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Autore: Kimberly Heiwa    05/01/2014    3 recensioni
Sono in atto le estenuanti lotte con Logan e Rory si sente persa. Sciolta, vuota dentro l'anima. Ha bisogno di qualcos'altro. Ha bisogno di qualcun altro. Ovunque lei si giri tutto crolla sotto i suoi occhi e le lascia scoperto un muro, una parete alta e impolverata. Una volta pulita, rivela la sua reale bellezza: colori sgargianti ricoprono la sua superficie, i mattoni scoperti permettono di capire da quanti anni è stato costruito, i chiodi testimoniano un tentativo di abbattimento, e poi ci sono i ricordi. Tanti e importanti ricordi, ricordi di tante cose, cose condivise come CD e videocassette, come baci rubati e un amore lasciato in sospeso. Ma il muro è ancora solido, è ancora in piedi. È soltanto stato ricoperto dai detriti che ha portato il tempo. Quando Rory infila la mano in una fessura, scova una piccola chiave. A cosa possa servire non lo sa, ma lo scoprirà presto. Nel momento in cui avrà bisogno le tornerà utile, poiché le permetterà di aprire una porticina con su scritto «Solo in caso di emergenza», dove sarà custodita la foto di una persona nascosta per non soffrire: Jess Mariano. È lui l'unica ancora di salvezza, l'unica via d'uscita.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jess Mariano, Logan Huntzberger, Nuovo personaggio, Rory Gilmore, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7 – Goodbye

The mourning dove sings

with two broken wings

Carry me home

I'm not afraid

The stars in my eyes

Were shimmering lies

Carry me home

Don't let me fade away”

(The Killers, Carry me home)

 

Sono passati un paio di giorni da quella mattinata lì, al ponte. È da un paio di giorni che Rory non esce da casa di Lane. Se ne sta là, rannicchiata nel letto, con le coperte rimboccate fino al collo, a fissare il vuoto. Si rifiuta di parlare con chiunque. Ha l'aspetto di una persona che dorme poco.

Il muro non è andato a trovarla. Non sente Lorelai da un bel po'. Deve avere chiamato, in questi giorni freddi, ma non deve aver sentito. È una sorta di trance, quella in cui si trova adesso Rory.

 

«Sto solo dicendo che non può stare qui per sempre, Lane» dice Zach.

«Avanti, Zach! Sta passando un brutto periodo... cerca di capire» tenta di convincerlo Lane.

«No, cerca di capire tu me, Lane!» si alza in piedi di scatto.

Lane fa cenno di abbassare la voce, zittendolo con un dito. «Abbassa la voce!» lo ammonisce.

Zach, stizzito, raggiunge la moglie vicino al lavabo in cucina.

«Lane» dice con dolcezza, spingendola a guardarlo negli occhi, «lo sai che ti amo, ma... senti, lo so quanto tu voglia bene a Rory, ma non è più una bambina, Lane. Ce la può fare anche da sola» conclude.

Lane non fa altro che scuotere la testa. Si scioglie dalla debole stretta del marito e torna, con foga ascendente, a lavare i piatti.

«Tesoro, non fare così. Molla un secondo questi benedetti piatti e ascoltami» riprende a parlare. La sua mano raggiunge quella di Lane e una lieve pressione spinge le dita a lasciare il piatto bianco e liscio.

«Tu non...» esordisce senza il controllo del tono di voce. «Tu non capisci, Zach» continua, abbassando di qualche tacca il volume. «Rory è fragile, soprattutto in questo periodo. E noi...»

«E noi abbiamo già due bambini a cui badare, Lane» interrompe Zach. «Non è nostra figlia. È una donna, non una bimba che ha bisogno della baby sitter e neanche troppo vecchia per una badante» conclude.

Gli occhi scuri di Lane si riempiono di lacrime. «Non sa dove altro andare, Zach. Non sa dove altro andare» spiega, tremante.

Lo sguardo del marito si addolcisce. «Vieni qui» sussurra, facendosi più vicino per abbracciarla.

«Non sa dove altro andare» ripete, tra i singhiozzi.

 

Rory ha sentito tutto. Appena Lane si è messa a piangere, si è subito allarmata. Non vorrebbe mai che la sua migliore amica stesse male.
Sa che Zach ha ragione. Ha ragione su tutto. Non è una bambina, non più. Comincia a sentirsi in colpa. Stringe di più il piumone. Raccoglie le gambe e se le porta al petto, tenendole unite e ancorate al materasso.

Perché ho capito solo adesso che ero un peso, per Zach e forse anche per Lane?, pensa. No, non forse, si corregge. Lane le vuole bene... ma a lei sembra che sia un senso di compassione a spingerla a tenerla in casa sua. Allora l'unica soluzione è togliere il disturbo. Ma alla fine... non sa dove altro andare.

 

«Devi lasciarla andare, Lane. Lasciala andare per la sua strada. Non caricarti del suo male... tu hai fatto tanto per lei, ma adesso è giunto il momento di lasciarla andare» le dice.

Lane non fa in tempo a ribattere che Rory fa capolino dalla stanza. È quasi strano rivedere la porta aperta, dato che è stata chiusa per troppo. Il suo viso è già rigato dalle lacrime. Poche, ma che le hanno fatto profondi solchi.

La coppia scioglie l'abbraccio che li teneva uniti e si gira verso l'ospite.

Rory prende fiato e fa un piccolo sì con la testa.

Senza l'ausilio di parole, dice tante cose.

Avanza verso Lane. La cinge in un abbraccio, come per ringraziarla e, nel contempo, come per salutarla.

Poi guarda Zach. Gli sorride soltanto.

Va verso l'ingresso e apre la porta. La sua figura si dissolve dietro quel pannello di legno.

I coniugi si rivolgono uno sguardo interrogativo. È successo tutto così velocemente che non hanno avuto il tempo di realizzare cosa stesse davvero accadendo.

Lane, quasi offesa con Zach, torna a lavare i piatti.

Zach, ancora sconvolto, fissa la porta. Ha appena ripreso la moglie per averle fatto da madre, ma lui stesso, adesso, si sente come un padre quando la figlia se ne va di casa.

Fissa la porta.

 

Fuori fa freddo, e le calde coperte che l'avvolgevano fino a pochi minuti fa non ci sono più. La sensazione che le invade il corpo è alquanto bizzarra: si sente una sedicenne che scappa dai suoi genitori. Il primo impulso è quello di tornare dentro quella casa accogliente, far finta di niente pur di continuare a vivere dormendo e sentendosi accudita. No. Basta. Adesso basta. Sei fuori, Rory, si dice. Sei fuori. Come un bambino alle armi con i suoi primi passi, mette in modo goffo un piede davanti all'altro e cammina piano. Si sente bene, si sente libera, mentre cammina così. È fuori, è uscita dalla gabbia dove si era imposta di stare. Sorride, felice, quasi senza controllo.

La città la guarda con strani occhi, quasi come se non fosse più abituata a vederla girovagare per le strette vie di Stars Hollow.

Non le è mai piaciuto essere sotto l'occhio di bue, ma adesso sembra non farci caso. Perché adesso è fuori, libera. È felice non perché Lane e suo marito la tenevano prigioniera, ma perché, per una buona volta, non si è fermata a pensare e a rimuginare sulla mattinata al ponte. È stata impulsiva, spinta dalle parole di Zach: devi lasciarla andare. Lane è come sua madre: entrambe sono protettive nei suoi confronti, perché la amano, e lei lo sa. Ma adesso è una donna. Non deve costringere nessuna delle due a prendersi cura di lei stabilendosi in casa loro.

E sa che, anche se si allontana per un po', non dimenticherà mai la strada di casa, perché quella è scritta dentro ognuno di noi. Si trasloca, si cambiano i mobili, il colore delle pareti, l'indirizzo. Ma non si possono cambiare le persone che per noi sono la nostra casa.

Non è piacevole andare via, lasciarsi andare via da casa. Ma ora è quello che ci vuole per lei: andare altrove. Non scappare. Andare altrove. Conoscere da sola parti di sé che prima non conosceva. Perché a volte, la solitudine è la migliore cura. Non bisogna vederla sotto una cattiva luce, perché la solitudine vera e propria è solo solitudine allo stato puro, senza malinconia, tristezza o rimpianto. La solitudine siamo noi e solo noi, con le nostre paure, i nostri modi di fare e il nostro modo di essere.

Decide di partire. Segue il suo istinto. Ma, prima, per affrontare la solitudine, deve salutare sua madre, Luke, Logan, Emily, Richard e... sì, anche Jess.

 

«Mi stai dicendo che non la senti da così tanto?» chiede Luke, mentre vaga tra i tavoli e serve caffè.

«Già» risponde Lorelai, con tono mogio. Neanche il caffè riesce a sollevarle il morale.

Il campanello suona e Jess entra, portandosi dietro una valigia.

Luke si blocca per un attimo. «E quella che cos'è?» gli domanda.

Jess fa spallucce. «Una valigia» ribatte.

«Grazie tante. Fin lì ci arrivo anche io. Che vuol dire? Riparti?» continua a chiedere, rincorrendolo fino al bancone.

«Ciao, Lorelai» saluta, un po' sorpreso, come se non si aspettasse anche lei lì.

«Tu! Che è successo?» si gira di scatto, impugnando il cucchiaino come un coltello.

Sebbene abbia la punta arrotondata, lo fa sobbalzare comunque.

«Mi fai paura. Metti giù quel coso» la incalza.

«Non sottovalutare un cucchiaino, perché sarei in grado di farti male anche con questo!» ringhia.

Appena il cucchiaino è tornato nel caffè, al sicuro, Jess comincia a parlare.

«Torno a casa... da Charlie. Torno a Philadelphia per un po'» risponde allo zio, mentre prende un muffin, senza chiedere nulla.

«Certo, prendi pure un muffin... ehm... e perché?» dice Luke, non capendo.

«Perché... perché Charlie non può venire prima della vigilia di Natale, quindi non so cosa fare qui per venti giorni» risponde. Avvolge il muffin nel tovagliolo e lo mette in valigia.

Luke fa sì con la testa, ma i conti non gli tornano.

«Torni a casa solo per Charlie? Nient'altro?» investiga.

Jess annuisce, stavolta allungando un braccio per raggiungere una ciambella, ma lo zio lo precede e gliela prende lui.

«Come no» ridacchia acida Lorelai.

Jess, stizzito, si volta verso di lei. «E sentiamo, Lorelai. Cosa hai da dire?»

«Cos'ho da dire?» dice, mettendo giù la tazza. «Ti dico che non sai mantenere i patti, Jess. E ti dico anche che non sai recitare» attacca.

Jess sogghigna. Potrebbe sembrare divertito, ma in realtà sa cosa voglia dire sul serio.

«Ah sì? E perché non saprei recitare?» chiede.

«Perché è evidente che non torni a casa solo per Charlie. Di sicuro hai litigato, perché scegli sempre la stessa modalità: scappi. E sappiamo entrambi da chi adesso tu stia fuggendo» gli dice, sapendo di aver ragione.

L'altro si morde un labbro, infastidito da quella scomoda situazione.

«Ora capisci perché non potrei mai fidarmi di te? Non servono patti, strette di mani e giuramenti sulla Bibbia, con te, Jess. Perché sei troppo testardo e orgoglioso per mantenere una promessa. Sai che ti dico? Vattene pure. Non mi hai sorpresa. Ma non ti azzardare a parlarmi mai più. Non voglio avere niente a che fare con quelli come te» conclude, piena di rabbia.

Si scambiano un ultimo sguardo. Sta zitto, perché una sola parola potrebbe rendere la questione ancora più irrecuperabile. Dopodiché, Lorelai esce dal locale.

Luke scuote la testa.

«Ora è meglio che vada» dice, senza degnare lo zio di uno sguardo.

«Jess» lo blocca Luke, prima che sgattaioli via, «ci vediamo a Natale con Charlie. Non combinare casini, d'accordo?» lo guarda negli occhi.

Jess, che freme di andarsene, fa sì con il capo e apre la porta.

 

Lorelai cammina verso casa, con passi veloci e nervosi. Continua a pensare a quanto odi Jess e a quanto vorrebbe spaccargli quella faccia da strafottente. Non è cresciuto per niente, pensa. Arriva finalmente davanti a casa, e una sorpresa la sta aspettando sugli scalini.

«Che ci fai qui?» le chiede, mentre si fa più vicina.

Rory si alza e si rifugia tra le sue braccia. Le erano mancate.

Lorelai si dimentica per un attimo dell'astio che ha per Jess e si dimentica del motivo dell'allontanamento tra lei e sua figlia.

«Vieni dentro, qui si congela» dice, sciogliendosi per un attimo dall'abbraccio.

Una volta in casa, entrambe si mettono a sedere al tavolo in cucina.

«Sono contenta che tu sia tornata. Io non sopporto starti lontana, tesoro» le dice, con gli occhi lucidi.

Quelle ultime parole bloccano per un secondo Rory. Piega le labbra in un sorriso forzato e abbassa la testa.

«Cosa c'è che non va? È successo qualcosa?» domanda, carezzando la mano della figlia con la sua.

Ma certo che c'è qualcosa che non va, pensa. Mette da parte l'argomento Jess e fa finta di niente.

Rory prende un respiro profondo e guarda la madre, con sguardo innocente.

«Ecco... vedi, mamma... io ho deciso di andare a New York per un po'» dice tutto d'un fiato.

Ciò lascia un attimo senza parole Lorelai.

«Oh» riesce solo a farsi uscire.

«Non è perché io non voglia stare con te, anzi. Ma... ho bisogno di stare un po' da sola, adesso» continua, con adagio.

«V-va bene, tesoro. Insomma, capisco...» lascia in sospeso la seconda parte della frase.

«Ma?» interviene Rory.

«Ma... promettimi che mi chiamerai, tesoro. Devo sapere se stai bene. Okay?» le chiede, con le lacrime agli occhi.

«Lo farò» la rassicura, mentre si sporge per abbracciarla forte. «Lo prometto» aggiunge, con la voce soffocata dal tentativo di trattenere le lacrime.

 

«E così... sei pronta» dice Lorelai.

«Sì. Sono pronta» afferma Rory, toccando la valigia accanto alla sua sedia.

Fuori è ancora buio, e in città la maggior parte sta dormendo.

«Il tuo caffè con un aggiunta di panna» dice Luke, poggiando la tazza sul tavolino, «e il tuo» rivolgendosi a Lorelai.

Il viso di Rory, alla vista di quella coccola, si illumina in un sorriso.

«Allora, quale sarà il tuo progetto?» chiede Lorelai, curiosa e premurosa.

«Be'», risponde la figlia, leccandosi la panna rimasta sulle labbra, «salgo sul bus, scendo a New York...»

«Sai già dove andare a dormire?» interrompe Lorelai.

«Sì, ho visto un posticino su internet. Niente di che, un appartamento di pochi metri quadri a Greenwich Village, vicino a Washington Square. Per pagare l'affitto cercherò un lavoro vicino a casa, sperando di trovarlo... starò per conto mio. Mi farà bene» conclude, sorridendo.

«Sì, lo credo anche io, tesoro. Ci verrai a trovare per le feste, vero?» chiede ancora.

Rory annuisce e continua a bere il caffè con panna.

«Che ore sono?» chiede a Luke.

Si gira verso l'orologio. «Sono le sei e quarto. Il bus dovrebbe arrivare a minuti» le dice.

«Meglio cominciare a prepararsi, anche perché se perdo questo non ne passa più nessuno» spiega brevemente Rory.

Entrambe finiscono il proprio caffè e vanno, tutti e tre, verso la stazione degli autobus.

Restano a parlottare finché il bus arriva e spinge tutti a salutarsi.

La prima ad abbracciare Rory è Lorelai, che ne approfitta per dirle quanto le voglia bene e per dire le solite cose che si dicono in queste situazioni: mi raccomando, fa' attenzione, mangia, stai attenta ai ladri, attraversa sulle strisce, chiudi a chiave, eccetera.

Luke, più ermetico e conciso nei saluti, si limita ad abbracciarla forte e a darle le immancabili pacche sulla schiena.

L'autista apre la porta e lascia Rory salire con il suo bagaglio. Prende posto nella parte centrale del bus. Dicono che le persone che si siedono lì siano degli spiriti liberi, pronti ad affrontare la solitudine e il confronto con se stessi. E sarà così.

Saluta dal finestrino i due, un po' triste, ma pronta per una nuova esperienza.

Appena il bus si mette in movimento e le figure di Lorelai e Luke si fanno sempre più lontane, tira fuori dalla borsa un taccuino, dove c'è una lista:

  • Mamma;

  • Luke;

  • Lane;

  • Paul Anka;

  • Nonni;

  • Logan;

  • Jess.

 

Quegli ultimi tre nomi sono ancora da spuntare, ma sono i più difficili. Il viaggio, per fortuna, è lungo e le permetterà di pensare quanto vuole.

Chissà Jess dov'è, pensa. E Jess è in macchina e, mentre guida, pensa a lei.

   


   
 
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