora, quando già la sua mente sembrava essersi abbandonata alla lenta ed infinita discesa negli abissi, qualcosa la riportò a galla: il suo corpo.
Come nello spasmo dell’ormai annegato che guadagna improvvisamente la superficie e nuovo ossigeno per i propri polmoni stremati, così il petto di Rein si gonfiò di un respiro brusco. E la riportò alla realtà.
Sentiva le palpebre pesanti, come se fosse rimasta a lungo incosciente. Si mosse con lentezza e fu sollevata nel constatare di non avere nessun osso rotto. Eppure la sensazione di essere stata scagliata in qualche voragine non l’abbandonava. Una voragine fangosa, per l’esattezza.
Quando aveva toccato quella luce si era sentita strappata dal suo mondo e ora si ritrovava chissà dove…e che emanava un odore tutt’altro che piacevole. Era un miracolo che fosse rinvenuta, vista la puzza che la circondava e che non riusciva nemmeno a riconoscere: era un misto di odori di cucina – cavolfiori, brodo rancido – e qualcosa di più animalesco, come se ci fosse un allevamento di maiali nelle vicinanze. Senza contare quello che sembrava decisamente olezzo d’urina.
Cercò di rialzarsi, la testa le girava e faceva fatica a muoversi. Sembrava un’ubriaca. Cadde con la faccia sprofondata nella gonna del suo vestito.
Perché nessuno gli dava attenzione? Possibile che si trovava lontana oppure era il suo udito o il suo olfatto ad essersi sviluppato magicamente? Poi ricordò.
Sua sorella aveva fatto il doppio gioco, l’aveva presa in giro per un sacco di tempo, si era comportata da vigliacca e non gli aveva mai riferito niente.
Seduta a terra, in attesa che il suo corpo si ristabilisse. Si guardò intorno. Era un vicolo stretto circondato da due case laterali di mattoni blu.
Rein cercò di pensare sempre meno a quel colore, il blu. Già il colore che gli aveva sfortuna.
Una sfortuna immensa.
Il brontolio del suo stomaco la riportò alla realtà, si accorse che non aveva fame delle solite cose che amava mangiare: pollo ripieno, crostate al mirtillo, biscotti alla vaniglia e gelato alla menta.
Sentiva anche odore di.. sangue, sangue fresco. Cosa stava andando a pensare?
Posò le mani per terra e cercò di rialzarsi. Squadrò le case intorno. Piene, stra-piene di maledetti mattoni blu, anche le porte erano blu! Le finestre contornate di blu.
Poteva andare mai peggio di così?
Le piccole finestre erano tutte chiuse, oscurate dallo sporco.
E, a giudicare dallo strato di fango accumulato, le piogge non erano certo mancate. Anzi, dal rigagnolo che scorreva da una grondaia poco lontana, per correre giù lungo il vicolo diretto chissà dove, era chiaro che doveva aver smesso da poco di piovere.
Strano.
Lei non aveva i vestiti o i capelli bagnati di pioggia. Sporchi di fango, questo sì, ma soprattutto nella parte anteriore del corpo, dato che era stata sdraiata a pancia in giù nel vicolo ed ancora si sfregava una guancia per toglierne quell’odiosa sporcizia. La schiena però era asciutta.
“Devo essere arrivata qui da poco” concluse tristemente.
Quanto gli piacerebbe essere nella sua camera e scrivere poesie che la consolino.
Quella dannata luce l’aveva portata qui, in un certo senso era quasi felice di essersi liberata di quella ipocrita della sorella.
‘Per me, mia sorella è morta.’ Pensò, alla fine, con uno strano ghigno maligno immaginando scene di tortura verso la rossa.
‘Sarebbe molto divertente legarla e farle confessare tutto. Sai che grande piacere vederla con il volto rigato di lacrime e i polsi rossi, quasi tagliati dalle corde, insanguinati.’ Continuò a pensare crudelmente, qualche minuto dopo si pentì dei suoi orribili ma piacevoli pensieri. Non pensava di aver questo lato nascosto così sadico dentro di sé.
Uscì dal vicolo, c’erano persone dappertutto. Soprattutto bancarelle che vendevano dalla frutta fino ai gioielli di poco valore, molte donne facevano a gare per accaparrarsi le verdure fresche a poco prezzo.
Poi si girò e notò un castello con lo stemma della luna. Non ne rimase sorpresa, visto che era praticamente tutto blu.
“Questo dev’essere il regno Lunare, ma è molto diverso da quello che conosco io.” Sussurrò presa dal panico di perdersi.
Prima di tutto, aveva bisogno di una ripulita al vestito o l’avrebbero scambiata per una barbona di strada.
‘Senza offesa ai barboni.’
Guardò meglio il suo vestito preferito, non lo metteva quasi mai. Glielo aveva regalato Shade. Si pentì di averlo messo proprio quel giorno.
Questo dannato giorno.
Cercò di rassettarsi al meglio, si ripulì il viso con la manica intatta del vestito bianco e controllò nelle taschine laterali. Vuote, completamente vuote se non a eccezione di una foto.
Erano raffigurati lei e Shade, che si abbracciavano dolcemente. Dietro c’era Milky che sorrideva alla macchina fotografica. Aveva una voglia immensa di strapparla e gettarla nel fango.
‘Quei quattro anni buttati al vento, tutte fandonie!’ Pensò arrabbiata nascondendola nella tasca.
Quindi studiò il vicolo: da una parte era chiuso da un’alta staccionata, impossibile da scalare, ma dall’altro capo provenivano rumori della strada vicina. E proprio a quella si diresse.
Si era aspettata, una volta arrivata sulla strada, di respirare aria migliore.
Invece, nonostante il lezzo del vicolo si fosse attenuato, un altro l’aveva sostituito. Era odore di persone, molti esseri umani dalla dubbia vocazione all’igiene personale, tanto che i loro corpi emanavano un afrore grasso e spiacevole.
La prima cosa che notò furono i colli di quelle persone, che le fecero ricordare di avere un immensa fame. Ma di che cosa? Si sentiva strana da quando si era ritrovata in quel vicolo. I suoi sensi si erano sviluppati, lo sentiva.
‘Perché sento anche odore di sangue? Possibile che sto diventando mezza matta?’ Poi ci ripensò profondamente.
‘Impossibile, io non sono una di quelle strane creature mitologiche del libro di fiabe della mamma. Io non posso essere diventata un vampiro senza essere morsa. Ma poi loro neanche esistono.’
Poi fu colpita dall’abbigliamento della folla. Ma queste persone conoscevano il termine glamour?
Le donne avevano terribili e quanto raccapriccianti fiocchetti dai colori più assurdi come il nero e il marrone. Le più snob, a quanto pare, portavano un ombrellino per ripararsi dal sole. Ma a quanto pare erano rincretinite visto che non c’era una minima traccia di luce nel cielo, anzi era più nero del carbone.
Era giorno d’acquisti, di uomini quasi neanche l’ombra. Gli unici che aveva avvistato portavano una camicia bianca e dei pantaloncini marroni, le gambe erano piene di graffi e varie croste.
Poi c’erano i bambini, gli unici che Rein in quel momento poteva considerare adorabili e ben vestiti. Le bambine avevano vestitini graziosi anche se di colori deprimenti. I maschi portavano un gilé color porpora.
Si rincorrevano ed erano felici.
“Vorrei tornar bambina, per non scontrarmi con la realtà, perchè a volte fa troppo male...”
Rein fece qualche passo indietro. Alcune donne l’avevano guardata con indignazione e poi avevano sussurrato:
“Hai visto che bella quella ragazza? Poi guarda il suo vestito, chissà quanto deve essere costato.”
“Già, per essere bella lo è. Ma le persone di alto rango non stanno per strada sporche di fango dalla testa ai piedi come dei sudici maiali.” Poi continuarono a camminare e a fissarla da lontano.
“I maiali sono sicuramente più simpatici di quelle zitelle” Mormorò a denti stretti.
Proprio in quel momento, un ragazzino sbucò dalla folla, procedendo sbilenco per il grosso pacco di giornali che portava sotto braccio. Con la mano libera brandiva uno dei giornali e lo agitava sopra la propria testa, strillando.
“LEGGETE! LEGGETE IL GIORNALE LUNARE!” Il piccolo strillone si agitava come un draghetto per farsi notare dai passanti ed appena qualcuno gli allungava la moneta necessaria, mollava il giornale al cliente e si cacciava in tasca il guadagno. Poi riprendeva daccapo.
“NOTIZIONA! IL RE DEL REGNO GIOIELLO è FUGGITO CON LA SUA AMANTE!” Il regno gioiello? Possibile che avesse un altro nome?
Rein lanciò lo sguardo verso il terreno, al ragazzino era caduta una copia del giornale. La prese senza farsi avvistare da nessuno e rientrò nel vicolo.
“Bene… vediamo cosa dice.”
Il giornale della Luna
Sabato,  marzo, 1848
Doveva essere uno scherzo.
Oppure un incubo, meglio un incubo perché uno scherzo non avrebbe potuto essere tanto crudele.
Marzo 1848?
Come poteva essere nel diciannovesimo secolo? Lei...lei apparteneva ad un’altra epoca, com’era possibile?
Eppure – la mente acuta di Rein Sun lavorava contro lo strazio del suo cuore – quella data rendeva plausibile ogni particolare: l’abbigliamento, l’aspetto degli edifici, le tracce di fumi di carbone nel cielo, persino la lingua parlata era diversa.
Niente Wonder del ventunesimo secolo.
Niente Altezza, Bright, Shade, Fine, i suoi genitori, Poomo, Grace.
“E ora come faccio?” Sussurrò con voce sconfitta.
In quel momento avrebbe voluto strapparsi i capelli, in fondo voleva stare soltanto qualche chilometro lontano da sua sorella, non interi secoli.
“Così finirò nei guai. Sono senza soldi, con dei vestiti sporchi, mi guardano come se fossi un alieno.” Sospirò con tutte le sue forze.
 
 
“Amelia quante volte ti ho detto che non devi rapire nessun umano?” Una donna, dall’aspetto giovane e con lunghi capelli blu fluenti guardava una ragazza con le dita sporche di sangue.
“Ma madre! Sapete benissimo che la maggior parte dei sovrani, come noi, sono dei vampiri. Lo sono anch’io. Ho tutto il diritto di nutrirmi. Poi guarda il lato schifoso della storia. In giro ci sono dei cacciatori di vampiri, se quei villani ci uccidono tutti nei prossimi secoli nasceranno degli stupidi e impuri umani come eredi. Non la nostra vera stirpe!”
“Cara, secondo me stai esagerando. Nessuno dei popolani sa della nostra vera natura, in fondo noi ci nutriamo di sangue animale. Ma tu stai trasgredendo persino alle regole che ti ha imposto il tuo promesso sposo. Niente sangue umano.” La donna tirò fuori un fazzoletto e ripulì il viso della figlia dalle tracce di sangue.
“Ma quello animale, diciamocela tutta madre, ha un sapore orribile.” La ragazza fece una smorfia d’orrore.
“Avrà un sapore orribile, ma almeno ci nutriamo.” Concluse andando via lasciando la ragazza da sola.

 
Nd: Ho anche allungato le descrizioni.
Baci, Flo.
  
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