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Autore: Niagara_R    06/01/2014    1 recensioni
Non è facile voltarsi dall’altra parte quando ormai anche l’altra parte ha tracce di me, delle mie verità, dei miei segreti stampati su ogni superficie e nessuno se ne accorge.
Non so cosa mi faccia sentire peggio. Che abbia il costante timore che io non riesca a occultare nulla, o che non una singola persona ci faccia caso.
O sono io bravo a fingere, o sono loro a non essere attenti.

Tratto dalla quarta immagine.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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2.

Jinxx



 Dove ho sbagliato?

Mi ripeto questa domanda in loop, è diventato il mio mantra, la mia filastrocca triste, il ritornello di una canzone che vorrei non aver composto.

Dove ho sbagliato?

Sento freddo, e vuoto, un vuoto così laconico e impietoso che mi sventra i polmoni a intervalli, quando meno me lo aspetto, strappandomi il respiro e facendomi singhiozzare prima ancora che il cervello capisca che è stato il cuore ad avere uno spasmo.

Dove ho sbagliato?

Ho avuto mesi per assimilare la cosa, ma quando è diventata ufficiale ho tremato. La mia dimensione ha tremato. Le mie fondamenta hanno tremato. Il terremoto ha distrutto tutto ciò che avevo costruito.

Dove ho sbagliato?

Perché Sammi mi ha tradito?

Perché, perché, perché?

Cosa ho fatto per meritarmelo? Quale delle due sponde aveva l'argine meno stabile? Su quale si sono concentrate le cattive intenzioni? Cos’è successo?

Domande, non faccio altro che pormi domande da allora, domande che si moltiplicano, che mettono radici, che si ramificano, che scivolano e si contorcono, che assumono sfumature di disagio, di amarezza, di rabbia, di impotenza, di rancore, di disperazione, e nessuna ha una risposta.

Dove ho sbagliato?

Ho davvero sbagliato io? O è stata lei a commettere questo errore? Un errore più grande del tradimento stesso, un errore più strisciante, più remoto, uno che si inabissa e arriva ben più lontano dello scopare con un altro? Abbiamo sbagliato entrambi?

Probabile. Sicuramente.

So di non essere perfetto, Sammi sa di non essere perfetta, lo sapevamo entrambi, l’abbiamo sempre saputo.

Allora perché è andata così?

Eravamo partiti tanto bene. Avevamo continuato tanto bene.

Il mio errore più fatale è essere uno che ci crede troppo, e troppo presto. Credo nelle persone generose, nelle buone intenzioni, nelle belle parole, tendo a vedere il rosa e mi accorgo del nero soltanto dopo, soltanto quando l’ho visto manifestarsi con una violenza che ha avuto il tempo di prosciugarmi.

Lo confesso, sono stato io a metterle fretta. A lusingarla, a legarla a me, a chiederle di sposarmi dopo poco. Dopo un periodo talmente breve e talmente intenso che mi aveva fatto credere di essermi trasformato in una fiamma che presto si sarebbe consumata.

La amo. Nonostante tutto, la amo sul serio. Per Sammi provo qualcosa che va oltre la mera infatuazione, non era solo sesso, non era solo affetto, non eravamo solo una coppia. Eravamo il nucleo di un mondo. Il nostro mondo fatto di serate passate ad ascoltare musica di pianoforte dallo stereo, fatto di fotografie per metà serie per metà stupidaggini che non sarebbero mai state viste se non da noi, fatto del nostro linguaggio intimo con cui ci studiavamo, fatto delle nostre risate dovute a frecciatine maligne ai danni di terzi non presenti, comunicavamo e ci comprendevamo riuscendo a tenere fuori chiunque altro dal nostro esclusivo universo.

Eravamo complici, amanti, amici, a volte nemici, eravamo avvinghiati nella medesima ragnatela che avevamo intessuto insieme, e la adoperavamo come scusa per stringerci quando ce n’era bisogno, e anche quando non ce n’era bisogno.

Sammi era la mia ancora, il mio obiettivo, il mio pensiero unico, la mia confidente, il mio porto sicuro, lei era la donna a cui pensavo prima di crollare dal sonno dopo un concerto, a cui pensavo quando mi svegliavo con la testa che galleggiava nell'etere, a cui pensavo ininterrottamente secondo dopo secondo. Pensavo a cosa avrebbe potuto piacerle e cosa no quando guardavo fuori dai finestrini nel bus, pensavo a cosa regalarle per il nostro anniversario, pensavo a cosa suonarle il giorno del suo compleanno, pensavo a dove portarla per concederci una vacanza lontano da tutto ciò che siamo.

Pensavo, pensavo, pensavo.

Poi ci ho sbattuto contro. Brutalmente. È stato peggio di un incidente in auto. Peggio di essere travolto da uno tsunami. Peggio di essermi rotto un osso e venire operato senza anestesia. Peggio di vedermi strappare a mano le viscere.

«Ti ho tradito.» È stato così che me l’ha detto. Un attimo prima si guardava la punta delle ballerine in silenzio, l’attimo dopo mi ha guardato negli occhi e ha raccontato. L’ha reso reale.

Sapevo.

Lo sapevo già.

Ero innamorato, non stupido.

Mi ero accorto che da pochi mesi dopo il nostro matrimonio qualcosa aveva preso una strana direzione. Non sbagliata né brutta, ma strana. Non riesco neanche ad asserire che ci fossero stati dei segnali, perché non erano segnali.

Erano cambiamenti. Cambiamenti che avevo ritenuto normali, perché le nostre vite avevano cominciato a procedere di pari passo, perché avevamo preso un impegno sacro, perché d’ora in poi le nostre esistenze sarebbero state ineluttabilmente intrecciate.

Credevo che entrambi saremmo mutati, e che l’avremmo fatto conformandoci l’una all’altro.

Sono stati i segnali non interpretabili che mi hanno fatto intuire. Che mi hanno fatto capire.

Lentamente, nella perfezione della nostra armonia hanno cominciato a gocciare dettagli che non comprendevo. Minuscoli, sporadici, indefinibili, confutabili. Dettagli che non conoscevo. Dettagli che non ho voluto analizzare.

Ho perso giorni, settimane per autoconvincermi che le mie erano paranoie, che mi stavo suggestionando, che c’era una spiegazione a tutto.

Perché? Perché l’amavo. Le avrei perdonato ogni cosa.

La amo ancora. La perdonerei anche adesso.

Non sono il massimo dell’espressività e non sono bravo a dimostrare i miei sentimenti, ma accusai quel colpo a scoppio ritardato, fu come se mi fossi ritrovato in una vasca battesimale immerso nell’acqua fino ai capelli e stessi per ricevere un’epifania che però tentavo di rifiutare. No no no, non mi interessava. Non poteva essere la mia vita, non poteva essere la mia Sammi. Non potevamo essere noi.

Immagino che Sammi si sia accorta del mio sconcerto, ma non si è fermata. Non l’aveva mai fatto.

Mi disse che lui era un fotografo, uno di quelli che aveva conosciuto su un set, ragazzi appena usciti da un master che prostituiscono le loro rudimentali capacità per una manciata di soldi e il miraggio della notorietà. Mi disse che non le stava particolarmente simpatico, che anzi era insipido, che non le aveva mai fatto né caldo né freddo. Mi disse che era bello, carino, ma niente di che.

Mi disse che erano finiti a fare sesso perché l’atmosfera, il momento, le circostanze erano perfette per farlo. Tutto lì. Mi aveva tradito perché colta da un brivido di poetico attimo di perdizione piuttosto perché avesse accanto a sé qualcuno con cui desiderava farlo.

Io vacillai. Credo di essere stato sul punto di svenire. La mia vista si è ridotta a una costellazione di galassie morenti e le mie forze sono scivolate via, con la coscienza che bramava di spegnersi all’istante per non dover reagire oltre.

Non volevo sentirlo. Non volevo affrontarlo.

Mi piacerebbe poter dire di essermi vergognato del mio istinto di fuga, a posteriori. Ma non sarebbe vero.

Avrei voluto che Sammi non me l’avesse detto. Avrei voluto che avesse continuato a glissare, a tenermelo nascosto, a fare finta di nulla. Avrei voluto che me l’avesse risparmiato. Che ce l’avesse risparmiato.

Sono un debole, c’è poco da fare. Sono un abitudinario. Uno di quelli che non amano gli scossoni nella vita, che quando adottano un ritmo lo fanno proprio e si getterebbero nel fuoco pur di non romperlo.

Sammi e il mio amore per lei erano diventato il mio ritmo, le lancette che scandivano le mie giornate, le mie andate e i miei ritorni, e avrei dato entrambi i polmoni per far sì che il mio metronomo perfetto non cessasse di battere.

Sammi non è stata d’accordo.

Sammi.

Sammi, che forse è sempre stata troppo forte per me.

Sammi, che quando c’è qualcosa che non va alza la testa e indaga, squarcia, strappa, scava finché non trova il nocciolo della questione, una questione che per lei è un problema, mentre per me potrebbe benissimo essere una digressione.

Sammi, che con la sua proba onestà coniugale non è riuscita a nascondermelo per più di poche settimane. Che quasi certamente ha provato a convivere con questo segreto, ma non l’ha sopportato. Che era logorata dal rimorso, dal senso di colpa, dal terrore di non essere sincera.

Sammi è un essere di una sincerità che spiazza, che spaventa, talmente limpida e impattante, fa sentire a disagio perché una verità sconcertante e dolorosa quando esce dalle sue labbra diventa asettica, corrosiva, straripante e aulica fino a rasentare il dicotomico.

Ho letto nel suo sguardo il tumulto, il panico, la commozione, l’ira, l’emozione, l’umiliazione, e riversava tutto su di sé. Non era felice di avermi tradita, e il rimorso stava eruttando e si stava solidificando in una lastra dura, si riversava nelle lacrime che si stava rifiutando di versare, nella contrazione delle dita che si sfregavano, nella voce che possedeva solo quel flebile sussulto degli eroi che cadono.

E io sprofondavo. Affondavo. Annegavo in un oceano di marosi che mi trascinava su un fondo torbido, in cui avrei voluto perdermi, lontanissimo dalla purezza sprigionata dalla lealtà di Sammi.

Tra quelle sillabe cadenzate, tra quelle parole pronunciate con un velo di sollievo, nelle pause prima e dopo ho visto il mio matrimonio lacerarsi. Come la carta patinata di un regalo. Come un festone penzolante dopo un party. Come un fiocco invecchiato in un angolo della soffitta.

Il punto era che sapevo che il passo che avevamo mosso fianco a fianco si sarebbe rivelato una retromarcia non perché Sammi mi aveva tradito, ma perché lei non poteva sopportare l’idea di averlo fatto.

Confesso.

Ero pronto ad assolverla. A lasciar correre. A considerare questo scivolone come una tappa non fondamentale ma possibile di uno sposalizio.

Ma sapevo che per Sammi non andava altrettanto bene. Anzi. Credo di essermi reso conto che era successo perché era il nostro matrimonio a non andare bene.

Non dico che non eravamo compatibili. Non dico che non ci amavamo. Non dico che non stavamo bene insieme. Ma.

Ma tra noi mancava qualcosa.

Ma quell’alchimia, quell’incantesimo soffocante e assuefante non era calato su di noi.

Ma per quanto fossimo convinti di essere stati creati l’uno appositamente per l’altra, non era così.

Ci volevamo bene, ci completavamo, ci cercavamo.

Sulla carta era il disegno dell’idillio.

Nel cuore era calma piatta.

Mi ha fregato la diversità.

Io sono un moderato, lei è una passionale. Io sono un costante, lei è un’avventurosa. A me l’amore nei ranghi bastava, a lei no.

Presumo che sia proprio questo il giunto che mi ha fatto inciampare.

Gli altri dicono che mi sto colpevolizzando, e inutilmente, dicono che sto scaricando l’intero peso di questo fallimento sulle mie spalle e non ne sto dando neppure una briciola a Sammi, ma non ci posso fare niente, sono tarato in questo modo.

Ovvio, sono cosciente che Sammi ha commesso i suoi sbagli. Accoppiarsi con uno scialbo neo-laureato senza nessuna qualità. E forse sposarmi.

Ma non riesco a togliermi dalla testa il fatto che avrei dovuto immaginare, avrei dovuto prevedere, avrei dovuto prevenire. Per salvare lei da una routine che l’ha schiacciata e inaridita, e che infine l’ha mortificata. Per salvare me da un dolore che mi fa sentire una stupida bandiera che barcolla al minimo alito di vento.

Sto male. Sto male in modo subdolo, ossequioso, il dolore che provo è cicuta, non provoca contrazioni né fitte ma mi addormenta piano piano, lentamente, respiro dopo respiro inebria i sentimenti e li offusca, li ricopre di uno strascico lattescente e opaco facendoli sfumare, e gli aloni pulsano e mi ricordano costantemente che ho perso tutto.

Cos’è rimasto di me?

Coriandoli. Il lembo di uno straccio. Cenere.

Ora mi sento inerte. Mi sento sostanza, mi sento corpo, ma non mi sento energia. Mancano le batterie, il carburante, l’innesco, sono come un reagente senza prodotto che se ne rimane nella beuta evaporando all’aria dimenticato da chiunque.

Che ne sarà di me? Non lo so.

Forse sono un egoista. Forse il motivo per cui mi metto al centro di questo enorme, pantagruelico crollo è perché avevo riposto su me stesso aspettative illusorie. Forse mi ero convinto di essere quello giusto, quello che l’avrebbe fatta sempre sentire una dea in terra, quello che l’avrebbe resa felice.

Non ho tenuto conto del fatto che avrei anche potuto non bastarle per come sono. E mi sento uno schifo per questo.

Mi sento uno schifo perché mi sento uno schifo per un motivo così futile.

È da allora, è da mesi che rivivo la nostra storia a bivi cambiando di volta in volta le destinazioni, figurandomi in mente scenari diversi che avrebbero potuto verificarsi se io non avessi fatto questo, se io non avessi detto quello, tormentandomi nell’atroce dubbio che avrei potuto far andare meglio le cose.

Sarebbero andate meglio davvero? Sammi si sarebbe stancata di me e avrebbe chiesto il divorzio anche senza un tradimento di mezzo, che alla fin fine si è rivelato un sintomo e non una causa?

Non lo so, non so un cazzo, e queste fottute incertezze mi stanno destabilizzando ogni giorno che passa.

Guardo indietro, non riesco a guardare avanti. Non voglio.

Posso scopare con tutte le ragazze che mi si presentano, posso sbronzarmi con Ash e CC sghignazzando come un idiota, posso fare il figo con Andy e Jake dicendo che me la caverò anche senza di lei, ma in realtà non ci sto neppure provando.

Mi manca.

Mi mancano i momenti in cui eravamo insieme, quelli in cui eravamo lontani, mi mancano i nostri sms, le nostre telefonate, i suoi baci e i suoi abbracci, mi manca come facevamo l’amore, la sua voce, quel suo profumo agro che si spruzzava la mattina, mi manca il modo improbabile con cui piegava i tovaglioli. Mi manca lei, mi manco io. Mi manca il noi.

Mi sento bloccato. Mi sento come se fossi il personaggio di un videogioco e fossi finito in un livello intermedio, ritrovandomi senza punti vita, senza armi, senza bonus per poter accumulare forza e procedere. Limitato in un limbo sgranato che rende sgradevolmente ovattato ciò che c’è all’esterno, e acutamente lacerante ciò che c’è all’interno.

I ragazzi conoscono la verità. Conoscono i fatti, non le mie riflessioni. So che non approverebbero.

Inoltre non voglio dare loro un motivo per destabilizzarsi a loro volta. Non credo ce ne sia bisogno.

Sono il più grande della band, sono un po’ il fratello maggiore di ognuno. Sono quello pragmatico, flemmatico e calmo, imperturbabile e introspettivo. Sono quello su cui fanno affidamento quando c’è bisogno di delegare un dovere, e sono quello a cui si rivolgono quando hanno bisogno di parlare di qualcosa di serio, di più serio del solito.

Non voglio cadere. Non voglio far perdere un caposaldo, non voglio mostrarmi sofferente quanto sono in realtà, non voglio abbandonarmi platealmente allo sconforto chiedendo una pausa che mi permetta di assimilare quel che sto vivendo.

Non voglio, perché probabilmente non mi riprenderei mai più.

Non voglio perché la realtà diventerebbe concreta, soffocante, brutale, e non riuscirei a sopraffarla.

Non voglio perché sono io ad avere bisogno dei BVB per continuare a combattere, e magari riuscire a disincagliarmi da questo dannato, stupido livello fatto di riflessi deformati.

Ho bisogno delle chiacchiere infinite di Andy, delle fisse di Ash, delle fisime di Jake, delle stranezze di CC, ho bisogno dei tour, della musica, del bus, delle arene, delle urla, ho bisogno di sapere che esiste ancora la dimensione in cui travalico in un altro cosmo e posso sentirmi di nuovo un essere vivente.

La piccola, sottintesa bugia che racconto loro col linguaggio non orale è che lo faccio per dimenticarla.

La verità è che lo faccio sperando di distrarmi mentre aspetto che torni.

Invidio CC.

Non gli avrei mai augurato di rompere con Lauren, con cui sapevo aveva sempre avuto un rapporto meraviglioso, ma se n’è già fatto una ragione. Penso si sia spezzato. Penso che abbia passato diversi giorni col cuore che grondava sangue dalle troppe ferite che si erano aperte, poi si è risvegliato, con l’anima bruciata ma pronto a curarla. È affranto, ma non disperato. È distrutto, ma non arreso.

Sa semplicemente che Lauren non tornerà. E si sta muovendo di conseguenza.

Mi sento così impotente. Mi sento così ingrato, patetico e pavido nell’accorgermi che desidero che Sammi cambi idea. Dovrei essere arrabbiato, furioso con lei per essere andata a letto con uno sfigato inconcludente invece di guardarmi in faccia e parlarmi dei nostri problemi, dovrei essere pieno di cattiveria adrenalinica che mi dovrebbe spingere tra le braccia di tutte le donne che incontro per scoparmele e pensare che ogni orgasmo è un modo per mandare affanculo l’unica che mi aveva e che mi ha gettato via, dovrei essere sollevato di essere di nuovo sul mercato, single e con il mondo in mano pronto a farne quello che mi pare.

Invece no.

Invece mi sento così debilitato da avere bisogno di prendere vitamine per tenermi sveglio per otto ore di fila.

Non credevo che fosse possibile piangere fino a svenire. È possibile eccome.

Quando sono solo, nella mia camera d’albergo, mi lascio andare. Devo. Devo trovare una valvola di sfogo, una maniera per espellere tutto il male che provo, le lacrime diventano un elisir velenoso che raccoglie i granelli di desolazione e li volatilizzano. È stancante, frustrante, deprimente, è un circolo vizioso che crea una pericolosa dipendenza da cui già so che farò fatica a staccarmi, se mai deciderò di farlo.

Ogni sera, ogni notte, ogni sogno.

E la cosa più stupida, la cosa più penosa, la cosa più sgradevole è che spero che la mia sofferenza riesca a ricreare un legame con Sammi. So che razionalmente è una puttanata, so che è una fantasia adolescenziale, ma non riesco a farci niente. Mi aggrappo a tutto, a nulla, mi spezzo le unghie per scalare specchi lucidi perché non voglio ammettere che Sammi non tornerà.

Sto cercando di dimenticarla. Ma sto anche aspettando che torni.

Questo è il mio stillicidio. Questo è il mio suicidio. Questa è la mia punizione per essere stato arrogante, presuntuoso e cieco di fronte all’evidenza che non sono nessuno. Che sono soltanto un essere umano che all’accademia si vantava di essere un rubacuori e che da quando si è innamorato davvero si è scottato tanto da spaccarsi. E non sa raccogliere i propri pezzi.

Sento un fischiettio fuori dalla mia porta. Aspetto il bussare discreto che arriverà tra un attimo.

«Noi stiamo andando giù.» mi avverte la voce di Andy «Se tra cinque minuti non ti vediamo ti molliamo qui, eh!»

Posso immaginarmi il sorriso noncurante mentre lo dice. So che in realtà non lo faranno, so che mi aspetterebbero per ore. Il mio record di ritardo è di quarantatre minuti. Infatti ho un certo margine di certezza che mi fa affermare che nessuno degli altri è ancora pronto, e mettono fretta a me perché sono l’unico a cui ci vuole un’eternità.

Cerco di schiarirmi la gola in silenzio.

«Sono quasi pronto, arrivo.»

«Mi fido.» Il sorriso di Andy traspira da sotto la fenditura dell’uscio. I suoi passi si allontanano pacifici, rimbombano nel corridoio e svaniscono oltre la pareti.

Non ho mentito. Sono quasi pronto. Ho addosso i vestiti giusti, mi sono pettinato, ho persino gli anfibi.

Devo solo mandare via le lacrime dal mio viso. Devo solo rinchiudere le palpitazioni nella scatola a forma di bara e rimetterla al suo posto all’interno del mio cuore in modo da tenerla sottochiave giusto per la serata. Giusto per non mostrare loro quanto sono ancora stupidamente legato a lei.

Non vorrei mentire in questo modo. Non vorrei mentire per una causa così sciocca.

Ma non voglio che rivolgano il loro livore, per quanto indiretto, silenzioso o moderato, su Sammi.

Non voglio che mi ripetano che devo lasciarmelo alle spalle e che quello che c’è sulla strada è mille volte meglio.

Non voglio che provino compassione per me. Basto già io per questo.

Probabilmente sanno in che condizioni mi trovo, ma hanno tutti la delicatezza di non farmelo notare, pesare e rincarare, si limitano a lanciarmi occhiate sottintese quando pensano che sia distratto, e a sussurrare quando credono che non sia a portata d’orecchio.

Mi sento in colpa anche per questo, anche perché sono un elemento critico quando invece vorrei tornare a essere il solito Jinxx che se la sbroglia con una serenità nirvanica da finto sonnambulo.

Non so se passerà. Non so quando. Non so se ne varrà la pena.

Fa male.

Ho voglia di piangere.

Per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Buondì people! Seconda shot, stavolta tocca a Jinxx aprirci il suo cuore.

Non c'è molto più da dire di ciò che c'è già scritto, quindi mi limiterò a sperare che vi sia piaciuto, e se volete lasciarmi un commentino non mi dispiacerà affatto. ;)

Grazie a tutte voi che avete già dimostrato di apprezzare questa raccolta preferendo e seguendo (*-*) e intanto che ci sono vi auguro una buona epifania e un buon ritorno alla routine quotidiana domani. :)

Un bacio a tutte, a presto. (Look around è ancora in fase di scrittura, niente panico, ahahahah!XD)

   
 
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