Serie TV > Hélène e i suoi amici
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Autore: Magica Emy    06/01/2014    1 recensioni
Già, il mio Cri Cri adorato odia i cambiamenti, lo hanno sempre spaventato un po’, e poi…si, devo ammetterlo, adoro quella sua aria da cucciolo smarrito mentre si aggira per casa chiedendosi cosa abbia fatto di male per meritarsi tutto questo…il solito esagerato. Ma che posso farci? È fatto così, ed è anche per questo che sono pazza di lui...
Seguito di "Une nouvelle vie"
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi accorgo del messaggio di Johanna solo a metà mattinata ma tra una cosa e l’altra riesco a chiamarla solamente dopo l’ora di cena, quando sgattaiolo via furtivamente dall’ultima riunione nella sala principale, dove ogni giorno organizzano un incontro tra tutti i pazienti che popolano questo posto e che a occhio e croce sembrano essere davvero tanti. Già, lo so bene di essere compreso tra quei tanti, ma non posso farci niente, ogni tanto tendo a dimenticarmelo. Forse dovrei smetterla di guardare la cosa dall’esterno e cercare finalmente di integrarmi, accettando la situazione nel migliore dei modi. Anche se per me non è facile come sembra, e comunque sia non ho alcuna voglia di parlare dei fatti miei con un branco di estranei di cui non so nemmeno il nome, alcuni dei quali, detto tra noi, hanno un’aria talmente inquietante da sembrare quasi degli psicopatici. E poi non resisto lì dentro, l’aria è così pesante che a volte mi sembra di soffocare e devo per forza scappare via perché la cosa mi fa davvero star male. Bè, la verità è che in questo periodo mi sembra di non riuscire a trovare la mia dimensione e di stare male praticamente ovunque perché il bisogno di farmi c’è ancora, ed è talmente forte e impellente che a volte m viene una gran voglia di fuggire via dalla finestra per lasciare finalmente questo posto e rimediare almeno una dose. Per poter stare meglio. Ma so che questa sarebbe solo una stupida illusione perché nel giro di qualche ora ripiomberei nella disperazione e tutto ricomincerebbe da capo. E sarebbe ancora peggio. Dannazione, devo smetterla di pensarci e concentrarmi invece sulla voce di Johanna, che in questo momento mi sta parlando di Logan e della recita che la scuola materna sta organizzando in vista del Natale, e che sembra coinvolgere i bambini di tutte le classi.

- Una bella iniziativa – rispondo, sedendomi sul mio letto a gambe incrociate – ma non è un po’ presto per pensarci? Manca ancora un po’ al Natale.

- Con i bambini ci vuole tempo – replica lei – devono imparare canzoni e battute a memoria, e non è certo una cosa così semplice.

Sorrido immaginando il mio piccolo ometto saltellare da una parte all’altra della casa, come è sua abitudine, e canticchiare strane melodie che risultano incomprensibili a tutti, tranne che a lui. Dio, mi manca così tanto e vorrei potergli parlare anche solo per qualche secondo, ma è già a letto e non voglio certo disturbare il suo riposo. È ancora così piccolo, e alla sua età il sonno è una cosa molto importante. Le chiedo poi di parlarmi di Grace, apprendendo così che ha deciso di passare la notte da Hèlene perché domani non c’è scuola e può rimanere sveglia fino a tardi, ma è solo quando l’argomento scivola su Laly che la voce di Johanna si fa improvvisamente cupa ed esitante, quasi avesse paura di continuare a parlarmi, e questo cambiamento non sfugge certo alla mia attenzione. La conosco fin troppo bene e capisco subito quando qualcosa non va così continuo a insistere, imperterrito, sentendola respirare piano attraverso il telefono.

- Johanna – esclamo, assumendo volutamente un tono aspro quando mi accorgo che continua a tergiversare, senza arrivare al dunque – non mi stai dicendo tutta la verità, non è forse così? È successo qualcosa, me lo sento, perciò…per favore, parla, non sopporto quando mi tieni nascoste le cose! Te lo chiedo per l’ultima volta: Laly e il bambino stanno bene?

- No – la sento dire dopo un lungo momento di silenzio, messa alle strette, e la sua voce è un debole sussurro che per un attimo faccio fatica a comprendere – il…il bambino non c’è più, lei lo ha perso.

Quella tremenda rivelazione mi colpisce come un violento pugno in pieno viso, tanto da non riuscire più a emettere suono mentre lascio che il telefono mi scivoli lentamente di mano e mi accorgo solo vagamente che Johanna pronuncia più volte il mio nome, cercando così di attirare la mia attenzione, ma non mi interessa. Non voglio più sentirla, non voglio più sentire nessuno in questo momento. Le mie dita si muovono da sole e prima ancora che riesca a rendermene conto interrompono bruscamente la comunicazione, spegnendo il telefono  per scaraventarlo in un angolo della stanza, lontano da me mentre io resto a fissarlo in silenzio, completamente sopraffatto da quelle parole che adesso mi pesano dentro come un enorme macigno.

Il bambino non c’è più, Laly lo ha perso.

Gli occhi mi si inumidiscono senza preavviso, e la voglia di farmi è più forte che mai.

Il bambino non c’è più, e la colpa è solo mia.

Resto disteso sul letto, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e lo sguardo stupidamente rivolto verso il soffitto per un tempo che mi sembra interminabile, prima di rialzarmi e decidere di aprire tutte le finestre. Una folata di vento gelido mi investe all’improvviso ma io non me ne curo nemmeno mentre esco sul tetto, allargando le braccia come se volessi spiccare il volo e per un attimo, solo per un attimo resto fermo in quella ridicola posizione, in bilico su me stesso e con la voglia improvvisa di lasciarmi cadere nel vuoto, mettendo così fine a questa assurda agonia che mi opprime il petto e lo stringe in una morsa spasmodica che faccio fatica a sopportare. Ma a che servirebbe se lo facessi? L’orribile scia di dolore che mi sono lasciato dietro non si placherebbe, non cesserebbe di esistere e questo non restituirebbe a Laly il figlio che ha perso. Non servirebbe a farmi perdonare da tutti coloro che ho ferito. Mia moglie, i miei amici, ma soprattutto i miei bambini…

Ma è davvero questo ciò che voglio? Sto davvero cercando il perdono, o soltanto un modo per zittire la mia coscienza? Per distruggerla per sempre, così da non permetterle di farmi soffrire in questo orribile modo? La sento e fa un male incalcolabile, ma non importa perché me lo merito.

È tutta colpa tua, solo colpa tua.

Si, è colpa mia. Soltanto mia. Mi rannicchio su me stesso in un angolo del tetto, abbracciandomi le ginocchia e pregando con tutte le mie forze di riuscire almeno a piangere per provare in qualche modo a placare il dolore, ma le lacrime non vengono fuori. Non stavolta, lasciandomi deluso e frustrato. Allora tiro fuori dalla mia tasca una piccola foto un po’ ingiallita e consumata, ma tanto importante per me perché mi rimanda l’immagine sorridente dei miei meravigliosi bambini, che sembrano guardarmi con occhi attenti e sgranati su un futuro ancora tutto da vivere. Che cosa ne sarebbe di me, della mia esistenza se perdessi uno di loro? Dio, non riesco nemmeno a immaginarlo. Che cosa ho fatto, come ho potuto spezzare una vita in questo modo, finendo per distruggere la famiglia che ne sarebbe nata? Come ho potuto farlo…

Un’altra folata di vento mi colpisce in pieno viso, facendomi rabbrividire mentre mi stringo nelle spalle e quasi non mi accorgo di un’ombra silenziosa che lentamente mi scivola accanto, studiandomi con crescente curiosità.

- Cavolo, quando ti ho detto che avresti potuto provare a venire qui fuori non credevo certo che mi avresti presa subito in parola!

Esclama con una piccola smorfia contrariata, ma poi nota la mia espressione e i suoi lineamenti sembrano distendersi dolcemente mentre si avvicina di più, tanto che riesco a percepire il suo profumo.

- So che cosa stai provando – dice inaspettatamente – la dipendenza è forte, ci sono passata anch’io e i primi giorni sono di sicuro i più difficili da superare, ma vedrai che tra qualche tempo andrà meglio.

Mi piacerebbe tanto poter restare da solo con i miei pensieri in questo momento, ma stranamente la sua presenza non mi infastidisce più di tanto, anzi, sono contento che mi abbia raggiunto.

- Che bei bambini – aggiunge poi, chinandosi per osservare meglio la fotografia che stringo fra le mani – sono i tuoi fratelli?

È allora che rialzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi scuri e inquieti e scuotendo lentamente la testa, quasi divertito da quella strana domanda.

- Veramente sono i miei figli.

Rispondo e lei mi fissa, stupita.

- I tuoi figli? Davvero? Accidenti, non sei un po’ troppo giovane per questo? Vedo che hai cominciato presto a darti da fare!

Esclama, e scoppia in una fragorosa risata che mi coglie di sorpresa, facendomi sorridere. La sua allegria è così bella, così contagiosa che ogni volta che la guardo mi ricorda tanto Johanna e improvvisamente, per uno strano e incomprensibile meccanismo  venutosi a creare, non mi sento più solo.

- Io e la mia ragazza avevamo entrambi vent’anni quando Grace è arrivata, anche se io ho scoperto della sua esistenza solo molti anni dopo.

Dico e, quasi senza accorgermene, comincio a raccontarle della mia vita, di tutti i miei sbagli e del mio improvviso arrivo a Love Island che non avevo certo pianificato, dove ho ritrovato la famiglia che avevo già costruito senza nemmeno saperlo insieme alla donna che in fondo non ho mai smesso di amare, che ho sposato da qualche anno e che mi ha reso l’uomo più felice della terra prima che tutta questa brutta storia ci piombasse addosso all’improvviso e con la stessa forza di un uragano, distruggendo ben presto le nostre vite. E solo per colpa mia.

- Prima o poi tutti commettiamo degli errori, Christian – dice Sophie alla fine del mio lungo racconto – è il corso naturale delle cose. Non ci si può fare molto.

- Non quando te le vai a cercare. Non quando le conseguenze delle tue azioni ricadono sugli altri, sulle persone che ami, finendo per ferirle irrimediabilmente.

Replico affranto, e mi accorgo troppo tardi che i miei occhi sono pieni di lacrime, quelle lacrime che ho tanto sperato di versare e che adesso mi colgono quasi di sorpresa mentre comincio a singhiozzare, senza riuscire a trattenermi. Sento le sue mani sfiorare piano i miei capelli prima che mi attiri a sé con gentilezza, avvolgendomi in un caldo abbraccio che ben presto mi ritrovo a ricambiare, riuscendo così a tirar fuori tutto quel dolore tanto a lungo trattenuto. Passiamo tutta la notte su quel tetto, chiacchierando di tutto e di niente e dividendo le sue scorte di cioccolata finchè, quasi senza pensarci inizio a farle domande sulla famiglia e sulla sua vita privata, pentendomene però immediatamente quando mi accorgo che che il suo bel viso si fa d’un tratto serio e triste e che il suo sguardo si perde lontano, forse al di là di questo  cielo stellato che questa notte ci fa da tetto, proteggendoci con la sua maestosità. Ma è solo un attimo perché poi riprende a parlare, e quando lo fa la sua voce si fa flebile e incerta, proprio come se si stesse preparando a confidarmi un oscuro segreto…

 

 

   
 
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